CAPITOLO 71
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"Non ho mai amato l'oscurità, se non la notte che ho conosciuto con te".
-J.KAI
⚜️ JACE ⚜️
◾||Flashback ||◾
-Jace respira! Fa lunghi sospiri profondi! -
Il giovane ragazzo stava riversato sul pavimento del vecchio appartamento di Daniel, in compagnia di Nicholas, Damien e altri suoi compagni, il cuore in frantumi; dimezzato come poteva solo essere il tronco di un albero in inverno.
Spoglio di tutto quello che in estate gli dava colore, del manto verde che sprigionava indivisione.
E così Jace Eyre si era lasciato trasportare come lo scorrere di
un'affluente in piena, dopo che la sua gang lo aveva fermato nel suo folle tentativo di guidare in stato di ebbrezza.
-Dobbiamo chiamare un medico?-
Damien guardava Nicholas, irruente, nevrotico, non sapendo come essere d'aiuto al giovane uomo disteso sul pavimento, scosso da forti tremiti; spasmi che solamente il cuore incrinato poteva evocare.
Supplizi che creava volontariamente l'amore, desolazioni che prendevano nome nel momento in cui l'anima perdeva il suo vigore.
E che dolore....! Che sofferenza era quella di rimanere vivi, dinamici, mentre il dentro andava logorando.
La sua fronte era imperlata di sudore, i bei capelli biondi davanti agli occhi, mentre il respiro si faceva sempre più veloce, sempre più ansante.
-Jace! Chiamiamo un medico, okay?-
Nick aiutò Damien a metterlo a sedere contro il muro del bagno, vicino al gabinetto nella quale aveva vomitato.
-Dov'è Beatrice...? - chiese piano, con fatica, mentre cercava di mettere a fuoco le figure preoccupate dei suoi compagni che affollavano il bagno.
Un via e vai di chi portava un bicchiere d'acqua, chi qualche medicinale e chi delle coperte pesanti.
-Jace... Beatrice non può venire-
Damien lo fissò con gli occhi lucidi, non volendo ripetergli che Beatrice non si ricordava di lui. E che non sarebbe venuta a soccorerlo come aveva sempre fatto.
Dopo la notizia della morte di Martha, e la memoria smarrita di Beatrice, Jace aveva perso il senno.
Per un attimo non ci aveva più visto, e le forze lo avevano abbandonato, rendendolo vulnerabile dinnanzi ai compagni a cui aveva giurato di non farsi mai vedere in quello stato. Eppure la tormenta veniva anche per l'uomo più forte, strappava il suolo sotto i piedi di coloro che pensavano di poter restare in piedi. Estirpava l'ego, l'arroganza, la compostezza e la sicurezza delle menti sfrontate.
Pertanto, più si estendeva il cuore, più feroce ne era lo strazio.
La malattia.
Le cicatrici.
Jace cercò di calmarsi, seguendo i consigli dei suoi amici, inspirando e buttando fuori l'aria dai polmoni pesanti. Il petto sfarzoso, i pensieri vertiginosi.
-Jace... Resta con noi, okay? Non mollare-
Damien continuava a parlare di sottofondo, usando parole gentili, frasi di conforto nell'attesa dell'ambulanza.
◾
Rivenni per l'ennesima volta da un altro flashback lontano, proprio nel momento in cui gli scagnozzi di Tyson, si erano avvicinati per slegarmi dalla sedia.
La maggior parte del gruppo era uscito dalla stanzino per prepararsi all'eminente arrivo di Alaric.
Al contrario di Tyson, il quale non fui in grado di avvistare da nessuna parte.
-Ora che non c'è nessuno a dirmi cosa fare, possiamo divertirci...! Dove eravamo rimasti?-
L'odioso scagnozzo di prima, di nome Fred, avanzò verso di me, seguito stavolta da altri due idioti.
Un sorriso a trentadue denti sulle labbra screpolate, la barba incolta e gli occhi vispi.
-Non mi avevi mica detto che sarei stato umiliato, prima dell'arrivo di tuo padre?-
Mi prese per il bavero della maglietta, strattonandomi bruscamente.
-Eppure... Paparino dov'è?-
Non lo lasciai nemmeno finire, assestandogli un calcio negli stinchi, per poi buttarlo a terra con un forte colpo in faccia.
-Pezzo di merda!-
I suoi due compagni mi si buttarono addosso, ma gli scansai subito, difendendomi con una gomitata e un pugno nella loro direzione. Anche se non per molto, in quanto Fred mi attaccò nuovamente di spalle.
-Tenetelo fermo!-
Mi spinse a terra, braccandomi giù con gli altri due, per poi sedersi a cavalcioni sulla mia schiena.
-Vuoi fare il duro, eh? Vediamo quanto dura questa tua pagliacciata!-
Mi torse il braccio destro, strappandomi un altro gemito dalla bocca. L'altra mano stava invece sulla mia testa, intenta a premere la mia faccia contro il suolo.
-Indovina un pò...! C'era un certo uomo che avrebbe fatto a pezzi per evitare questo momento... Mmm Come si chiamava... -
Strinsi i denti, ingoiando le fitte d'agonia, i muscoli indolenziti e la nausea continua.
-Daniel! Un certo Daniel Waves...-
I miei occhi si spalancarono in quel fatidico momento, alla menzione del suo nome.
Fred si levò, voltandomi verso di lui.
-Mettetelo in ginocchio!-
Senza perdere tempo, mi alzarono da terra solo per rispingermi giù sulle ginocchia, tenendomi fermo da entrambi i lati.
-Non pronunciare il suo nome! Bastardo!-ringhiai, dimenandomi in vano. La morsa sempre più stretta, risvegliando i lividi che avevo sull'addome.
-Ero presente quando l'hanno ucciso sai? Ho persino fatto un video...
Devo ancora averlo da qualche parte-
Fred frugò tra le tasche, estraendo un cellulare vecchio.
-Se non sbaglio, era durante l'interrogatorio... Volevano sapere di te-continuò lui, indifferente.
Apatico.
Mi sentii mancare, respirando con difficoltà. L'adrenalina mi divorava lo stomaco, mozzando ogni mio tentativo di restare neutrale, imperturbabile.
-E quel demente, è restato in silenzio per tutto il tempo, non ha voluto rivelare il tuo nome, nemmeno sotto tortura... Che scemo-
-Sta zitto! Cazzo! Sta zitto!- gridai, profondamente oltraggiato. Violato a dismisura, come se ogni parte di me si stesse dissolvendo con la terra.
-Wow... Il cane è ora arrabbiato!- Esclamò lui divertito, chinandosi su di me.
-Guarda un po' qui, forse questo potrà aiutarti a ringhiare più forte!-
Il cellulare mi venne sventolato davanti, contro la mia volontà, e quando provai a voltare a testa, fui afferrato duramente dalla mandibola.
-Guarda qui!-
Il video iniziò, e con quello morì anche una parte di me...
Daniel stava legato contro un palo, nel centro di uno scantinato, attorniato da un gruppo di persone a me sconosciute. La stanza totalmente buia se non per la lampadina centrale sul soffitto basso.
-Dimmi il suo nome!! Dimmi come cazzo si chiama?!-
Una pugnalata gli venne assestata sul fianco, facendolo gridare di dolore.
E mentre quello girava la lama nel suo costato, un altro gli urlava in faccia. Lo schiaffeggiava senza alcun rimorso.
-Dove merda lo hai nascosto?! Dov'è il figlio di Alaric?! -
Daniel non demorse, riservandogli un'occhiata decisiva, lo sguardo serio anche se affetto dal male che sentiva.
-Dovete passare prima sul mio cadavere -rispose lui distaccato.
Venne difatti pugnalato in quell'istante da altri tre, i quali lo accoltellarono per non perdere altro tempo.
Distolsi gli occhi, percependo qualcosa di salato sulle labbra, le guance rigate. Impietrito come una statua di sale. Una tomba saccheggiata.
-Oh...! Non stai mica piangendo? Ti sei emozionato?- Fred sorrise di gusto, cingendomi nuovamente il mento, spingendo lo schermo davanti ai miei occhi annebbiati.
-Guarda tutto! Guarda come lo uccidono! Forse, se ti fossi presentato con tuo padre, non sarebbe successo -
Mi morsi il labbro inferiore tra i denti, pervaso da una lacerazione interna, un qualcosa di surreale, che non fui capace di collocare da nessuna parte.
E né fui in grado di capire se il mio cuore si stesse sgretolando o se avessi perso l'anima molto tempo prima.
Il video andò avanti, ma oramai la mia mente si era sconnessa, scagliandomi lontano, anni luce, distante dal presente.
Vittima di un blocco emotivo, un manto nero davanti ai miei occhi sbarrati.
Le urla di Daniel mi arrivarono comunque, scheggiando le fondamenta sui cui poggiavo, l'intera fortezza che per anni, avevo costruito con le mie mani. E dire che ero solamente paralizzato era un'eufemismo, a questo punto, era salvo attestare che fossi irrefutabilmente distrutto.
Perso.
🔸🔸🔸
◾||Flashback|| ◾
-Mamma, tu hai un amico speciale?-
Un bambino di sette anni, si avvicinò alla figura di una donna dai lunghi capelli biondi, che sedeva al tavolo della cucina, intenta a leggere alcune lettere ricevute dal postino.
-Ciao tesoro!-
Jace era appena rientrato da scuola, posando lo zainetto sul tavolo, impaziente di mangiare.
Martha Ross guardò il marmocchio con euforia, sorridendo davanti a quel sorriso furbo, le piccole fossette che ricordavano quelle di suo padre.
L'uomo che ancora amava.
-Hai trovato un migliore amico?- chiese invece, volendo capire da dove suo figlio avesse forgiato quella domanda.
-No, è che oggi la maestra ha parlato sull'amicizia... E ci ha chiesto se abbiamo qualche amico speciale-
Jace addentò una mela che stava nel cesto centrale sul tavolo, avvicinandosi alla madre sorridente.
-E tu cosa hai risposto?- lo interpellò lei di nuovo, stuzzicando suo figlio di proposito.
-Ho detto che tu sei la mia migliore amica, e che non né voglio altri...-
Martha posò le lettere da parte, concentrandosi sulla figura di Jace.
Il cuore riscaldato dalla genuinità delle sue giovani parole.
-Vieni qui- lo esortò paziente, facendolo sedere sulle sue gambe.
-Sai Jace, col tempo ti farai tanti amici, oltre a me. Alcuni resteranno mentre altri, se ne andranno. Ma l'amico speciale è quello che ama in ogni tempo-
Il piccolo Jace storse il naso, guardando gli occhi gentili di sua madre con un punto di domanda nei suoi occhioni turchesi.
-L'amico speciale è quello che in te, ripone ogni certezza, colui che conosce la materia di cui è fatto il tuo cuore... E che per quel cuore, si sacrifica con tutta l'anima-
◾◾◾
🔸🔸🔸
Daniel Waves era quel cosiddetto amico speciale che trovavi una volta sola in mille esistenze.
Quell'onnipresente figura paterna nelle famiglie, il fratello in tempi di guerra e l'amico per la quale avrei camminato quattro miglia o di più.
Quello che avrei tanto voluto raccontare a mia madre, e dirle che lo avevo trovato, che ne avevo finalmente trovato uno. Ma che nello stesso modo in cui lo avevo trovato, lo avevo anche perso. Ed il vuoto si era fatto tanto grande da modellarmi nella forma di una cisterna non riparabile.
-Jace! Jace!-
Mi ripresi dal mio lungo trance mentale, trovando un viso famigliare davanti al mio, due occhi verdi incastonati in un volto dai duri lineamenti spigolosi, simili ai miei,
i capelli castani e la barba sottile.
Alaric...?
Era veramente venuto qui...
Mi guardai spaesato, notando tre corpi sul pavimento non molto lontani da me, riconoscendo subito quello di Fred e dei suoi due compagni di guardia, non riuscendo a connettere i fatti, né capire per quanto tempo fossi rimasto atrofizzato.
-Stai bene?-
Alaric passò un bracciò dietro di me, aiutandomi a sollevare il peso del mio corpo da terra, le pupille attente ad ogni mio movimento. Ogni mio sospiro.
Mi voltò da una parte all'altra, cercando ogni tipo di segno o qualunque visibile lesione sulla pelle in superficie, stortando di conseguenza la bocca in una smorfia.
-Riesci a camminare?- mi chiese, socchiudendo gli occhi, cupo alla vista del mio fianco fratturato.
Annuii piano, totalmente esangue nello spirito, privo di parole viventi sulla lingua. Morti pensieri e memorie disfatte.
Un cadavere ambulante che ancora si ostinava a camminare come un essere umano. Estraneo eppure famigliare.
Mi ritrovai ad alzare il capo verso l'alto, fermando la mia ricerca
sull'espressione silente di Alaric Waynar. Il quale palesemente amareggiato, mi contemplava curioso. Era decisamente più alto di me, e per qualche secondo ne fui imbarazzato.
-Porto Jace alla macchina, sarò presto di ritorno! Teneteli tutti fermi, e che nessuno evada!- ordinò Alaric, chiamando l'attenzione di qualche suo fidato compagno, interrompendo il nostro breve contatto visivo. Abbassai lo sguardo sorpreso, notando solo in quel momento anche gli altri corpi sul pavimento sabbioso. Il restante della gang di Tyson era stata catturata dai uomini di Alaric, ed erano stati tutti imbavagliati e legati, ma di Tyson non c'era alcuna traccia.
-Non è andato molto lontano...-mi rispose lui, leggendo la mia espressione delusa.
-Lascialo pure correre, lo avrò come dessert finale- disse Alaric inoltrandomi verso l'esterno, a contatto con l'aria fresca.
E poi senza alcun preavviso, mi voltò verso di lui, abbracciandomi piano.
Sorprendentemente cauto. Lodevole nel modo in cui sapesse dove non stringere troppo.
-Sei sicuro di star bene? Non mi hai ancora risposto-
Spostai lo sguardo verso un punto indistinto, trafitto nuovamente dal video che avevo visto di Daniel. E per poco non persi l'equilibrio.
-Mi dispiace Jace...-
Scossi il capo, non sapendo dove guardare. Se guardavo Alaric, mi veniva voglia di lasciarmi andare, ma allo stesso tempo non volevo che mi vedesse in quel modo.
-Ho visto tutto Jace, non ti devi nascondere-
Mi parlò piano, catturando di nuovo la mia attenzione su di lui.
Era davvero strano sentirlo parlare così.
Non quando l'ultima volta che lo avevo visto, aveva permesso ai suoi uomini di sparare ad Hamilton.
Non quando mi era apparso come uno stronzo, un menefreghista e un uomo vanaglorioso.
Eppure ora, mi stava parlando con tutta la gentilezza che poteva brandire. Aveva un tono calmo ed era privo del gelo che di solito trascinava con sé. Oserei dire preoccupato.
-Ho visto il video, ho visto cos'hanno fatto a Daniel-disse, facendomi capire, che aveva capito, che capiva che cosa stessi attraversando in quel momento.
-Jace, puoi piangere... Fallo se hai bisogno-
Fui strangolato da un altro groppo in gola, facendo fatica a esalare. Tuttavia, scossi il capo velocemente, negando. Quasi come se mi avesse appena insultato.
Alaric si avvicinò a me, chiudendo nuovamente lo spazio che avevo creato dopo il suo primo inaspettato contatto fisico.
-Jace, piangere non fa di te un mezzo uomo, esternare le crepe dell'anima è cosa assolutamente umana... -
Mi strinse la spalla sinistra, poggiando invece l'altra alla base del mio collo.
-Tua madre me lo diceva spesso... Perché sapeva quanto potevo essere cocciuto-
Confessò, sospirando piano.
Lo ascoltai in silenzio, abbandonandomi al profumo del grano, il cielo nuvoloso di quel pomeriggio sbiadito.
-Daniel ha fatto più di quanto avessi potuto fare, ti ha protetto per tutto questo tempo, ed è stato con te quando sia io che tua madre siamo venuti a mancare-
Mi si appannò la vista di nuovo, ma stavolta non riuscii a trattenerle, lasciandomi persuadere dalla voce di mio padre.
-Devo andare Jace... -
Alaric mi strinse di nuovo.
-Una volta eliminati tutti, la polizia mi starà addosso, e dovrò lasciare Manchester per molto tempo... Forse persino anni... - continuò lui, toccandomi i capelli.
-C'è un'auto nel fondo del viale, con due dei miei uomini, loro ti porteranno al sicuro, lontano da qui e da tutto -
Alaric mi lasciò andare, sospingendomi piano verso il sentiero battuto in mezzo al grano alto.
Eppure non diedi alcun segno di volermi incamminare, fissando invece gli occhi di Alaric con più insistenza.
Il verde delle sue pupille parve brillare di un caldo tepore estivo, portandomi alla mente gli occhi di mia madre, come se avessi solamente capito in quell'istante quanto fosse importante per me, e del tempo che avevamo perso a rincorrerci senza mai trovarci.
Ed ora non c'era più tempo... Non avevamo nemmeno quello.
Alaric sfilò una pistola dalla cintura, osservandomi per un altro minuto ancora, prima di darmi le spalle.
-Papà...-
Le parole uscirono dalla mia bocca senza il mio permesso, forse per quell'imminente addio o forse per tutto quello che gli avrei voluto raccontare, per tutte le mille domande che avrei voluto chiedergli. Sentire di Martha Ross, direttamente dalla sua bocca, evocare i ricordi del passato. I manoscritti del cuore che non ero mai stato in grado di aprire.
-Sì, figlio mio?-
Alaric apparve sorpreso, smorzando i suoi lineamenti gelidi in qualcosa di nuovo e mai visto. Felice, ma al tempo stesso malinconico.
-Non è un addio, vero?-chiesi speranzoso, scoprendo un me, sensibile. Tanto più bambino che adulto.
Alaric scosse il capo, sorridendo appena.
-Arrivederci Jace Ross Waynar...-
🔸🔸
🌸 BEATRICE 🌸
Stavo appisolata contro lo schienale, quando fui scossa sulla spalla destra, aprendo gli occhi verso il motivo di quella foga sconsiderata. Non quando ero finalmente riuscita a prendere sonno.
-Bea! C'è Jace!-
Nicholas mi scosse, indicando con il dito una figura in fondo al viale. Mi strofinai gli occhi intontita, solo per spalancarli un secondo dopo.
E senza farmelo ripetere una seconda volta, balzai fuori dai sedili posteriori, correndo come una forsennata fuori dall'auto, ignorando i due uomini che ci facevano da guardia.
-Jace!!-
Gridai il suo nome, correndo verso di lui, a braccia aperte.
Il cuore pieno, traboccante di meraviglie, di fiori che non appassivano nei giorni più freddi, e nemmeno in quelli più infernali. Piante che crescevano unicamente quando rivolte verso il sole raggiante. Il mio sole in carne e ossa. Il mio sistema solare, la mia fonte di energia.
Il luogo dove nascondevo i miei tesori più inestimabili.
-Bea...?-
Le sue pupille marine si posarono su di me con affetto, sfoderando un piccolo sorriso, che fu accompagnato dai miei due buchi su Marte.
Gli saltai addosso, dimenticandomi per un momento che fosse ferito, ma non lasciai ugualmente la presa attorno al suo torace.
Jace Eyre si limitò solamente a guardarmi, portando una mano sulla mia guancia, accarezzandola piano, chinandosi appena su di me. Simile alla luna verso le stelle. Al monte verso la valle.
-Mi sei mancato! Mi sei mancato talmente tanto che mi fa male il cuore... -
Le parole mi si ruppero in gola, mischiandosi al pianto, urgendomi ad avvicinarmi ancor di più, come un arrampicante, come se volessi entrare dentro il suo corpo e non uscire più.
-Ti amo...- dissi piano, solo per ripeterlo più chiaramente. Più intensamente.
-Ti amo Jace- ripetei con estenuante disperazione.
Poiché famelico era il mio amore e divorante era la mia passione; di luce propria brillava l'anima mia quando incontrava la sua; quando si amalgamava con la sua consistenza.
Parte della stessa moneta, e conniventi di una stessa facciata.
Amante di come cambiava il colore del mio spirito, nello stesso modo in cui il sole schiariva e oscurava la materia.
-Non lasciarmi mai più...-farfugliai, tentando di esprimere tutta la paura che avevo provato, in quell'unica sentenza.
In qualche modo, esigente, volendo ricevere da lui tutto quello che avevamo perso in queste ultime settimane di angoscia tremenda.
Jace scosse il capo piano, sorridendomi dolcemente.
I suoi occhi sfavillanti, ora lucidi, limpidi come le acque di montagna; grondanti di emozioni non scritte, forti abbastanza da definire il rumore senza il bisogno necessario di parlare.
Prese il mio viso tra le sue calde mani, poggiando la sua fronte contro la mia.
Il tamburo del suo cuore, udibile alle mie orecchie, come un vento impetuoso contro le persiane di una casa in rovine.
E poi spostò le dita lungo le mie braccia, stringendomi a sé, posando le sue labbra sulla mia fronte con ardore. Sofferente.
-Il mio unico e solo movente...-sussurrò contro di me, smuovendo le mie interiora, ravivando le ossa e chiudendo ogni crepa che si era creata in sua assenza.
-Il mio tallone d'Achille...- disse ancora, allacciando le mie braccia attorno al suo collo, per poi scendere con la bocca sulle mie labbra. Prima gentile e poi rovente come la roccia levigata dalla lava, catturando ogni microscopica parte di me con lui.
Ogni Beatrice in tutte le diverse dimensioni che mi ero creata per scappare dalla realtà. Passato, presente e futuro.
Ferma, devastata dal modo verace in cui graffiava il mio spirito. Intaccata e adornata di brividi celestiali.
Le sfumature colorate, eppur invisibili che rilasciava sul mio corpo. I segni dell'amore e le membrane del cuore gaeto.
-Oh Beatrice, sei tutta la mia gloria...
Ti amo senza fine alcuna-
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