CAPITOLO 68

"Mi era d'obbligo se non essenziale, trovarti. Poiché vi era in me il cavernoso bisogno di dirti che esigevo della tua presenza. Vi era in me l'ardente desio di confessarti che ti avevo separato e distinto dalla folla".🌙

-J.KAI

🏵️BEATRICE🏵

-E tu saresti? -

La sua figura alta e massiccia stava seduta sulla poltrona di velluto verde, davanti a un tavolo di carte da gioco, sigari e bevande.
Aveva chiesto ai suoi compagni di lasciarci parlare in privato, e così gli altri erano usciti dalla stanza di quel hotel a cinque stelle.

-Beatrice Herondale-

I suoi occhi si chiusero in due fessure alla menzione del mio cognome. Aggrottò la fronte prima di sfilare un sigaro dal pacchetto sul tavolino.

-Oh che onore! La prole del dottor Herondale! E chi l'avrebbe mai immaginato... -

Accigliai la vista, sorpresa.
-Conosci mio padre? -

Lui mi lanciò un'occhiata veloce per poi accendere il sigaro che aveva tra le labbra.

-Certo che lo conosco, eravamo amici a un certo punto... Ma poi abbiamo deviato i nostri sentieri-disse rilasciando una nuvola di fumo.

Era più Jace di chiunque altro, le fossette che si creavano mentre parlava o allargava la bocca, gli stessi lineamenti spigolosi e la nota appariscenza. E non ci avevo mai fatto caso, non avevo mai fatto caso al fatto che Jace non assomigliasse affatto a Jonathan Eyre.
Ma più simile a lui, stava l'uomo davanti a me, condivideva la stessa aura, la stessa energia magnetica che si muoveva nella stanza.

E nello stesso modo spostava anche l'effluvio delle altre persone con sé.

Proprio come faceva Jace Eyre.

-Ti dà fastidio se ti dicessi che sono la ragazza di tuo figlio? Non so che trascorso hai avuto con mio padre... Ma io e Jace-

Non mi fece finire, spostando gli occhi esigenti su di me.

-I figli non sono il prodotto del peccato di un padre o di una madre. Non ti condanno, quindi si libera di essere-asserii lui, i capelli scuri ben pettinati sul capo, con qualche ciuffo ribelle sulla fronte.
Portava una lunga giacca in pelle, sopra una camicia verde scuro, sbottonata, e dei pantaloni signorili.
A differenza di Jace, i suoi occhi erano di un verde chiaro, ma per il resto Jace era il frutto di Martha Ross quanto di quest'uomo.

-Amo tuo figlio e so che può sembrare infantile, stupido, perché spesso la gente lo dice ma non né sono capaci... Eppure credo di esserne prigioniera, reduce di guerra-

Tanto quanto i canti dell'Iliade, simile ad Ulisse, prigioniero del viaggio e del mare che poi lo ha consumato. Simile alle parole di Ettore quando si riferiva ad Andromaca.
Nel modo in cui Beatrice Portinari stava a Dante Alighieri. E così come la musa al suo pittore.

Alaric mi guardò con nuovi occhi, cercando di mettere a fuoco la mia figura esitante. Timida e goffa.

-Prigioniera? Allora non è amore se ne sei in catene... - rispose lui.

-E cos'è allora? Persino l'organo nel nostro petto dimora dietro una gabbia toracica. E dipende da che punto di vista lo osservi...-
Mi fermai per un secondo, osservando i dintorni della stanza, le ampie finistre che davano sulla città, sulle luci e gli alti edifici.
-Dipende se vedi la gabbia come una protezione in cui il cuore vuole rifugiarsi o... -

-...Una prigione da cui volersi liberare-Alaric concluse il concetto al mio posto, sorridendo appena.
Le fossette di nuovo visibili.
Ora totalmente persuasa del perché Martha ne fosse rimasta stregata. Era un uomo misterioso in apparenza ma molto si celava all'interno. Tanta saggezza, vasta profondità.
Molte cicatrici e rara nobiltà.
Annuii in silenzio, aspettando che aggiungesse altro.

-Se sei venuta qui per convincermi ad aiutare mio figlio, non c'è bisogno. Non me lo devi nemmeno chiedere-parlò piano.
-In questo momento, una ventina dei miei uomini si sta recando sul luogo...-
Sgranai gli occhi sorpresa, la bocca di conseguenza, non sapendo cosa dire. Una luce speranzosa nei miei occhi disperati.
-E' figlio della donna per la quale avrei arso il mondo. E non per altro, mio figlio. L'unica cosa che mi ha lasciato-

Mi vennero gli occhi lucidi, ma cercai al meglio di non farglielo notare. Anche se però senza successo.

-Mi dispiace! Mi dispiace per Martha, è colpa mia e della mia famiglia! Non sarebbe dovuto succedere! - esclamai amareggiata, scacciando via qualche lacrima intrusiva.

Lui rimase un pò sorpreso dalla mia improvvisa reazione, ma poi sorrise piano.
Una nota di malinconia nei suoi occhi arcani, non facilmente decifrabili.

-Pensi davvero che è colpa tua? Sai... Tua zia Alynne è venuta da me una volta...-

Mi asciugai un'altra lacrima, guardandolo stupita. Mia zia? Quando?

-È venuta da me in lacrime, parlando di come avesse erroneamente ucciso Martha, nella speranza di porre fine all'uomo che la perseguitava. Mi ha pregato in ginocchio di perdonarla poiché convinta di aver reso mio figlio in parte orfano-

Restai attenta, solerte a tutte le parole che uscivano dalla sua bocca.

-Ma invece è da sempre stata colpa mia, dal momento che avrei potuto intervenire in ogni momento, avrei potuto rimuovere William Villain molto tempo prima, eppure il tempo stesso mi ha ingannato, in quanto ho pensato di avere ancora tempo a disposizione... -

Liberò un'ennesima nuvola di fumo, schiacciando l'ormai consumato sigaro nel posacenere.

-Sia dannato il tempo, che mi ha fatto credere di averlo in abbondanza. E che sia dannato io per non aver protetto quel che era mio, quando potevo. L'assassino sono io, e tua zia ne è solo la punizione- disse sommessamente.

-No! William l'ha rapita e mia zia ha sbagliato ha sparare! Non puoi essere tu il colpevole. Non puoi prenderti tutta la colpa! - dissi in sua difesa, alzandomi dalla poltrona su cui mi ero seduta al mio arrivo.

Alaric alzò gli occhi su di me, inclinando la testa di lato, gli occhi fermi sul mio volto, in uno studio attento, una ricerca personale. Silenziosa.

-Se si dovesse creare caos tra la servitù di un re, a chi daresti la colpa? Al re che ne era consapevole o ai servitori prevedibili?-

Mi morsi il labbro inferiore, riflettendo sulla sua domanda, gli occhi verso il pavimento.

-William faceva parte del mio gruppo un tempo, ed ero consapevole del suo carattere irascibile, ho sempre saputo di come guardasse Martha ancora prima del rapimento-disse lui, non lasciando alcun spazio alla carità.

Sospirai fortemente.

-La colpa in questo caso è di entrambi. Ma di più dei servitori che avrebbero dovuto sapere come comportarsi a prescindere dal castigo del re-risposi risoluta.

-Non è colpa tua se hai sperato che William potesse cambiare, ed è proprio per questo motivo che hai tardato. Perché non volevi abbattere l'albero che tanto hai innaffiato -risposi triste.

-E mi dispiace Alaric, mi dispiace tanto. Sarebbe potuto andare diversamente ma... Non è comunque colpa tua. Non è colpa tua-

Alle mie parole, lui smise di guardarmi, e per un pò restò muto.
-Non devi portare questo peso da solo - aggiunsi con convinzione.

-Apprezzo il tuo buon tentativo nel cercare di smorzare il mio fardello, ma lascia che lo porti da solo... Andiamo, Jace ci aspetta. -

🔸🔸🔸


[ 5:30 am] 🌙

⚜️JACE⚜️

-Jace lasciami qui... -

Damien stava contro di me, un braccio attorno alla mia spalla mentre cercavo di sorreggerlo e allo stesso tempo, adocchiare i miei avversari nella breve distanza.
Nicholas e gli altri si erano divisi a coppie per attacare la gang, sparando a destra e manca.
Trascinai il corpo di Damien fuori dal garage, facendo attenzione alle lesioni aperte, perdeva sangue e il suo sangue sporcava anche me.

-Jace! Ore quattro! -

Mi voltai in tempo, sparando uno degli uomini in tuta nera sulla spalla, disarmandolo all'istante, ricaricando la pistola con un nuovo proiettile.

-Jace sono come un peso morto, devi lasciarmi qui -

Lo ignorai, superando la soglia verso l'aria fredda. La notte oramai sbiadita, travolta dal blu del giorno, per indicare l'inizio del dì seguente.

-Dove credete di andare?! -

Tyson mi sbarrò la strada, fumando di rabbia.
Gli occhi ottenebrati da una vendetta cieca che non vedeva l'ora di rovesciare.

Come ora non si poteva dire chi era a vantaggio, in quanto i suoi uomini erano feriti quanto i miei compagni.

-Hai una vaga idea di quanto ho perso a causa di tuo padre?! Esigo che tu chiami quel pezzo di merda ovunque si trovi! O pagherai tu al suo posto! -
Tyson mi puntò contro la pistola, aspettando la mia prossima mossa, strinsi la mia tra le dita ma senza puntarla verso di lui.

-Jace, usami come scudo, mettimi davanti a te-
Damien parlò di nuovo con fatica, osservandomi con una visibile frustrazione, nulla in confronto a quella che deturpava la mia anima.

-E averti morto? Ma sei scemo?-dissi a denti stretti.
-Se devi sprecare fiato per consigliarmi cazzate del genere, ti conviene stare zitto-risposi abbastanza brusco, o forse indignato all'idea che mi stesse consigliando di aiutarlo a morire per me.

Proprio come aveva fatto Daniel.
Eroi del cazzo.

-Cosa cazzo vi state dicendo?! Chiama tuo padre! -
Tyson ci interruppe, cominciando a brandire l'arma come una spada, le mani pronte attorno al grilletto.
-Non ho un cellulare-dissi con aria di scherno, accennando un lieve sorriso.
-Trovamene uno almeno-
Il mio commento lo fece infuriare ancora di più. Ma senza aggiungere altro chiamò uno dei suoi uomini, ordinandogli di trovare un cellulare da qualche parte.

-Jace... Non saresti dovuto venire-
Abbassai gli occhi nei suoi, fermandomi a studiare i mali sulla sua pelle, il volto in parte coperto di sangue. Il suo folle tentativo di salvarmi.
E la cosa mi fece male, mi fece pensare a come potesse invece essersi sentito Daniel, in quel momento cruciale.
-Perché non vuoi stare zitto? -

Damien quasi sorrise ma poi si fermò a causa del dolore.
-Perché non voglio che ti accada nulla, Jace. Hanno tutti bisogno di te. Devi restare vivo-

Indugiai con lo sguardo su di lui, ignorando tutto il resto per un momento. Gli spari, le urla e il Caos che c'era fuori e all'interno del mio sistema.
-Perché parli così, Dem? Non hai mai provato a pensare che forse, il motivo perché mi sei subito stato a cuore, è proprio perché avevo più io bisogno di qualcuno come te?-
Damien mi guardò confuso, cercando di sorreggersi in piedi, per non essere completamente addossato sulla mia spalla. Odiava sentirsi impotente.

-Quando ti ho trovato, mi ricordavi tanto il vecchio me. Il ragazzino spensierato che usavo essere, e forse tra i due, io avevo più bisogno della tua presenza per non dover restare da solo con la mia- risposi, ritornando al presente.
Un lieve colpo di mal di testa, mentre l'adrenalina mi percorreva come un fiume in piena.
-Nah... Devono averti colpito alla testa, questo non sei tu- rispose Damien, un pò sorpreso.

Sorrisi fingendo di dargli un gomitata.

-Guarda che non sono solo uno stronzo, sono anche questo-dissi, alzando gli angoli della bocca.
Damien restò in silenzio, ancora intontito ma con un sorriso sulla bocca.
-Grazie Jace... -
Scossi il capo.
-Di che... ? - chiesi, senza però ricevere alcuna risposta.

-Ecco il cellulare! Ora chiama! -
Fummo interrotti nuovamente dall'irruenta figura di Tyson il quale allungò il braccio verso di me.
Un iPhone nero con lo schermo rovinato.

Non avevo la minima idea di quale fosse il numero di mio padre, ma dovevo escogitare un piano secondario. Un modo per perdere tempo e chiamare altri rinforzi.

-Jace attento!! -

Prima che potessi afferrare il cellulare, fui colpito violentemente alla testa, perdendo l'equilibrio, trascinando anche Damien nella mia caduta contro il gelido pavimento.
Un qualcosa di bagnato dietro la nuca, un dolore pungente. La mia visione sfocata, come un dipinto che si tingeva di nero.

-No! No! Lasciatelo! Potete trovare Alaric anche senza di lui! Questo non era il piano! -
Le parole angosciante di Damien mi arrivarono nebulose, distanti, mentre ottuso cercava di strappare il mio braccio dalla presa dei suoi ex compagni.
-Tyson! Per favore! Jace non c'entra con quell'esplosione!-
Uno sparo rieccheggiò proprio in quel momento, zittendo la voce di Damien sul colpo.
Uno sparo lontano che distrusse anche qualcosa dentro di me. Il corpo sordo e le vertigini alle gambe.

-Prendetelo! Attireremo Alaric qui e poi lo uccideremo! -

Prima di chiudere gli occhi, udii altre voci indistinte, soffuse, schiacciate una sull'altra. E tra quelle una voce famigliare, a me distinta. Una a cui avevo ancorato tutto il mondo che avevo in corpo.

-Jace...! -

Beatrice...

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