CAPITOLO 66

"Sapessero che disarmato è il cuore dove le fortezze sono più alte".

-Anonimo

🔸DAMIEN 🔸

Il sangue mi colava dalla bocca, così come dal naso, riversato sul pavimento sabbioso, mentre forti calci mi venivano tirati nello stomaco. Un gioco meschino di 10 uomini contro uno solo, di chi non trovava altro piacere se non nella rovina di un altro individuo.

-Ora Jace dov'è? Dov'è sono i tuoi amici? - mi derise uno, scoppiando in un fragorosa risata che coinvolse tutti quanti.

-Avanti! Che ti è successo? Che fine ha fatto la tua lingua affilata? Non hai nulla da dire?-

Venni alzato da terra per il bavero della mia camicia, il tessuto leggero stropicciato tra le dita callose di Andrea. Sotto gli occhi di tutti quelli uomini di cui una volta avevo fatto parte.

-Traditore! -

Il veleno dell'uomo arguto. La cattiveria nei loro respiri e l'insano piacere alla vista del sangue.

-Hai scelto il nostro nemico, piuttosto che noi! -

Una testata mi arrivò in pieno viso, facendomi vedere le stelle, un dolore alla fronte, ampliato da quello che già sentivo sul mio corpo passivo.

-Non picchiatelo troppo, ci serve vivo per attirare Jace qui, dato che vi siete lasciati scappare la ragazza.
A saperlo avremmo potuto usarlo sin dall'inizio! - disse Tyson impassibile, appoggiato contro la parete bianca.
Un sigaro tra le labbra ruvide.

-Possiamo sempre recidergli un arto, non deve per forza restare tutto intero! - scherzò un altro, spintonandomi contro uno dei suoi compagni, il quale a sua volta mi spintonò contro un altro, creando così un nuovo gioco infausto su chi fosse più forte sulle braccia.
Ansimai tra un colpo e l'altro, chiedendo pietà nella mia mente, dal momento che non potevo dar voce ai miei pensieri, nella paura di venire scalfito più crudelmente.

Ed erano in momenti come questi, intervalli a me famigliari, che ricordavo tutte le lezioni che mi aveva insegnato Jace Eyre: del perché avesse insistito di risparmiare i più deboli, di frenarmi dal colpire questi ultimi.

Poiché l'atto in sé era ingiusto e miserabile.

L'atto di colpire chi non poteva difendersi era deprecabile se non condannabile.

E come quella volta che Jace mi aveva strappato dalle grinfie di quelli più grandi di me, anche oggi come allora, il più debole ero ancora una volta, io.

Disarmato nello spirito e nella carne.

- Basta... - sussurrai piano, tra gemiti soffocati e fitte lancinanti, non riuscendo più a sentirmi le gambe, la faccia e neppure il torace.

Stremato sin dentro le ossa, con il fiato corto e i nervi tesi.

Mi bruciavano i polmoni e non riuscivo più a vedere nitido. E se tanto il desiderio loro era di uccidermi, non capivo allora perché perdessero così tanto tempo. Non avevano bisogno di me per intrappolare Jace, e io non ambivo a esserne la causa.
Speravo con tutto il cuore che Jace non dovesse venire e che invece si salvasse la pelle.

-Che cosa hai detto, marmocchio? - Fui scaraventato di nuovo contro il duro pavimento, sputando altro sangue dalla bocca. Convinto di avere qualche costola fratturata.

-Ripetilo se hai coraggio!- esclamò uno dei tanti, prima di torcermi il braccio dietro la schiena, nella loro morsa tagliente.

-Vi prego... Uccidetemi e basta- grugnii dolorante, mordendomi il labbro tra i denti, lacrime involontarie agli occhi, causate dall'agonia che non riuscivo più a sopportare.

-Datemi un coltellino, è tempo di recidergli qualche arto!-
Una voce più profonda sopraggiunse, afferrandomi la mano malamente, tutto sotto gli occhi divertiti di Tyson Brooke, il quale guardava tutto con euforia e trepidazione.

Fissai la lama lucente premere contro la pelle del mio avambraccio, preparandomi vanamente a un altro estenuante supplizio; chiudendo gli occhi di conseguenza per non dover guardare l'accaduto, eppure, fu invece uno sparo riecheggiante ad attirare la nostra attenzione verso l'esterno.

E con mia più grande sorpresa e immensa delusione, Jace Eyre stava proprio lì, le dita attorno al grilletto che aveva appena premuto.

-Oh finalmente! Ti sei degnato di presentarti! Ti aspettavamo con grande gioia, specialmente Damien... - parlò Tyson, buttando il sigaro sotto i piedi.

Un sorriso sghembo e provocatorio sulla bocca larga.
Jace si guardò attorno, per poi soffermare i suoi occhi focosi su di me.

Un manto di rabbia nelle sue pupille turchesi, un'ira che andò a farsi ancora più cavernosa e oscura, tanto da farlo tremare alla vista delle mie condizioni precarie.

-Damien...? -

La sua voce sopraggiunse al mio orecchio. Una sfumatura afflitta nel tono agghiacciante, una gradazione che lasciò presto spazio a un'incandescenza dura come la pietra. Il genere che levigata dalla lava, si piegava totalmente.

-Jace non dovevi venire... Non dovevi-

Lui scosse il capo come per silenziarmi, per dirmi di non sprecare fiato, perché era oramai troppo tardi. E non troppo tardi per tornare indietro, ma per spegnere il suo furore, che come uno spettacolo della natura, si stava facendo strada in tutta la sua gloria.

Una furia cieca che non vedevo da molto tempo. Quel genere di calamità che se si svegliava, era solamente e unicamente per smantellare l'avversario e abbattere le sue fortezze.

Il pacato e misurato Jace Eyre non c'era più, ma ora invece, vi era l'altro suo gemello.

L' antagonista del protagonista.

◾◾

🔸 BEATRICE 🔸

- Dove sei canaglia! Esci fuori! -

Avevo il fiatone per via della corsa spericolata che avevo dovuto intraprendere a causa di Demerya, e a mio vantaggio, ero riuscita a trovare un nascondiglio dietro il muro di una casa in rovine; dato che era più lenta di me e non era riuscita a vedere la direzione che avevo imboccato nel buio della notte, ciò nonostante, aveva intuito che non ero molto lontano da dove si trovava.

-Esci fuori e affrontami stronza! Dimmi perché Jace dovrebbe scegliere un'assassina come te?! -

Un'altra stretta al cuore mi fece mancare l'aria per un rapido istante, portandomi a trovare supporto contro le mattonelle del muro alle mie spalle.

Assassina...

Non ero un'assassina... Sì, era decisamente colpa della maldestra azione di mia zia, ma non eravamo assassini. Ed ero stufa di sentirmelo dire in continuazione, non quando la mia mente già mi accusava di esserlo. E tutt'ora mi riteneva responsabile.

Per di più...

Ero stanca, affamata, febbricitante e non desideravo altro se non ritornare da Jace, per affondare nelle sue braccia e sentire il profumo di casa.

L' odore pungente del mio cuore in frantumi che si riparava solamente davanti al suo cospetto.

Poiché Iddio mi aveva condannato a provare tanto e troppo, e anche in momenti tetri come questi, nutrivo solamente compassione per la tossica persona di cui era composta Demerya.

-Beatrice! Esci fuori!-

Rilasciai un sospiro nell'aria, in subbuglio, cercando una via d'uscita in tutto questo casino, che come un fardello enorme disintegrava la mia effige in un mare di macerie.

-Demerya per favore! Finiamola qui! -

Mi feci coraggio, lasciando il nascondiglio che avevo trovato, per poi incamminarmi verso la sua solida silhouette nel buio.

-Non aspetto altro! - mi rispose.
I lunghi capelli ramati, mossi nel venticello di quella sera, occhi pieni di un odio fervente e una ferita che non conoscevo, seppur in qualche modo famigliari.

-Demerya... -

Mi fermai a qualche metro di distanza, fissandola dritto negli occhi ambrati.

-So che lo ami... E so che ti sei presa cura di lui quando invece io sono venuta meno- confessai sincera, l'onestà sulle mie labbra, nei miei occhi e nel mio respiro.

-E ti ringrazio sinceramente per tutto quello che hai fatto al mio posto... -

-Sta zitta! Non voglio la tua gratitudine e né la tua pietà! - esordì, avanzando verso di me furiosa, arrestandosi a un centimetro dal mio volto.

-Non ho fatto quello che ho fatto per te! L'ho fatto pe me stessa! Per me stessa! Perché io amo Jace Eyre... -

Qualcosa nel suo tono si dissolse, lasciando spazio a un inclinamento interno, una piaga infossata.

-Lo so Demerya... Lo so-risposi gentilmente, cercando di farle capire che lo vedevo. Eccome se non lo vedevo. Poiché soffrivo della stessa patologia, la stessa malattia inarrestabile.

-Allora fatti da parte Beatrice... Fatti da parte! -
Demerya parve pregarmi, quasi scongiurarmi di sparire dalla faccia della terra. E quasi ci riuscì...
Tuttavia...

-Non posso... -dissi sull'orlo delle lacrime.
Alle mie parole, si protese su di me, spintonandomi.

-Sì che puoi! Sparisci di nuovo, basta solamente che gli fai del male di nuovo... E stavolta sceglierà me! -

Osservai I suoi occhi lucidi e lo sconforto nella sua voce.

-E tu vorresti che io gli faccia del male, Demerya? Ancora? Dopotutto quello che ha passato?- domandai interdetta, esasperata.

-Sì, mi prenderò cura di lui. Di nuovo. Ancora... Mille volte ancora -

Scossi il capo, portando le dita tra i capelli, in un gesto di frustrazione.

-Allora devi uccidermi Demerya, devi farlo, perché io non posso. Io non posso e non voglio fare una cosa simile... -

Non potevo scalfire ciò che mi teneva in piedi. Era come togliere le radici a un albero e pretendere che stesse in piedi da solo.

Era per me ineccepibile se non impossibile.

Ricambiò il mio sguardo con un'espressione alquanto feroce, sollevando la lama lucente del suo coltellino svizzero nell'aria, pronta a colpirmi con tutte le sue forze.

-Mi dispiace Demerya, ma non puoi chiedermi di fare una cosa che tu stessa non saresti in grado di fare...! - parlai diretta, chiudendo gli occhi.

In attesa che mi colpisse, che completasse la sua vendetta innata.

Aspettai in silenzio, in ascolto, ma nulla accadde, costringendomi a riaprire di nuovo gli occhi.
Immobile, davanti a una Demerya impenetrabile. Assente.

-Va, va da lui...-disse buttando l'arma sul freddo cemento.

- Cosa? - la guardai sorpresa, visibilmente sbigottita. I suoi occhi pervasi da una luce spenta, un mezzo sorriso sulle labbra piene.

-Va da lui... Prima che cambio idea-

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top