CAPITOLO 57

"Mostrami le traiettorie dell'amore.
La maniera cruenta in cui incide, il punto da dove si solleva."

-J.Kai


-Non riesco a credere che l'hai lasciata venire con noi!-esclamò Rosalia contrita, a momenti adirata.

-Ci risiamo...-
Jace commentò infastidito.

-Che cosa?!-

-Puoi sempre scendere e prenderti un taxi-ribatté lui acido, ignorando le lamentele di sua sorella seduta alla sua destra.

Tutto era cominciato quando Jace mi aveva lasciata per andare via, e al posto di starmene buona in casa, mi ero preparata un borsone mettendo le prime tre cose dall'armadio.
Qualche maglietta in più e un paio di leggings grigi.

E infine, mi ero deliberatamente data al parkour, decidendo di seguire le orme del Jace di alcuni mesi fa.

Avevo lanciato il borsone giù dal balcone e senza troppi pensieri, mi ero buttata successivamente.
In tempo per raggiungerlo prima che potesse far partire il motore.
E in tutto ciò, non avevo previsto che sarebbe venuta anche Rosalia, e peggio quando ero l'ultima persona che voleva vedere.
Mi dispiaceva vederli litigare e odiavo essere la causa del loro malessere interiore.

-Solamente perché è la tua ragazza non significa che a me debba andarmi bene, okay? Forse a te non da fastidio, ma ho bisogno di più tempo...!-
Rosalia continuò a parlare, esponendo le sue cause. La sua ira. La lotta continua per un qualche approdo soddisfacente.

-Non ti sto chiedendo di fingere di star bene, almeno non trattarla così...!-
Jace spinse il piede sull'acceleratore imboccando l'autostrada. L'espressione seria e contenuta.
Il tono cupo.

-Così come, scusa? Non dirmi che devo persino provare compassione! Oh poverina! Manca solo che le dai un riconoscimento di beneficenza per quello che ha fatto la sua famiglia... -

La cosa mi fece male più di quanto pensassi, e per un attimo le mie pupille furono offuscate da un velo di tristezza. Gli occhi improvvisamente lucidi e un vasto nodo in gola che non riuscivo a sciogliere.

-Rosalia! Smettila!-
Stavolta Jace si adirò, mutando la sua espressione neutrale in una quasi feroce. Le vene pulsanti sulle mani che stringevano il volante con tanta durezza.

-No! Ha bisogno di sapere che io non posso tollerarlo! Mi fa impazzire! Cazzo!-

A sto punto Jace fermò la macchina sul lato della strada mettendo le doppie frecce per indicare agli altri che potevano superarlo.
Ci eravamo fermati ai margini della statale, di fianco ai vasti campi di agricoltura. Le distese verdi e le montagne lontane.
-Chiamo qualcuno che possa venirti a prendere!- esordì Jace, sfilando il cellulare dalla tasca.
-Almeno viaggerai in santa pace! Senza l'incessante fastidio della sua presenza!-aggiunse secco, fulminandola di sottecchi. Le mani tremanti per il malcontento che continuava a sopprimere.

Rosalia sbuffò, incrociando le braccia sul petto.
-In teoria è lei che dovrebbe scendere, prendersi un taxi e tornare a casa sua! Ma va bene così. È meglio che mi tolga di mezzo io!-

Avrei voluto dire qualcosa o spiegare a sua sorella che non era vero...
Non era per niente vero.
Non ero indifferente a quello che aveva fatto mia zia Alynne, bensì, la crosta si riapriva ogniqualvolta che ci pensavo e l'emorragia emergeva dai confini della carne alle porte della mia mente.

Ogni giorno poggiava sulle mie spalle come un fardello. Un peso in cerca di espiazione.
E non era per niente facile. Anzi, terribile.
Ma non potevo nemmeno contestarla perché aveva tutto il diritto di sentirsi come si sentiva. Aveva tutto il diritto di sfogarsi.
Alzai gli occhi in tempo per incontrare quelli di Jace che mi guardavano dallo specchietto retrovisore.
Un'occhiata silenziosa eppure piena di ardore, come se volesse rassicurarmi e dirmi che non era colpa mia, che non dovevo sentire e non dovevo ascoltare.

-Jake sta venendo a prenderti... Sarà qui tra 5 minuti-
Rosalia fece spallucce, accogliendo la sua affermazione con disinteresse.
-Sempre meglio che stare con questa sciocca e con un fratello svampito!-

-Devi andare avanti, Rosalia? Giuro che se parli ancora ti faccio volare dall'auto!-
Era visibilmente incazzato e il tono si era fatto più grave. Minaccioso.
Molto più denso di come era solito parlare.
Spense il motore per poi aprire la portiera e accendersi una sigaretta.

Il corpo rigido e gli occhi socchiusi in due fessure.

Ci trovammo presto in un silenzio tombale che mise a tacere ogni altra cosa, se non per le macchine che sfrecciavano sull'asfalto e i respiri che separavano il corpo umano da uno sterile, morto.
Senza di vita.
Piccoli dettagli che mi ricordavano di esistere, di star effettivamente vivendo.

-Jake è qui!- annunciò lei velenosa, scendendo dalla macchina, ma non prima di rubare la sigaretta che Jace teneva tra le labbra.
-E questa la prendo io!-
Jace imprecò fortemente, impreparato, forse anche scocciato dal fatto di non poter nemmeno fumare o trovare un tenue spiraglio di sollievo.

-Sei una testa di cazzo!-

Rosalia sorrise al suo commento accusatorio con sarcasmo. Un finto sorriso che durò per pochi secondi.

-E tu un imbecille, Jace!-

Lasciò la nostra postazione, salendo su un'altra auto nera che si era fermata a qualche metro, dietro di noi. E poi svanì a suo interno.
Tratteni il respiro per un altro paio di secondi, almeno il tempo di vederla sfrecciare via e poi tornai con lo sguardo su di lui, mirando il suo volto frustrato. Le pupille chiare.

-Mi dispiace Beatrice...-

Scossi il capo in silenzio, urgendolo a non chiedere scusa. A non aggiungere altro.

-Va tutto bene Jace...- mi si spezzò la voce, ma mi imposi di non piangere di non vacillare di nuovo.

-Vieni qui...-

Jace picchiò dolcemente il sedile alla sua destra, aspettando pazientemente che lasciassi il mio posto per venire da lui.
Non me lo feci ridire balzando subito in piedi, nutrendo un forte desiderio di stargli accanto, più vicino.

Dopodiché, una volta sistemata, rifece partire la macchina entrando in tangenziale dalla corsia di accelerazione.
Mi allacciai la cintura di sicurezza, cercando in vano di distrarre il mio intelletto in tempesta. Ancora turbata dalle cose che aveva detto Rosalia.
Il male tangibile nel fondo della sua persona irruenta.
E per quanto volessi far finta di niente, esso mi stava logorando dall'interno.

-Tutto okay...?-

Portai l'attenzione fuori dal finestrino aperto, verso il paesaggio che sembrava sfrecciare come una pellicola di un film. In parte sorda, eppure sensibile alle emozioni che danzavano attorno a me. I sentimenti predominanti e quelli più deboli.

-Sì Jace... E tu?-

Non mi rispose subito, o almeno, non a parole, ma dolcemente allungò la mano libera sulla mia guancia.
Le nocche fredde contro la mia pelle. Gli anelli di ferro sulla mia superficie. Un effluvio acre di fumo e un infuso piacevole che tanto conoscevo.

-Non devi mentire... Bea-

Incrociai il suo sguardo leggendovi delle note incurvate, tristi sinfonie sfocate.
Il mezzo sorriso che spesso popolava la sua faccia. Le gradevoli fossette che tanto amavo vedere.

I miei buchi su Marte, i miei crateri sulla luna.

-E' solo che mi dispiace...- ripetei.
Il tono di nuovo incrinato, spezzato, vinto dal groppo in gola.
Tentai comunque di respingerle, di combattere il pianto. La voglia di esternare le crepe dell'anima. A differenza di lui, il quale stabile, contemplava il mio blocco ricorrente.

-Bea... Parlami-

Le sue dita percorsero la mia guancia e come fiori, si posarono sul collo, per poi scendere nuovamente.

-Non dar retta a quello che dice... Le passerà prima o poi. È solo in un posto buio al momento. E tu non né sei la causa, hai capito?-

Con mia sorpresa chiuse la sua mano attorno alla mia, coprendola completamente. E lì la lasciò.
A contatto con il calore nascente che sorgeva dal mio corpo.
-Ti amo... -
Lo disse così piano, che per un attimo temetti di averlo immaginato. Tuttavia, nel momento in cui assimilai le sue parole, l'euforia che pervase il mio cuore fu di maggiore impatto, tant'è che nemmeno stavolta fui in grado di fermare il senso di liberazione.

-Merda... ! Beatrice?!-

Sollevai la sua mano contro la mia guancia rigata, appoggiandovi completamente il lato della faccia.
Jace parve confuso.
-Bea... Che hai?-
La fronte aggrottata nella speranza di capire perché ora stessi piangendo e allo stesso tempo, tentando di guardare anche la strada davanti a sé.
-Ho detto qualcosa di male?-
Scossi il capo, non riuscendo a mettere insieme le parole.
Non quando ero io quella che doveva mostrargli conforto. Io dovevo dire quelle parole. Era mio compito sorreggerlo e dargli tutto l'incoraggiamento che meritava, eppure lo stava facendo lui.
Poneva le fondamenta e ancora lui, costruiva anche la fortezze più alte.
Era più forte di me. Decisamente molto più di quello che avrei mai potuto essere.
E mi rendeva completa, dipingeva i miei incubi di luce. Mi rendeva felice... E non riuscivo a essere lucida.

-Mi fai esplodere il cuore, Jace... Mi rendi così tanto felice che non riesco a esprimerlo a parole...-

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