CAPITOLO 46

SPAZIO AUTORE:
Siccome mi è stato chiesto: J.kai sta per il mio nome d'arte "Johannes Kai". Tutte le frasi a inizio capitolo con firma J.Kai, sono mie personalmente, se si decide di copiarle, non ho alcun problema, l'importante che venga citato l'autore. 😘😘

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"Quale rara benedizione e quale tremenda condanna, era l'amore mortale. Finito, effimero, eppure essenziale."

~J.Kai~

[1 giorno prima]
~Casa Eyre~


ROSALIA

Una volta dentro casa, lei non lo aveva lasciato in pace nemmeno per un secondo. Tra le urla di Demerya e il tono grave di Jace, ero rimasta a fissarli dal pianerottolo sottostante. Gli occhi puntati sulla scontrosa effigie di mio fratello, il quale scocciato, cercava di sciogliere le braccia di Demerya attorno al suo torace.
-Jace! Ascoltami!-
-Demy Basta!- sembrò pregarla di lasciarlo in pace. Totalmente spossato e visibilmente provato. Ciò nonostante, Demerya non si scansò, aggrappandosi ancor di più al suo torace, tant'è che Jace faticò anche a spostarsi da una parte all'altra. E per un breve secondo perse quasi l'equilibrio scendendo le scale.
-Demerya! Finiscila!-
Tentai anch'io di aiutarlo a liberarsi di lei, allungando un braccio per staccarla dal suo corpo.

Si poteva ben notare la sua indisposizione. Il messaggio lampante che mio fratello stava lanciando: lo sfinimento fisico e quello emotivo. Jace aveva tanto per la testa e un umore grigio da non sottovalutare. Leggere occhiaie e schizzi di esaurimento negli occhi.
-Voglio soltanto fare sesso con te! Che ti costa?!-
Sgranai gli occhi stupita.
-Ma porca miseria Demerya! Ti pare il momento adatto per proporre una cosa del genere?? Non vedi che sta male?-
Lei mi guardò di sottecchi, riportando subito l'attenzione si di lui, ignorando il mio intervento con risolutezza. Quasi come se non avessi aperto bocca.
Jace imprecò, portandosi le mani tra i capelli, tirando le ciocche ribelli lontane dalla sua vista.
-Fino a qualche settimana fa non avresti battuto ciglio! Non capisco perché ora mi respingi!-
Si alzò sulle punte cingendogli il viso con le unghie, mettendo pressione sulla pelle.
-Sei una rompicoglioni!-
Lei scosse il capo, quasi col tentativo di liquidare quell'affermazione, come se non fosse veritiera. Così ovvia.
-No! Sei tu il coglione! L'idiota che non fa altro che ignorarmi!-
Jace sbuffò di proposito, allontanando le sue braccia.
-Che cazzo stai dicendo? Demerya! Ti ho detto che ho altre priorità ora!-
Lei non accettò la cosa, strattonandolo appena, il pugno ora chiuso sulla sua maglietta bianca.
-Che cazzo significa?!-
Jace fu in difficoltà, cercando di sottrarsi nuovamente a quell'interrogatorio stremante.

-Per favore Demerya... Non ora-

-Che merda significa?!-

La foga nei gesti e l'ira nel respiro. Una reazione altamente allarmante. E per un secondo, non seppi cosa fare, non capivo se fosse meglio lasciarli discutere o portarla via con me, da qualche parte, dove avrebbe potuto darsi una calmata. Anche perché la verità era evidente, scritta sul volto di Jace e impressa nelle piccole cose.

-Voglio chiudere Demy, non ha più senso che continuiamo questa relazione tossica. Sai bene quanto me che il nostro accordo non coinvolgeva i sentimenti.
Ho consentito a farlo con te, quando ancora non ero sicuro che avrei rivisto Beatrice. E lo sapevi anche tu Demy, ti ho spiegato in che condizioni stavo...!-

-Vaffanculo Jace! Porco cane! Non ti voglio sentire! Non lo accetto!-
Perse le staffe, tirandogli la maglietta fortemente, tanto da strapparla nel tentativo di farlo restare.
-Non puoi venirmi a dire queste idiozie! Non puoi... Non dopo quello che abbiamo passato!-
Le lacrime le solcarono il viso, storpiando le parole e sfocandole la vista. E di nuovo in preda a un altro istinto folle, si avvinghiò con audacia su di lui, premendo le sue unghie sulla sua schiena. La maglietta ormai squarciata, scoprendo il suo addome e una parte della schiena.
Jace appariva ancor più afflitto, ancor più avvilito del normale.

-Non puoi Jace! Non puoi lasciarmi!-

-Non ho mai detto di lasciarti... Demy! Voglio solo che restiamo amici-
Faceva fatica anche lui a reggerla, si poteva ben vedere che non voleva ferirla troppo. Forse per la promessa che aveva fatto a Daniel prima della sua morte, o forse perché si sentiva responsabile di lei.
Ma anche se fosse, non trovavo corretto il fatto che Jace dovesse prendere su di lui incarichi che non aveva richiesto, né cercato.

Perché doveva essere Jace a prendersi cura di lei e perché non poteva farlo Nicholas?

Demerya era abbastanza adulta per capire che non poteva pretendere troppo e neppure pesare sulle persone in quel modo.

-Non me ne faccio un cazzo della tua amicizia! Non la voglio! Non voglio esserti amica!-

Il suo tono si elevò a tal punto da raggiungere l'isteria. La pazzia.

-Demerya calmati! Stai esagerando!-

Jace le bloccò le mani, sopprimendo i calci e i pugni indirizzati su di lui. Lei andò avanti a scalciare come una forsennata. Ogni tanto riuscendo a graffiarlo o colpirlo sul petto. Eppure Jace non demorse, restando impassibile al suo libero sfogo.

-Non voglio esserti amica... Voglio che mi guardi come guardi lei...
Mi va bene anche una relazione a tre... Puoi usarmi anche solo fisicamente…-

Continuò a farneticare,  a delirare, a parlare di come le sarebbe andata bene ogni cosa, purché Jace non smettesse di desiderarla, di toccarla.
E la cosa fu così tanto pietosa, da non riuscire ad odiarla come invece avevo pensato di fare. Una parte di me, che per quanto volontaria o non, provava un senso di compassione. Se non di più Jace, il quale la fissava muto, sofferente.

Demerya si era finalmente calmata, lasciandosi andare contro il suo torace. Il corpo scosso da tremiti e singhiozzi silenziosi.

-Vado a fumarmi una sigaretta-annunciai, lasciandoli lì sul pavimento del corridoio. Non volendo più vedere nient'altro. Pertanto, colpita da un lontano flashback che ricalcava la stessa vicenda. La stessa infatuazione malsana.

🔸️🔸️

||Flashback||
-Newport~Inghilterra

-Papà! Se non avessi rapito mamma, lei non sarebbe morta! È tutta colpa tua! È solo colpa tua!-

Ancor prima che Rosalia poté finire, un ceffone gli arrivò in pieno viso, lasciandola interdetta, zittendola sul posto.
Si portò una mano sulla guancia esterrefatta, fissando quell'uomo che tanto detestava. Conscia che era la prima volta che lui la colpiva e non sarebbe di certo stata l'ultima.

-Ora siediti e ascoltami bene!-

La spinse giù sulla poltrona, prendendo posto davanti a lei. Dinnanzi alla ragazzina di 18 anni che stava con le lacrime agli occhi. Una mini copia della donna che aveva amato e che amava ancora nonostante la scomparsa.

-Ora non so se la cosa equivale per te, non so se ti capiterà mai di essere interamente persa, quanto meno di amare qualcuno. Non posso parlare per gli altri e quindi parlerò per me stesso...-

William Villain inspirò, portandosi il sigaro alla bocca. E per un breve attimo restò fermo a contemplare la finestra nel piccolo soggiorno. Il cielo arancione e i gabbiani sulla ringhiera del davanzale.
Uccelli che per qualche bizzarro motivo, amava curare. Gli erano rimasti fedeli come i felini al fianco di un amabile padrone, e ogni tanto tornavano a fargli visita quando meno se lo aspettava. Venivano a riposare sul suo davanzale, donandogli una sensazione ancestrale, un conforto surreale.

-Sono stato uno stronzo con tua madre, un egoista. Un folle se vuoi dirla tutta. Amavo quella donna a dismisura, talmente tanto da essere sproporzionato. L'ho soffocata, l'ho maltratta e l'ho fatta soffrire. E ad oggi ho inteso la sua scelta di scappare. La sua decisione di lasciarmi per sempre...-

Tornò con lo sguardo sulla figlia, su quegli occhioni verdi che lo guardavano spauriti.
Le mani strette in grembo e i morbidi capelli ondulati sul petto. La stessa innocenza di Martha Ross, le stesse somiglianze nelle espressioni. Non aveva ereditato le orbe turchesi di Martha, ma le pupille erano quelle. La sagoma era la stessa.

-Oggi piango e comprendo il mio fallo. Mi pento di averla rapita e di aver causato la sua morte in modo indiretto. Tremo e ancora sprofondo all'idea che lei non ci sia. Tuttavia, non rimpiango il modo in cui l'ho trattata...-

Fece una pausa per liberare un'altra nuvola di fumo dalla bocca, tirandosi indietro i lunghi capelli biondi.
Rosalia non distolse lo sguardo, ma ferma, rimase con gli occhi su quell'uomo sconosciuto eppure al tempo  stesso famigliare. I tatuaggi e le cicatrici sulle braccia sode. La stazza massiccia, i lineamenti spigolosi e la barba colta.

-Un sentimento decisamente egoista, folle, impaziente e sopratutto avido...-

Si alzò spegnendo il sigaro nel portacenere, soffermandosi davanti al tavolino di vetro.
E poi con lentezza, fissò sua figlia, studiandone il volto, l'espressione vigile. Gli occhi delusi.
Rosalia si asciugò una lacrima sfuggente, cercando di reprimere il nodo in gola. La forte mancanza che provava per sua madre.

-È sbagliato? Lo so...
Il mio modo di amare era e resta eternamente sbagliato. Sregolato.
E se mai un giorno, dovessi notare queste stesse caratteristiche su un altro individuo, ti imploro di scappare. Corri più lontano che puoi Rosalia...-

Lei sussultò non capendo perché suo padre stesse parlando così. Un discorso a lei confuso, vago. Colmo di frustrazione.

-Perché il nostro è un amore malato e maledetto. E seppur travolgente e pieno di passione, non lascia nient'altro che ossa secche e ferite aperte-




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