CAPITOLO 43

"E ho provato a comprare il tuo cuore sfarzoso, ma il prezzo era troppo caro".

-L'amore nel cervello, Rihanna.

ROSALIA

Liberai il fumo della sigaretta nell'aria, appoggiata contro il muro di casa Eyre, nel piccolo giardino che precedeva i cancelli di ferro sbattuto.
Intenta a meditare sulle diverse precauzioni da prendere, in compagnia della obsoleta personalità di Demerya.

-Perfortuna che dovevi allontanare Beatrice da Jace! Un piano di merda andato a farsi fottere verso l'isola che non c'è!-

Aggrottai la fronte infastidita, sbuffando energeticamente alle sue petulanti accuse.

-Senti un po' chi parla! Stai insieme a lui da diverso tempo e non sei ancora riuscita a sbarazzarti di lei-
Le riservai un'occhiataccia pesante, storcendo le labbra in una smorfia di disapprovazione.

Sospirò, alzando gli occhi al cielo, appoggiandosi contro la parete bianca.
Le mani infilate nelle tasche della felpa grigia, un indumento che aveva rubato dall'armadio di Jace. I capelli mossi, piastrati fino a ottenere un effetto liscio. Truccata come se stesse per andare a posare per qualche rivista di moda.
-Perché non sei andata all'università oggi?-
Demerya fece spallucce, incrociando le braccia al petto. L'espressione abbastanza svogliata e l'umore contrito.
Quel giorno faceva freddo ma non abbastanza da non poter stare all'aperto. Il cielo nuvoloso e la brina sugli alberi. Un segno solcante, che avrebbe presto nevicato in settimana
-Oh sta tornando...!-
I suoi occhi si illuminarono, osservando la silhouette di Jace in lontananza. Socchiusi gli occhi, concentrata, sorpresa da come Demerya reagisse in sua presenza. E del fatto che mio fratello avesse il cuore di tante persone, senza nemmeno accorgersene.
-Jace!-
Aspettammo che si avvicinasse, entrambe con gli occhi incollate su di lui. Sulla sua solida figura, la chioma arruffata.
Tuttavia, nel momento che fu abbastanza vicino, notammo qualcosa di strano. Il passo lento e la testa china. Un andamento infelice, letteralmente abbattuto.
-Jace! Che cazzo...-
Demerya scattò verso di lui, fermandolo a pochi passi dall'entrata. Confusa quanto me, dal male che leggevamo nei suoi occhi.
Gli alzò il mento, scrutando il suo volto, l'espressione allarmata, vicino alla rabbia.
Lui scosse la testa impercettibile, allontanandola con una mano sulla spalla.
-Jace! Che ti è successo?-
Demerya non demorse, scostando la sua mano. Occupando nuovamente il suo spazio con determinazione. Le mani strette sul tessuto della sua felpa verde.
Jace ne sembrò infastidito, seccato. Non volendo soffermarsi per un attimo di più.
-Parlami Jace!-
Risoluto, la spostò di nuovo, ma sta volta con poca gentilezza.

-Voglio essere lasciato da solo-

Un'ira sottile, un tono esangue, gli occhi completamente spenti. Penetranti. Una freddezza voluminosa da farci rabbrividire.
Ci oltrepassò rapido, senza aggiungere altro, chiudendo l'uscio alle sue spalle. Demerya restò per un fratto di secondi, frastornata. Dubbiosa. Lo shock come una maschera sul volto frustrato, e poi, in preda a qualche nuova realizzazione si mosse rapida verso l'entrata.

-Vuole essere lasciato da solo, Demerya! Dagli il suo cazzo di spazio!-

La serrai per un polso, cercando di ostacolarla dal corrergli dietro.

-Lasciami! Fanculo! Lasciami stronza!-
Rafforzai la presa con due mani, tirandola con la forza verso di me.

-Demerya! Devi imparare a lasciarlo stare quando te lo chiede! Non puoi invadere la sua privacy così! Non sono sorpresa se poi non ti sopporta!-

Alle mie parole ebbe una paralisi improvvisa, gli occhi sgranati, dilatati. Le bocca tremolante. Un ultimo vano tentativo di liberarsi dalla mia presa.
Impaziente di fuggire.

-E' per questo che devo andare da lui... Se lo lascio solo... Continuerà a pensare a lei. Devo fermarlo! Devo occupare i suoi pensieri...!-

Era disperata, Demerya era perdutamente innamorata. Lo si vedeva nella foga. Nei suoi modi di fare. L'angoscia nella voce. Il tono incline al pianto.

-Per favore... Devo andare da lui, prima che sia troppo tardi...-

Comtemplai il suo sguardo afflitto. Sorpresa ancor di più di questa nuova versione di lei. Sofferente, priva di sfrontatezza.

-Devo farlo prima che mi metta da parte...!-

A sto punto la lasciai andare, sentendomi quasi in colpa di averla bloccata, aggravata.
Lei si fiondò in casa, lasciando il portone aperto, sprangato verso il vuoto. La sua voce persa in un costante richiamo del suo nome. Un nome che amava chiamare quanto l'altra stupida, che aveva in pugno il suo cuore.
-Cazzo! Che casino...!-
Un fottutissimo casino...

[...]


🔹️🔸️🔸️🔹️

BEATRICE

Faceva male, faceva così tanto male da mozzarmi il respiro. Potevo sentire le fitte lancinanti nel mio cuore, quasi come se stessi venendo colpita, frustata. Rannicchiata nel letto di Cinthya, con la faccia nei cuscini. Un groppo in gola, un pianto che non riuscivo a liberare. Era come se tutta l'acqua in corpo fosse prosciugata. E il letto del mio fiume, estirpato.
Non avevo fatto altro che piangere, ultimamente, di esternare le malattie del mio cuore, i sintomi del dolore e quelli dell'amore.
Oltraggiata al solo pensiero di lui, di noi, della nostra storia che non riusciva a trovare un'alba giusta. Una nuova risalita.

Ero rimasta nel bagno per alcune ore infinite, fino a quando Cinthya non era venuta a cercarmi. E non riuscendo a camuffare la mia amarezza, ero scoppiata a piangere ancor di più, spaventandola, rendendola ancor più agitata. A tal punto da farle chiamare sua madre, per avvisarla che mi avrebbe portato a casa con sé. E spazientita, mi aveva riempito di domande. Un interrogatorio soffocante a cui avevo completamente ceduto; raccontandole ogni cosa dall'incidente all'amnesia, celando la parte della madre di Jace, non volendo rivelarle che mia zia Alynne aveva erroneamente ucciso Martha Ross.
Tra una storia e l'altra si era fatto tardi, e ora mi trovavo in camera sua. Sotto le sue coperte di cotone.

-Hey, come stai?-

Cinthya entrò con due tazze di tè, una per lei e l'altra per me, sedendosi sul bordo del letto.
Scossi il capo, non riuscendo a sprigionare alcuna parola. In assenza di quello che di solito mi dava la grinta di parlare.
Appoggiò le tazze sul comodino, avvicinandosi a me, una mano sulla mia per darmi forza.

-Mi manca Cinthy, il dolore è terribile. Amplificato. Sto ricordando sempre di più, a raffica. Tutti i ricordi stanno tornando alla velocità della luce...-

-Com'é? Che sensazioni provi...?-
Mi guardò dolcemente, come una madre al letto di una figlia malata. Gli occhi castani, posati nei miei. Inteneriti. Empatici.
- È immenso, la sensazione è strana e irrazionale. Sono come piccoli episodi, frammenti nella testa. Vengono in modo disordinato. Mi lacerano la testa...-

Feci una pausa, rilasciando grossi sospiri. L'ansia attanagliata sul ventre. Un sasso sui polmoni.

-E poi lo vedo. Vedo Jace, vedo noi. Vedo tante cose e il mio cuore batte sempre piu forte. Talmente forte da voler uscire dal petto-

Una catena di ricordi, uno dietro l'altro. Le sue mani, la sua voce. Le mie risate e le sue. Il sole, il cielo azzurro. La voce di sua madre che ci chiama. La brezza sulla pelle e l'odore dell'estate. A volte vedevo anche il mare. L'oceano.
Io aggrappata a lui mentre ci facevamo strada verso la schiuma dell'acqua. Le montagne e le nostre scampagnate.

Il suono del piano, la melodia dell'anima che suonava. Seduto sullo sgabello con le dita sul pianoforte.
Jonathan e Martha alle sue spalle, persi in un ballo lento. Ricolmo di sentimento, di una vivida malinconia.
Le feste di compleanno e le nostre fughe notturne. Vi erano momenti in cui ricordavo anche i nostri litigi. Le parole dette e quelle non espresse. Le gelosie e il legame inestimabile.
Ma al di sopra di ogni altra cosa, la potente scarica che avvolgeva la parte superiore del mio corpo.

La voce dell'amore che gridava il mio nome.

Quasi come se volesse rimproverarmi; ricordarmi che io l'avevo conosciuto, che lo avevo provato sulla mia pelle. E che sapevo che significato avesse.

Sapevo com'era l'arte di essere invaghiti. L'arte di essere eternamente amati. E di amare senza alcuna misura.

-Ti ricordi qualcosa, dopo l'incidente? Per caso, riesci a ricordare di quel giorno all'ospedale...?-

In un primo momento scossi la testa, sicura di non riuscire a rimembrare quell'episodio in particolare. Anche se per alcuni versi, sembrava quasi che il mio intelletto stesse per rivelarmelo.

-Provaci Bea... Cerca di ricordare. Che cosa è successo? Quando Jace è entrato nell'ospedale dove eri ricoverata, che cosa gli hai detto? Che cosa hai fatto?-

Gli occhi cominciarono a lacrimare di nuovo e il petto a farmi male.
-Non lo so Cinthya... Non riesco a ricordare...-

Che cosa gli avevo detto, che reazione avevo avuto? Perché la mia mente non si voleva sbloccare in quel punto?

-Dai, non fa niente. Ora cerca di riposare. Non affaticarti troppo-
Cinthya sospirò alzandosi in piedi.
-Dormi un po', ti chiamerò per l'ora di cena...-
Fissò l'orologio che segnava le cinque di pomeriggio. Il volto preoccupato. Il tono gentile.
-Buon riposo, mi raccomando bevi il té-
Le feci un cenno con la testa, ringraziandola silenziosamente. E poi una volta da sola, chiusi gli occhi, obbligando la mia mente a mettersi a tacere. A recidere i miei pensieri, uccidere il mio tormento.
Avvolta nel mio mondo disfatto.
L'immensurabile desiderio di altro.
Il dolore più grande e l'animo più sacrificabile.

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