CAPITOLO 15
"La vita che scorre in te, arde dentro di me"
-Evanescence
Sarebbe stato molto più semplice,
se non lo avessi mai avuto nei miei pensieri.
Molto più facile se questo non avesse governato l'ordine delle mie priorità.
Se salivo nei luoghi più alti, lui era lì, e se scendevo negli abissi più ottenebrati, non mi lasciava scampo. Ne ero diventata così dipendente da non riuscire a sorreggermi da sola, e forse aveva decisamente ragione lui.
Poiché l'idea che mi ero creata di Jace poteva ben non esistere, ed essere soltanto frutto della mia mente e della fame che cercava in qualche modo di trovare cosa divorare.
Un cibo astratto seppur solido. Una pietanza per l'anima e una cena per il cuore.
-Che ci fai qui?-
Le mie braccia erano ancora avvinghiate attorno al suo tronco, le dita incrociate dietro la sua schiena robusta.
E per quanto quel gesto fosse stupido, non riuscivo a lasciarlo andare.
-Potrei chiederti la stessa cosa...-rispose.
Il tono severo ma non cattivo, un briciolo di gentilezza nel fondo delle sue parole.
Stavo appoggiata con il capo sul suo torace, immobile, nella speranza di ricevere qualcosa.
-Cinthya mi ha convinto a venire qui- confessai piano.
-Sai che questo posto è maggiormente evitato, proprio per gli omicidi e gli abusi giornalieri?-
Alzai la testa, fermando lo sguardo sul suo volto.
-E allora non dovresti evitarlo anche tu?-
Jace mi riservò un'occhiata arcana, indefinita. Entrambi le mani appoggiate sulle mie spalle.
- Le donne sono più a rischio degli uomini, dovresti saperlo-
Sbuffai, visibilmente irritata dal fatto che dovevamo sempre subire diverse ingiustizie rispetto all'uomo, preoccuparci di non venire assalite per strada.
-Non mi hai comunque detto perché sei qui-
Jace sospirò, distogliendo lo sguardo.
Le labbra serrate, proprio per sottolineare l'intenzione di non voler aggiungere altro.
E la cosa mi ferì di nuovo.
-Tranquillo, non devi rispondermi per forza-
Sciolsi la stretta, allontanandomi quel poco, chiaramente offesa.
-Bea, non sono tenuto a dirti nulla di me...-
Lo so! Lo so che non era tenuto a farlo...
Era solo che...
Mi rattristai ancora di più, spostando lo sguardo.
Gli occhi posati sui lavandini e sulle finestrelle alte.
Per essere un bagno pubblico, appariva stranamente pulito. I pavimenti non erano allagati e l'aria non era malsana.
-Voglio andarmene...- risposi invece.
L'alcool nella testa e la stanchezza sulla pelle.
Jace annuì facendomi strada, seguendomi fuori dal bagno verso il corridoio esterno. Immersi di nuovo nel caos e nella musica alta.
-Hai bisogno di uno strappo?-
Scossi il capo, nascondendo il volto, cercando in qualche modo di dissipare la mia frustrazione.
-Sono in macchina con Cinthya, guiderò io-
Lui annuì, il capo leggermente inclinato di lato e le mani infossate nelle tasche anteriori. Portava una felpa bianca quella sera, e dei jeans scuri bucati sulle ginocchia. Le scarpe Nike bianche come il completo superiore. Diversi anelli sulle dita e una collana dorata al collo.
Non solo era un bel vedere ma sapeva pure vestirsi bene. Difficilmente uno del suo calibro passava inosservato.
E mi ero sempre chiesta quante agenzie di moda avesse rifiutato, pur di non essere tallonato.
-Oh Jace! Eccoti! Ti stavamo cercando-
La tizia rossa di prima si avvicinò, facendosi largo tra le persone. Il tono di voce alto per sovrastare la musica e il chiacchierio concitato.
-Ciao Jesse...-
La rossa intrecciò le dita nelle sue, stringendogli la mano. Una forma di saluto insolita e confidenziale; abbastanza personale da farmi ingelosire.
- Uh! E chi abbiamo qui?-
Sembrò accorgersi di me solo in quell'istante. Gli occhi verdi puntati sulla mia figura.
-Si chiama Beatrice...-
Al suono del mio nome persi un altro battito. E non perché fosse la prima volta che glielo sentivo pronunciare, ma più che altro, per il modo in cui talvolta lo intonava. Un tono pacato e profondo che variava a seconda del suo umore. E nei rari casi in cui era più vivace del solito, diveniva dolce da sentire.
-Piacere Beatrice, mi chiamo Jessica, ma puoi chiamarmi Jesse-
Allungò una mano verso di me, stringendo la mia nella sua in una stretta amichevole.
Le sorrisi gentilmente, sorpresa che avesse un carattere lineare. Apparentemente dava l'aria di una ragazza scontrosa, per via dei tanti tatuaggi e dei piercing.
Aveva dei lunghi capelli mossi e la carnagione scura. Un abito corto senza spalline di colore nero e dei tacchi abbastanza alti da permetterle di raggiungere la spalla di lui.
-Viene a bere con noi?- chiese Jesse, rivolgendosi a Jace.
Lui fece spallucce, riportando l'attenzione su di me.
-Forse un'altra volta, mi gira parecchio la testa ma grazie dell'invito- risposi stanca.
-Ti porto a casa- asserì lui schietto, un rapido saluto nella direzione di Jessica.
-No davvero non c'è bisogno, posso tornare da sola...-
Jace mi afferrò per un braccio.
-A malapena stai in piedi...-
Arrossii di nuovo, non capendo se fosse l'alcool a rendermi così suscettibile o il mio poco autocontrollo.
-Cynthia! Aspetta, dobbiamo... Devo trovarla-
Jace scosse il capo per poi sfilare il cellulare dalla tasca.
Eravamo finalmente usciti da quel locale assordante. E l'aria fredda era ora su di me, come la carne sulle ossa. Mi sfregai le mani cercando di scaldarmi, il mio corpo accanto alla sua figura slanciata.
-Fatto- finì di scrivere qualcosa sul cellulare per poi intascarlo di nuovo.
-Cosa "Fatto"?-
Mi accigliai, fissandolo curiosa.
Jace mi afferrò nuovamente il braccio, trascinandomi verso il parcheggio.
Era notte fonda, e non vi era un'anima viva se non per gli ubriachi e qualche auto sfrecciante.
-E Cynthia? Non posso lasciarla così...-
-Non preoccuparti, ho chiesto a Jessica di trovarla e portarla a casa-
Sgranai gli occhi ancora più smarrita.
Jace sorrise, divertito dalla mia espressione disorientata. Le sue profonde fossette in rilievo.
-Jesse? No! Non posso lasciarla andare con una sconosciuta...-
Mi liberai dalla sua presa decisa a fare dietrofront, solo per essere riacciuffata di nuovo. Però stavolta, con mia sorpresa, Jace mi alzò di peso sollevandomi tra le sue braccia.
Restai a bocca aperta, completamente rossa. La voce soffocata e l'intelletto annebbiato. Sicura che a sto punto, il sistema "Beatrice exe," avesse smesso di funzionare.
Non tentai nemmeno di guardarlo in faccia, completamente avviluppata nel mio senso di imbarazzo.
-Tranquilla, Jessica non è come credi. Puoi chiamarla se vuoi....-
Socchiusi gli occhi, cercando di sopprimere tutto: il cuore martellante, il respiro corto e le mani sudate.
-Bea?-
Lo guardai per un secondo. Le labbra ancora socchiuse, la testa pesante.
-Hey... Tutto Okay?-
No, che non era tutto Okay.
Jace Eyre mi stava psicologicamente torturando, ed ero sicura che sarei morta prematuramente.
Portai le mani istintivamente al viso comprendo la faccia, convinta che il colore rosso non fosse più l'unica tinta che stavo manifestando.
-Ti spavento... Così tanto?-
Rise tra una parola e l'altra.
Una risata amabile e intossicante.
Un canto per le mie orecchie e una minaccia per la mia salute.
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