12. Il mercato (II)

Le cabine erano quattro, a base quadrata, e scorrevano lungo cavi d'acciaio intrecciati grossi quanto il torace di due esseri umani, tesi ai quattro spigoli per assicurare che il carico non venisse fatto oscillare dal vento durante il tragitto. Un'altra coppia di corde, nel centro del cubicolo, assicurava il movimento grazie a un verricello.

Per primi scesero i robot guardiani: quattro gregari dalla limitata capacità decisionale, coordinati da un sovrintendente, dotato di un cervello positronico leggermente migliore.

Si trattava di vecchissimi modelli MK-II, con le coperture metalliche sbiadite e macchiate dalla ruggine, le articolazioni rumorose e la voce gracchiante, metallica e monotona come quella che anche Bubi, adesso, fingeva di possedere.

Del resto, perché mai la classe dirigente avrebbe dovuto sprecare della buona – e costosa – tecnologia per tutelare gli inferiori, quando esisteva una via più economica?

Ad ogni modo, erano comunque forti il triplo del più aitante degli uomini, e armati di teaser elettrici.

Fin dai primissimi modelli, intelligenze artificiali e automi erano stati assoggettati alle leggi della robotica, la prima delle quali recitava: "un robot non può arrecare danno a un essere umano, né permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva un danno."

Teoricamente, dunque, un'arma come quella, in mano a un essere sintetico, avrebbe dovuto essere del tutto inutile. Ma Nathan sapeva che le unità che venivano inviate laggiù avevano una versione modificata della prima legge: la parola "essere umano" era stata sostituita da "abitante di Eurasia2".

Il che significava che, per quei sorveglianti meccanici, loro non erano nulla.

C'era poco da scherzare, quindi.

Gli androidi presero posto agli angoli dell'area adibita agli scambi commerciali, mentre il loro coordinatore attendeva l'arrivo delle altre cabine.

«Il mercato sta per cominciare!» li informò. «Siete pregati di attenervi alle regole e di non creare disordini, grazie.»

Mentre gli altri ascensori si mettevano in marcia all'unisono, il giovane venne scosso da un brivido, all'idea di essere circondato da entità armate mosse dalla sola logica, che nulla sapevano dell'empatia o della pietà.

Al ricordo del robot senza insegne che gli amputava un dito sotto lo sguardo imperturbabile del padre, sentì un freddo gelido pervaderlo e, istintivamente, portò l'altra mano a sfiorare il moncherino.

«Va tutto bene, Nate.» sussurrò Bubi con la sua falsa voce robotica: a quanto pareva, doveva aver notato una fluttuazione nei suoi parametri vitali. «Allison ci terrà al sicuro.»
Il rampollo di casa Mayer volse lo sguardo su di lei: teneva la testa bassa, ma era certo che avesse la situazione in pugno. Il semplice osservarla gli trasmetteva un senso di tranquillità.
«Come sempre.» confermò, chiedendosi per l'ennesima volta che fine avrebbe fatto, senza di lei.

I clienti portarono una ventata di umanità in quel mondo che sembrava averla smarrita, con le chiacchiere e le risate che il giovane ricordava. Tuttavia, l'atmosfera era tesa, ben lontana da quella che si respirava nei mercati della città-fungo.

Gli acquirenti restavano sempre in gruppo, non si separavano mai dalla loro merce di scambio e si guardavano in giro guardinghi; ogni transazione si svolgeva sotto i visori dei sorveglianti robotici, che non toglievano mai il dito dal grilletto.

Allyson concluse alcuni buoni affari. Continuava a rifiutare l'acqua, preferendo invece medicine, fertilizzanti, disinfettanti. Alla domanda del suo compagno, si limitò a stringersi nelle spalle, asserendo che "sapeva come procurarsela".

Ad un certo punto, finalmente, Nathan riconobbe qualcuno: il maggiordomo dei Roberts, vicini di casa della sua famiglia. Con il pretesto di mostrargli un forchettone particolarmente ben riuscito, dal colore verde oliva, lo avvicinò.

«Non mi serve, grazie.» rifiutò cortesemente l'altro.
«Scherzi?» insistette Nathan. «Questa non sfigurerebbe nella cucina di un riccone. Come quelli per cui lavori.»
Lo sconosciuto si mise sulla difensiva, arretrando di un passo. «Che ne sai tu, del mio lavoro?»

Il ragazzo sorrise amabilmente, senza riflettere sul fatto che, con la maschera che stava indossando, il risultato altro non era che una smorfia grottesca ed inquietante. «Dopo tante bancarelle, ho imparato parecchio sul vostro conto. Credo di non sbagliarmi, se dico che la tua livrea è del settore L-4, uno dei più benestanti.»

Il servitore lo scrutò con attenzione, serrando le labbra per la concentrazione. Aveva la testa calva, un orecchio curiosamente più grosso dell'altro, e un naso largo e piatto. Le sopracciglia cadenti gli davano un'aria tra l'imbronciato e l'annoiato, ma gli occhi vivaci denotavano intelligenza, e ora erano puntati dritti su di lui, intenti a studiarne ogni minima reazione. «Tante bancarelle, dici. Eppure non ricordo di averti mai visto.»

Ovvio, pensò Nathan, preparandosi a giocare il suo asso nella manica: era plausibile che il maggiordomo di una grande casa non si abbassasse spesso a scendere nei bassifondi di persona. Si trattava di una scommessa, certo, ma sentiva di avere tra le dita una mano vincente.

«Vuol dire che non frequenti molto il mercato, amico mio.» gli assicurò, cercando di essere convincente. «Io sono quasi sempre qui.»
Che fossero state le parole o il tono, lo convinse: notò che rilassava le spalle, abbassando leggermente la guardia. «Ad ogni modo, non sono qui per questo.» spiegò l'uomo, col tono di chi considerava chiusa la discussione.

Preso dal panico, Nathan tentò un ultimo, disperato affondo, prima di perderlo del tutto: «E in cosa posso aiutarti, allora? Ultimamente c'è un gran movimento, dalle tue parti. Non è vero?»

Il domestico, che già si stava allontanando, si fermò e gli rivolse nuovamente la propria attenzione. «Che intendi?»

Era il momento di giocarsi il tutto per tutto. Diverse persone stavano già tornando agli ascensori, mostrandosi l'un l'altro i rispettivi acquisti. Il tempo stringeva.

«Ho sentito parlare di un certo figliol prodigo scomparso...» tentò il giovane.

Il maggiordomo fece una smorfia. «Ah, la notizia è giunta fin qui?» borbottò. «Brutta faccenda, davvero. Ufficialmente lo danno per morto: pare che lo abbiano identificato senza ombra di dubbio da un dito, miracolosamente scampato alle fiamme. Però...» esitò, guardandosi intorno.
«Però?» lo esortò a continuare il suo interlocutore, nascondendo al contempo la mano menomata.
«Mah, forse non dovrei parlarne, ma ho sentito dire che il padre, Edgard, non si dà per vinto. Pare che, in segreto, abbia promesso un premio in denaro per chi dovesse trovarlo.»
«Davvero?» il cuore gli batteva forte. Che si fosse pentito?
«Sembrava così disinteressato del figlio. Invece, a quanto pare ci siamo sbagliati: la sua determinazione nel non arrendersi dimostra quanto gli voleva bene. È raro trovare genitori così devoti ai propri discendenti.» commentò.
«Hai ragione. Deve amarlo davvero molto.» concluse Nathan, ricacciando indietro le lacrime. Stava per partire con un'altra domanda, quando un ragazzo con la medesima livrea del suo interlocutore lo raggiunse.

«Di che parlavate?» volle sapere il nuovo arrivato.

«Niente che ti riguardi.» lo bloccò il collega.
«Mi stava dicendo della ricompensa per chi trova il giovane scomparso.» spiegò invece Nathan, che temeva di perdere l'occasione di scoprirne di più.
Stava per chiedere di suo padre, quando lo sconosciuto scoppiò a ridere. «Ricompensa? Taglia, vorrai dire!»
Il più anziano scosse la testa. «Gerald, ti prego, non ricominciare con le tue teorie complottiste!»
«Ma è così!» insistette il giovane. «Il bastardo ha provato a liberarsi di quella palla al piede, quel figlio inetto. Com'è che si chiamava?»
«Nathan Flynn. E vedi di moderare il linguaggio, la nostra casa è amica dei Mayer da una vita!»
«Flynn, giusto.» riprese l'altro, affatto intimorito. «Sta di fatto che, non si sa come, il mentecatto è riuscito a salvarsi. Ed è per questo che il padre smania e rischia di impazzire: deve trovarlo e farlo fuori, altrimenti i diritti che cerca di far valere sulle industrie Mayer varranno meno della carta igienica usata! Per questo lo vuole morto.»

«Morto?» gli fece eco Nathan.

«Andiamo, Gerald... non ci sono prove di quel che stai dicendo!»
«Però è vero. Pare che la taglia per il principino morto sia il triplo di quella per il ritrovamento ancora in vita. Credo che presto comincerete a vedere anche qui gente poco raccomandabile.»

«Ora andiamo.» decretò il maggiordomo, prendendo il ragazzo per il braccio.
«Ti conviene lasciar fare ai professionisti.» consigliò Gerald, mentre il collega lo trascinava di peso verso una delle cabine. «Quelli sono ossi troppo duri da rosicchiare, per chi non è abituato!»

Altro che ripensarci, altro che amarlo! Suo padre era disposto a tutto pur di mantenere il potere sull'impero di famiglia, e aveva incaricato altri per portare a termine il lavoro iniziato da quegli androidi senza insegne.

La relativa sicurezza di cui aveva goduto nella città-discarica stava per venire meno!


SPAZIO AUTORE

Incredibile, eh? Un capitolo in due parti in cui il nostro Nate non si è ancora messo nei guai, né ha insultato qualcuno. Direi che è un record assoluto! :p

In realtà qui non succede granché, ma almeno i due giovani cominciano a rinsaldare il loro rapporto. E scopriamo una cosa molto importante: Edgard non ha intenzione di mollare l'osso, né di concedere pace al figlio. Anzi, figliastro: di certo lui lo sottolineerebbe.

Grazie per essere arrivati fino a qui! :)


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