11 - LE FIAMME DEI MORTI [2/2]




Esploravo il Palast da qualche ora, nel tentativo di memorizzare il maggior numero di percorsi.

Man mano che il tempo scorreva scivolandomi dalle dita, mi rendevo conto di quanto fosse inqualificabilmente grande: i draghi che avevano scelto di stabilirsi lì avevano tenuto conto dell'immensità degli spazi, degli atri vuoti e della continuità tra il palazzo e le gallerie naturali che serpeggiavano nel sottosuolo e nel monte. Quest'ultimo stringeva a sé il Palast in un abbraccio asfissiante, simile a quello di un mostro che bracca l'oggetto del suo desiderio, imprigionandolo per l'eternità. Il castello si sarebbe articolato in quattro torri, se la quarta non fosse crollata sotto il peso della valanga rocciosa che l'aveva abbattuta. Le restanti tre, di differente altezza, erano collegate tra loro attraverso una ragnatela di ponti e imponenti pilastri.

Guardai la sfera di luce d'oro che fluttuava alla mia sinistra: una delle fate della strada perduta, incaricata da Gorazd di guidarmi nel corso dell'esplorazione.

I piedi mi portarono all'esterno, sul ponte più alto che connetteva un torrione all'altro. Il crepuscolo bagnava di sangue le alte fronde degli alberi, che crescevano secchi e dritti come un plotone di guerrieri in attesa di attaccare.

Un rumore di colpi pesanti contro il terreno mi riscosse dal flusso di pensieri e volsi lo sguardo: una montagna bianca si trascinava lungo il ponte e la sfera di luce tremolò.

Icaex carezzò il lastricato con la coda, gonfiando e sgonfiando le spire al placido ritmo di un respiro che ricordava quello di una vecchia caldaia. Attesi che mi sorpassasse e proseguisse la sua perlustrazione, invece rallentò fino a fermarsi a qualche metro da me.

Quelle gemme rifulgenti mi scrutarono come la prima volta, quando le avevo incrociate in volo durante il torneo. E come la prima volta fui invasa da un insano torpore, simile a quello di un sogno troppo bello per essere reale. L'illusione si spezzò nel momento in cui i miei occhi si spostarono sui rivoli di sangue essiccato che si raggrumavano fra le scaglie.

«Ci sono volte» sussurrò, modulando la voce nel modo in cui si narrerebbe la favola della buonanotte a un bambino «in cui mi chiedo cosa tu ci faccia qui».

«Il tuo capobranco non ti ha informato?»

«Non parlo dell'accordo con l'Ombra Bianca. Parlo di te fra noi. Non dovresti essere qui.»

Poggiai la mano sulla pietra, tra le merlature, e mi obbligai a ignorare lo spirare rovente contro la mia schiena. «Quello che ci accade non è un caso.»

«Sciocchezze.» Un fremito mi si arrampicò lungo la colonna vertebrale, strappato dall'umido calore del suo alito che si insinuava sotto la stoffa dell'abito. «Non hai fatto altro che disobbedire alle regole, rompendo l'equilibrio di un mondo che ha sempre vissuto in armonia. Quale destino potrebbero aver mai scritto le stelle, per te?»

Desiderai avere una risposta pronta, ma non andò così. Forse non esisteva alcun disegno, in tutta quella storia. Non esistevano profezie in cui sperare o un Dio a cui rivolgere le proprie preghiere, solo un futuro per cui avevo gettato le fondamenta e di cui non mi rimaneva che osservare le intelaiature tessersi da sole.

«D'altronde, voi umani siete sempre stati incapaci di stare al vostro posto.»

Scelsi un silenzio carico di astio, in risposta. Le sue parole fecero male, ma continuai a ripetermi di non aver nulla da dimostrare a lui o ai suoi compagni.

«Icaex il Redentore. È così che mi chiamano, fra queste mura» proseguì, aggrappandosi con entrambe le zampe ai merli che delimitavano l'intercapedine da cui mi stavo affacciando, in modo da intrappolarmi fra quest'ultima e il suo corpo. «Sai perché?»

Scossi la testa.

«Ritengo che ci sia qualcosa di meraviglioso nella morte di quelli come te.»

«Quelli come me?»

«Quelli fuori posto. Non uccido per subdolo sadismo o per il senso di appagamento che potrei trarne, ma perché sento di doverlo fare. È il mio compito.»

Non era paura, quel qualcosa di freddo che mi ristagnava tra esofago e cuore. Era energia che si agitava, caricava l'aria attorno a me di elettricità e iniziava a sollevare ciocche di capelli e facendole oscillare in pigre onde. «Chi diavolo sei tu per decidere chi merita di vivere? Quale autorità ti ha incaricato di purificare questo mondo?»

Icaex mi afferrò tra le zampe e mi schiacciò tra gli artigli, mozzandomi il respiro. «Credi che il tuo popolo sia diverso da noi? Lo pensi davvero? Fino a un decennio fa avete intrapreso una guerra che ha portato a un genocidio. Cosa avreste ottenuto?»

Mi divincolai, asservita ai colpi assordati del mio cuore che riecheggiavano nelle orecchie. «Questo giustifica il ripetere i nostri errori?» Alzai così tanto la voce che le corde vocali bruciarono. «La vostra mente è stata traviata dal desiderio di possedere quella Fonte e dalla paura che la purezza della razza venga contaminata da quel povero ragazzo. Se lo Spirito dell'Oro potesse vedervi...»

«Non osare parlare di ciò che non conosci, scarto della razza più insulsa e debole.»

Sentii le ossa crepitare. Il fiato si arrestò nella trachea e i bordi del mio campo visivo accolsero una compagine di macchioline nere.

Attraverso i miei sensi intorpiditi, una voce emerse tra le gelide acque del lago in cui stavo annegando: «Lasciala andare, Icaex. La ragazza deve vivere». L'aria fluì violentemente nei polmoni e mi ritrovai a terra, a tossire e tremare. Quando riuscii a riacquistare il minimo senso dell'orientamento, il mio sguardo si arrampicò lungo la figura avviluppata nella palandrana nera che la proteggeva dagli ultimi raggi di Sole, fino al viso della statua che mi osservava senza particolare interesse. «Non costringermi a farne parola con il maximum. Frena i tuoi istinti e vattene.»

Non guardai Icaex, ma lo sentii muoversi alle mie spalle. Il fruscio dei suoi passi, che si attutì man mano, mi suggerì che si stava allontanando.

«Perché l'hai provocato?» Non appena fu lontano, la maschera di apatia cadde dal volto del Viesczy, che mi agguantò per il braccio e mi tirò in piedi con uno strattone. «Cosa speravi di ottenere? Un docile scambio di opinioni?»

«Non mi fanno paura, quelle serpi.»

«Sì, Beatricza, è proprio questo il tuo problema: tu non hai paura. Vedi di non farti ammazzare, finché sarai qui.»

«Oh, mi spiace. Hai paura che la mia avventatezza rovini il tuo bel progetto?» Mi divincolai dalla sua presa, ma non riuscii a liberarmene. Radunai la calma. «Come hai fatto a capire che ero nei guai?»

Lui inarcò il sopracciglio: probabilmente non si era aspettato una domanda simile durante la sua paternale. «La luce, è stata lei a chiamarmi. Sapevo che avresti fatto qualcosa di stupido, ecco perché te l'ho data.»

Inclinai la testa e gli rivolsi uno sguardo in cui non figurò alcun briciolo di rancore, cosa che, da quanto vidi, dovette disorientarlo. «Be', suppongo di doverti almeno ringraziare, considerato il disturbo che ti sei preso.»

Gorazd sbarrò gli occhi e snudò le zanne. Trasalii, colta di sorpresa dal repentino cambio d'espressione, dalla ragnatela di vene scure che si ramificò dal collo fin sopra la mascella. La presa sul braccio si cementificò e le sue dita affondarono fino a sfiorarmi l'osso. Gridai, e un violento capogiro smorzò le mie urla.

«Non osare credere, neanche per un istante» rantolò, parlandomi contro la fronte «che l'abbia fatto per proteggerti. Ricorda il patto: giuro che il giorno in cui avrò l'occasione di ucciderti, implorerai il tuo falso Dio di accoglierti fra le sue braccia il prima possibile.»

Gorazd mi scaraventò addosso alla parete con una violenza tale da troncarmi respiro. Le ginocchia cedettero e rovinai sul pavimento, percorsa da spasmi di dolore.

Me ne rimasi lì, sotto i suoi occhi impietosi, e cercai di non ridere all'idea che una parte di me avesse davvero creduto che in lui non regnasse quel tipo di male puro e inattaccabile.

Capii di essermi sbagliata: esistono persone che sono nate semplicemente cattive.


*


Il bagliore lattescente della luna filtrava attraverso gli archi inflessi, lambendo il colonnato che correva lungo i bordi del ponte. Desiderai piangere, ma non lo feci.

Mi sporsi oltre il corrimano per prendere aria e calmarmi. Avevo detto ad Arok di nutrire piena fiducia in Flynn, eppure doveva esistere un modo per riuscire ad allontanarsi dal Palast. Più mi ci arrovellavo, più la concretizzazione di quell'impresa sfumava via: se anche fossi riuscita a scappare non avrei avuto modo di avvertire Flynn, che sarebbe incappato in un viaggio a vuoto nella terra del nemico. Non temevo il fallimento o le punizioni, ma che al suo arrivo fosse solo.

Inoltre la Foresta Nera, brulicante di creature e maledizioni, costituiva un'impenetrabile muraglia.

Non sarei sopravvissuta a una mia eventuale fuga, il maximum lo sapeva. Ecco perché i draghi non mi controllavano, non con lo zelo che mi ero aspettata. Ero tra le braccia del destino, in balìa di quel che sarebbe accaduto il giorno della prossima luna piena.

Qualcosa volò dinanzi al mio viso.

Mi scappò un urlo sciocco e saltai all'indietro, rischiando di inciampare nei lacci degli stivaletti. Mi stropicciai gli occhi e, recuperato un briciolo di coraggio, mi affacciai nuovamente attraverso l'arco. Una fiammella bluastra galleggiava nel vuoto, a un paio di metri dal balconcino, fremendo alle carezze del vento.

«Un... un fuoco fatuo?» riflettei ad alta voce. La luce compì un paio di giri attorno a me, quasi volesse giocare. «Ehi, ehi» risi. «Ciao anche a te!»

Ciao, Beatrice.         

La risata morì sulle mie labbra. «Sai il mio nome?»

Come potrei dimenticarlo?  

Riconobbi il timbro che rimbombava nella mia testa: l'avrei distinta all'interno di qualsiasi coro, quella voce calda e surreale che mi aveva trasportata in universi lontani. Non avevo pianto, prima; lo feci in quel momento.     

«Mhamo [1]... nonna, sei tu?» sussurrai.

Sono io, mil [2]. Anche la sua voce sorrise.    

Allungai le dita e incontrai il vuoto, come quando si cerca di toccare il ricordo di un sogno. Odiai me stessa per non poter scavalcare quella condizione di immaterialità così da abbracciarla e non lasciarla più andare, ma dovetti accontentarmi del tepore rassicurante che mi lambiva il volto.

«Com'è possibile, mhamo? Voglio dire, i fuochi fatui sono...»     

Le fiamme dei morti.

Un alito di vento scrollò le fronde della foresta, da cui si librarono nugoli di pipistrelli.             

«Sei... morta?» L'ultima parola si smorzò in un singhiozzo. Premetti il dorso della mano contro la bocca per frenare i singulti, ma fu inutile.          

La settimana scorsa. Non essere triste, Beatrice, era arrivato il mio momento.      

«Come stanno mamma e papà? E Tommy? I ragazzi? Cosa è successo dopo che sono sparita?» domandai a raffica, sorda a qualunque tentativo di calmarmi.

Il fuoco fatuo si avvicinò e mi sfiorò la guancia in una carezza tiepida.

Non ti mentirò, mil: è stata dura. Lo è tutt'ora, ma non hanno smesso di cercarti.    

Sapevo che sarebbe successo, eppure sentirlo da lei fece ancora più male, come se qualcuno mi avesse conficcato un arpione rovente tra le costole. «Io... tornerò indietro. Troverò il modo, lo prometto.»

È molto difficile.       

Mi asciugai le lacrime e tirai su col naso, obbligandomi a smettere di piangere. Ero stata così stupida, quel 7 agosto, ma la colpa non era stata soltanto mia: ero rimasta imbrigliata nella ragnatela tessuta da Gorazd, e ogni mio movimento compiuto con lo scopo di districarmene non faceva che soffocarmi sempre di più nella sua stretta. La sera in cui Flynn aveva proposto di uccidere l'Ombra Bianca avevo sperimentato l'amaro retrogusto del senso di colpa per aver anche solo pensato di compiere un gesto tanto distante dalla mia natura, dalla mia umanità.           

Le cose, però, erano cambiate.        

Mi riempie il cuore sapere che stai bene, Beatrice.

«Non sto bene.»       

Cosa diceva tuo nonno, prima che la guerra se lo portasse via?  

«Avrai infinite possibilità, finché respiri» recitai. In quel momento mi sembrarono solo belle parole gettate al vento. Aggrottai la fronte, alzando gli occhi sul globo luminescente: «Nonna, come sei riuscita a trovarmi?».   

Ricordi quando ti parlai dei Mondi?

«Sì. Dicesti che il nostro, quello Invisibile e tutti gli altri sono sovrapposti come strati di torta.» Usava sempre quel paragone, da piccola mi divertiva immaginare che l'universo fosse un immenso dolce. «Ma questo cosa c'entra?»   

La luce fremette al sospiro della corrente che tirava lassù.

I fuochi fatui fanno visita a tutte le persone che hanno conosciuto in vita, prima di sfumare nel Dopo Etereo, il piano successivo a quello Invisibile. Tu riesci a vedermi e sentirmi perché siamo più vicine, e qui l'energia funziona in modo diverso. 

«Il... Dopo Etereo?»

Il mondo delle anime. Chiamalo Paradiso o Inferno, se preferisci. È l'inizio di un nuovo viaggio.

Mi lasciai cadere contro la colonna e affondai il volto tra le mani. «Stai per lasciarmi per sempre?»

Se solo avesse avuto ancora un corpo, avrebbe annuito.

Sei una ragazza... no, una donna, incredibilmente forte. Io credo in te, Beatrice.       

«Per favore, non mentire.» Lottai ancora contro il groppo che mi chiuse la gola. Come poteva anche solo pensare che non fossi ancora una ragazzina nelle grinfie del destino? 

Sai che non mento mai.        

Misi le mani a coppa, per accogliere il fuoco fatuo e il suo calore. Se nonna Rosaline diceva il vero e il suo tempo in quel mondo era agli sgoccioli, non volevo trascorrere gli ultimi istanti a rimpiangere le mie scelte. Le parlai di Flynn. Mi aggrappai ai nostri ricordi felici, lo feci per lei e per me, che avevo bisogno di una spinta dalla base del fondale per risalire verso la luce. La sentii ridere, sospirare ed emettere mormorii di disapprovazione. Poi, fu costretta a spezzare l'idillio: Il mio tempo è scaduto.

Mi morsi le labbra e abbracciai le gambe: fu un pensiero egoista, ma non volevo che andasse via. «Così presto?»

Non dipende da me. Mi sto spegnendo anche qui.  

Serrai le palpebre e mi costrinsi ad annuire. «Suppongo sia un addio, allora.»         

Un arrivederci.         

«Giusto.» Mi alzai e trasportai la fiamma oltre il balconcino. «Allora arrivederci, mhamo. Vai in pace.»   

Dimostra loro che vali più di quello che credono. Sii te stessa, ogni giorno, perché il mondo ha bisogno di persone capaci di sognare a colori. Ormai pensiamo troppo e sentiamo poco. L'intensità della luce perse colore, simile a una stella morente. Beatrice?

Mi fermai: «Dimmi».

Ricordi la canzone che dedicavo al nonno, sulla sua tomba, nel giorno di Ognissanti?

«Certo.»        

Potresti cantarla un'ultima volta?  

Incastrai un paio di ciocche dietro le orecchie e il mio sguardo si perse oltre il bosco, lungo le chiome bagnate dalle lacrime della Luna. E
mentre l'ultima immagine di mia nonna abbandonava quel mondo, cantai per lei:

When shall we meet again, sweetheart?            
When shall we meet again?      
When the oaken leaves that fall from the trees
Are green and spring up again.



[1] Vezzeggiativo in gaelico irlandese nei confronti della nonna.
[2] Controparte di "nonna", "nonnina" in gaelico irlandese. Significa "tesoro".

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