Capitolo 8

Sono passate tre settimane da quella sera. Dalla sera dove tutto è cambiato.

Scendo in cucina con il borsone a tracolla, e il pavimento freddo sotto i piedi mi sveglia dal torpore. Mia madre, intenta a mescolare qualcosa sul fornello, alza lo sguardo quando il rumore dei miei passi cattura la sua attenzione. Trovo due occhi indagatori che scrutano in cerca di risposte, un mix di preoccupazione e curiosità. Vorrei evitare spiegazioni, nascondermi dietro il silenzio, ma dopo questo periodo di autoreclusione, sento che è il minimo nei suoi confronti.

Sospiro, quasi cercando il coraggio nel respiro profondo, butto fuori l'aria e dico solo «Devo andare ad allenarmi».

Un sorriso di comprensione spunta sul volto di mia madre, un misto di orgoglio e sollievo. Senza aspettare una sua risposta, corro fuori in direzione della macchina.

La luce del sole, calda e accogliente, accarezza la mia pelle mentre mi dirigo in direzione della macchina.

È stato difficile stare lontana dalla mia passione, ma sono pronta a tornare in pista.

Sono consapevole di essere rimasta ferma troppo a lungo, e proprio per questo motivo non faccio in tempo a varcare la soglia che mi ritrovo Alessandro, il mio allenatore, con le braccia incrociate e un'espressione che non promette nulla di buono. Sto per aprire bocca, ma lui mi zittisce posizionando davanti agli occhi un programma di lavoro personalizzato.

«Non ti è concesso aprire bocca, non dopo che sei sparita abbandando anche le sedute di fisioterapia». Ha ragione lui per questo annuisco e mi dirigo verso lo spogliatoio, ma prima di sparire la sua voce mi arriva da dietro «Tra cinque minuti ti aspetto nel mio ufficio».

Non faccio in tempo a voltarmi che è già sparito. Lascio tutto nell'armadietto e mi dirigo verso gli uffici. Entrando, noto subito la presenza di una ragazza che non avevo mai visto prima, ma Alessandro interrompe i miei pensieri «Ragazze, vi presento Nora. Si è trasferita da poco da una società vicina. Farà parte della nostra squadra e gareggerà insieme a voi per la qualificazione alla finale nazionale. Spero che la accoglierete nel modo giusto».

Fisso la ragazza che si trova di fronte a me, cercando di capire le sue caratteristiche. Approssimativamente della mia stessa età e altezza, ha un fisico tipico di chi ha dedicato la propria vita a questo sport. Ma ciò che risalta è il ciuffo rosa che spicca tra i suoi capelli neri. Devo ammettere che il suo stile eccentrico è un po' fuori dalle mie preferenze personali, tuttavia, dato che Alessandro ha deciso di includerla nel team a soli trenta giorni dall'inizio delle competizioni, sicuramente avrà notevoli capacità. Per me conta solo questo.

Assorta nei miei pensieri non mi accorgo che le altre stanno già uscendo, mi volto per fare lo stesso quando vengo richiamata, «Adele, sarai in coppia con Nora». Mi pietrifico, guardo in direzione di Alessandro, così lui procede «Voglio vedere voi due lavorare insieme. E dato che entrambe siete testarde e perfezioniste, ho intenzione di concentrare tutta la mia attenzione su di voi». Alzo gli occhi al cielo, ma il colpo di tosse del mio allenatore mi dice che non ha finito «Quest'anno voglio una doppia classificazione. Anzi, pretendo che entrambe vi classificate per le finali dei vostri attrezzi di specialità», conclude puntando il dito prima in direzione della nuova arrivata e poi verso di me.

Non posso fare a meno di rispondere «Per quanto mi riguarda, puoi star tranquillo. Non ho alcuna intenzione di fallire ancora».

Sono quasi fuori dalla porta, quando una domanda improvvisa mi colpisce come un pugno nello stomaco «Adele, come stai?».

Lentamente riporto la mia attenzione su di lui «Bene» rispondo con un sorriso finto, anche se ogni fibra del mio essere urla il contrario.

Sono diventata brava a mentire. Perchè non dire la veritá è più facile.

Man mano che il tempo passa, mi ritrovo sempre più silenziosa. Non parlo più di me stessa. Non racconto più le mie battaglie interiori, le lotte che mi tengono sveglia di notte, né il motivo per cui mi sento un'estranea nel mondo che mi circonda.

Forse un giorno avrò il coraggio di aprire il mio cuore, di mostrare agli altri le mie fragilità. Ma oggi, sto bene. Almeno è quello che continuo a ripetermi.

Mentre mi sto cambiando, sento la presenza di Nora che mi segue come un ombra.

«Sono contenta di lavorare con te», mi dice all'improvviso. Non rispondo, voglio cercare di mantenere una distanza. Ma lei non sembra voler smettere, «Sai speravo tanto di finire in coppia con te. Alessandro mi ha parlato molto dei tuoi allenamenti. Dio, non sai quanto sono eccitata all'idea che faremo parte della stessa squadra. Avevo paura a cambiare società, anche perchè non sapevo dove sarei finita. Ma quando ho scoperto che sarei venuta in questa palestra, non stavo più nella pelle».

Le sue parole scorrono come un fiume in piena, inarrestabili e senza sosta. Mi chiedo se abbia mai bisogno di prendere fiato. Un sorriso ironico si dipinge sul mio volto, «Certo che ti piace parlare così tanto!».

Lei, quasi compiaciuta, ribatte «Vero?! Me lo dicono tutti. Ho questa tendenza a parlare senza sosta, come se non riuscissi proprio a controllarmi».

Mentre ascolto ogni sua singola parola, realizzo che avere una compagna di allenamento così loquace potrebbe trasformare la nostra collaborazione in un'esperienza molto più impegnativa di quanto avessi immaginato. Ho rinunciato alla mia 'prigione' personale per dedicarmi anima e corpo alla ginnastica, non certo per farmi venire l'emicrania con conversazioni interminabili.

Decido di intervenire: «Senti, Nora», dico sforzandomi di mantenere un sorriso convincente, «sono felice che tu sia così entusiasta, ma che ne dici se ora ci cambiamo in silenzio e ci concentriamo sull'allenamento? Potremmo continuare la conversazione dopo». Lei risponde con un sorriso malizioso, sigillandosi le labbra con un gesto teatrale.

Inspiro a fondo, cercando di trattenere la frustrazione che mi cresce dentro. Alzo gli occhi al cielo, tentando di trovare un briciolo di pazienza. So che dovrò imparare a convivere con questa situazione se voglio mantenere la mia concentrazione e, soprattutto, la mia sanità mentale durante il lungo percorso che ci aspetta. "Saranno mesi lunghissimi", rifletto amaramente, consapevole che questo sarà solo uno dei tanti ostacoli.

Le mie speranze, però, svaniscono nel tempo di un respiro. Nemmeno il tempo di cominciare a riscaldarci, che Nora si riattacca a me, la sua voce un fiume incessante di parole. Mi sento soffocare, un nodo che si stringe sempre di più alla gola.

Quando l'allenamento finisce, esausta, mi getto il borsone sulle spalle e mi avvio verso l'uscita. Non mi accorgo subito della figura che mi si para davanti; sono troppo concentrata a guardare il pavimento, persa nei miei pensieri. Ma la voce che sento è una lama affilata che mi attraversa.

«Adele». 

Una sola parola, ma basta per immobilizzarmi.

Alzo la testa e lo vedo. Marco, appoggiato alla rete, mi guarda. È come se ci fosse un vetro spesso tra noi, come se il mio cervello stesse rifiutando di registrare la sua presenza. 

Nel mio tentativo di superare tutto questo, avevo dimenticato di considerare lui. Credevo che il mio silenzio fosse una chiara chiusura, una porta sbattuta. Evidentemente, non è stato così.

«Non ho intenzione di parlare con te», dico, passandogli accanto.

 Ma lui insiste.

«Credo di averti lasciato i tuoi spazi».

Mi fermo, la rabbia che ribolle sotto la superficie esplode in un istante. Mi volto di scatto, e le parole mi escono prima che possa fermarle. 

 «Mi hai lasciato i miei spazi?» La mia voce trema, ma di rabbia «Sei serio? Ti rendi conto di quello che hai fatto? Ti avevo chiesto solo due cose, prima di iniziare questa storia. E tu», le parole sono lame che sputo fuori, «le hai distrutte entrambe. Torna dalla tua bionda.»

Sento il cuore battere così forte che sembra voglia scoppiare. Sto cercando di mostrarmi forte, fredda, distante. Ma dentro di me, sto crollando. Ogni parola che dico è come una pugnalata a me stessa.

«Di sicuro è più matura di te», dice con un ghigno amaro.

Non rispondo, me ne vado e basta.

Ho capito che nella vita non si può forzare nulla. Chi sceglie di restare, lo fa di sua volontà.

Ciò che non viene raccontato nelle leggende è che il destino, in realtà, è un burattinaio astuto, e noi siamo pedine in un gioco che non comprendiamo del tutto.

È per questo che le leggende rimangono tali, illusioni di un qualcosa di più grande....

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