Capitolo 6

Sono a casa e non mi ricordo come ho fatto ad arrivare.

Apro la porta, mia madre è di spalle, assorta nella preparazione della cena. il lieve rumore la fa voltare. Mi vede, lascia cadere quello che tiene in mano.

Il respiro corto e lo sguardo perso nel vuoto tradiscono la tempesta che si è scatenata dentro di me

Con la schiena contro la porta, una voce lontana mi raggiunge «Tesoro, ti senti bene? Cosa è successo?».

Le sue mani si posano sulle mie spalle, stringendomi nel tentativo di tirarmi fuori dal buio in cui mi sto perdendo. Sono presente solo fisicamente, perché la mia mente è in caduta libera.

Alzo lo sguardo i suoi capelli neri cadono morbidi, in quegli occhi scuri, così simili ai miei, vedo l'amore, ma anche la paura.

«Adele, guardami. Non cosa sia successo ma devi essere più forte di tutto questo», mi dice con voce ferma. E' sempre stato così, lei ha sempre saputo leggermi dentro, anche quando io non riuscivo ad esprimere nulla.

La supero e, come un automa, mi chiudo nella mia stanza. Qui dentro mi sento al sicuro, come se le quattro mura potessero proteggermi dal dolore.

Mi lascio cadere a terra, il mio sguardo finisce sulla caviglia. Osservo qul laccetto rosso che ho sempre portato. La afferro e la tiro fino a strapparla, la getto lontana come se potesse cancellare il ressto.

Da giorni ignoro le sue chiamate, i suoi messaggi. Vivo in un silenzio che sembra non avere fine. So che si è presentato sotto casa, disperato, ma non ho intenzione di vederlo. Le sue parole, crudeli come rasoi, mi risuonano ancora nella testa: "È carina, sì, ma non è magra. Anzi, mi sembra che stia mettendo su qualche chilo ultimamente, e si vede. Se continua così, non so... A me non piacciono le ragazze in carne... Oh, fidati, non si è limitata a guardare".

Ho sempre creduto che l'amore fosse fiducia. Rispetto. Ma quando una delle due cose crolla, tutto finisce.

Il tormento della mia anima si riflette nel vuoto dei miei occhi. Non riesco a comunicare il dolore che mi stritola il petto. Sono prigioniera dei miei pensieri, appesantita da assenze che non riesco a sopportare.

Ogni sua parola, così priva di rispetto, ha lacerato la mia autostima, lasciandomi fragile. Le sue critiche mi schiacciano, togliendomi ogni speranza di risalire. Eppure, anche se non parlo, dentro di me urlo.

Ogni giorno mi sveglio con un peso insopportabile sul petto. È come se qualcosa di invisibile mi stesse trascinando giù. Le pareti della mia prigione interiore si stringono sempre di più, e io faccio fatica a respirare.

Mi guardo allo specchio, ma non vedo nulla. Solo una ragazza con le spalle curve sotto il peso delle sue insicurezze. Il mio corpo è diventato un nemico, una superficie da sottoporre a giudizio. Ogni centimetro è un campo di battaglia, segnato da cicatrici invisibili, inflitte da aspettative irraggiungibili.

Vorrei urlare. Squarciare le catene che mi tengono prigioniera. Vorrei uscire, scendere in strada e gridare al mondo che non sono solo un numero sulla bilancia, né una forma da giudicare. Vorrei che quelle parole crudeli si dissolvessero nel vento, portate via da una brezza che lenisca ogni ferita.

Le sedute di fisioterapia sono diventate un inferno. Ho smesso di andarci. Ho lasciato che il dolore fisico si fondesse con quello dell'anima. Mi rifugio in questa stanza, sbarrando la porta per tenere fuori il mondo. Esco solo per necessità, per una doccia veloce o un pasto che non riesco a ricordare.

Le ore passano, mentre resto seduta a terra, con la schiena appoggiata al muro freddo e gli occhi puntati verso il cielo, oltre la finestra. Come se da lì potesse arrivare una via di fuga. Ma nulla si muove. Nulla cambia.

Le amiche, o meglio, quelle che un tempo chiamavo amiche, sono svanite nel nulla. Ero solo l'ombra delle loro compagnie, l'appendice di lui. Hanno scelto di sostenerlo, tuffandosi in un labirinto di confusione.

Ma cosa stanno sostenendo? Come se tutto fosse colpa mia, come se avessi commesso un errore fatale che ha portato a tutto ciò.

Nessuno sa cosa abbia veramente detto, poiché è più facile nascondere la verità dietro le bugie e preservare l'immagine, invece di affrontare le proprie responsabilità.

Così mi hanno dipinta come colei che ha complicato le cose, colei che non ha saputo comprenderlo...

Ma chi ha dedicato un istante per ascoltarmi? Chi ha avuto la volontà di scrutare oltre la superficie e comprendere il mio cuore infranto? Sono rimasta nell'ombra, mentre la mia voce si perdeva nell'indifferenza.

La consapevolezza di essere facilmente sostituibile brucia come una ferita aperta, facendomi sentire come se fossi un oggetto da scartare, dimenticato tra gli angoli polverosi dell'oblio.

Nel caos dei miei pensieri emerge una semplice frase che diventa un eco incessante: 'Non sono abbastanza'. Sono solo diciassette lettere, insignificanti nella loro forma, ma contengono il potere di farmi sentire inadeguata, come se fossi sbagliata da capo a piedi. Queste tre piccole parole mi trascinano verso il baratro, annebbiando la mia ragione e lasciandomi affogare nella disperazione.

Sto annegando, lo sento.

Mi dibatto per restare a galla, per salvare anche solo una minuscola parte di me stessa. Ma la corrente mi trascina inesorabilmente verso il fondo.

Sono stata circondata da un mondo di finzione e falsità, tradita da chi un tempo avevo accanto, da colui che un tempo mi chiamava 'Principessa'. Lui, che mi faceva sentire al sicuro, amata. Lui, che si definiva il "grande amore della mia vita".

Ora mi ritrovo vuota, con il cuore spezzato in mille frammenti.

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