Capitolo 30.

Odio come il mio corpo reagisce ogni volta che lui è vicino. È come se i miei nervi smettessero di rispondere a me e si sintonizzassero su di lui. Ma ciò che detesto ancora di più è il suo sguardo: sembra capace di attraversarmi e arrivare lì dove ho giurato a me stessa che nessuno sarebbe mai entrato.

Agli occhi degli altri, tra me e Speed c'è solo odio. E in parte è vero. O almeno, questo è quello che continuo a ripetermi ogni volta che lo incontro. Funziona, di solito. Ma non quando siamo soli. Perché allora le maschere cadono.

Come è successo l'ultima volta. E quella prima. E quella ancora prima. Sempre lo stesso copione: litighiamo, ci sfidiamo, ci spingiamo al limite... finché non restiamo senza fiato. E senza barriere. Non riesco a spiegarmi come accada, ma finisce sempre allo stesso modo: ci spogliamo di tutto, delle nostre armature, delle nostre difese. Uno davanti all'altro, crudi e vulnerabili. E poi...

Qualcuno lo sa? Mattia, forse. I suoi occhi sembrano troppo attenti.

Lo vedo fissarmi durante gli allenamenti, come se riuscisse a captare anche i pensieri che tento di nascondere. Non ha mai detto nulla, né a me né a Speed. Da una parte vorrei ringraziarlo per la sua discrezione. Dall'altra, una parte di me vorrebbe che fosse lui a dare un senso a tutto questo, perché io non ne sono capace.

È la fine dell'anno, e l'aria è più tesa che mai. Gli allenatori l'hanno capito: siamo al limite. Questa mattina, con il tono autoritario di chi non ammette repliche, ci hanno detto di staccare. «Prendetevi qualche giorno, riposatevi, e magari divertitevi.» Sembrava quasi una supplica.

Mentre usciamo dal palazzetto, Mattia ci chiama. «Ragazze, stavamo pensando di organizzare un viaggio in montagna per questi giorni di vacanza. Con l'occasione potremmo festeggiare il Capodanno lì. Gli altri hanno già detto di sì. Che ne dite?»

La sua domanda è rivolta più a me che a Nora. Lei, probabilmente, ha già accettato con entusiasmo.

«Anche per me va bene», rispondo, prima ancora di pensarci davvero.

Il silenzio che segue è carico di stupore. Mattia e Nora mi fissano come se avessi appena annunciato di voler entrare in un monastero tibetano.

«Perché mi guardate così?» sbotto, sentendomi a disagio «Io adoro la neve.»

Ed è vero. Fin da bambina mi bastava un fiocco per riempirmi gli occhi di luce. Passavo ore a guardare il cielo, aspettando che si riempisse di quella danza silenziosa. Ogni anno, i miei genitori mi concedevano qualche giorno in montagna: piste immacolate, il vento gelido sulle guance, e quel rumore ovattato che solo la neve sa creare. Era pura magia. Poi la ginnastica ha preso il sopravvento, e quei momenti sono diventati sempre più rari, fino a scomparire del tutto.

Ora, l'idea di tornare sulla neve mi riempie di una strana nostalgia.

È davvero solo nostalgia? O è una fuga? Non lo so.

Tommaso si unisce a noi mentre parliamo. «Che ne dite se andiamo a casa mia? Ordiniamo una pizza e organizziamo il viaggio lì. Così decidiamo tutto con calma.»

Annuisco, cercando di sembrare tranquilla, ma il nodo che sento allo stomaco mi tradisce. Non capisco nemmeno io perché. Non dovrebbe essere niente di che, no? Un viaggio, un gruppo di amici. Eppure, ogni volta che c'è di mezzo Speed, tutto si complica.

Accendo il motore, seguendo il navigatore. Nora è seduta accanto a me e non smette di agitarsi. È come un vulcano sul punto di esplodere. Le sue dita tamburellano sul cruscotto, poi si mordicchia l'unghia del pollice, una delle sue abitudini quando cerca di trattenersi.

Sospiro. «Avanti, sputa il rospo.»

Lei si volta di scatto, quasi sollevata che sia stata io a rompere il ghiaccio. «Ok, allora. Senti, so che non sono affari miei, ma c'è questa cosa che continua a ronzarmi nella testa.» Il tono è più serio di quanto mi piaccia. «Mattia mi ha chiesto il tuo numero di telefono, ma non mi ha voluto dire perché. Non è che c'entra qualcosa un certo Speed? Lo so, voi due vi odiate, ok? Questo è un dato di fatto. Siete come cane e gatto, ma a volte... sembrate anche due calamite. E poi...» Si interrompe, studiando la mia espressione. «C'è qualcosa che non mi stai raccontando, vero?»

La guardo di sbieco, ma non rispondo subito. Come fa sempre, ha detto tutto d'un fiato e ora aspetta che io le dia qualche dettaglio succoso.

«Sì, il numero era per Speed.» Fingo disinvoltura. «Sì, ci odiamo. Direi che è una guerra aperta. Quanto alle calamite...» scrollo le spalle, «forse c'è un fondo di verità. Ma per il resto, non c'è nulla che voglia raccontare. Non adesso, almeno.»

La sua espressione cambia. I suoi occhi scintillano come quelli di un investigatore che ha appena trovato una pista. «Ah no, non iniziare con quegli sguardi. Ti dico solo questo: è un gioco. Niente di più.»

Lei mi fissa per un attimo, poi sorride. «Se lo dici tu. Ma scoprirò da sola cosa state nascondendo.»

Il navigatore annuncia: "Siete arrivati a destinazione". Nora è già pronta a inviare un messaggio a Mattia e, nemmeno il tempo di premere invio, che il cancello di fronte a noi inizia ad aprirsi. Un piccolo vialetto conduce a un resede dove sono parcheggiate altre macchine. La casa, un vecchio fienile ristrutturato di recente, è immersa nel verde lussureggiante di un prato curato. Accanto c'è un vialetto lastricato che porta a un grazioso giardino adiacente.

Mentre osservo la scena, i miei occhi si spostano su una figura familiare che appare sulla porta. È Tommaso. Indossa una felpa nera che gli cade morbida sulle spalle, mettendo in risalto la sua corporatura atletica, e un paio di pantaloni della tuta che sembrano fatti apposta per far risaltare ogni linea del suo corpo. Sta appoggiato al telaio della porta, le braccia incrociate sul petto, ma i suoi occhi sono puntati direttamente su di me. Non sorride, almeno non del tutto; c'è solo un accenno, un sollevare appena un angolo delle labbra, che lo rende ancora più intrigante.

Il mio respiro si blocca per un istante, e il cuore, traditore, decide di saltare un battito. Distolgo subito lo sguardo, cercando di mantenere la calma. Non farti incantare. È solo Speed, niente di più, mi dico, anche se una parte di me sa che non è affatto così. L'aria fredda della sera mi aiuta a rimettermi in riga mentre esco dall'auto, ma sento già che questa serata non sarà facile.

Nora corre verso la porta, saltellando come una bambina, e sparisce all'interno della casa. Io seguo più lentamente, cercando di non far trasparire l'agitazione che mi ronza dentro.

Mentre mi avvicino alla soglia, una mano si posa sul mio fianco, leggera ma decisa. Mi irrigidisco, il cuore che accelera prima ancora di girarmi. Lo sapevo. Tommaso.

«Ti ho spaventata?» chiede, e c'è quel tono beffardo nella sua voce. Basso e caldo, come sempre, ma con una punta di divertimento che riesce a irritarmi in modi che non so nemmeno spiegare.

«Non ti dare così tanta importanza,» ribatto, voltandomi di scatto e incontrando il suo sguardo diretto. Mi fissa con un'aria che oscilla tra il provocatorio e il divertito, come se tutto questo fosse un gioco per lui. Cerco di mantenere la voce ferma, ma il modo in cui mi guarda – con quegli occhi che sembrano sempre sapere troppo – mi dà sui nervi.

«Oh, Adele,» replica con un mezzo sorriso, inclinando appena la testa, «pensavo fossimo già arrivati a quel punto della serata in cui ammetti che non puoi resistermi.»

«Sogna pure», rispondo.

Cerco di scostarmi, ma lui si muove con una tale naturalezza che mi sembra quasi una danza. Non mi tocca, ma si sposta appena quanto basta per bloccarmi la strada, inclinando il corpo verso di me. Non c'è niente di invadente nei suoi movimenti – tutto è calibrato, sottile – ma è proprio questo che mi fa venire voglia di lanciargli addosso qualcosa.

«Hai già alzato bandiera bianca?» sussurra, abbassando la voce. Il tono è morbido, quasi ipnotico, ma quella punta di sfida è impossibile da ignorare. È come se stesse premendo un dito su una ferita che neanche sapevo di avere.

«Speed, se c'è qualcuno che deve preoccuparsi qui, quello sei tu,» ribatto, cercando di sembrare più sicura di quanto non mi senta. Inclino appena la testa, sfidandolo con lo sguardo. Non posso permettergli di vincere anche questa volta.

Per un istante, qualcosa cambia nei suoi occhi. Una scintilla di sorpresa, forse, che si spegne quasi subito. Poi sorride. Un sorriso pericoloso, studiato, come se avessi appena detto quello che voleva sentire.

Si raddrizza, lasciandomi passare, e io mi faccio forza per attraversare la porta senza voltarmi. Ma la sua voce mi segue come un'ombra «Vedremo, Adele. Vedremo.»

Varco la soglia, accolta dal profumo di pizza appena sfornata e dal calore che si diffonde dalla stufa in ghisa al centro della sala principale. Il pavimento in legno scricchiola sotto i miei stivali, e la luce soffusa crea un'atmosfera intima e accogliente. Intorno al tavolo, il gruppo è già riunito. Stefano è al centro dell'attenzione, con il suo portatile acceso davanti a sé.

«Ok, gente,» dice, facendo ruotare lo schermo per mostrarci delle foto. «Queste sono le baite che ho trovato. Sono vicine tra loro, collegate da un piccolo sentiero, e hanno tutto quello che ci serve: sei camere matrimoniali, tre bagni e una cucina spaziosa. Ci stiamo comodi.» Ridono tutti, commentando le foto e scambiandosi battute, ma io mi sento come una funambola su una corda troppo sottile. La voce di Speed si inserisce in mezzo alle chiacchiere, ma io evito di guardarlo, di riconoscere quanto mi disturbi sapere esattamente dove si trova senza bisogno di cercarlo con lo sguardo.

La serata prosegue con un'energia contagiosa: sfide a Just Dance, risate, e prese in giro. Tommaso partecipa, ovviamente. Non lo fa mai a metà. Quando gioca contro Nora, il suo entusiasmo è quasi esagerato, e tutti ridono quando lei gli pesta un piede per sbaglio.

Io, invece, rimango ai margini, osservando e sperando che nessuno mi coinvolga.

«Ehi, tocca a te, Adele!» esclama Nora a un certo punto, porgendomi il controller.

Sospiro. «Passo, grazie.»

«Passa solo quando sa di non poter vincere,» interviene Tommaso, senza nemmeno voltarsi. Il tono è casuale, quasi disinteressato, ma so che lo sta facendo apposta. Sempre apposta.

Qualcosa dentro di me scatta. Mi raddrizzo, le mani che stringono il bordo del tavolo. «Dici?»

Lui si gira appena, alzando un sopracciglio. «Sicuro.»

Non so cosa mi prende. Forse è la stanchezza, o forse è quel sorrisetto arrogante che non sopporto. Mi alzo e afferro il controller. «Va bene, Speed. Vediamo quanto sei bravo.»

Il gruppo esplode in esclamazioni divertite, e Nora ride, battendo le mani. «Questo sì che sarà interessante!»

La musica parte, e subito mi pento di aver accettato. Tommaso è concentrato, e ogni suo movimento è fluido, sicuro, mentre io cerco disperatamente di stare al passo. Ma non importa. Non si tratta più di vincere. Si tratta di batterlo, anche solo per un momento, e fargli rimangiare quel sorrisetto.

Quando il punteggio finale appare sullo schermo, lui vince. Per un soffio, ma vince.

«Te l'avevo detto,» commenta, asciugandosi la fronte con un sorriso da canaglia. Gli occhi gli brillano di puro divertimento.

«Ti piace vincere facile,» ribatto, cercando di sembrare indifferente. Ma il cuore mi batte ancora troppo forte, e sento il calore che mi sale alle guance.

«Con te non è mai facile, Adele,» dice, abbassando la voce quel tanto che basta per far sembrare la frase più personale di quanto non dovrebbe.

Non rispondo. Non posso. Qualunque cosa dica, so che la userà contro di me. Così mi limito a lasciargli il controller e torno al mio posto, mentre il resto del gruppo ride e applaude.

Ma non mi sono arresa. Non ancora.

La serata continua, e perfino io, a un certo punto, mi lascio andare. Rido alle battute, divido l'ultima fetta di pizza con Nora, e mi lascio trascinare dalla leggerezza del momento.

Ma quando la notte avanza e gli altri iniziano a ritirarsi, la casa si svuota lentamente. Rimaniamo solo in quattro: io, Nora, Mattia e... Tommaso.

«Che ne dite di fermarvi a dormire?» propone, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

«Certo che sì!» esclama Nora, saltando su. È sempre stata la regina delle decisioni impulsive.

Io, invece, rimango immobile, il cuore che batte troppo forte. Sento i suoi occhi su di me, fissi, aspettando la mia risposta.

«Non è una cattiva idea,» aggiunge Mattia, che sembra del tutto ignaro della tensione che mi serra la gola.

Vorrei dire di no, vorrei trovare una scusa, ma le parole non arrivano. Tommaso inclina la testa, un sopracciglio appena sollevato, come se sapesse già come andrà a finire.

Alla fine, annuisco. «Va bene,» mormoro, cercando di sembrare più sicura di quanto non mi senta.

Il suo sorriso si allarga appena, soddisfatto e so di aver appena perso una battaglia che non sapevo di combattere.

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