Capitolo 28.

Il terrore arriva senza preavviso, avvolgendomi in una morsa impietosa.
È passato del tempo dall'ultima volta, ma riconosco subito quel senso soffocante che mi stringe il petto. L'aria mi manca, e mi sollevo a fatica dal letto. Il sudore mi cola lungo la fronte, ma non so se sia colpa della febbre che mi divora o di lui, il demone che mi tormenta. Provo a calmarmi, ma questa volta è più forte.
Più invadente.

Odio quando prende il sopravvento. La paura mi stringe, paralizzandomi. È un circolo vizioso: la paura alimenta l'angoscia, e l'angoscia nutre la paura.

Le lacrime scendono silenziose, testimoni del mio tormento. Mi sento persa, come una nave alla deriva in una tempesta, senza bussola né timoniere. Sto sprofondando, e mentre cerco di risalire dall'abisso, due mani afferrano le mie con fermezza.

«Honey, guardami», sussurra una voce preoccupata, penetrante come un raggio di luce nella mia oscurità.

Alzo lo sguardo, incontrando i suoi occhi.

Odio quel modo in cui mi guarda, con quella mescolanza di preoccupazione e amore. È per questo motivo che ho sempre tenuto tutto per me, senza mai condividere il mio tormento. Odio quando le persone ti guardano con compassione, come se fossi un cucciolo smarrito bisognoso di soccorso.

Dopo qualche minuto, riesco a calmare il tumulto interno e abbasso il viso sulle mie mani ancora intrecciate con le sue. Con voce fredda e distante, cerco di respingere il suo aiuto.

«Non ho bisogno di nessuno. Sono in grado di curare le mie ferite da sola.»

Le sue mani lasciano le mie, e per un istante sento il vuoto. Poi, il suo sguardo muta: non c'è più esitazione, ma determinazione.

«Mi spieghi perché ti ostini a sostenere queste cose? Perché, ogni volta che qualcuno cerca di aiutarti, tu lo allontani? Non tutti ti feriranno, Adele.»

«Mi sembra di avertelo già detto una volta: ho smesso di credere nelle persone», rispondo amaramente, i miei occhi riflettendo una profonda delusione accumulata nel tempo.

«Sai, Honey, se non dai modo alle persone di conoscerti, se non abbassi le tue difese, non potrai mai sapere cosa hanno da offrirti», ribatte lui, il suo sguardo intenso sostenuto dal desiderio di farmi comprendere.

«Ho imparato a non credere alle favole. Ho accettato la realtà, mi sono sempre sentita sola in mezzo a tanti. Ma ora non soffro per le mancanze, tutto quello di cui ho bisogno lo trovo nella mia solitudine», continuo con un leggero tremito nella voce, ricordando i tanti momenti di isolamento che ho affrontato.

«Non puoi pensarla davvero così? Non posso credere che tu preferisca stare da sola anziché affrontare le cose con qualcun altro», mi risponde con un misto di incredulità, alzandosi dal letto.

«Sai cosa significa crollare in mille pezzi? Sai cosa si prova a vedere il mondo scorrere velocemente mentre tu rimani a guardare? Penso costantemente di dover raggiungere la perfezione senza mai riuscirci. E non parliamo del mio rapporto con il cibo: ogni volta che mangio qualcosa di più, mi assale un senso di colpa che mi soffoca, lasciandomi intrappolata in un vortice di autodistruzione. Alle persone non importa davvero come stai. Dimenticano facilmente tutto il bene che fai e si ricordano solo degli sbagli, come una ferita che si riapre di continuo. Sono stanca, ed è per questo che non rincorro più nessuno. Sono sempre stata la prima a inseguire gli altri. Sono stata usata, manipolata come un burattino nelle mani degli altri, finché non ho capito che dovevo proteggere me stessa.

Nessuno ha mai guardato oltre il mio sorriso, nessuno sa quante volte ho pianto da sola nel cuore della notte, nessuno sa quanto mi spaventi aprirmi con le persone, rivelando le mie fragilità più profonde. Nessuno sa quanto mi senta fuori posto, come un puzzle con un pezzo mancante che non riesco a trovare. Nessuno sa cosa ho passato, le sfide che ho affrontato e le cicatrici che porto con me.

Mi sento sbagliata, come se fossi un'ombra nel mondo reale, una presenza destinata a restare in disparte. Io sono sbagliata», confesso con voce sommessa, lasciando trapelare tutta la sofferenza nascosta dietro le mie parole.

Le lacrime che ho trattenuto fino a questo momento iniziano a scendere, tracciano solchi salati sul mio viso. È un pianto liberatorio, una cascata di emozioni che finalmente trova sfogo. Per una volta, dico ad alta voce ciò che mi ripeto nella testa innumerevoli volte nei mesi passati.

Abbasso lo sguardo, cercando di nascondere la vulnerabilità che provo in questo momento. Sto cercando di fermare le lacrime, ma loro sembrano ignorare ogni mio tentativo, scendono senza pietà.

Con una dolcezza improvvisa, lui mi alza il mento con una mano calda, mi costringe a guardarlo negli occhi.

«Honey, devi smettere di nascondere ciò che provi, o almeno non farlo con me», mi dice con un tono sincero, intuendo la mia tendenza a celare le emozioni più profonde.

Non so più cosa pensare di lui. Siamo due anime ribelli, orgogliose e con uno spiccato temperamento. Ma, in fondo, mi chiedo se non nascondiamo entrambi una fragilità che solo pochi riescono a scorgere.

Forse sto per commettere un grave errore, lasciandomi andare a questa situazione. Forse ho solo voglia di non restare da sola, di sentirmi vicina a lui. La mia parte razionale mi sussurra di abbandonare tutto, di non correre rischi. Ma un piccolo frammento del mio cuore rimasto integro mi implora di lasciarmi andare, di concedere fiducia una volta ancora.

O forse la febbre ha deciso di sabotarmi.

Sta per andarse quando mi avvicino e gli prendo la mano «Ti va di restare qui con me per la notte?». Le mie parole risuonano nel silenzio, prive di secondi fini. La sincerità che vedo nei suoi occhi mi rassicura, dimostrandomi che nemmeno lui ha secondi fini in mente.

«Resterò tutto il tempo che vuoi, Honey», mi risponde, la sua voce morbida e rassicurante.

Ci sdraiamo uno di fronte all'altro, il mio corpo mantiene una leggera distanza, ancora incerto e in cerca di conforto. Ma lui non è della mia stessa idea. Con un braccio deciso, mi tira a sé, fino a quando non mi ritrovo con il viso accoccolato nell'incavo della sua spalla. La sua bocca sfiora la mia fronte, mentre con premura tira su le coperte fino a coprirci entrambi, creando un caldo rifugio.
Il mio corpo piano piano si rilassa contro il suo e cede alla stanchezza.

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