Capitolo 23.

Questa settimana saremo impegnati in un trofeo fuori città, ma sembra che il destino abbia deciso di mettermi alla prova: la squadra di pallavolo sarà nella stessa città, nello stesso periodo e alloggeremo anche nello stesso hotel. È come se il karma stesse giocando contro di noi per qualcosa che abbiamo fatto.

Il mio umore? Alle stelle... ma al contrario.

Non amo stare in compagnia prima delle gare, figuriamoci stare con lui. Come se non bastasse, da qualche giorno ho fastidio al ginocchio. In accordo con Alessandro, gareggerò solo al corpo libero, tenendo il ginocchio bloccato con una fasciatura. Non posso permettermi altri infortuni.

Dato che entrambe le squadre viaggiano nella stessa direzione, i nostri allenatori hanno deciso di condividere l'autobus: "Non aveva senso fissarne due", hanno detto.

Rimango ferma qualche passo lontano dall'ingresso, stringendo la tracolla del borsone. L'aria fredda pizzica la pelle, e mi concentro su quella sensazione per calmare i nervi. Poi, una voce si insinua troppo vicina al mio orecchio.

«Guarda chi si vede. Ciao, Honey.»

La sua voce è bassa, ironica. Mi giro di scatto e lo vedo: Tommaso, con quel sorriso inclinato che sembra dirti: "so già come finirà questa partita, e vincerò io".

«Smettila di chiamarmi così.»

Con un gesto lento, quasi deliberato, sfiora una ciocca dei miei capelli con la punta delle dita.

«Mai.»

Sento il cuore accelerare, ma non è rabbia. Non del tutto. «Trova qualcun altro da infastidire, Speed. Io non sono dell'umore.»

«Sei sempre dell'umore quando si tratta di me. Mi sorprendi: pensavo avessi più autocontrollo.»

Stringo i denti, cercando di non reagire. Lui se ne accorge, e questo sembra divertirlo ancora di più.

«Sai,» aggiunge, abbassando la voce, «penso che in fondo tu stia meglio quando litighiamo. Ti illumina il viso.»

«Illuminata sarà la tua faccia quando ti lancerò il borsone addosso.»

Non mi aspetto che rida, ma lo fa, un suono basso e roco che sembra scavarmi dentro. Odio che una parte di me lo trovi quasi... affascinante.

«Solo perché siamo impegnati con le gare non significa che io abbia dimenticato il nostro piccolo scontro.» I suoi occhi chiari mi fissano, pieni di una sfida che conosco troppo bene.

«Ah, sì? Peccato che io non me ne ricordi nemmeno. Sei così... irrilevante.»

Sto per rispondere, ma una voce ci interrompe:

«Oh, finalmente i miei amici riescono a stare nella stessa area senza ammazzarsi!»

Nora arriva con il suo solito tempismo, posandomi un braccio sulla spalla.

«Non sarebbe la fine del mondo se ammetteste che vi piacete», aggiunge Mattia, unendosi con un sorriso malizioso.

«Impossibile», rispondiamo io e Tommaso all'unisono, le nostre voci che si sovrappongono come un'esplosione.

«Ragazze, salite sull'autobus! Subito!» Alessandro ci richiama, osservandoci con aria sospetta.

Mi giro verso Nora, cercando un'alleata.

«Non ti azzardare a lasciarmi sola. Tu ti siedi accanto a me.»

«Dai, Adele, non puoi essere così cattiva.»

La fulmino con uno sguardo che non lascia spazio a repliche.

Non appena Tommaso sale a bordo, un leggero brusio si leva tra le ragazze. Gli occhi di molte seguono ogni suo movimento, come fosse una star. Lui se ne accorge, ovviamente. Ha quel suo sorrisetto sicuro mentre cammina, e nel passare, il suo sguardo incrocia il mio. Un'altra scarica di brividi mi attraversa.

Mi infilo le cuffie e cerco di scacciare la sensazione. Sarà una settimana impegnativa per tutti e le occasioni di incontrarli saranno limitate al minimo indispensabile.

Cerco di ignorarlo. Infilo le cuffie e mi costringo a guardare fuori dal finestrino. Sarà una settimana impegnativa, e farò di tutto per limitare gli incontri con lui al minimo indispensabile.

Il viaggio passa velocemente, e quando arriviamo in hotel, la stanchezza ci piomba addosso. Ritiriamo le chiavi e andiamo dritte a letto.

Essere pronti ad affrontare la gara è un compito molto impegnativo. Per prepararsi al massimo, bisogna acquisire sicurezza e padronanza delle proprie abilità, senza tuttavia sottovalutare le possibili incertezze e gli errori che possono insinuarsi.

Un tempo ero maestra nell'arte di non farmi influenzare dal mondo esterno e di mantenere un controllo ferreo sulle mie emozioni. Ma ora, devo ammettere che le emozioni sono diventate un elemento fisso della mia vita. Sono una parte di me, forse anche una fonte di forza, ma devo stare attenta a non permettere loro di diventare un fattore critico che mina la mia concentrazione e la mia performance.

I primi tre giorni li trascorriamo seguendo la nostra solita routine: ci alziamo presto, facciamo colazione insieme, affrontiamo allenamenti estenuanti e, dopo cena, crolliamo esauste. In quei momenti di fatica condivisa, rafforziamo il nostro legame di squadra. Ci sosteniamo a vicenda, tentiamo di dissipare le ansie che ci attanagliano, almeno fino a quando riusciamo a tenerle sotto controllo.

Ma la sera prima della gara, è diverso. L'agitazione si insinua sottopelle, cresce come un'onda silenziosa, fino a diventare insopportabile.

Sono nel letto, avvolta nell'oscurità, ma il sonno non arriva. Ogni rumore sembra amplificato, ogni respiro di Nora — che dorme serena accanto a me — mi ricorda che io, invece, non riesco a fermare la mente.

Guardo l'orologio: le tre del mattino.

Il cuore batte più veloce. L'idea di restare immobile nel letto mi soffoca. Devo fare qualcosa per placare questo nervosismo.

Mi alzo lentamente, cercando di non svegliare Nora, e afferro la mia felpa dalla valigia. La infilo, avvolgendomi in quel morbido abbraccio che almeno per un istante mi consola. Con passi leggeri, esco dalla stanza e attraverso i corridoi deserti dell'hotel.

Scendo al piano di sotto, verso l'angolo della caffetteria self-service vicino alla hall. È tranquillo, immerso in un silenzio irreale.

Accendo il bollitore e, mentre aspetto, il mio sguardo si perde nel vuoto. I pensieri si affollano, uno dopo l'altro. Rivivo gli ultimi mesi: il modo in cui la determinazione di Nora mi ha spinto a superare i miei limiti... e poi c'è lui. Tommaso.

È come un'ombra costante. Sempre lì, con quel suo sorriso sfrontato che riesce a farmi perdere la calma in un battito di ciglia.

Il rumore del bollitore mi riporta alla realtà, coprendo i miei pensieri... e i passi furtivi che si avvicinano alle mie spalle.

Sto afferrando una bustina di camomilla quando sento una voce bassa, sarcastica, sussurrarmi all'orecchio «Niente male come spettacolo.»

Tommaso è lì. Appoggiato al bancone con quella sua aria rilassata, gli occhi che brillano di divertimento. E io... io sono praticamente in mutande.

Stringo il cucchiaino che tengo in mano come se fosse un'arma.

«Fammi capire... vuoi colpirmi con un cucchiaino?» domanda, con quel tono leggero che mi irrita ogni volta.

Sento il calore salire alle guance. Odio quando riesce a farmi sentire così... vulnerabile.

«Sei peggio del prezzemolo,» sbotto, cercando di mascherare l'imbarazzo con una dose di sarcasmo.

Lui inarca un sopracciglio, fingendosi curioso. «Prezzemolo? In che senso?»

«Nel senso che sei sempre nel mezzo, anche quando nessuno ti vuole.»

Mi volto, ignorandolo, e riprendo a preparare la mia camomilla, cercando di concentrarmi sul rumore dell'acqua che si versa nella tazza.

«Interessante.» La sua voce è più vicina ora. «Eppure, potresti darmi una possibilità... magari scopriresti che non sono poi così male.»

Il tono è scherzoso, ma c'è una sfumatura sotto che non riesco a decifrare.

«Potresti prepararmi quella... cosa che stai facendo per te?» aggiunge, provocatorio.

«Ma anche no.» La mia risposta è secca, tagliente.

Raccolgo le mie cose in fretta, decisa a chiudere lì la conversazione, e mi allontano. Lo sento borbottare qualcosa dietro di me, ma non mi fermo.

Mi rifugio nella veranda chiusa, un angolo tranquillo con vista sul giardino interno. Le luci soffuse creano un'atmosfera accogliente. Mi siedo sul divanetto, avvolgendomi in una coperta. Finalmente un po' di pace.

O almeno così pensavo.

Dopo pochi minuti, il divano accanto a me si abbassa sotto il peso di qualcuno.

«Mi stai pedinando?» chiedo, senza nemmeno guardare, già sapendo chi è.

«Non mi sembrava ci fosse scritto proprietà privata.» La sua voce è bassa, quasi intima, mentre si sistema al mio fianco con un sorriso soddisfatto.

Sospiro. «Fa' come vuoi.»

Porto la tazza fumante alle labbra, cercando conforto nel calore. Ma sono consapevole della sua presenza accanto a me. È come se occupasse tutto lo spazio, il suo profumo — fresco, con una nota di menta — mi raggiunge, insinuandosi nei miei sensi.

«Sai, potresti anche iniziare a tollerarmi. Alla fine, non mordo.»

«Peccato,» rispondo, fingendo disinteresse. «Almeno avresti un lato interessante.»

Tommaso ride piano, un suono che sembra scivolarmi addosso. Si inclina leggermente verso di me, gli occhi che brillano di una luce che non so se detesto o se mi intriga.

«Chissà... magari prima o poi riuscirai a scoprire qualche lato interessante.»

Le sue parole rimangono sospese nell'aria come una provocazione. Sento il suo sguardo addosso, e odio quanto riesca a farmi sentire scoperta.

Silenzio. Un silenzio carico di qualcosa che non voglio nominare, ma che aleggia tra di noi, denso come l'aria prima di un temporale.

Dopo un attimo, Tommaso rompe la tensione.

«Mi chiedo cosa ti sia successo per farti diventare così.»

La sua voce è calma, quasi troppo. Ma c'è una scintilla di curiosità che non riesce a nascondere. I suoi occhi azzurri mi fissano, penetranti, come se stessero scavando a fondo.

«Così... come?»

Cerco di suonare indifferente, ma il cuore mi batte più forte del dovuto. Stringo le braccia attorno a me, una barriera invisibile che lui sembra vedere benissimo.

«Così.»

Tommaso solleva un sopracciglio, un accenno di sorriso sulle labbra, come se la mia resistenza fosse solo un gioco che intende vincere.

«Le persone come te soffrono in silenzio.»

Il suo tono si abbassa, diventa più morbido, quasi... intimo. Non dovrebbe parlare così. Non lui. Lui che riesce sempre a irritarmi con la sua sicurezza, con quella fastidiosa capacità di leggermi dentro.

Spalanco la bocca per rispondere, ma rimango in silenzio. Com'è possibile che lui veda così chiaramente ciò che io stessa non voglio ammettere?

E prima che possa fermarmi, prima che possa trovare una scusa o una via d'uscita, le parole mi sfuggono dalle labbra:

«La verità è... spesso non mi sento abbastanza.»

Le sue parole hanno fatto crollare qualcosa dentro di me, e ora tutto esce, come un fiume in piena.

Lui rimane in silenzio, ma non distoglie lo sguardo. Non ride, non minimizza. E questo, in qualche modo, è peggio.

«Puoi cambiare questo.»

La sua voce è così dolce che quasi mi fa male. Come può qualcuno che considero un fastidio, parlare con tanta delicatezza?

Scuoto la testa.

«Posso cambiare le apparenze, ma non potrò mai sostituire i miei pensieri...».

Faccio un respiro profondo, cercando di non crollare del tutto.

«Sai qual è la cosa buffa?»

La mia voce si spezza, ma continuo.

«Tutti si aspettano di vedere la persona che ero. Quella che sorrideva sempre. Quella che c'era sempre per gli altri. Quella che metteva gli altri al primo posto. Ma quella persona non esiste più», Le mie parole cadono tra noi come macigni. Mi aspetto che lui dica qualcosa, che minimizzi, che faccia una battuta per spezzare la tensione. Ma lui rimane lì, immobile, a fissarmi con quella sua assurda calma.

«Sai cosa succede quando la persona su cui fai affidamento si sposta?»

Abbasso lo sguardo, le lacrime che bruciano negli occhi.

«Cadi. Smetti di credere nelle persone. Smetti di pensare di meritare qualcosa di buono. E sai qual è la parte peggiore?»

Faccio una pausa, stringendo le mani fino a farle diventare bianche.

«Non speri più che il dolore passi. Ti aggrappi solo alla speranza di diventare immune.»

La stanza è avvolta dal silenzio, ma questa volta non è vuoto. È pieno delle mie confessioni, delle mie fragilità. E lui è ancora lì. Non se n'è andato.

Inspiro profondamente, sorpresa di aver condiviso una parte così intima di me.

Lui, che sa come farmi perdere la pazienza con un solo sguardo.

Imbarazzata, mi alzo di scatto dal divano, cercando di recuperare un minimo di controllo.

«Bene. Direi che, dopo questa mia... come potrei definirla? Sì, figura di merda... è ora di andare a dormire.»

Cerco di sorridere, ma è debole. Non importa. Voglio solo scappare da questa vulnerabilità che mi ha appena travolta.

Ma lui non mi segue. Rimane seduto, lo sguardo fisso su di me. E poi, con una sincerità che mi spiazza completamente, dice «Era un vero cretino.»

Le sue parole mi colpiscono più di quanto vorrei. Per un attimo, dimentico di respirare.

Mi giro verso di lui, cercando una battuta, una sfida... qualcosa. Ma nei suoi occhi c'è solo sincerità.

Nessun gioco.

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