Capitolo 19.
La scenetta del giorno prima mi è costata cara. Alessandro non ha voluto sentire ragioni: anche con tutte le spiegazioni del mondo, non sono riuscita a fargli dimenticare l'accaduto. La punizione? Sessioni di potenziamento extra che mi hanno lasciata con le gambe a pezzi. E come se non bastasse, Nora continua a bombardarmi di domande su cosa sia successo, ogni giorno. Al momento sono davvero al completo.
Termino il giro di campo e mi fermo, sollevando il viso verso il cielo, alla ricerca di un po' di sollievo. Oggi l'allenamento terminerà prima del solito per lasciare spazio al match. Nonostante le mie riserve, ho acconsentito ad accompagnare Nora, la cui insistenza ha superato ogni limite che mi ero imposta. Le sue parole sono state: "Stasera verrai con me a vedere la partita, e credimi, sarà uno spettacolo unico. Non ti è permesso dire di no".
Faccio una doccia veloce, ignoro una notifica sul telefono, già consapevole del mittente. Sospiro, prendo il borsone e mi rimetto la tuta con cui sono venuta: ho acconsentito ad andare, ma non ho mai promesso che mi sarei vestita per l'occasione.
Mentre mi avvio verso l'ingresso delle tribune, noto il parcheggio stracolmo di auto. Poco dopo, vedo Nora arrivare di corsa, con il fiatone. Indossa jeans aderenti a vita alta e un maglioncino corto che scopre una striscia di pelle sulla pancia; ai piedi ha stivali con il tacco. Le rivolgo uno sguardo come per cercare una risposta al suo abbigliamento, ma non arriva perché mi prende mi afferra e inizia a correre «Andiamo, voglio vedere se riesco a salutare Mattia prima dell'inizio».
Ci inoltriamo nella folla, e per una volta devo ringraziare l'ingorgo di persone che mi evita lo spettacolo sdolcinato tra lei e Mattia.
Arriviamo ai nostri posti che si trovano dietro la panchina dei ragazzi. Con uno sguardo omicida, mi volta verso la mia compagna che non appena si accorge di come la sto guardando si siede di scatto e inizia a fischiettare come se nulla fosse.
Una luce intensa inizia a danzare all'interno del palazzetto e dal microfono esce la voce del telecronista che chiama uno ad uno i ragazzi. Si fermano poco distante dalla rete, un'esplosione di luci multicolori illumina la scena e un suono elettronico riempie l'aria, dagli spalti un coro inizia ad intonare una parola, "Speed". Da dietro compare la sua figura e il pubblico impazzisce.
Mi volto verso Nora, cercando di sovrastare le urla «Perché lo chiamano Speed?».
Sorride e con un filo di eccitazione nella voce dice «Vedrai, tra un secondo lo capirai».
La risposta non tarda ad arrivare. Appena va in battuta, il suono di un tuono sembra echeggiare nell'arena e la palla viene scagliata nell'altra metà del campo a una velocità impressionante. Resto a bocca aperta, incapace di distogliere lo sguardo da quella potenza inarrestabile.
«Che ti dicevo?» urla Nora accanto a me. «Ti ostini a rifiutare i miei inviti, ma dimmi se non è uno spettacolo!»
«Nora!» la rimprovero, scuotendo la testa.
«E dai! Anche se sono fidanzata, posso pur fare un commento, no? Sarebbe uno spreco ignorare tutto questo!».
Scuoto la testa con un sorriso «Sei senza speranza».
Riporto l'attenzione in direzione del campo. Lo sguardo di Tommaso è concentrato, quasi feroce, mentre si muove sul campo come una macchina perfettamente oliata.
Mi scopro, senza volerlo, a seguire la partita con la stessa tensione di chi è in campo, come se quel susseguirsi di azioni mi avesse catturato completamente.
I ragazzi giocano il primo set con una grinta che lascia poco spazio agli avversari, dominando ogni scambio. Speed prende una rincorsa precisa e potente, sferrando una schiacciata che perfora il muro avversario, strappando un boato dalla folla. Gli avversari, in difficoltà, provano a recuperare il punto, ma il loro contrattacco finisce contro le mani di un muro impenetrabile. L'intera panchina salta in piedi a ogni punto, e il coach urla indicazioni da bordo campo, la sua voce che risuona tra un fischio e l'altro dell'arbitro.
Nel secondo set, tuttavia, la situazione cambia. Gli avversari iniziano a rispondere con colpi precisi, forzando i nostri a giocare in difesa. A ogni scambio aumenta la pressione, e il pubblico trattiene il fiato mentre la palla viaggia da una parte all'altra della rete, come sospesa nel tempo. Il capitano avversario piazza una schiacciata potente che i nostri riescono a malapena a difendere; la palla viene alzata in extremis verso Speed, che stavolta fa un errore, mandando la palla fuori di poco. È il primo punto importante perso, e si vede nel suo sguardo quanto questo lo disturbi.
Il terzo set è una battaglia punto a punto; nessuna delle due squadre vuole cedere.
A un certo punto, il punteggio segna 24-23 per i nostri, e il palazzetto è in silenzio assoluto. Speed si prepara a servire. La sua espressione è concentrata, i muscoli tesi mentre osserva dall'altra parte della rete. Il pubblico sembra trattenere il respiro insieme a lui. La palla attraversa il campo come un proiettile, costringendo il libero avversario a un tuffo disperato. È un errore: la palla colpisce il pavimento e l'arbitro fischia la vittoria. Il palazzetto esplode in un boato assordante mentre la squadra si abbraccia in mezzo al campo.
Mi trovo a sorridere, colpita dall'intensità della partita, senza neanche rendermi conto di quanto mi sia lasciata coinvolgere. Nora si gira verso di me con un sorriso radioso, «Sapevo che ti sarebbe piaciuta».
Ci avviamo verso il tunnel che porta agli spogliatoi, ma il muro di persone che ci si para davanti ci costringe a fermarci.
Sbircio oltre la folla, cercando un varco, quando noto un gruppo di ragazze raccolte in cerchio intorno a un ragazzo. Tutte portano qualcosa addosso che richiama la squadra. E appena sento quella voce, un brivido mi scorre lungo la schiena: Tommaso, con il solito atteggiamento sfrontato, si sta pavoneggiando in mezzo a un gruppo di fan sfegatate.
«Sul serio? Ma stiamo scherzando...» mormoro a denti stretti. Subito mi pento di averlo detto ad alta voce, ma ormai è troppo tardi. Nora, che nel frattempo è riuscita a raggiungere Mattia, si volta verso di me con un'espressione allarmata.
«Che c'è?» le chiedo, cercando di mascherare il fastidio. Ma prima che possa rispondere, Tommaso si gira e i suoi occhi incontrano i miei. Sorrido sarcastica, come per mascherare l'imbarazzo, ma lui mi squadra con quel suo sguardo tagliente.
«Sei gelosa, ballerina?» domanda avvicinandosi di un passo, il sorriso che gioca sulle sue labbra è una sfida.
«Oh, sei proprio pieno di te» rispondo senza esitare, mantenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi.
«Davvero credi che mi importi di questo spettacolino?»
Lui inclina appena la testa, osservandomi con una freddezza che sembra scavare più a fondo. «Ammettilo: ti piaccio più di quanto vuoi far credere».
La battuta lo scivola addosso, ma io sento il mio volto scaldarsi. «Piacermi? Tu? Che passi le tue giornate a fare il pavone...»
«Sei qui a fare la sceneggiata, ballerina. Vuoi attirare la mia attenzione? Be', l'hai ottenuta.»
«Sceneggiata?» rido, ma la risata non nasconde nulla se non una sfida silenziosa. «Io non ho bisogno di attirare l'attenzione di nessuno. E sicuramente non della tua».
Lui sorride, quel sorriso lento che sembra calcolare ogni mossa, come se già sapesse come gioca la partita. «Oh, guarda chi si crede di potermi tenere testa», dice, il suo tono che sfida la mia resistenza. «Pensi di potermi sfidare, eh?»
La mia spina dorsale si irrigidisce. Non posso mostrarmi indecisa, né ora, né mai.
«Non ho intenzione di fare parte del tuo patetico gioco di potere», ribatto.
La sua risata risuona nell'aria «Patetico? Interessante scelta di parole, considerando che sei tu che sei qui a fare la sceneggiata».
Le sue parole mi penetrano come lame affilate, «Almeno io non ho bisogno di dimostrare nulla a nessuno».
Un lampo di sfida balena nei suoi occhi, e so che sta cercando di mettermi alla prova «Davvero? Io credo, che il mio scherzetto di ieri ti abbia messo strane idee in testa».
Rido in modo sarcastico, ma dentro sento il caos «Non ti preoccupare, vedo che il pollaio è già pieno».
Mattia scoppia a ridere e Nora alterna lo sguardo tra me e lui, ma nessuno dei due si muove. La sfida è rimasta sospesa nell'aria, invisibile ma insostenibile.
Con un gesto della mano saluto Tommaso e mi avvio verso l'uscita, il passo fermo, ma dentro ancora scossa dalla tensione che non accenna a dissolversi.
Il giorno seguente, ogni pallone che Tommaso lancia sembra colpirmi "in modo casuale". Ma l'apice arriva quando, mentre sono concentrata a perfezionare una serie di salti per il mio esercizio, una palla mi colpisce dritta in faccia. La rabbia esplode, violenta come una fiamma che scoppia da un fuoco già acceso.
«Ora basta», mormoro tra i denti, una promessa a me stessa. Nora cerca di placarmi, ma le sue parole si perdono nel rumore della rabbia che cresce dentro di me. «Dai, lascialo perdere», mi sussurra, ma io non posso. La mia mente è già troppo presa dal pensiero che questa volta non lo lascerò andare.
Il mio sguardo si fissa su Tommaso e, in quel momento, è l'obiettivo di una vendetta .
«Questa me la pagherà», le rispondo determinata. Ma sappiamo entrambe che non ho intenzione di lasciar correre questa volta.
Decidiamo di concludere l'allenamento prima degli altri, per goderci le docce senza interruzioni. Gli armadietti sono tutti nominativi, quindi non ho difficoltà a individuare il suo. Mentre mi avvicino, il mio cuore batte più forte. C'è qualcosa di elettrico nell'aria, un'energia che non riesco a spiegare. Forse è la consapevolezza che questa mossa cambierà qualcosa, forse è solo il brivido della sfida.
Mi guardo intorno, la palestra è silenziosa, gli altri sono ancora troppo occupati. Senza farmi notare da Alessandro, prendo un po' di magnesia dall'armadio delle attrezzature. La polvere tra le dita mi fa pensare alla sensazione di potere che sta per scatenarsi. Mi volto verso Nora, il mio sguardo è imperscrutabile «Sappi che non mi convincerai mai a desistere.»
Apro lo sportello e afferro il suo borsone. Il suono del tessuto che si strappa, mentre lo apro, mi fa sorridere. Poi riduco in polvere il pezzetto di magnesia che ho preso. La vendetta è dolce, impeccabile. Sento il cuore battere più forte mentre mi allontano, diretta verso la doccia. Ma proprio quando penso di aver tutto sotto controllo, una consapevolezza fredda mi colpisce: ho promesso a
Nora che avrei aspettato Mattia con lei. La mia vendetta è diventata un labirinto, e ogni passo che faccio sembra farmi perdere un po' più di controllo.
Quando i ragazzi irrompono negli spogliatoi, un urlo squarcia l'aria, e io scoppio a ridere in modo incontrollato. Ma la mia gioia si trasforma rapidamente in un sottile filo di apprensione quando vedo Tommaso emergere di corsa. Non ho nemmeno il tempo di reagire che mi trovo sulle sue spalle, il suo sguardo feroce che non riesce a sopprimere una scintilla di divertimento.
In preda a una risata nervosa, provo a liberarmi.
"Mettimi giù, dannazione!", grido, ma la sua presa è ferrea. Rientra nello spogliatoio con me caricata come un sacco di patate. I ragazzi, che sono praticamente mezzi nudi, spalancano gli occhi e si voltano verso di noi. Io li saluto con la mano, imbarazzatissima.
Con passo deciso, si dirige verso le docce, ruota il rubinetto dell'acqua e, non appena il getto inizia a scorrere, mi mette a terra. L'acqua fredda mi colpisce, e in un istante, mi sento come se fossi stata scaraventata in un altro mondo. Le gocce scivolano lungo il mio viso e il mio corpo, mescolandosi alle mie emozioni contrastanti, mentre il fuoco che arde dentro di me sembra intensificarsi. Gli occhi di Tommaso, intensi e penetranti, si fissano nei miei, come se cercassero di leggere la mia anima.
Le sue mani sulle mie spalle sono ferme e decise, ma trasmettono anche una dolcezza inaspettata. Non riesco a distogliere lo sguardo dai suoi occhi, magnetici e affascinanti come non mai. Il suono dell'acqua che cade crea un sottofondo surreale.
I miei vestiti iniziano a bagnarsi, aderendo al mio corpo e svelando le forme che cerco di nascondere. Ma sotto il suo sguardo penetrante, mi sento vulnerabile e desiderosa di mostrare chi sono in realtà.
I nostri volti sono vicini, a pochi centimetri l'uno dall'altro. Posso sentire il calore del suo respiro mescolarsi con il mio, creando un'atmosfera carica di elettricità. Il mio cuore batte all'impazzata nel petto, quasi volesse sfuggire dal mio corpo per avvicinarsi al suo. «Che cosa stai facendo?» riesco a dire a stento, cercando di razionalizzare la situazione, ma la mia voce tradisce l'incertezza. Le sue labbra si curvano in un sorriso misterioso, mentre sussurra «Qualcosa di dannatamente stupido».
Tuttavia, il nostro intimo momento viene bruscamente interrotto da una voce che risuona dall'esterno.
«Voi due, vi voglio nel mio ufficio. Adesso!» urla un uomo che fino a quel momento ho sempre visto di sfuggita.
Tommaso mi guarda per un istante, i suoi occhi rivelano una gamma di emozioni, ma poi si allontana da me e si avvia verso l'uscita.
Mi trovo lì, in piedi, i vestiti bagnati che mi si aderiscono al corpo e il cuore che batte all'impazzata. Una tempesta di emozioni mi travolge: confusione, desiderio, e un senso di colpa che mi morde l'anima per aver permesso che la situazione giungesse a questo punto. Con passi affrettati, lo seguo, lasciando dietro di me l'acqua che continua a scorrere, portando via con sé il momento incandescente che abbiamo condiviso.
Mentre ci avviamo verso l'ufficio, la potenza di quel momento e il richiamo irresistibile di quegli occhi profondi continuano a tormentarmi. C'è qualcosa in lui che mi attira con una forza inarrestabile, come se fossimo legati da un'attrazione magnetica che non posso ignorare, anche se so
quanto sia pericoloso cedere a questa tentazione.
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