Capitolo 18
Dopo lo scontro dell'altra sera, tra noi è calato un silenzio denso quasi palpabile, come un muro invisibile che né io né lui abbiamo intenzione di scavalcare. Gli sforzi di Nora e Mattia per farci parlare non servono a nulla. È come se fossimo confinati in mondi paralleli, troppo lontani per incrociarsi, ma mai abbastanza da ignorarsi del tutto.
La giornata è grigia e piovosa, e questo clima sembra accentuare il peso che porto dentro. Mi sento intrappolata, come in un tunnel buio e senza fine, con l'unico desiderio di raggomitolarmi nel letto e lasciare che il mondo si dissolva. La mia mente, però, è un campo di battaglia, e una vocina critica non smette di tormentarmi, di ricordarmi ogni errore, ogni motivo per cui forse ho sbagliato tutto.
Alessandro, accorgendosi del mio sguardo assente, mi richiama all'ordine, con una freddezza che non posso fare a meno di trovare ingiustamente irritante: mi ordina di cambiarmi e di tornare solo quando avrò rimesso a posto i miei pensieri. Raccolgo la borraccia caduta e, frustrata, decido che una doccia fredda è proprio quello di cui ho bisogno.
Spingo la porta e entro senza preoccuparmi di bussare, e nell'istante in cui mi sciolgo i capelli, tolgo la maglietta e i pantaloncini, sento il peso dei pensieri farsi un po' meno opprimente. Resto solo con il reggiseno e perizoma, afferro l'accappatoio e mi dirigo verso le docce, immersa in una confusione di emozioni che sembra non darmi tregua.
Il rumore dell'acqua che scorre mi colpisce all'improvviso, un suono che mi avverte che qualcosa non va. Mi fermo, ma è già troppo tardi.
Resto immobile, incredula. Davanti a me, nudo, si trova l'ultima persona che avrei voluto incontrare oggi. La sorpresa nei suoi occhi è evidente, ma lui non fa nulla per nasconderla, né per coprirsi. Rimango bloccata, incapace di muovermi. Gocce d'acqua scorrono lungo i suoi muscoli scolpiti, e il tatuaggio sul suo braccio, che mai avevo osservato così da vicino, aggiunge un fascino oscuro che mi costringe a distogliere lo sguardo... anche se, in fondo, non voglio farlo.
Lui mi fissa con uno sguardo che brucia, e nella sua espressione intravedo un sorriso.
«Ti piace lo spettacolo, eh?» dice con un tono divertito, come se stesse recitando una parte. «Dovrei mettere un biglietto all'entrata.»
Le sue parole mi riportano alla realtà in un istante. Il calore del mio viso tradisce il mio imbarazzo, ma non voglio dargli la soddisfazione di mostrarmi vulnerabile. Alzo il mento, cercando di nascondere le emozioni che si agitano dentro di me, un mix di frustrazione e qualcosa di indescrivibile.
«Sei un egocentrico pervertito,» ribatto, lasciando trasparire indignazione, ma la mia voce ha un tono che non riesco a controllare del tutto.
«Io sarei il pervertito?» risponde, con quel sorriso sfrontato che mi fa mordere l'interno della guancia per non rispondere. «Sei tu quella che non riesce a distogliere lo sguardo da questo fisico.»
E ha ragione. Dentro di me lo so, è stato più forte di me. Ma ammetterlo? Mai. Non ho intenzione di alimentare il suo già smisurato ego. La mia frustrazione si trasforma in una scintilla di sfida, e senza pensarci, afferro il primo oggetto che mi capita e glielo scaglio contro, colpendo il suo viso. Il suono dell'impatto riecheggia nell'aria, fermando il tempo. Il suo sguardo si spegne per un istante, sorpreso.
Sto per andarmene, trionfante e furiosa, quando una mano forte mi afferra il polso. Mi divincolo con uno scatto, riuscendo a liberarmi solo per pochi istanti, prima che lui afferri di nuovo il mio polso, stavolta con una forza che non lascia scampo.
«Lasciami andare!» grido, ma con un movimento deciso mi trascina sotto il getto d'acqua. La mia schiena incontra il suo petto, e per un attimo mi sembra di non poter più respirare. Non lo vedo, ma percepisco la sua rabbia avvolgerci, tangibile e oscura, come un temporale pronto a esplodere.
«Che diavolo stai facendo?» ma la voce mi esce strozzata, e subito mi pento delle parole. Il suo respiro è vicino, troppo vicino al mio orecchio, e un sussurro intenso mi congela sul posto «Pensi di potertela cavare così?».
Sento i suoi muscoli tesi contro la mia schiena, e non è solo rabbia. È qualcosa di profondo, che vibra nella tensione come una corda pronta a spezzarsi. Siamo in equilibrio su un filo sottilissimo, tra odio e qualcosa che si avvicina troppo al desiderio. Il mio cuore accelera, confondendomi, ma non trovo la forza di allontanarmi.
«Pensi che io abbia paura di te?» gli sibilo, ritrovando una sicurezza che forse neppure possiedo davvero. Mi stringe a sé con un'intensità che mi toglie il fiato, e per un attimo il mondo attorno a noi svanisce. Sento la sua mano scivolare sul mio braccio fino a sfiorare le mie dita, il suo respiro pesante e rovente a pochi millimetri dal mio orecchio.
«Allora dimostramelo,» mi provoca.
È una sfida, una a cui so di non poter sottrarmi, anche se la paura e l'eccitazione si mescolano in un vortice che mi rende vulnerabile come mai prima. Sento il suo petto sollevarsi contro la mia schiena, la forza dei suoi muscoli che si tendono come una molla, pronti a scattare.
Il desiderio e il rancore si intrecciano come due facce della stessa medaglia, e mentre rimango immobile, sento di essere in bilico su un confine pericoloso. Per un attimo penso di allontanarmi, di scappare.
All'improvviso, un rumore alle nostre spalle ci blocca entrambi. Sulla porta ci sono Mattia, Nora e Alessandro.. Sui loro volti noto imbarazzo e perplessità per la scena che si trovano davanti. Mattia e Nora si scambiano uno sguardo, mentre Alessandro, il nostro allenatore, resta immobile, dapprima sbiancando, poi arrossendo di rabbia.
«Mi volete spiegare cosa diavolo sta succedendo qui? Siamo in una palestra!» esplode, e la sua voce rimbomba nell'ambiente, riportandomi alla realtà.
Mi irrigidisco.
Con un filo di voce, riesco a dire soltanto «Niente».
Per fortuna mi lascia andare la mano, e, con il cuore ancora in tumulto e la mente frastornata, riesco ad allontanarmi. Mi stringo l'asciugamano intorno al corpo, infreddolita e confusa, imponendomi di non voltarmi mentre l'acqua della doccia si chiude alle mie spalle.
Tommaso non dice nulla mentre passa accanto a me, eppure percepisco ogni suo passo, come se volesse lasciare qualcosa di non detto nell'aria. E forse è così. Perché alla fine siamo solo questo: due sconosciuti in guerra, due estranei divisi tra l'impulso di ferirsi e quello di avvicinarsi.
Ogni scontro tra di noi era un duello, una battaglia tra due forze che non sapevano cedere. E ora mi rendo conto che, dietro alla rabbia, alla sfida, si nasconde qualcosa di più profondo, che mi lascia un senso di vuoto e di irrisolto. Perché forse, alla fine, siamo proprio questo. Due sconosciuti, e niente di più.
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