Capitolo 16

Questa mattina mi sveglio più determinata che mai: ho stabilito un nuovo obiettivo, non permettergli di rovinarmi la giornata. Mentre mi alzo dal letto, afferro il telefono e trovo una serie di messaggi da Nora. Mi racconta nei dettagli della partita dei ragazzi, a cui ho deciso di non partecipare per non dare ulteriori attenzioni a quell'arrogante.

Prendo in fretta la tuta che avevo preparato la sera prima, riflettendo su come io non riesca a concentrarmi appena sveglia. Lo ammetto, la mattina ho circa una mezz'ora dove non riesco a far funzionare a pieno il mio cervello. Devo avere il look già stabilito e nessuno deve rivolgermi la parola.

Più mi avvicino alla palestra, più sento le mie buone intenzioni svanire. Un senso di tensione crescente mi si annida nello stomaco. C'è qualcosa nell'aria che mi mette sulla difensiva, come se stessi camminando verso una battaglia. Per questo motivo non appena apro la porta, non resto sorpresa nel trovare davanti a me un mega striscione e un gruppo di ragazze appostate davanti allo spogliatoio.. Respira, Adele. Ricorda la promessa che ti sei fatta stamattina. Non dargli la soddisfazione di vederti perdere il controllo. Butto fuori l'aria e scivolando tra due ragazze raggiungo Nora.

«Puoi spiegarmi cosa sta succendo?», le chiedo, sforzandomi di mantenere la voce piatta.

Lei sospira, abbassando appena le spalle. «I ragazzi.»

Le urla dall'altra stanza sono già una risposta abbastanza chiara. Ma questa volta non posso ignorarli. Guardo l'orologio appeso alla parete e, vedendo che mancano solo dieci minuti al nostro turno, sento il calore salirmi alla testa. Decido che è ora di agire.

Busso due volte alla porta con decisione. Nessuna risposta, le voci sovrastano il rumore.

Busso di nuovo, più forte. Questa volta la porta si spalanca con uno scatto, e lui è lì, proprio come me lo aspettavo.

La mia nemesi. Capelli scompigliati, la divisa già indossata, e quello sguardo arrogante che non riesco a togliere dalla testa. Mi osserva come se fossi una distrazione, non una minaccia. I suoi occhi mi scorrono addosso, lenti, fermandosi un attimo troppo a lungo sulla mia bocca. E poi quel sorriso, sottile, appena accennato, che mi provoca come una sfida silenziosa.

«Potreste gentilmente uscire dallo spogliatoio dato che è il nostro turno?» dico con tutta la calma che riesco a raccogliere, ma sento che una sfumatura di fastidio mi tradisce.

Lui non risponde subito. Si sporge leggermente oltre la mia spalla, come se volesse farmi sentire insignificante, e dà un'occhiata all'orologio.

«Non mi sembra sia ancora arrivato il vostro turno», dice infine, il tono rilassato, quasi divertito. E prima che io possa ribattere, mi sbatte la porta in faccia.

Rimango lì, immobile. Per un attimo mi sembra di essere in un sogno, ma so bene che è tutto reale. Alle mie spalle sento Nora sussurrare «Oh oh», e ha ragione: sento i muscoli irrigidirsi e quel briciolo di calma che avevo mi abbandona.

Inizio a picchiare con più forza contro la porta, finché non sento la maniglia abbassarsi. Dentro di me so già chi troverò dall'altra parte.

«Forse prima non mi sono spiegata. Il vostro turno è finito, dovete andarvene».

I suoi occhi freddi mi trafiggono «Honey, credo che quella che non ha capito sia tu. Avete ancora cinque minuti prima dell'inizio del vostro allenamento, quindi non vedo perché dovremmo lasciarvi lo spazio libero prima» si abbassa quel tanto che basta da far scontrare i suoi occhi con i miei «Mi sembra di essere stato chiaro: in questo posto comando io».

Il mio lato competitivo si risveglia. Con un sorriso forzato rispondo «Sei stato chiarissimo.»

Mi volto, consapevole che i suoi occhi e quelli dei suoi compagni sono ancora puntati su di me. Senza esitare, lascio cadere il borsone e inizio a spogliarmi davanti a tutti.

«Nora, cambiamoci. Le principesse devono finire di farsi le unghie.»

Non so nemmeno io dove ho trovato il coraggio di farlo. Non avrei mai pensato di potermi spogliare davanti a degli sconosciuti, ma la sua presenza riesce a tirare fuori il peggio di me. Sento la sua rabbia senza nemmeno guardarlo, ma quando Mattia ride, capisco che il mio piccolo spettacolo ha avuto effetto. È solo la prima mossa.

Dopo neanche cinque minuti, i ragazzi escono dallo spogliatoio. Li supero di corsa, abbiamo solo pochi minuti per sistemare le nostre cose negli armadietti.

Cerco di trattenermi in modo che le altre escano prima di me, Nora si ferma «Adele, sei pronta?».

«Vado un attimo in bagno, arrivo subito. Vai pure, ci metto un secondo», rispondo, cercando di sembrare convincente. Non voglio che nessuno mi veda.

La porta si chiude con un tonfo sordo, e io entro in azione come un predatore nell'oscurità della foresta. Afferro la crema per le irritazioni cutanee con un movimento fulmineo, mi avvicino al borsone numero sette con determinazione. Prendo il bagnoschiuma e corro al lavandino, il cuore che batte all'impazzata nel petto. Svuoto il contenuto quasi del tutto, sostituendolo con la crema densa e vischiosa. Poi corro via, diretta verso gli attrezzi, con l'adrenalina che mi pompa nelle vene. L'ora successiva vola via tra esercizi e prove al corpo libero. Ancora troppe imperfezioni, ancora troppi errori da correggere. Il mio subconscio urla di non forzare sulla gamba sinistra, ma è una lotta costante. Le uscite sono un equilibrio precario, e il mio corpo è una corda tesa sopra il vuoto.

Sono così immersa nel mio mondo che non mi accorgo che i ragazzi sono spariti dal campo.

Mi preparo per il doppio raccolto quando sento il mio nome urlato dall'altra parte della palestra. Prima che possa realizzare cosa stia succedendo, mi ritrovo schiacciata contro la spalliera, con il suo corpo che mi blocca, a pochi centimetri dal mio. Il respiro di Tommaso è corto, rabbioso, e i suoi occhi mi fissano come se volesse trafiggermi.

Il tempo si ferma. Riesco a malapena a respirare, ma non mi muovo. Non gli darò la soddisfazione di vedermi cedere.

Indossa una maglietta nera, ora incollata al suo corpo per colpa della crema che ho sostituito al suo bagnoschiuma. La stoffa si appiccica ai muscoli del torace, e non posso ignorare quanto sia vicino. Il suo odore, misto alla rabbia che trasuda dai suoi occhi, riempie l'aria tra noi.

«Tu?!» sputa fuori, la sua voce più alta e tagliente del previsto.

«Io cosa?» rispondo, incrociando le braccia, cercando di mettere più distanza possibile tra di noi, anche se il mio corpo è già bloccato contro il legno.

«So che sei stata tu. È colpa tua se sono conciato così.» Le sue parole sono un ringhio, il tono carico di rabbia e qualcos'altro, qualcosa che non riesco a decifrare.

Il mio cuore batte forte, ma non per paura. C'è qualcosa in questo confronto che mi spinge a non indietreggiare, anche se lui è così vicino da rendere ogni respiro un atto di sfida. «Se volevi farti un trattamento di bellezza, bastava chiedere», rispondo con un sorriso che so lo farà infuriare ancora di più.

Fa un passo avanti, e io, istintivamente, mi schiaccio ancora di più contro la spalliera. I nostri corpi quasi si sfiorano. I suoi occhi, freddi e impenetrabili, non lasciano spazio a dubbi: è fuori di sé.

«Honey, stai percorrendo una strada molto pericolosa», mormora con voce roca.

Un brivido mi attraversa la schiena. Non per la paura, ma per la sua vicinanza, per l'intensità con cui mi fissa, come se volesse disarmarmi con lo sguardo. So che dovrei allontanarmi, ma qualcosa mi spinge a restare.

«Chiamami ancora Honey, e pentirai di avermi incontrato».

Il silenzio che segue è carico di elettricità. I suoi occhi si agganciano ai miei, e per un istante sembra che il mondo si fermi. Il suo respiro, caldo e rabbioso, si mescola al mio, e per un attimo fugace sento qualcosa di diverso dalla rabbia tra noi. È come se fossimo sull'orlo di un precipizio, pronti a cadere, ma incapaci di fermarci.

Poi lui fa un passo indietro, rompendo l'incantesimo. Il suo volto è una maschera di frustrazione.

«Adele, hai intenzione di continuare a giocare?!» la voce di Alessandro mi riporta al presente.

Supero Tommaso con una spallata, anche se so che lui non si muove di un centimetro.

«Dovresti ringraziarmi,» dico senza voltarmi, «domani avrai una pelle liscia come seta.»

Lo lascio lì, con la sua rabbia e i suoi pensieri. Ma mentre mi allontano, sento i suoi occhi ancora su di me, come se la nostra battaglia fosse tutt'altro che finita.

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