Capitolo 13

Sono stati giorni frenetici per entrambe. La gioia e l'euforia ci hanno pervase, ma come spesso accade, le cose belle sono destinate a durare poco.

Appena abbiamo ricevuto la notizia della nostra qualificazione, siamo venute a sapere che la nostra palestra abituale sarebbe stata sottoposta a lavori di ristrutturazione e che avremmo dovuto trasferirci altrove per tre lunghi mesi.

La prospettiva di dover trascorrere l'intero periodo di preparazione alle nazionali in un'altra struttura ci ha gettato nello sconforto. Ma la cosa più assurda di tutte è che dovremo condividere gli spazi con la squadra di pallavolo maschile. Apprezzo e rispetto il loro impegno sportivo, ma non posso negare che avrei preferito un ambiente più intimo e privato per concentrarci al meglio.

Condividere la palestra con un gruppo di ragazzi avrebbe potuto creare "problemi" e rischiare di compromettere la nostra concentrazione in una fase così delicata.

Credo di aver toccato il picco dell'ansia. Appena mettiamo piede all'interno, dodici paia di occhi si girano nella nostra direzione, come un fascio di raggi laser pronti a scrutare ogni singolo movimento. La tensione nel mio petto cresce, e sento una goccia di sudore freddo scivolare lungo la schiena. La mia giornata, già compromessa dalla stanchezza e dalla pressione, precipita in un abisso che sembra senza fondo. Mi sento come un animale intrappolato sotto i riflettori, a cui tutti prestano attenzione. Ma proprio quando penso che le cose non potrebbero peggiorare, sento un gridolino accanto a me. Mi volto e vedo Nora che sta letteralmente saltando dalla gioia. Cerco di capire cosa possa averla resa così entusiasta in mezzo a questa situazione scomoda e stressante.

«Nora, si può sapere come mai sei così entusiasta?», le chiedo.

Lei non risponde subito, il suo sguardo è puntato oltre di me, con un'aria quasi da bambina davanti a una sorpresa.

«Mattia!», mi risponde con una voce stridula, indicando un ragazzo che si avvicina a noi.

«Chi?», riesco appena a chiedere prima di essere interrotta, di nuovo, dalla sua eccitazione.

Alzo lo sguardo nella direzione indicata e mi ritrovo faccia a faccia con un ragazzo imponente, alto almeno un metro e novanta, tutto muscoli. Prima che possa formulare una frase di senso compiuto, lui si china, prende Nora in braccio e, con una naturalezza spiazzante, le stampa un bacio sulle labbra. Rimango a bocca aperta. Sbatto le palpebre più volte, cercando di assimilare ciò che sta succedendo. Il borsone mi scivola dalla spalla, come se fosse un segnale del mio totale smarrimento.

Colta dal rumore, Nora scioglie l'abbraccio e, rivolgendosi al ragazzo, mi indica, come se nulla fosse «Mattia, lei è Adele, la mia amica e compagna». Ancora scossa, riesco solo a fare un cenno di saluto con la mano. Mi avvicino a Nora con movimenti quasi meccanici, la afferro per un braccio senza pensarci troppo e, con un gesto deciso, la trascino nel vicino spogliatoio.

Chiudo la porta con forza e mi volto nella sua direzione. Il mio tono di voce è alterato e pieno di rabbia contenuta «Scusa... Ma quando pensavi di dirmi che hai un ragazzo che gioca a pallavolo? E soprattutto, quando pensavi di dirmi che gioca proprio nella stessa squadra con cui dovremo condividere la palestra per ben tre mesi?!».

Mi guarda con un timido sorriso, cercando di attenuare la tensione.

«Adesso?», risponde con voce flebile.

La mia frustrazione e preoccupazione raggiungono il loro apice. Sento il panico insinuarsi dentro di me. Non posso permettermi di cedere ora, non durante questo momento critico della nostra preparazione. Cerco di respirare, ma qualcosa prende il sopravvento. Le mani mi tremano e le gambe incominciano a vacillare. Non ora.

Proprio quando sto per crollare, la porta alle mie spalle sbatte con tale forza che il rumore sembra scuotere le pareti. Un'ondata di tensione invade la stanza.

Per un attimo, il silenzio tra noi diventa opprimente, carico di sfida. Poi, con un tono sprezzante e venato di superiorità, rompe quell'equilibrio fragile: «Qui si stanno allenando dei futuri campioni, non siamo a una riunione di galline che spettegolano sugli ultimi gossip. Quindi...» fa un passo avanti, e sento il suo respiro farsi più vicino, «vedete di non intralciare il nostro lavoro. Questa è la nostra palestra, anzi, la mia palestra».

Le sue parole sono piene di arroganza, e quel tono sicuro di sé mi colpisce come un pugno allo stomaco. Dentro di me qualcosa si spezza. La rabbia esplode, feroce, incontrollabile, e sento il calore salire alle guance mentre il mio corpo si tende come un arco pronto a scoccare. Il cuore batte così forte che mi sembra di sentirlo nelle orecchie, e le mani tremano di pura adrenalina.

«Primo...» inizio, la mia voce bassa e tagliente, «chi diavolo pensi di essere per chiamarci galline?». Faccio un passo avanti anch'io, accorciando la distanza, finché i nostri occhi si scontrano come due tempeste pronte a devastare tutto intorno. «Secondo, siamo qui perché il tuo allenatore ci ha dato il permesso, non certo per fare una gita turistica». Le parole escono con una ferocia che nemmeno io mi aspettavo.

I suoi occhi azzurri sembrano accendersi di una luce fredda, ma io non indietreggio, non ora.

«E terzo, siamo qui per allenarci. Quindi, ti consiglio di stare attento a non gonfiare troppo il tuo ego, o rischi di sembrare un tacchino che cammina tronfio verso il macello.»

Le parole colpiscono come proiettili, e per un attimo vedo la sua espressione irrigidirsi, ma non mi fermo. Faccio un altro passo in avanti, ancora più vicino, quasi sfiorandolo con la mia presenza.

Con un gesto brusco, sbatto la porta in faccia al ragazzo, il legno vibra sotto la forza del mio colpo. Il rumore risuona forte nella stanza, un suono che sa di sfida, di rabbia trattenuta troppo a lungo. Il silenzio che segue è denso, quasi visibile. Il mio respiro è affannoso, ma lentamente, inizia a calmarsi.

Sento una soddisfazione amara scorrere nelle vene, mista a una leggera inquietudine per le conseguenze. Ma non mi pento. I miei occhi si sono scontrati con due iceberg, e l'unico sentimento che riesco a provare in questo momento è odio. Ma, almeno, è un sentimento palpabile, qualcosa che riesco a toccare e definire in mezzo al vuoto che porto dentro

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