Capitolo 1

Nel mondo esistono due tipi di persone: quelle che brillano di luce propria, immerse nel loro stesso riflesso. E poi ci sono gli invisibili, coloro che vivono in punta di piedi, pronti a sacrificare tutto per un sorriso negli occhi di chi amano.
Io appartengo a loro.

Mi chiamo Adele e la mia vita è una danza delicata tra il mondo esterno e il mio universo interiore, popolato da timidezza e insicurezza.

Pur essendo una ginnasta, non sono mai stata la ragazza popolare; al contrario, sono quella che mette sempre gli altri al primo posto, pronta a dare tutto a chi ama.
Quando mi trovo in mezzo alla gente, spesso mi sento fuori posto, il che rende difficile esprimere i miei pensieri.
C'è però un rifugio, un luogo sacro dove posso essere me stessa: la palestra. Varcare quella soglia significa lasciar fuori preoccupazioni e delusioni. In quel mondo, abbandono le mie insicurezze e riscopro la forza e la determinazione che mi caratterizzano. È il mio angolo di libertà, lontano dagli sguardi giudicanti.

Ricordo ancora il primo giorno in cui attraversai quella porta... Ero agitata, incapace di capire come una persona come me potesse trovarsi in un posto così straordinario. Ammiravo le ragazze più grandi eseguire movimenti e acrobazie che sfidavano la gravità, rendendo l'impossibile incredibilmente semplice. Mi chiedevo, con un misto di stupore e incertezza, cosa ci facessi lì. Ma il destino, con la sua solita ironia, aveva già in serbo per me una svolta inaspettata.

Era un giorno come tanti altri durante l'ora di educazione fisica. La mia flessibilità mi portava a esplorare movimenti insoliti mentre facevo stretching con i miei compagni. In un attimo, il mio mondo tranquillo fu scosso da un'improvvisa attenzione. Mentre eseguivo una rovesciata in avanti per divertimento, un fragoroso applauso risuonò dietro di me, interrompendo i miei pensieri. Mi voltai di scatto e incrociai lo sguardo di un uomo alto e muscoloso che si era fermato a osservare.

L'uomo si avvicinò con passo deciso, e le sue parole furono una sentenza: «Alle 17 c'è un allenamento al palazzetto. Fatti accompagnare».

Mentre mi avvicinavo alla palestra, il cuore batteva all'unisono con i pensieri che danzavano nella mia mente. L'ansia dell'incertezza mi stringeva lo stomaco: sarei riuscita a trovare un posto in quel nuovo ambiente? Avrei fatto amicizia? Quando spinsi la porta e varcai la soglia, fui travolta da un'ondata di energia che spazzò via ogni mia insicurezza.

La palestra era un luogo magico per me, pieno di attrezzi, tappeti e persone che si allenavano con passione. In quel momento, mi resi conto che lì dentro potevo essere davvero me stessa.

Da quel giorno, esattamente dal 20 settembre del 1999, è diventata la mia seconda casa.

Ogni mattina mi sveglio con il dolce dolore dei muscoli, pronta ad affrontare una nuova giornata di sfide e crescita. Ogni caduta è un'opportunità per rialzarmi più forte, mentre ogni odore e rumore mi ricorda che sono nel posto giusto.

Riflettendo su queste trasformazioni, mi tornano in mente le parole di Nadia Comăneci:"La paura non mi fa scappare davanti alle sfide. Invece, mi spinge ad affrontarle, perché l'unico modo per liberarsi dalla paura è calpestarla coi piedi."

Ogni nuovo elemento che aggiungo al corpo libero mi riempie di adrenalina e mi fa sentire viva. Come oggi, ho deciso di concludere il mio esercizio con un doppio raccolto. Respiro, chiudo gli occhi, e quando la musica inizia, il resto scompare e esistiamo solo io e la pedana.

Arrivo all'ultima diagonale, eseguo una rondata, flic e un doppio raccolto con un'uscita perfetta. È in quell'istante preciso che la magia avviene, quando corpo e mente si fondono, e ogni movimento diventa fluido e armonioso. La musica si interrompe e Alessandro, il mio allenatore, si avvicina «Perfetto. Come sempre.»

Sollevo un sopracciglio in segno di dissenso, ma il mio accenno di protesta viene soffocato dalle sue parole: «Sei troppo perfezionista. Smettila di cercare difetti anche quando non ci sono. Per oggi abbiamo finito. Vedrai che alla gara di domenica andrai benissimo.»

Non posso ignorare il fatto di essere costantemente insoddisfatta. La ricerca incessante della perfezione è parte integrante di chi sono. Decido di tralasciare il suo commento, saluto le compagne di allenamento e mi dirigo di corsa verso lo spogliatoio, consapevole che Marco, il mio ragazzo, mi stia aspettando.

Una volta uscita, mi avvio verso il campo da calcio adiacente alla palestra, scrutando il cancello nella speranza di trovarlo li. Non vedendolo arrivo, mi porto il borsone davanti e afferro il telefono per rispondere ai messaggi delle mie amiche. Mi accorgo di aver perso la cognizione del tempo quando avverto due braccia che mi stringono da dietro.

Marco, due anni più grande di me, ha i capelli biondi che cadono leggermente disordinati sulla fronte quando non li tiene pettinati all'indietro. I suoi occhi scuri brillano con un misto di gentilezza e determinazione. Il suo fisico è asciutto ma ben definito, con muscoli che si delineano sotto la maglietta. Le sue mani, forti e sicure, intrecciano le dita con le mie con gesto protettivo mentre mi bacia la fronta, «Andiamo, principessa. Ti porto a casa». Il suo sorriso, che illumina il suo volto, è accompagnato da una leggera fossetta sul lato destro della guancia. Il mio cuore inizia a battere all'impazzata ogni volta che mi chiama così.

«Sai che potrei svenire anche in questo preciso istante?» dico, cercando di nascondere l'evidente imbarazzo.

«Certo che lo so, è per questo motivo che lo faccio» risponde con dolcezza, avvicinandosi di più, «Per vedere i tuoi bellissimi occhi verdi che brillano per me».

Sento il viso arrossire, «Sei matto».

Allenta la presa, i suoi occhi si fissano nei miei con un'intensità che quasi mi fa vacillare. «Che ne dici se, invece di portarti a casa, ci fermassimo al pub con i miei amici? Ha appena aperto, sarà divertente.»

Sento il mio respiro diventare pesante, il mio sorriso è forzato mentre gli allaccio le braccia al collo, cercando di placare il turbine di emozioni che monta dentro di me «Sono esausta, davvero. Ho solo bisogno di tornare a casa e buttarmi sul letto. Domenica c'è la gara, devo concentrarmi.»

La sua risata mi colpisce come uno schiaffo in pieno viso, un suono che mi fa male fisicamente «Strano, avrei detto il contrario.»

Le sue parole mi tagliano come lame affilate.

«Cosa vuoi dire?» chiedo, anche se la risposta mi terrorizza.

Lui inclina la testa, un sorriso beffardo dipinto sulle labbra.

«Dai, Adele, lo sai. Quando si avvicinano quelle... esibizioni, sparisci. È come se il resto del mondo non esistesse.»

La parola "esibizioni" mi rimbomba in testa, ogni volta che la pronuncia sembra ridurre tutto ciò che amo a un gioco da bambini. Sento il sangue montare dentro di me, le mani mi tremano. Come può non capire quanto significhi per me?

Lascio andare la sua mano, con un gesto brusco, quasi violento. Mi volto e mi allontano a passi rapidi. Il mio cuore batte furiosamente nel petto, eppure le parole escono, cariche di rabbia, quasi urlate: «Perché non riesci mai a prendere sul serio quello che faccio?!»

Si ferma, il suo viso si contorce in un'espressione di irritazione, «Adele, non fare la permalosa! Stavo solo scherzando.»

Sento le sue parole perforarmi, un misto di rabbia e dolore mi invade. Non è solo un'offesa, è un tradimento. Apro la portiera della macchina con uno strattone, mi siedo e mi chiudo dentro, serrando le labbra per non far uscire le lacrime. Lui si siede accanto a me, ma l'aria tra noi è pesante, soffocante. Il silenzio è un muro insormontabile. Mentre la macchina si muove, i paesaggi scorrono velocemente fuori dal finestrino, ma la mia mente è bloccata, intrappolata in un vortice di pensieri rabbiosi e confusi.

Arriviamo davanti a casa e lui spegne il motore. Mi guarda, ma io non lo ricambio. Apre la bocca per dire qualcosa, ma non gli do il tempo. Apro la portiera e scendo di corsa, l'urgenza di fuggire è troppo forte. Non posso restare un minuto di più in quella macchina.

«Adele, smettila!» la sua voce risuona alle mie spalle, ma io continuo a camminare, le mie gambe quasi cedono sotto il peso della rabbia che cresce ad ogni passo. Poi, sento la sua mano afferrarmi per un braccio, il contatto è come un'esplosione. Mi volto di scatto, e i miei occhi incontrano i suoi, carichi di emozioni trattenute. Con un movimento deciso, gli punto un dito contro il petto, spingendolo indietro con tutta la forza che ho.

«Tu dovresti capirlo meglio di chiunque altro!» La mia voce è un sibilo, fredda come il ghiaccio. «Sai quanto significa per me. Sai quanto sacrifico, ogni giorno.»

Lui scuote la testa, un sorriso amaro che non raggiunge gli occhi. «E dai... Ho detto che stavo scherzando» cerca di minimizzare, ma io non riesco più a sentirlo. È come se fosse distante chilometri, anche se è lì, davanti a me. Lo fisso per un momento, cercando di riconoscere il ragazzo che amavo, ma tutto ciò che vedo è un estraneo. Un estraneo che non capirà mai.

Mi allontano senza più voltarmi, i miei passi pesanti sull'asfalto. Noi due siamo come un pendolo impazzito, oscilliamo tra l'amore e l'odio con una velocità che mi lascia senza fiato. Ma questa volta, la corda sembra essersi spezzata. Non posso permettermi di cadere. Non quando la finale del campionato è a soli due giorni di distanza.

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