·6· {52} Prepariamo i bagagli. Si parte per l'università.
Settembre.
Stamattina, preparo i miei bagagli. Oggi devo partire per l'università con Julie. Andiamo alla stessa università. Quella proprio di Amsterdam. Vista dalle foto è bellissima. Spero che i dottori, i professori come li chiamano lì, siano gentili. Ho paura degli insegnanti che si arrabbiano facilmente.
La mia valigia è piena di T-shirts, jeans e, all'interno, non possono mai mancare i miei piccoli pesi, quelli con cui alleno le mie braccia. Nella valigia, in cima a tutte le mie cose, ci sono le foto della mamma, dei nonni, Fosco e Fosca, e di lui, il mio migliore amico, Thomas.
Visto che è un trolley, prendo il mio bagaglio per il manico e lo trascino, anche se non ho affatto problemi nel portarlo a mano. Sto sviluppando dei muscoli che mi farebbero prendere in braccio un cavallo.
Scendo le scale di casa con un groppo in gola.
Ho un po' di malinconia nel lasciare il luogo dove ho passato tutta la mia adolescenza. Questo posto mi mancherà davvero.
Quando sono fuori, la guardo per un'ultima volta. Non ci voglio più tornare. Qui ho troppi ricordi che mi fanno stare male. Ma, piuttosto, vorrei tornare nel Cincinnati. Mi manca tanto il Cincinnati, il mio paese natale. Lì, era davvero bellissimo, soprattutto l'inverno, il periodo in cui faceva, si, una neve gelida, ma bellissima e perfetta per giocare. Tutti ci giocano con la neve. Qui ad Amsterdam ha fatto poca neve l'ultimo anno. Ma anche qui c'è abbastanza neve per giocare tutti insieme, per strada o nei cortili.
La malinconia mi pervade. E se, quest'anno, organizzassimo una vacanza di Natale nel Cincinnati? Sarebbe bello. Così i miei amici e la mia ragazza vedranno dove sono cresciuto, e io potrò rivedere dove sono caduto per la prima volta, imparando a camminare; dove ho imparato ad andare in bicicletta; dove ho incontrato Thomas, l'unico migliore amico che abbia mai avuto. Non per offendere Huge, Franz e Hubert. Loro sono dei grandi amici, ma non i migliori. Lui invece mi faceva provare una felicità immensa nel tenerlo sulle spalle. Credo che nessuno l'avesse mai fatto prima di allora.
Mi avvicino a casa di Julie. Sto per bussare, quando noto che Julie è già di sotto. Appena arriva e mi vede, mi corre incontro e mi abbraccia forte. Sto perdendo letteralmente il respiro. Poi mi bacia. Il suo solito bacio metà focoso e metà fievole. Non capisco davvero come faccia a mescolarli. Da fievole diventa focoso, e da focoso torna a fievole.
Le prendo il bagaglio e ci dirigiamo verso la mia macchina, parcheggiata vicino a casa. Vi inserisco le due valige ed entriamo all'interno. La mia auto è abbastanza grande e ci si può stare comodamente anche in nove. È tipo un pulmino. Quello delle scuole elementari, ma con i sedili comodi, non quelli che ci sono nei pulmini, ricordo fossero di plastica. Non ricordo il colore. Mi pare sull'arancio.
Scrivo sul navigatore università di Amsterdam e la trova. Partiamo. Le mie mani sono sulle dieci e dieci sul volante. Come mi ha insegnato il nonno. Guardo per un attimo Julie. È ansiosa. Le chiedo il motivo.
<<Perché prima di andare all'interno, dobbiamo fare dei test. Per vedere se siamo adeguati per la facoltà. E se non mi prendessero.>>
<<Ma dai. Hai studiato tutta l'estate l'inglese e il francese. Non preoccuparti. Ce la farai.>>
Io invece mi sono ripetuto le formule matematiche. Le ricordo tutte. Tutte. Solo una non mi è voluta entrare in testa. La probabilità. Spero che non ci siano solo esercizi con la probabilità.
Spero di passare, almeno non mi separerò per molto da lei, anche se avremo stanze diverse, viste le due diverse materie, lei lingue e io matematica.
Al nostro arrivo, vediamo un edificio enorme. È davvero un posto bellissimo.
Mio Dio. Ecco lì i tavoli per fare i test attitudinali. Ora mi sta venendo l'ansia. Appena mi siedo a quel tavolo chiamo Thomas. Lui è un genio. Non so come faccia a saper fare la probabilità.
Lui mi dice sllo se ho sbagliato o azzeccato. Per ora ho azzeccato tutto. Spero non me l'abbia fatto apposta. Altrimenti davvero non lo chiamo più. Dopo, hai voglia di offenderti, Thomas, se mi hai fatto sbagliare. Ma non credo. Lui non lo farebbe mai. Io l'ho sempre trainato, per quanto ho potuto. Ora mi serve solo un po' del suo aiuto.
Credo che, per essere trenta domande, siano abbastanza facile. E niente probabilità. Ma invece ci sono caduto. Eccola. La domanda sulla probabilità. Cavolo. Ora mi deve aiutare. Ora vado avanti, ma quando torno alla domanda, mi deve aiutare.
Le ho fatte tutte. Quasi. La domanda con la probabilità. Passa il tempo. Tre ore son passate. Hanno detto i dottori che manca mezz'ora. Visto che gli iscritti devono essere scelti fra tre ore.
Ci provo. Thomas non mi dice nulla. Poi, alla fine dei calcoli lo sento esultare. Cos'ha? Perché esulta? È per quello che penso? Ho indovinato?
<<Si, amico. Hai indovinato.>>
<<Julie sembra aver bisogno di aiuto. Aiutala un po' tu>>
Julie, dopo mezz'ora, viene da me, dicendo: <<Qualcuno mi ha aiutata. C'entri qualcosa tu?>>
<<Probabile>>
<<Era Thomas?>>
Annuisco con un cenno del capo.
<<Lui ha aiutato me, perché gliel'ho chiesto, ma poi, visto che tu mi hai sempre incoraggiato al meglio, volevo che anche tu fossi aiutata. Ed eccl qua.>>
<<Grazie>>
Proviamo a baciarci, quando ci arriva il guardiano alle spalle. <<Niente effusioni>>.
Noi ridiamo.
Tre ore dopo.
<<Per le lingue.>> dice una dottoressa. Fa una serie di nomi, quando: <<E...>>. Dai è l'ultimo, lo dica. <<Julie Gaffney>>. Julie, come me esulta.
Fa una serie di altri elenchi e quando arriva alla matematica, dice molti nomi. Perché il mio non lo dice? Ma poi: <<Nicolas Kane>>
Anch'io esulto. Ce l'abbiamo fatta entrambi. Io ho fattl tutti i calcoli. Senza che Thomas me li dicesse. Mi ha detto solo se erano sbagliati o esatti. Ha fatto lo stesso anche con Julie.
Thomas è un amico. Io l'ho sempre detto.
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