Chapter XIV - Ophelia

[Queen]

Il senso di vomito non decideva ad andarsene, il fatto che avessi ucciso, senza pietà e senza pensarci, non mi lasciava pace.

Stavo ancora correndo con James, ma in ogni caso, la forza fisica e mentale, sembrava essersene andata, insieme all'uomo di prima.

Prendendo concretezza del mio stesso pensiero, fermai il passo; stavo diventando esageratamente debole e me la stavo prendendo per troppo.

O forse no, non ne avevo la certezza. L'unica cosa a cui pensavo, era la consapevolezza di non aver esitato nemmeno un istante mentre trafiggevo quell'uomo. E se avesse avuto figli?

James si fermò e si girò verso di me, probabilmente avevo un aspetto terribile, per non parlare della ferita che si era riaperta.

Non lo fissai nemmeno in faccia, non riuscivo a farlo: ero arrabbiata con lui perché sapeva dell'attacco, ero arrabbiata con lui perché non era più venuto a trovarmi, dandomi false speranze di poter minimamente pensare che qualcuno, oltre Marill, potesse sopportarmi, ed ero arrabbiata con lui perché doveva scortarmi a Barlume.

Se non fossi stata debole, sia per quanto riguardavano i miei poteri e sia fisicamente, gli avrei tirato una pietra infuocata in faccia e sarei scappata. Ma lui mi serviva per sopravvivere e gli altri erano scomparsi.

«Ti serve aiuto?» mi domandò, mentre io cercavo di arrivare verso il tronco più vicino per sedermi e sistemarmi la benda. Avevo bisogno assolutamente di un Caeli, sopratutto perché se il ventre continuava a sanguinarmi, sarei potuta morire.

Continuai ad ignorarlo e finalmente, nonostante gli urli e i dolori inghiottiti, raggiunsi il tronco. Lui sospirò spesso, seguendomi, ma non avendo il coraggio di toccarmi.

Mi accasciai debolmente e presi un respiro profondo, andava tutto bene, doveva andare tutto bene. Mi tolsi la maglietta sporca di sangue e guardai con disgusto e paura la benda inzuppata di quell'orribile liquido rosso. Alzai lo sguardo lucido su James che si inginocchiò davanti a me.

Era stanchissimo e glielo leggevo in viso, aveva due grandi cerchi neri sotto gli occhi e uno di questi rosso.

Avrei rifiutato categoricamente il suo aiuto ma il respiro stava iniziando a mancarmi e sarei morta stecchita entro pochi minuti «non abbiamo bende» disse agitato ed io provai ad alzare gli occhi al cielo, con poco risultato.

Dopodiché si tolse la maglietta in lino e strappò vari pezzi, il fatto che non sentisse freddo nonostante si gelasse fuori, mi lasciò sempre più di sasso, ma era una Gelida dopotutto.

Mi sciolse la benda dal ventre e soffocai un urlo, faceva malissimo e il fatto che non potessi curarla bene, mi faceva sentire ancora più male. James cercò di fare il più piano possibile, con scarsi risultati, ovviamente «dobbiamo subito andare ad Ophelia, siamo vicino al bosco e i Caeli non ci aiuteranno di sicuro» lo guardai male.

«James, Ophelia non esiste» lui mi ignorò categoricamente e, nonostante provai a parlare più volte, non mi ascoltò nemmeno una «riesci a camminare?» feci di si con la testa, anche se non riuscivo a muovere nemmeno un muscolo. Infatti, quando provai ad alzarmi, finì letteralmente con il sedere a terra.

Lui imprecò ma mi prese, a mio malincuore, sulle spalle. James emanava troppo freddo, anche se era senza maglietta.

In ogni caso, pensava che portarmi sulle spalle e facendo pressione sulla schiena, potesse appiattirmi la fuoriuscita del sangue.

Nonostante sapessi che non fosse così e lui ero tutto tranne che un medico, non avevo assolutamente voglia di parlare; in realtà ero proprio a pezzi, avevo voglia di posizionarmi in un angolino e piangere da come la mia vita stava andando a rotoli. Non che prima non lo fosse, ma adesso stavamo esagerando.

Mi sistemai la guancia sulla spalla di James, nonostante con lui sentissi freddo, era veramente comodo. La strada che stava percorrendo era probabilmente inesistente, Ophelia era solo una leggenda, non poteva esistere davvero, specialmente perché gli elfi non esistevano.

Si narrava che Ophelia fosse un paese di elfi, dai lunghi capelli albini e gli occhi verdi, grandi come degli smeraldi lucenti. Vivevano in armonia con le loro arti; e sanno tutti che l'arte degli elfi è curare, far rinascere la vita delle piante e vivere in sintonia con gli animali.

500 anni fa, Leon III, uno tra i più grandi re della storia della capitale, volle appropriarsi del sangue di elfo per ottenere l'immortalità. Secondo lui, infatti, il sangue elfico donava la vita eterna, soltanto bevendone una goccia.

Così, la distrussero completamente, rendendo schiave le donne elfiche, usandole per i loro maliziosi e lussuriosi voleri o uccidendole semplicemente.

Non a caso, esistono ancora ibridi nascosti, figli bastardi nati dagli elfi e dagli uomini di Barlume. Comunque, c'è chi dice che Ophelia sia rinata e che sia protetta da un incantesimo per non far si che si trovi. Per me, restava comunque una leggenda.

Nella mitologia antica, gli elfi vengono descritti generalmente come esseri dotati di poteri magici e di una bellezza soprannaturale, ambivalenti nei confronti della gente comune e capaci di aiutarli o ostacolarli.

Nonno Charlie mi diceva sempre che gli elfi sono spesso citati nei testi medici che attestano la convinzione comune, cioè che essi potrebbero affliggere gli esseri umani e il bestiame con malattie: di solito con insonnia, dolori interni e disturbi mentali.

Mi ricordo ancora la paura di Candy quando il suo cavallo iniziò a comportarsi in modo strano e lei diede tutta la colpa a questi presunti esseri.

Sbadigliai rumorosamente, in ogni caso, ero sicura che gli elfi non esistevano e non erano mai esistiti, sarà stata credenza di qualche pazzo procinto alla morte.

James rallentò il passo e si guardò attorno, la schiena si contrasse, nervosa, e le orecchie si tesero verso l'alto. Alzai la guancia con molta fatica, essendo priva di forza fisica, guardandomi intorno.

Nulla. La radura era tranquillissima, il vento oscillava tranquillamente, creando una brezza piacevole. Gli uccellini cinguettavano e le foglie colorate cadevano dagli alberi, formando un manto colorato.

Era uno spettacolo splendido, tutto era curato nei minimi dettagli, tutto sembrava messo al suo posto. Le nuvole sembravano soffici e il cielo sembrava un mantello azzurro da quanto risplendeva.

Respirai l'aria fresca poiché mi mancava l'aria in corpo; strinsi i denti quando notai come il ventre mi martellasse di dolore. James mi sistemò meglio sulla sua schiena e spostò lo sguardo velocemente su di me. Il suo naso mi toccò la guancia e gli occhi fissarono i miei, incatenandosi al suo sguardo di ghiaccio.

Il respiro mi mancò nuovamente e il cuore smise di battere, senza apparente motivo «non azzardarti a muoverti» bisbigliò.

La sensazione di brividi scemò subito, in realtà ne avevo abbastanza di questa situazione e di lui, avrei preferivo mille volte essere giustiziata a Barlume e farla finita. Invece, inizialmente ero una Rerum, non ben vista, ma almeno con un tetto sopra la testa; al contrario, adesso mi ero ridotta ad essere una fuggitiva a tutti gli effetti.

Mi ero divisa da Marill mentre Damon e Mike mi volevano morta, stavo girovagando tranquillamente con il nemico ed ero stata tradita da tutti.

Ah, e l'unica che credeva in me era morta.

Non poteva andare peggio di così. Un filo di vento veloce mi passò per l'orecchio e mi fece balzare in aria.

Probabilmente anche James lo sentì, perché si girò prontamente, all'agguato. Prese un bel respiro e alzò gli occhi al cielo, posizionandosi davanti un'enorme pietra.

Gli cinsi le braccia al collo e cercai, mio malgrado, di sistemarmi meglio; gli avevo sporcato la schiena di sangue e ormai le ultime forze rimaste, mi stavano abbandonando. Fissai la pietra e guardai James in faccia, era concentratissimo e non sbatté ciglio nemmeno per un secondo «tazate mizkika ubari teknei bamo» bisbigliò piano, scandendo le parole.

Lo fissai storta e non capì niente di quel che disse «cosa hai detto?» gli bisbigliai all'orecchio ma lui non si mosse.

Girò gli occhi verso di me e mi paralizzai sul posto «è copto, una tra le più antiche lingue egizie.»

Rabbrividì quando davanti a noi, la brezza di vento si trasformò in una ragazza, se così potevamo identificarla.

Era alta, con degli occhi glaciali e dei lunghi capelli color platino, che le ricadevano morbidi sulle spalle. A contornare i suoi tratti elfici, sostava nel suo capo una piccola coroncina di fiori, che evidenziava la sua bellezza.

Aveva una tunica bianca e delle orecchie a punta ben in mostra, un orecchino in rame e un bracciale in bronzo.

Era veramente bellissima.

Ci sorrise, o forse sorrideva solo a James, ed io rimasi di sasso.

Non era una leggenda.

In più gli elfi non erano creature basse e orrende come venivano descritte nei racconti del nonno, al contrario.

Erano descritte esattamente come le leggende di Ophelia.

Si avvicinò a noi e mi fissò a lungo, non so cosa mi diede più fastidio tra il fatto che mi stesse fissando come se fossi un essere insignificante o che mangiasse James con gli occhi, non rendendosi conto della mia presenza.

Entrambe probabilmente.

Il mio ego ferito ne risentì, d'altronde di James non doveva importarmi un accidente, poteva provarci con chi voleva.

Fuorchè non diventassi il terzo incomodo della situazione, poi poteva benissimo avere una ragazza.

Continuai a restare immobile dietro di lui e a non muovere nemmeno un muscolo, poi, l'elfa spostò lo sguardo su di lui nuovamente e gli venne incontro, in procinto d'abbracciarlo.

Probabilmente, ricordandosi della mia esistenza, si fermò, nonostante avesse le mani tese.

Le ritrasse, abbassandole e, non prima di avermi lanciato un'occhiataccia che non fu per nulla amichevole, gli toccò una spalla «Jay-Jay, sapevo che saresti ritornato! Ti ho aspettato per anni» annunciò contenta, ridendo allegramente e accarezzandogli la guancia.

La fulminai con lo sguardo, nonostante stessi soffrendo dal dolore, doveva pensare a me e non a "Jay-Jay".

E poi, che diamine di nome sarebbe Jay-Jay?

James le sorrise, come se ci fosse solamente lei «sei cresciuta Wendy, quanti anni hai adesso?» lei incrociò le braccia al petto, mettendo in evidenzia i prosperosi seni, i lunghi capelli perfettamente ordinati e lisci come la seta, il viso di porcellana contornato da delle labbra a cuore e gli occhi azzurri come il ghiaccio, così uguali a quelli del ragazzo di fronte a lei.

Mi sentì di troppo e mi sentì tremendamente male. Tutt'ora non riesco a spiegarmi cosa accade; iniziai ad avere le vertigini, molte più di prima, la vista si fece doppia e sentì il mio corpo molle.

Mentalmente cercai di ricompormi, ma non ci riuscì. Sentì le braccia mancarmi, scivolando dal collo di James.

Ci fu un tonfo sordo e sentì il gelo trapanarmi le ossa, caddi a terra velocemente, macchiando la neve col mio sangue.

Questa fu la mia punizione, mentre James mi prendeva da terra e mi scuoteva preoccupato, io non potei far a meno che pensare che se non avessi ucciso senza pietà, se non avessi portato la morte di Katy, se prima di andarmene avessi detto tutto al nonno, se non avessi avuto un potere distruttivo simile, non sarei morta così presto.

Questo era il mio più grande peccato o, come mi disse la mia vecchia amica, il mo difetto fatale: l'ira.

E l'ira porta tanti difetti, racchiude i peggiori sentimenti che un essere umano possa avere.

Se questa era la mia punizione, l'accoglievo a braccia aperte, perché ormai non mi restava più niente.

Aprì gli occhi difficilmente e non riuscì a mettere a fuoco la stanza immediatamente, stropicciai gli occhi e mi misi seduta.

Una fitta allo stomaco mi fece corrucciare la fronte, presi un bel respiro profondo. Dovevo prepararmi mentalmente alla ferita.

Eppure, guardandomi attorno, non mi trovavo a terra; ero distesa su un letto morbido, un camino scoppiettava di fronte a me, provocando un rumore rassicurante.

Preso coraggio, abbassai lo sguardo, alzando il lungo vestito turchino che stavo indossando, consapevole della profonda ferita. Invece, sorpresa, trovai soltanto una piccola garza nel mio ventre.

Era impossibile avere una piccola garza per una ferita del genere «è il potere degli elfi, guarire per bene le ferite, intendo» mi girai verso la voce, ritrovandomi James con una borraccia in argilla in mano.

In tutta la mia esistenza, non fui mai più felice di vederlo, significava soltanto che ero viva e che nessuno mi aveva rapita, omettendo lui, chiaramente.

Dovevo aver sperimentato la sindrome di Stoccolma se ero felice di vedere il mio rapitore, con l'unica differenza che io non ero innamorata di lui.

Non lo ero affatto.

Si avvicinò a me, sorridendo rassicurante ed io non mossi nemmeno un muscolo, sembravo una babbea, lo sapevo bene «perché mi stai fissando così, idiota» sbottai, prendendo la borraccia in mano e bevendo un lungo sorso di acqua fresca, ne avevo assoluto bisogno.

Lui si ricompose subito e tornò serio «io non ti stavo fissando in nessun modo, eri tu quella ad avere la bava alla bocca» socchiusi gli occhi, fulminandolo con lo sguardo e per poco non gli sputai in faccia.

No, era impossibile che mi potesse piacere un energumeno simile, non se ne parlava proprio. In più, era colui che mi stava mandando al patibolo di morte, non gli dovevo nemmeno un briciolo d'affetto.

Eppure mi stavo facendo ammazzare per lui.

Arrossì a quel pensiero, ma quali problemi mentali mi affliggevano per aver fatto una cosa simile.

In realtà mi ero sentita un'eroina per una volta e quando fu a rischio, ho agito senza pensare. Non dovevo farmi strane idee, l'avevo fatto solamente per non avere un'altra persona sulla coscienza, per colpa mia erano già morte troppe persone.

Per cui era una soddisfazione personale, non per lui, ma solo per me.

Si, era questo il motivo; finì l'acqua e lo guardai dubbiosa «da quanto tempo siamo qui?» Gli domandai mentre lui si sedeva sul ciglio del letto, lo trovavo bene, mi sembrava in forma e non aveva più i cerchi neri sotto gli occhi e nemmeno l'occhio gonfio.

Questo mi riempì il cuore di gioia.

Scacciai quel pensiero e lo fissai contare con le dita «dormi da due giorni» balzai in aria e lo fissai in cagnesco «DUE GIORNI? E NESSUNO HA AVUTO LA BRILLANTE IDEA DI SVEGLIARMI?»

Avevamo perso quarantotto ore importanti che sarebbero servite ad altro, ad esempio: potevo benissimo scappare prima di arrivare a Barlume.

James fece spallucce «ci abbiamo provato ma non davi segni di vita.»

Non risposi e l'aria si fece pesante «come sta la tua amica, cioè insomma, dev'essere strano essersi ritrovata una mezza-morta che le è svenuta?» chiesi spontaneamente, mi morsi il labbro e mi maledissi mentalmente.

Lui sorrise di nuovo da idiota «sei gelosa?» Lo fulminai nuovamente «no, semplicemente sono curiosa di sapere come sta. A differenza tua, mi preoccupo realmente» no ok, era una grande cavolata, ma lui questo non poteva saperlo, giusto?

Distolsi lo sguardo e lui mi pizzicò una guancia «non c'e nulla di male ad essere gelosi» avvampai e gli tolsi la mano bruscamente.

Ne avevo abbastanza, di tutto e di tutti.

Una fitta lancinante al petto mi travolse mentre la rabbia mi arrivò fino al cervello «non ho motivo di essere gelosa di te, per me vali meno di zero, emotivamente parlando. Sei solo un bastardo che deve portarmi a morire e ci stavi già riuscendo. Quindi evita questa farsa, James» dissi acida, ma richiusi bruscamente la bocca.

L'avevo ferito con le mie bugie, di nuovo, avevo ascoltato la testa.

Mille pensieri mi vennero in mente: il cervello diceva di aver fatto la cosa giusta, l'stinto di agire, l'orgoglio di urlargli la mia frustrazione, ma il cuore, il cuore mi diceva che magari avrei dargli una possibilità.

Aprì di scatto la bocca, senza proferir nulla mentre guardavo James prendere la borraccia vuota e uscire in silenzio dalla stanza.

Sospirai e scoppiai a piangere, non era così che doveva finire.

Due ore dopo mi ero ripresa del tutto e ringraziai per non so quante volte migliaia di elfi, erano stati tutti così carini e gentili con me e mi avevano salvato da morte certa.

In ogni caso, mi dileguarono velocemente e fui costretta a farmi un giro della città. Gli elfi non erano per niente brutti e piccoli, al contrario, erano anche più alti e belli di me.

Cercai di non pensare a James e visitai la città; era grande e spaziosa, il verde regnava su tutto mentre un'alta montagna delineava i confini della città. Sotto di essa un grande palazzo, probabilmente dove sostava la famiglia reale elfica.

Girai per molto, alla ricerca di una biblioteca, dove poter colmare i miei dubbi e il mio dolore, ma non ne trovai nemmeno una.

I piccoli elfi giocavano fuori e si cimentavano con la magia della terra.

Sorrisi, pensando a Finn, chissà come stava.

Arrivai, probabilmente, all'entrata della città dove una statua gigante, con un soldato, si emergeva in tutta la sua potenza e grandezza.

Mi sentì quasi un essere infimo guardandola, sopratutto dopo aver letto la didascalia "zugara ninteq gherra teli" la lessi migliaia di volte, non capendone il significato.

Scalciai a terra «eddai, pur qualcosa dovrei capirla!» mi lamentai ad alta voce «non credo che con il cervello bacato che ti ritrovi capiresti qualcosa» odiavo quando James spuntava dal nulla e mi insultava, odiavo semplicemente il fatto che non lo sentissi arrivare mai.

Mi girai prontamente, aveva le mani in tasca e la maglietta bianca sbottonata, camminava tranquillamente e si mise di fianco a me, girando la testa per potermi guardare.

Incatenò i suoi occhi ai miei, come faceva sempre, e mi sentì una stronza ad avergli urlato un'ora prima «significa: "in onore dei guerrieri caduti in guerra"» non risposi e continuai a fissarlo come se la sua presenza fosse per me ossigeno.

Distolsi lo sguardo e guardai la statua di fronte a me.

Volevo scusarmi, a modo mio, ovviamente. Le scuse non erano proprio il mio forte.

Arrossì mentre lui continuava a guardarmi «sai James, credo che per me non vali proprio meno di zero.»

~Angolo Autrice~

TANTISSIMI AUGURI DI BUON ANNO BELLISSIMI.

Sono felicissima che finalmente questo 2019 sia finito, almeno per me, non è stato proprio uno tra i migliori. Spero che invece per voi sia stato il contrario.

Vi auguro il meglio per questo 2020, che sia un anno pieno di sorrisi e soddisfazioni.

Vi voglio bene, con amore

~Aly ❤️

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