Chapter XII - Past
{13 years ago}
[Finn]
Amavo andare al ruscello vicino il campo dei Finigus, mi faceva sentire bene. Il canto degli uccelli che cinguettano, l'aria fresca che respiri, la libertà che senti.
Il suono dell'acqua che ti rilassa, ti pulisce da qualsiasi sporcizia ci sia dentro e fuori il tuo corpo, dalla tua anima.
Damon non amava particolarmente quel posto, al contrario mio. Anzi, poteva dirsi che Damon non amasse nulla all'infuori di quella ragazza dei Caeli.
S'incontravano di nascosto, al calar della notte, quando tutti dormivano e Jacques non poteva scoprirlo. Io cercavo di coprirlo sempre, Damon era come un padre per me nonostante io avessi cinque anni in meno di lui.
Mentre io ne avevo dieci, lui ne teneva quindici, ma si sentiva già un uomo vissuto.
Era convinto che avrebbe preso il posto di Jacques, appena diventato maggiorenne, cioè quello di capo-villaggio. Onestamente gliel'auguravo, per quanto Damon fosse taciturno, sapevo che in realtà avesse la staffa per essere un buon leader. Sapeva il fatto suo.
Scalciai un sassolino, che finì a riva, e infilai le mani nella tasche dei miei suicidi pantaloni in cuoio, spostando giocosamente un vecchia collana che tenevo sempre con me.
Era l'unico ricordo che avevo dei miei genitori, mi avevano abbandonato quando ero piccolo nella foresta vicino il campo Finigus.
Quando lo fecero, vagai per giorni, non mangiando nulla e bevendo dalle pozzanghere sporche che trovavo qua e là. Morivo di fame e per un cucciolo come me all'epoca, morire in quello stato era tra le cose più comuni.
Il tasso di mortalità infantile crebbe a dismisura cinquant'anni prima, quando la tribù del ghiaccio venne esiliata.
Avevo sei anni quando incontrai Damon. Era un bambino di undici anni che si divertiva a giocare con i rami degli alberi; talvolta li ammazzava pure, ma comunque, riusciva sempre a curarli.
Grazie a lui compresi che in quelli alberi cresceva qualcosa, e il mio animo fanciullesco curioso, non poteva che essergli più grato. Così scoprì questo cibo rotondo e aspro, di un colore arancione.
Mi cibai per tutto il tempo solo con quella pietanza e soffrì di meno la fame, anche se non bastava. Guardavo curioso questo bambino che veniva sempre nello stesso punto, usando i suoi poteri, con una nota di stupore.
Probabilmente se avessi avuto l'età odierna l'avrei odiato, o comunque sarei stato invidioso, ma non puoi esserlo a sei anni, non puoi esserlo quando sei bambino. Perché nonostante mi sentissi abbandonato, solo e deluso, mangiato da un dolore di un bambino che si domandava il motivo dell'abbandono, non potevo prendermela con un ragazzo che non c'entrava nulla.
Aprì la pietanza arancione, prendendo l'interno e metterlo tutto in bocca. Avevo una fame da lupi e avevo fatto la scorta per i giorni a seguire. Ero veramente agile, nonostante l'età, e mi piaceva tantissimo arrampicarmi sugli alberi.
Mi sistemai comodamente sul tronco e, guardando il bambino che si dilettava con la magia, notai dietro di me due uomini alti e robusti. Portavano una pelliccia d'orso che li copriva, probabilmente dal freddo; in effetti le temperature si erano parecchio alzate, e un fucile alle spalle.
Guardai quell'arnese a lungo, riconoscendolo. Tuttavia, ero sicuro di non averlo mai visto in vita mia.
Una considerazione mi balenò in testa, appena compresi che, in quel mese, avevo dimenticato tutto di me, senza apparente motivo.
Non mi ricordavo la mia famiglia, il mio luogo di nascita, il mio nome.
Mi ghiacciai sul posto, com'era possibile una cosa del genere?
L'uomo diede una pacca sulla spalla all'altro «hai sentito che stanno nascendo molti Gelida sul nostro territorio? Molti genitori stanno abbandonando o, addirittura, uccidendo i loro stessi figli per paura» aveva una lunga barba rossa e degli occhi azzurri.
Mi piacquero tanto. L'uomo di fianco a lui si grattò la testa nervosamente, si vedeva che fosse molto più vecchio, la barba bianca non poteva mentire «si, ho sentito. Poverini, dev'essere orribile per dei genitori mettere alla luce degli esseri simili» li ascoltai a lungo parlare, sopratutto lamentarsi di come, questi presunti "Gelida", dovessero morire.
Non sapevo chi fossero e tantomeno sapevo la magia che utilizzava quel bambino. Ingoiai velocemente l'ultimo pezzo della pietanza aspra e guardai i due uomini andarsene, ridendo alla figuraccia del bambino che aveva appena creato un albero parlante.
Corruccia la fronte, perché avevano paura dei Gelida, probabilmente questi erano qualcosa inerente con la magia, ma di quel ragazzo no?
Pensai a lungo, quando la testa iniziò girarmi e caddi all'indietro dal ramo. Il cuore mi batté forte e, istintivamente chiusi gli occhi, consapevole che di lì a poco sarei morto, o per lo meno, avrei perso l'uso di qualcosa.
Ma non fu così. La mia pancia venne a contatto con qualcosa di ruvido e spiacevole, che si attorcigliò fino a non farmi respirare. Aprì di scatto gli occhi, terrorizzato, e un ramo mi posizionò delicatamente a terra, per poi dileguarsi da dov'era venuto.
Buttai un sospiro di sollievo e mi girai verso il bambino che, con una mano alzata, cercava di rimettere il ramo al suo posto.
«È stato davvero gentile da parte tua, grazie» gli dissi mentre lui abbassava la mano e si tappava il naso «dovrai ringraziarmi solo quando ti farò fare un bel bagno come si deve. Ragazzino, da quanto sei qua?» mi sentì terribilmente offeso, ma ero smarrito e solo, non potevo che farmi dare aiuto.
«Non lo so, un mese forse?» la testa mi scoppiava e se avessi riavuto la memoria, probabilmente in quel momento avrei voluto la mia mamma.
Il ragazzo di fronte a me sospirò «allora come ti chiami?» scossi la testa mentre cominciai a piangere «non ricordo nemmeno quello» piansi a singhiozzi, non ricordavo più nemmeno la mia età.
Lui mi prese la mano e mi accarezzò i capelli «su dai, sei un ometto a cui piacciono tanto le arance vedo, avrai sui 6-7 anni, e gli ometti non piangono, d'accordo? Ti darò io un nome» singhiozzai rumorosamente e mi asciugai gli occhi, avevo scoperto il nome di quella pietanza «oh ci sono, Finn, ti chiamerai Finn» lo fissai confuso «Finn..?» lui annuì «Finn è la forma antica del nome Fionn, dal villaggio Lynn. Significa "dalla carnagione chiara" oppure "guerriero dai capelli biondi". E tu, mio caro Finn, lo sei» gli sorrisi e mi piacque molto quel nome, gli occhi da bambino dell'epoca videro in lui un eroe, il mio salvatore e la mia nuova famiglia.
«Ah dimenticavo, io sono Damon e se vuoi puoi venire a vivere con me.»
{Present}
«Marill porca miseria, che stai facendo?» urlai alla ragazza di fronte a me. Stava camminando nervosamente e velocemente, verso non so dove, e tutto questo mi urtava, e anche tanto.
Dopo che i Gelida ci attaccarono, corsi via con lei per metterla al sicuro, avevo rischiato la mia vita e quella degli altri per lei, e non sapeva dirmi nemmeno grazie.
Marill non mi rispose e camminò ancora più veloce. Seccato, alzai la terra verso di lei e la feci cadere «ahia Finn, ma sei impazzito, prova ad avvicinarti e ti faccio nero» urlò, alzando la mano.
Sapevamo tutti che non l'avrei ascoltata ne ora né mai, non che comunque Marill scherzasse quando diceva così, ne avevo prese di botte da lei, ma comunque quello non era il momento di scherzare. Mi avvicinai velocemente, parando una sua palla di fuoco, più debole delle solite.
Ero incazzato nero e non controllavo le mie azioni, non dopo ciò che mi aveva detto un Gelida.
«Marill...» provai a dirle, avvicinandomi a lei e inginocchiandomi. La guardai serio e con uno sguardo di scuse, così tanto che riuscì a farla stare zitta.
Marill singhiozzò e quasi non scoppiò a piangere, io le presi le mani. E, stranamente, lei non si ritrasse «non complicare le cose, va bene? Mi dispiace di averti portata via ma...» distolsi lo sguardo e strinsi i denti «mi sei rimasta solo tu e non voglio perdere anche te» buttai giù, più sincero del solito.
Lei scosse la testa e scoppiò a piangere, stringendo più forte le mie mani. Riconobbi quello sguardo, lo sguardo di chi si era sentita in colpa, di chi aveva abbandonato o perduto qualcuno; e rividi in lei il ragazzino che ero tredici anni prima.
D'istinto l'abbracciai e le accarezzai la testa, lei scoppiò in un pianto disperato e, mentre io le dicevo che andava tutto bene e che avrebbe -non avrei mai potuto usare avremmo- trovato il modo di uscire da questa situazione; capì che in realtà stavo solamente consolando me stesso e nient'altro.
Marill mi strinse più forte e continuò a piangere, mi sentivo impotente e, in ogni caso, egoista per ciò che avevo appena pensato, nonostante sapessi che fosse la verità. Poi, vederla in quello stato, non mi aiutava di certo «li abbiamo abbandonati Finn, come abbiamo fatto ad essere così meschini?» singhiozzò sulla mia spalla, vedere Marill debole, non mi piacque per niente.
Anzi, preferivo ricevere altre mille gomitate da lei, che vederla versare mille lacrime. Sospirai e continuai ad accarezzarle la testa «staranno bene, va bene? Non li abbiamo abbandonati, siamo solo scappati dal peggio, chiunque l'avrebbe fatto» lei si staccò e mi guardò negli occhi «sembriamo codardi?» scossi la testa e la fissai negli occhi «siamo stati solo furbi a fregarli.»
Quando Marill si calmò, mi ignorò categoricamente, costringendomi a tornare al campo.
Avevamo nuovamente discusso, non che ormai non fosse cosa frequente.....ma andiamo, perché doveva decidere sempre lei?
Le camminai a fianco e non osai dire una parola, non perché non avessi nulla da dire, ma perché non volevo rovinare quell'atmosfera.
Una puzza mi arrivò dritta alle narici, non seppi definirla subito, ma quando arrivammo nei pressi del campo, i sensi di colpa mi arrivarono come una lama fredda in petto.
Marill si mise dietro di me, con la testa sulla mia schiena, mormorando continuamente "è colpa mia", probabilmente i sensi di colpa la stavano mangiando viva. Non mi girai mai verso di lei e mi guardai attorno, cadaveri di gente che conoscevo, con cui avevo riso, condiviso momenti, con cui avevo mangiato e lottato.
Mi sentì in colpa anch'io, ma per fortuna non intravidi i nostri compagni morti. E di questo, anche la bionda se ne accorse. Non mi girai nemmeno in quella situazione, e mi sentì un bastardo.
Le presi la mano, superando i cadaveri e, nonostante non sentissi nulla, si moriva di freddo.
Entrammo nell'albero maestro, nella speranza di trovare qualcuno. Finalmente mi girai verso Marill, lasciandole la mano ma prendendola per le spalle «mi puoi aspettare qui? Torno subito, te lo prometto» le dissi e lei annuì.
Mi allontanai da lei, con un vuoto allo stomaco, non mi piaceva lasciarla sola, sopratutto in quello stato. La prima cosa che feci fu recarmi nella mia stanza, prendere dei vestiti e delle cianfrusaglie, e vestirmi con dei pantaloni in pelle e una giacca marrone. Presi anche un mantello e una spada, che non usavo mai, ma che a Marill sarebbero state utili e poi andai in cucina a fare provviste.
Girai tutte le stanze, cercando di trovare qualcuno, ma la biblioteca aperta mi fece raggelare il sangue.
Nel tavolo si trovava aperto il libro: "Streghe e Stregoni, libro vietato alla stregoneria " nella sezione: "maledizioni senza perdono, riportare in vita i morti", mi si rizzarono i peli nelle braccia quando notai che la pagina 560 era stata strappata.
Presi il libro e corsi nella scale ad est, amavo gli stivali bassi a contatto con le scale di legno, ma adesso dovevo solo trovare due cavalli.
Nel mentre Marill scese dalla scala ovest, anche lei si era cambiata e aveva una sacca simile alla mia.
Ci incontrammo al centro ed io, fissandola negli occhi, la fulminai con lo sguardo, ma poi scoppiai a ridere «ti avevo detto di aspettarmi qui» lei fece spallucce e mi diede un pugnetto nel braccio «quando mai ti ho ascoltato?» ricambiò il sorriso e non potei fare a meno di allontanare i brutti pensieri.
«Sei tornata come prima» affermai contento, ma lei mi ignorò, fissando ciò che tenevo in mano «cos'è?» chiese, prendendomi il libro dalle mani e leggendo tutto.
Lo fece cadere a terra e mi guardò terrorizzata «a cosa ti serve?» scossi la testa, per farle intendere che non fosse mio.
Lei si piegò a raccoglierlo «ma allora...» spostai lo sguardo a terra «c'è solo qualcuno che può fare certe cose, ed è Damon. E se Damon vuole riportare in vita Katy, deve sacrificare la vita della persona che ama di più» Marill mi guardò con gli occhi lucidi e la voce strozzata «ma se Katy è morta...» sussurrò, con la voce strozzata.
Io chiusi gli occhi e sospirai «e se Katy è morta, Damon deve sacrificare altro» raccolsi tutto il mio coraggio e, riaprendoli, la guardai dritta negli occhi.
Le trasmisi tutto il mio dolore e lei mi trasmise il suo «deve sacrificare me.»
Marill prese fiato e impallidì, cominciando a piangere.
«No Finn, non può essere, ci sarà qualcosa che possiamo fare.»
«È finita, per quanto Damon tenga a me, non può scegliermi a Katy» la guardai negli occhi e le accarezzai una guancia, asciugandole una lacrima «in fondo, non posso giudicarlo.»
Lei mi guardò interrogativa, ma in quello sguardo mi trasmise tutto l'affetto del mondo.
Anche se non lo dimostrava apertamente.
«Io farei lo stesso per te.»
~Angolo Autrice~
Lo ammetto, aggiornare in ospedale è figo.
Comunque, volevo fare una piccola nota:
Il nome Finn è una forma antica del nome irlandese Fionn. Deriva dal gaelico e significa "dalla carnagione chiara" oppure "guerriero dai capelli biondi".
Ovviamente, essendo un libro fantasy non poteva mettere l'Irlanda, perciò ho dovuto trovare un modo alternativo.
Infine, Lynn è un paesino a Nord di Ethal.
Grazie a tutti dell'attenzione.
Baci 😘
~Aly
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