3 agosto

«La cosa più divertente, quando raccontate questa storia a qualcuno, è che vi dipingete come tre pulcini smarriti senza di me, e invece poi non è affatto così» ridacchia Brenda mentre legge la bozza del capitolo dallo schermo del telefonino.

Si avvicina la metà di settembre e la spiaggia è ormai deserta, ma gli aperitivi nei dintorni sono ancora una piacevole abitudine prima di iniziare la vita da universitarie.

«E poi, se foste così perse, non andreste a fare le universitarie a Bologna».

«Beh che c'entra» replico, «Bologna è a un'ora da qui. E poi dovresti convincerti a venire pure te, ci divertiremmo come pazze».

«Già lo vedo Gek, con una persona in meno in negozio e una in più da mantenere fuori casa. Si sentirebbero le lamentazioni fino a Rimini».

«Ma potrebbero accadere bellissime avventure come a Barcellona, anche se lì i moli non ci sono».

«Per fortuna!» risponde lei, ma evita di continuare il discorso su Bologna.

Brenda e la Tina erano uscite dalla discoteca dopo che Brenda non se l'era sentita di stuprare i pezzi di Dua Lipa. Avevano gironzolato ridendo come sceme e poi si erano spinte sul Puente de la Puerta de Europa, per poi scendere per i moli del nuovo terminal. Avevano seguito le indicazioni per i traghetti diretti a Ibiza perché la Tina ubriaca, continuava a sostenere che Barcellona fosse noiosa e che il suo desiderio più grande fosse andare ad Ibiza.

E da qui in poi la versione unica disponibile è quella ricavata dalla testimonianza della Tina, che sostiene che le due si siano imbattute in una coppia di ragazzi intenti a realizzare un graffito sui cubi di cemento a protezione del terminal.

Brenda, incantata, era rimasta a fissarli per un tempo, a detta di Tina "interminabile" ma alla fine, come ogni buona storia che tratta di graffittari, era arrivata la polizia o comunque della gente che aveva sbraitato per quel comportamento ritenuto più vandalico che artistico.

Tina se l'era data a gambe partendo come una fucilata, e Brenda non le aveva tenuto il passo.

Dai tempi delle medie tutti sapevano che la Tina era una quattrocentostacolista mancata: nei momenti di tensione era in grado di sprigionare una velocità di fuga che avrebbe fatto impallidire una giamaicana. Così la nostra caposquadra si era trovata a cercare un luogo per nascondersi in brevissimo tempo, e saltando da un bancale all'altro, si era ritrovata nella stiva di un traghetto della Balearia.

Qui le notizie si fanno incerte. Pare che sia inciampata battendo contro delle merci stivate, fatto sta che si era svegliata a un orario imprecisato, mentre il traghetto era già in navigazione. Destinazione sconosciuta.

Nel frattempo, noi ci eravamo ritrovate con la Tina che ci aveva raccontato tutta la parte che conosceva. Davamo la caposquadra smarrita per Barcellona, senza cellulare e probabilmente senza documenti.

«Porca troia il mio Iphone 6!» aveva latrato la Cate.

La Tina aveva implorato Taiwo di aiutarci a trovarla ma il suo tamtam non aveva portato a nulla. Ci aveva portate nel luogo in cui era successo tutto, ma non c'erano tracce di Brenda o dei suoi effetti personali. Probabilmente qualche passante aveva già provveduto a ripulire la borsetta, lanciata chissà dove.

«Dobbiamo chiamare Gek» avevo detto, con aria grave.

Ovviamente, tutto quello che dico è frutto del racconto di Brenda, potrebbe tranquillamente essere tutta una fregnaccia. Ma tendo a fidarmi di lei.

Quando aveva capito di essere su un traghetto, aveva realizzato subito di esservi in maniera clandestina, e i clandestini non sono mai ben visti a bordo delle navi. Non vengono più cacciati giù con la sciabola puntata alla schiena, ma si rischia comunque un bel casino.

Lei, peraltro, non aveva più con sé né documenti né cellulare, smarriti chissà dove nella precipitosa fuga che poi, ripensandoci, manco la vedeva coinvolta direttamente. Forse, per una volta nella vita, si era fatta prendere dall'agitazione abbandonando la sua rinomata razionalità e fuggendo.

Ma le scappava pure di andare al bagno. E così, con molta attenzione era riuscita ad uscire dalla stiva raggiungendo i ponti e cercando i servizi.

La sua attenzione venne catturata da una lunga serie di imprecazioni, non tanto per l'originalità dei santi elencati, quanto per il fatto che chi le stesse proferendo fosse palesemente italiano. Il ragazzo, che doveva avere più o meno l'età di Brenda, malediva la Spagna con una voce grossa e inaspettatamente profonda, mentre percorreva velocemente il corridoio.

Alto, spalle molto larghe, capelli ramati portati corti con solo il ciuffo in avanti, gli occhi di un marrone molto scuro. Bestemmiava parecchi santi e Brenda lo aveva ignorato saggiamente, era rimasta low profile, e dopo aver trovato il bagno e averne usufruito, aveva cercato di non dare nell'occhio. Ma anche lì era stata raggiunta da uno sguardo interessato.

Non era il secondo ufficiale dalla mascella squadrata. Era più semplicemente un ragazzo spagnolo di nome Javier (si oh, vabbè, non ho fantasia nei nomi, non rompetemi le palle) diretto a Ibiza per un po' di giorni "memorabili". Sul traghetto aveva scambiato qualche parola proprio con il ragazzo italiano dalla blasfemia facile che Brenda aveva incrociato poco prima, e già lo considerava il suo migliore amico, in virtù dei tre mojito assunti al bar di bordo nelle precedenti due ore.

Era stato un po' per scrollarsi di dosso quella nuova appiccicosa conoscenza, in realtà, che l'italiano si era offerto di andare ad aprirgli la strada con quella ragazza così schiva e solitaria.

Era partito tutto baldanzoso, anche se sotto sotto non si sentiva molto pronto per attaccare bottone in spagnolo. Dopo uno scontatissimo «Hola chica, cómo estás?» si era già trovato a grattarsi imbarazzato la nuca, terribilmente a corto di idee.

Brenda lo aveva fissato inespressiva come suo solito, metteva sempre su una maschera di cordiale indifferenza con gli sconosciuti, ma il fatto che l'avesse sentito parlare in italiano solo pochi quarti d'ora prima, l'aveva incuriosita: poteva esserle utile per rimettere a posto quel piccolo casino. Quando il ragazzo aveva ricominciato a smoccolare la Trinità in modo sommesso, tra i denti, lei aveva deciso di affondare il colpo.

«Vuoi dire qualcosa anche contro la divinità del mare? Ci starebbe bene» aveva ironizzato Brenda.

«Ma sei italiana?» aveva chiesto lui, tramortito per la doppia figura di cacchina.

«Te lo dico solo se non ci provi».

«Oh, no, in realtà non ero venuto qui per questo, ma ci sarebbe il mio amico spagnolo interessato» aveva replicato lui, indicando con un'occhiata il suo fresco nuovo compañero che tamburellava nervosamente le dita sul quarto mojito.

«Mi spiace, sono impegnata, ho la ragazza».

«Oh» aveva detto lui, un po' stupito, ma poi aveva ripreso vigore «E allora cosa fai completamente sola verso Ibiza?».

«Una bella sforchettata di cazzi miei».

«Va bene, ci sta, comunque io sono Corrado, e torno a riferire» aveva concluso lui, ripartendo.

Quando aveva riferito tutta la questione, quell'altro, sinceramente turbato, si era allontanato smozzicando qualcosa contro le «malditas tortilleras».

Rimasto solo, Corrado si era riappressato a Brenda.

«Vabbè, tanto sei lesbica, di sicuro non ci proverai con me. Sono al sicuro».

A las cinco de la tarde, mentre quei due sbarcavano dal traghetto per Ibiza e la finta tortillera tirava un enorme sospiro di sollievo, noi nel frattempo non avevamo combinato una beata fava ed eravamo sempre più nel panico. Io ero tornata ad insistere che era meglio chiamare Gek, che un'assenza di quasi venti ore di Brenda era una notizia pessima e che quella fuga poteva anche essere finita in maniera tragica lungo un molo attorniato dall'acqua, visto che la nostra caposquadra non era una nuotatrice proprio provetta.

«Gek che cosa può fare dall'Italia?» aveva sbottato la Tina, «andiamo alla polizia, piuttosto!».

Taiwo non era proprio contentissimo che la polizia poi venisse magari a fare dei rilievi nel suo appartamento dove Brenda aveva dormito per una settimana, né noi potevamo raccontare di essere state una settimana per strada. Eravamo in un vicolo cieco, e la coppia della vacanza aveva iniziato una discussione a cavallo tra l'italiano, lo spagnolo e le parolacce in inglese.

Mi erano saliti i rimorsi per aver passato una serata a spassarmela con un tizio mentre Brenda spariva nel nulla. Ed ero scoppiata a piangere pensando che non me lo sarei mai perdonato se le fosse successo qualcosa di brutto.

«Scusate! Scusate! Non dovevo farmi prendere, non dovevo rimanere a fare sesso col tipo. Dovevo uscire con voi, che stronza sono stata!».

La Cate, contrariata, mi aveva chiesto «Anche ieri sera hai fatto sesso?!».


«Ma hai veramente la tipa?» aveva chiesto Corrado a Brenda, appena scesi dal traghetto.

«No, era per liberarmene definitivamente. Non ho voglia di scocciatori attorno».

«E a me cosa dirai, per liberarti?».

«Tra poco te ne andrai da solo, sei a Ibiza, patria del divertimento».

Divertito dalla risposta, Corrado le aveva invece raccontato un po' la sua situazione reale:

«In realtà, non ho voglia di stare qui, devo andare a Palma».

«E non potevi andarci direttamente?» aveva chiesto Brenda, pensando che anche lei poteva andarci, per stare dalla Mory e da Mick mentre sistemava quel piccolo guaio, ma era completamente sprovvista di documenti.

«In realtà, ecco, dovevo andare ad Ibiza con un'amica, ma lei mi ha dato buca all'ultimo istante e così ho cambiato i programmi, andrò a casa di mia sorella a Palma. E poi vedrò».

«Che c'è? Stai scappando di casa?» aveva chiesto lei, divertita.

«Non proprio, ma diciamo che a casa non va proprio benissimo, mi sto prendendo una pausa dai miei genitori».

Brenda si era fatta silenziosa, ripensando alla sua situazione e al fatto che lei avesse solo Gek. L'avrebbe dovuto chiamare, si ricordava a memoria il suo numero, ma non voleva farlo stare in pensiero e poi comunque era tra la civiltà e non in mezzo al deserto.

«Mi piacerebbe venire a Palma, anche io conosco due persone lì che sono quasi degli zii».

«Vieni con me, dobbiamo solo trovare i soldi».

«Non ho documenti con me».

«E come hai fatto a viaggiare sul traghetto?!» aveva chiesto lui, esterrefatto.

«Lunga storia. Devo fare denuncia di smarrimento».

E così avevano passato le successive due ore in un commissariato a sporgere denuncia di smarrimento dei documenti, poi un'altra ora dalla viceconsole onoraria per mandare tutta la documentazione a Barcellona per ottenere un documento provvisorio, e si erano fatte le nove di sera.

Avevano gironzolato un po' per cercare un alloggio economico e si erano dovuti accontentare di un posto veramente basic, dopo una scarpinata infinita, che li aveva lasciati stravolti e dormienti dieci minuti dopo aver messo i piedi nella camera.

Ora arriva una parte che forse non metterò nel libro perché è superflua, o sì, dipenderà da cosa mi dicono le lettrici. O forse cosa mi dicono le mie amiche, in fondo la vacanza è stata anche la loro.

Quella sera, nella preoccupazione di non ritrovare più Brenda, ero uscita. In appartamento il clima non era per nulla buono: Taiwo e Tina avevano discusso seriamente sul fatto di denunciare la scomparsa di Brenda e quindi attirare la polizia dentro casa del ragazzo. Lei aveva messo l'amica davanti ai problemi del suo boy temporaneo e questo a lui non era piaciuto.

Aveva detto semplicemente che Brenda «Finalmente encontró a alguien que la folla».

Ok, Tina al verbo "follar", cioè scopare, si era girata male insultandolo perchè non si doveva permettere di dire certe cose di Brenda, e lui, squadrandoci, aveva chiesto semplicemente «¿No viniste aquí a follar?».

Avevamo seguito Tina nella camera, mi aspettavo che la Cate dicesse qualcosa di ironico sullo stile del suo amichetto, che in un colpo solo ci aveva dato delle zoccole a tutte e quattro, ma aveva semplicemente abbracciato Tina, e poi avevano iniziato a piangere sommessamente.

«Dai Tina, non ha capito nulla di noi, e sinceramente non me ne frega niente, pensasse quello che vuole» le aveva detto Cate.

«Brenda non si è imboscata con qualcuno, sono sicura, è per quello che dobbiamo andare alla polizia».

«E ci andiamo, e lui si fotta. Al massimo gli troveranno del fumo, capirai! Con tutti gli amici che ha in commissariato» avevo aggiunto, ironica.

Eravamo rimaste lì, strette tra noi, per un po' di tempo, poi Tina si era ridestata, avviandosi verso la porta.

«Dove vai?» le avevamo chiesto entrambe.

«Vado... provo a convincerlo».

Cate si era ributtata sul cuscino sbuffando. Dopo circa quindici minuti di discussione, avevamo iniziato a sentire ansimi e gemiti, e la cosa si era appesantita parecchio nel giro di pochi attimi.

«Vaffanculo» aveva sbottato la Cate che si era infilata una maglietta e mi aveva intimato di andare con lei «a sbronzarci e fare le zoccole».

Non avevo opposto la minima resistenza perché nella mia mente si stavano già formando scene turpissime della Tina che cercava di ammansire Taiwo. Ma una volta fuori, per le strade incasinate, mi era scesa una gran tristezza, una grande ansia per Brenda e non so perché mi ero messa a scriverle su whatsapp del messaggi di scuse che non avrebbe mai letto, ma volevo scriverli lo stesso perchè magari le avrei fatto leggere le copie sul mio cell, semmai l'avessimo ritrovata.

Mi sembrava di sgravarmi del peso che avevo sul cuore per quella situazione. Non era uno scaricare il barile, era più una specie di flusso di pensieri dedicato a lei, che sapevo essere da qualche parte nel tentativo di rimettersi in contatto con noi.

Poi la notifica di un messaggio mi aveva interrotta. A scrivermi era il tizio della sera prima, dicendo che era stata una cosa pazzesca in quel bagno, in quella discoteca. Ammetto di essermi immersa in quella chat, perché lui non ci aveva messo molto a diventare esplicito. E io non ci avevo messo molto a calibrare il mio registro sul suo, mentre la Cate ballava qualche ritmo latino non certo indimenticabile strusciandosi contro tipi fisicamente validi.

"Ok, dai, non credo che la mia assenza sarà un problema per lei" avevo pensato, e un quarto d'ora dopo mi ero trovata con lui sotto il monumento a Colombo.

Sono una brutta persona, lo so, ma quando avevamo iniziato a sbaciucchiarci, avevo capito che sarebbe finita più o meno come la sera prima. E le mie previsioni non erano state smentite. Così mentre la nostra caposquadra era dispersa chissà dove, io mi lasciavo andare alla mia terza notte bollente a Barcellona.

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