Preliminarìs Actìs-et-Gestae ac "De Bello Avrelico" VI Aptvs Non (1/9)
Un ricordo
Otto anni prima, in Pardaminia Gioiellantìs...
Uno scatto metallico, scuro in mezzo alla neve. Silenziosa, lei fluiva con disinteresse.
Il suo colore era quello d'un lenzuolo lasciato esposto, per settimane e settimane, alle ceneri industriali dei Manifactorvm.
Cadeva ininterrotta dal giorno dello sbarco su quella palla di ghiacciai, gole, pianure innevate e fiumi gelidi da fare schifo. Anzi, da prima.
Un braccio alzato a mezz'asta, incontro alla linea della spalla. Il fiato dei milites-astra e delle bestie si condensava in grigi sbuffi di condensa, appena distinguibili dai sospiri del vento. Da aperta e con tutte le dita distese, la mano dell'ufficiale si serrò a pugno.
«Basilisk onagriòn, presentàs! Ordo: cautione!»
Stretto nel suo cappotto da cadetto-commissario, Kyriako rabbrividì per il freddo. Era continuo, laggiù. I termometriòn segnavano una massima di minvs quattro gradi, ma considerando le brutali sferzate dei giorni precedenti, assieme ai picchi delle minime, quella era una giornata calda.
La voce del capitano di batteria gli parve molto arrochita, come quella d'un assetato che non poteva permettersi di chiedere dell'acqua per placare la sete. Sporgeva un residuo accento di volgo torvo e bruto.
In una situazione diversa, magari più calma, distante da una che lo vedeva seduto all'Imperator-Dio soltanto sapeva quante migliaia d'anni-luce dalla Sacra Terra e dal bruciante Mercurio, il cadetto-commissario non l'avrebbe distinto da un qualsiasi, anonimo abitante di formicaio. Se l'avesse sentito parlare con quell'esatto tono, rivolto a degli amici oppure ad un conoscente, gli sarebbe venuto istintivo ignorarlo.
Chi non l'avrebbe fatto?
Pensandoci, non gli veniva in mente un solo nome che si sarebbe astenuto, che avrebbe dedicato dell'attenzione a lui.
Nemmeno uno dei suoi curiosi commilitoni del plotone di cadetti-commissari del lord commissario 'Talisseòn.
Plotone. Squadra d'avanzi, ormai, era più adatto.
All'inizio sì, erano stati un battaglione. Cinquecento-e-sessantadue anime, quattro classi intere dalle aule di Hyur-Maltha, Traianikea e Scintilla Terrana. Nove giorni dopo lo sbarco, in occasione d'una conta dei superstiti, da un battaglione intero s'erano ridotti ad un mezzo battaglione.
Trecento-e-due anime.
Quattordici giorni dopo, il mezzo battaglione era stato raffazzonato ad una compagnia mangiucchiata. Cento-e-quindici anime.
Venti giorni dopo? Settantuno.
Ventuno giorni? Quarantanove.
Sessanta giorni dopo lo sbarco? Erano in sette.
Settantatré giorni e sei ore dopo lo sbarco?
Erano rimasti in cinque.
Uno era Carmenactìs, l'altra Melessa Varra. I primi due degli sconosciuti. Proprio come quel capitano d'artiglieria.Una testa del popolino sottostante alla Hyur-Maltha, una di tantissime. Anonima.
Dimenticabile.
Ma in quella spazzata rocciosa, sporcata dalla neve scurita che fioccava giù dal cielo? Lì, stante in piedi sul suolo di un mondo lontanissimo dalla Sacra Terra, addobbato nella sua uniforme bianca? Quell'uomo era un maestro d'orchestra e quelli erano i suoi comandi.
L'apparatvs-vox che gli era offerto dalle tremolanti mani d'un valletto-tamburino innalzava la sua voce ad un livello udito in lungo e largo.
Cinquanta postazioni, arroccate in dieci grappoli da cinque bocche da fuoco alzate incontro al cielo, la ricevevano forte e chiara sopra alla statica di disturbo e rifrazione.
«Adverba-menta, presentàs!»
L'equipaggio del pezzo d'artiglieria non aveva davvero bisogno che quel comando venisse ripetuto ad ogni tiro per sapere quando espletarlo, o come: erano ore che ritornava, ogni volta sempre uguale alla precedente, scandito con un senso meccanico dall'ufficiale con i capelli biancastri e la voce roca.
Seduto sulla sua pietra, lì fuori al gelo, Kyriako aveva visto gli artiglieri all'opera per così tanto tempo da avere perso il conto delle ore trascorse. Sentiva a malapena le sue dita, morse dal freddo, ma le poteva vedere mentre formicolando, erano scosse dai tremori portati dal gelo.
Quella era una risposta fisica sulla quale non aveva molto controllo.
Una maniera delle sue mani, insomma, di combattere sia il freddo che il lungo immobilismo. Avrebbe potuto girarsi verso il fuoco acceso dai suoi compagni di squadra, il falò più fumoso che fiammeggiante alimentato a dadi-policarbvri da Carmenactìs, ma l'automatismo nei gesti di quelli artiglieri all'opera era...
Era ipnotizzante.
Seduto sulla sua pietra, in attesa d'essere chiamato dal suo maestro, il cadetto-commissario si sentiva capace di distinguere, riconoscere, etichettare e scandire tutti i vari, numerosi momenti componenti della missione di fuoco in corso.
I proiettili già esplosi giacevano in pile fumose, lontani dalle braccia dei cannoni. All'inizio della sua osservazione, ogni cumulo era stato alto due o tre livelli, un pugno di macro-bossoli d'artiglieria automaticamente espulsi dalla culatta.
Appena uscivano, incandescenti e svuotati del loro potenziale, gli scarti dei colpi venivano spinti lontano, ad opera d'uno dei serventi-artiglieri al pezzo, tramite brevi, metodiche spazzate con un bastone di ferro.
Le montagnole erano cresciute. Sparato quando il comando di sbarramento era stato disposto dall'Alto Comando Avanzato e nelle ore immediatamente successive, il fondo s'ammonticchiava contro la terra fangosa frutto della neve sciolta.
Gli anelli mediani, per così dirli, risalivano alle ore più dense della notte. Era ben strana la notte di quel mondo di Pardaminia; nel cielo apparivano stelle che non aveva mai visto, diverse dalle costellazioni del cielo terrestre e mercurianeo, arrangiate in forme che non riconosceva.
Da qualche parte nell'emisfero australe, forse in alto, giacevano i post-bagliori più lontani dell'Astralìs Sector di Releil.
Lì c'era un luogo, un mondo di nome Trikelia, reputato dall'Alto Comando Avanzato rilevante al punto da motivare tutto il dispiegamento lì, su quelle terre di Pardaminia.
Era buffo. La sua stella era una di quelle che mandavano bagliori? Se lo era, appariva così piccola da potere essere presa in una mano e stretta fino a scomparire.
Kyriako sapeva benissimo che si trattava soltanto d'una illusione ottica, un trucco della prospettiva, ma non riusciva a smettere di rivolgere un pensiero a quell'idea, a quello che voleva dire.
Combattevano per Pardaminia o per quella Trikelia? Era importante? Allo stesso modo dell'identità degli artiglieri e la ripetuta metodicità delle azioni, probabilmente no. Osservare ulteriormente l'operato dei cannoni basilisk era inutile e lui lo sapeva, ma quella precisione era meravigliosa.
Una danza meccanica, staccata in stanze precise.
Bacchette di ferro, anzi veri e propri bordoni in bronzo, sbattuti ad ordinata valanga contro i piatti di tantissimi tamburi, le colline oggetto del bombardamento.
Parevano doversi sbriciolare da un momento all'altro, martellate con l'avvicendarsi sempre più fitto delle salve.
Nelle ultime dure il ritmo degli spari era cresciuto, come se nuovi...
L'arco d'un mezzo istante bastò all'equipaggio, che s'assiepò ai propri posti di combattimento con la precisione d'una agitata schiera di myrmidonie-guerriere.
«Charigièr basilisk!» Tuonò il capitano scoccando un cenno dell'indice alla piramide delle granate cariche, pronte al fuoco.
Due sottoposti accorsero al fusto, la culatta per la camera di lancio aperta da un terzo servente al pezzo. Uno reggeva una granata lunga quasi quanto il suo stesso tronco, l'altro lo tallonava con un'asta metallica.
Proiettili da Scuoti-Terra. Frantuma-i-cieli. Iper-soniche testatae-ordinative in martian-ferrvm battuto, blindato con un rivestimento in durissima acciaierite.
Erano armati con una carica esplosiva, di quelle pesantemente armate al phosporèx ed al transuranium arricchito.
Se la detonazione non uccideva i vili xeno invasori, allora le radiazioni li avrebbero perseguitati per il resto dei loro lunghi giorni. Il giovane non avrebbe saputo perché, se soltanto glielo avessero chiesto, quel pensiero lo divertiva meno delle scritte incise a gesso sulle granate.
Una di quelle esplose nell'ora che s'era appena conclusa aveva avuto, tracciato su di sé in uno scarno Basso Gotico da poveri, un semplice augurio di buon compleanno.
Probabilmente sardonico.
La granata appena presa, invece, riportava la scritta: "Ripetete quella storia della Moglie Zevonese, adesso."
Un'altra, in attesa d'essere esplosa eppure ben visibile in cima all'ordinata montagnola, aveva inciso su di sé un paio di lettere, una littera-xetha ed una littera-deltha in quelli che a lui sembravano erroneamente dei semplificati, maiuscoli caratteri Basso Gotici.
Era stato il tecno-prete assegnato al cannone ad apporla, quindi probabilmente si trattava d'una specifica codificazione liturgica comprensibile soltanto agli ordinati del Cvltvs di Marte.
I tecno-preti erano gelosi dei loro segreti.
Un singulto metallico annunciò l'appoggio della granata sul carrello d'avviamento. La pertica la punse al fondo, stringendola in una presa.
Nell'attimo seguente, la stretta divenne una forte spinta in avanti e il proiettile svanì nella cassa del basilisk, la culatta subito chiusa.
«Check ignitione.»
«Check ignitione!», annunciò il tecno-prete asservito alla postazione, chino ad osservare una finestra cogitator-quadrante incassata su di un ramo blindato del cannone, dietro il riparo dello scudo balistico. «Astantès-pro-dictato, in attendentia!»
Trascorse un corto secondo, quindi il prelato del Cvltvs di Marte alzò un sintetico, ferroso pugno chiuso. Un segnale di via libera, lo riconosceva. «Ignitione positiva! Granata accettata.»
Al capitano non serviva rispondergli, né richiedere una seconda conferma.
Se il tecno-prete sosteneva che il cannone aveva accettato il colpo ed era, quindi, pronto a fare fuoco, allora quella era una verità sacrosanta e non v'era alcun bisogno di dubitarne.
Gli Spiriti-Macchina parlavano con loro.
«Al tre, ignis-solutio per effecto su latitvdo sixta-unum, longitvdo decam-plvs-tertia o'zero-tre.»
Ora il capitano del pezzo stava dettando le coordinate. Non erano diverse, almeno a primo udito, da quelle a cui aveva rivolto tutti gli altri ottantuno colpi precedenti.
Ne avrebbe sparati altrettanti? Kyriako ci sperava. Ogni granata volata in testa agli Aeldarìs era una restituzione per quello che avevano fatto invadendo Pardaminia, per i morti e i feriti e gli stupri e gli incendi.
Vendetta, giusta e sacrosanta. Lo diceva il Sommo Ecclesiarca.
«Cinque 'ward occidentalìs, centvria-quattrodecima-novem, quinque-decem-plvs-due, o'duem-duem-tertia, ovesturìa.»
In Basso Gotico, pensò Kyriako, quelle terminologie sarebbero emerse come una sequenza di numeri-in-segno e grafiche d'avvertimento. Rammentando le sue lezioni, provò ad immaginarla scorrere innanzi a sé, ritenendo che scriverla nella neve sarebbe stato sciocco.
"61°13'03.5"N 149°52'04.3"W."
«Altio pro correctione!» Esclamò il tecno-prete. Al suo comando seguì subito l'azione d'uno degli artiglieri, velocissimo a raggiungere le leve e i circoli, unti d'oli-lubrificanti santi ed aspersi d'incensi sacri, che permettevano d'apportare modifiche all'angolo, l'elevazione e l'azimvth del tiro.
«Correcto?»
«Correcto!»
«Unvm! Dvem! Tres!»
«In-via!», urlò il sottoposto che stringeva la fune d'innesco, lo stesso che pochi istanti prima aveva aperto la culatta per favorire il transito della granata con l'incomprensibile codifica incisa sopra.
«In attendentia per dictato ignis-solutio per effecto.»
Distolta una mano dal volume di coordinate che reggeva innanzi a sé, il capitano della batteria scagliò un cenno all'orizzonte. «Frantumategli il cielo!»
«Ignìs!» Avvertì l'artigliere con l'innesco, strattonando per avviare lo sparo.
Kyriako vide il cannone sussultare all'indietro, sospinto dal tuono assordante che volò dal fusto. Un cerchio di super-sonica frattura, circolare ammasso d'aria e neve, divenne visibile per un secondo allo sparo, subito scacciato e disperso.
L'eco gli punse i timpani, vibrandogli contro una nota dolente.
Molto in lontananza, verso il crepaccio dell'Antico Cainateo, esplose un boato temporalesco, schiacciante e assordante pure a cinquanta chilometri di distanza.
Quello sparo ne precedette altre quarantanove, lo spartito dei tamburi del 12esimo Reggimento d'Artiglieria delle Sentinelle Palatine della Sacra Terra. La collina loro bersaglio tremò, eruttando fumi vulcanici da cinquanta impatti affastellati e vicini.
In mezzo agli scoppi, alti geyser di terra bruciata e fiammate, avvamparono scintillii cerulei e lampi, fulmini globulari eburnei che splendevano per un momento prima di svanire nel nevischio.
Erano Void-Aegidaì. O meglio, la contraffatta, xeno-corruzione artefatta dello stesso identico concetto, degli scudi energetici a scopo difensivo.
Gli Aeldarìs erano ancora laggiù, dunque. Non si sarebbero ritirati. Meglio così, presunse il giovane cadetto commissario stringendosi nelle spalle indolenzite. Coloro che avevano portato il vento ora se ne stavano, arroganti e spavaldi, in ignara attesa dell'uragano.
«Charigièr basilisk!»
«Charigièr basilisk!» Reiterò il caricatore, ritornato dopo avere scacciato la granata esausta. «Protracta Ignìs-Missione per effecto. Octo-Decima-plvs-duem, ad-via!»
Ottantaduesima cannonata.
Dall'ala sinistra del perimetro fortificato provennero quarantasei altre cannonate, simili a quelle del 12esimo Reggimento. Aria e terra sussultarono, martellate dalle accelerazioni iper-soniche delle granate da sbarramento.
A ridosso d'un costone di roccia nera e ghiacciaio perenne, circa un chilometro e mezzo ad est dalla posizione bombardata un momento prima, il suolo eruttò quarantasei bolle di fuoco rosso e bagliori bianco-azzurrini, luminosi in mezzo alle colonne di fumo.
Il lascito delle precedenti salve esplose dal 243esimo Reggimento d'Artiglieria di Hyrkan. Alle spalle del 12esimo e del 243esimo, altri duecento cannoni appartenenti a tre diversi reggimenti esplosero le loro salve sulle posizioni già colpite.
Quando finirono di tuonare ed urlare, i cinquanta cannoni del 12esimo esplosero una nuova salva, identica nelle meccaniche a quella che l'aveva preceduta.
Kyriako ebbe l'impressione, bellissima e per questo poco affidabile, di vedere un minor numero di bagliori intercettori alzarsi a contrastare la raffica.
Che stessero finendo l'energia per alimentare gli scudi?
Una marcia di stivali duri e chiodati si stava avvicinando. Spazzandola via dal proprio cammino, facevano sospirare la neve sporca che imbiancava la spianata. Sentirli lo scosse dal suo torpore, lasciandolo bruscamente conscio del freddo che l'attorniava.
Del freddo e del perché stavano venendo da lui.
Era quella la chiamata al risveglio che aveva atteso. Si alzò in piedi su gambe fatte malferme dall'immobilismo, voltandosi incontro ad una delegazione d'esausti fanti del Nono Reggimento guidata da una pretessa e dal lord commissario 'Talisseòn Rodrighia.
Il suo maestro.
«M'lord signore» Kyriako si volse a fronteggiarlo. Salutarlo sarebbe stato un errore da principiante, da allievo scholar cadetto-commissario al primo mese di lezioni.
I vili xenos impiegavano degli stregoneschi tiratori scelti e prendevano di mira gli ufficiali. Non intendeva regalare loro un bersaglio gratuito.
Il vecchio lo saggiò con occhi duri, del colore della corteccia degli alberi dei giardini del Parco della Galactica Victoria Universalìs.
Occhi da uomo dell'Antiva Sector.
In quei giorni non s'era rasato per mancanza di tempo e di volontà, lasciandosi crescere una ispida barbetta castana sul mento. Ancora non completamente rimarginata, una slabbrata cicatrice da colpo di catapulta-shuriken gli disegnava un ghigno distorto sulla guancia destra. Se l'avesse colpito sempre di sfioro ma soltanto d'un millimetro in meno, il proiettile alieno gli avrebbe strappato il viso.
Notò che reggeva due metalliche tazze di raecaff. Gliene porse una senza fare complimenti, sorseggiando poi dalla propria.
Un retrogusto alcolico punse Kyriako alla gola, facendolo tossire. Una manica di gocce d'intruglio volò sulla neve, che scavarono con foga bollente
«L'ho corretto con dello scotch», l'avvisò il suo maestro. «Credo che questo sia il tuo primo drink, ragazzo. Mi sbaglio?»
«No, m'lord signore.» Quella robaccia sembrava un secchio di fottuto fuoco. «Non avevo mai bevuto niente prima... prima d'oggi.»
A Lyriana piace il lactìs-agitato.
Lord 'Talisseon piegò le sue labbra pallide in un ghigno sardonico. «Allora benvenuto nel mondo degli adulti, Kyriako. È grande e spaventoso, fa schifo, è ingrato come la vera e propria merda e comprende orribili drink.»
«Grazie dell'accoglienza, m'lord signore...»
Lo sentì sospirare, vedendolo poi togliersi il capello da commissario per pulirsi la fronte da un misto di neve liquefatta e sudori freddi. Era stanco. Mortalmente stanco, anzi. Anche se lo desiderava, Kyriako non gli poteva dire di riposare perché non era un commissario.
Non gli poteva dare il cambio.
Sospirò ancora. Che cos'aveva nel petto che cercava di buttare fuori così disperatamente? Era la stessa cosa che pensava lui? Aveva senso chiederglielo? Fatta dondolare la sciabola potenziata, sulla cui guardia aveva appoggiato la mano libera, lord 'Talisseon «Siamo pronti per il rites per Ignatius.»
Kyriako annuì. Sapeva che cosa voleva dirgli. Non era un uomo molto loquace e quando sprecava le parole lo faceva comunque con avarizia, ma teneva fede ai suoi impegni.
Senza indugi, né aspettarlo o dirgli di seguirlo, il lord commissario s'avviò incontro al principio delle retrovie, dietro l'ultimo reggimento di cannoni basilisk intenti a sparare.
Raccolto il proprio zaino da campagna e il las-fucile, con i compagni che lo tallonavano assonati, Kyrialo si mise alle calcagna del suo maestro, affondando passi stanchi nella neve sporca.
Un soffio di vento s'alzò impetuoso, sbattendogli una pioggia di dardi ghiacciati contro il mento imberbe.
Il ragazzo si tirò in spalla lo zaino, alzò la sciarpa cucita da Lyriana perché gli coprisse la bocca e parò il braccio sinistro innanzi al proprio volto così da proteggere gli occhi dagli aculei ghiacciati.
Odiava quel pianeta. Odiava quel vento, irto di schegge gelide e degli odori di policarbvri degli enginarivm dei mezzi corazzati.
Odiava quell'evenienza, anche, ma il dovere finiva soltanto nella morte. Quello glielo aveva insegnato proprio il suo maestro e, per l'Imperatore-Dio, lui non dimenticava le sue lezioni. Non l'aveva mai fatto. Non l'avrebbe mai fatto.
Mai e poi mai.
Sulla via intermontuan-urbana, la sagitta di tarmacasphalta attorno alla quale era sorto quel settore degli accampamenti, rullava e tempestava una colonna corazzata.
Rinforzi appena fatti affluire da un qualche altro lontanissimo fronte per prendere parte all'imminente offensiva risolutiva contro gli eldar... o, almeno, così aveva sentito dire.
Lontani un centinaio di metri dai suoi piedi e tutti infreddoliti ed assiepati sui loro blindati e sugli scafi d'una dozzina di mezzi corazzati, sarebbero quasi potuti passare come soldati della prima ora.
Quasi. Schieravano tre sbuffanti carri armati Leman Russ verde oliva, con la pittura mimetica scrostata in più punti e bagnata dalla neve. Dietro ai voluminosi corazzati da battaglia incedevano cinque carri un po' più piccoli, dalle linee percettibilmente più morbide degli alti e spigolosi 'Russ.
Su quei mezzi, degli Sherid-Maenn Claymoria Atalantika Pattern-M2, sedeva quello che ai suoi occhi sembrava un plotone intero di giovani ragazzi e ragazze stretti in un'olivastra, verde divisa da fatica. Erano infreddoliti, nonostante le armature anti-schegge marroncine, i camo-mantelli e le retine mimetiche sugli elmetti a calotta larga.
Erano infreddoliti e con mimetiche pensate per un luogo ben diverso da Pardaminia. Giberne scomposte, alcune addossate agli elmetti, altre drappeggiate a bandoliera sull'antischegge, venivano frustate dallo scorrere impietoso del nevischio.
Kyriako li guardò passare, presto superato dai Leman Russ che aprivano lo schieramento: tra di loro c'erano alcuni soldati con delle strisce gialle o rosse dipinte sul frontale dell'elmetto, marchi di grado che li contraddistinguevano come sottufficiali di complemento ed primi ufficiali di truppa.
Taluni avevano degli auto-fucili, punto che lo lascio basito. Li avevano ri-schierati così velocemente da lasciare indietro le linee della logistica? Oppure quelle erano armi particolari, forse trofei rubati ad un qualche altro nemico?
In ogni caso, rispettava il coraggio con cui si presentavano con alla mano delle inferiori, ma bastanti armi cinetiche. Sguardi torvi e cerchiati da occhiaie risposero vagamente alla sua osservazione, quasi senza fargli caso.
Issata sul retro d'uno degli Sherid-Maenn, una bandiera dal campo blu oceano sbatteva al ritmo di quel vento così fitto di schegge ghiacciate.
Il suo campo era occupato da un singolo astro blu e rosso a cinque punte, contornato da bordi cromati d'acciaio. Attorno a sé aveva una cintura d'alloro con cinquanta grani, tutti segnati da una miniatura di sé stessa, dell'astro centrale.
Sopra alla cintura, una rampante Imperiale Aquila Bicefala. Nell'angolo destro della bandiera, dentro un cerchio bianco, campeggiava un grande numero II in brillante tinta blu.
L'araldica nazionale era quella di Claymoria...
«Martiri per il fronte...», sentì borbottato dalla pretessa. Anche lei stava guardando la colonna, che intanto continuava a sfilare.
Un'altra sequenza di carri armati Sherid-Maenn, a fanali accesi e enginarivm-policarburi sbuffanti, sopravanzava sulla strada.
Issavano uguali bandiere al compagno appena avanzato. Proprio come i loro predecessori, erano affollati di milites-astra dagli sguardi vuoti e distanti.
Martiri per il fronte, li aveva detti l'ecclesiarchica.
Ed io sono reggi-spoglie per Ignatius, pensò il giovane distogliendo gli occhi dalla colonna.
In direzione opposta scorreva la marcia di tanti soldati rimasti ciechi, di molti reggimenti fatti a pezzi e ricomposti in quella colonna di storpi.
Si tenevano per la spalla l'uno con l'altro, guidati da un ciondolo di Sororitas Hospitaller sfibrate verso i sanatorivm da campo.
Reggi-spoglie...
Quello che ne resta.
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