Preliminarìs Actìs-et-Gestae ac "De Bello Avrelico" VI (2/3)
Ho messo i mattoncini fuori dalla scatola, ma sono stati rovesciati...
Il camminamento si stendeva innanzi ai suoi passi. Per quaranta metri si allargava a partire dal regolare nastro della merlatura, presentandosi come un lastricato d'oro cucito filo dopo filo alla pietra, al metallo, al ferro rivettato e bullonato.
Lungi dall'essere il primo livello o il perimetro, i contrafforti si alzavano a dominare su quell'aurea confusione di macchie urbane ed ancoraggi che puntellavano il respiro più verticale che orizzontale della Diciottesima Espansione.
La prima, la più ampia di tutte e venti le ascendenti Espansioni nonché la più bassa, si distendeva su di un'area pari a ventottomila chilometri quadrati.
Di contro, la Diciottesima si distendeva su di una circonferenza d'appena soltanto cento-e-quaranta fatti a cono, in salita incontro alla Diciannovesima Espansione, tecnicamente detta la Dornian Palatina.
Salendo ancora, attraverso le archo-vie che gradualmente si facevano più alte e spioventi, passando attraverso gli innumerevoli cancelli di sicurezza a barbacane irto di feritoie e traiettorie di tiro, si giungeva alla Ventesima, saldamente occupata dal massiccio, fortificato pinnacolo dell'Atmòs Praetorian Minarat.
Era un luogo glorioso, senz'ombra di dubbio, ma quella sua fiera natura non si traduceva in una pari possibilità per avanzare di carriera. In quell'ambito, anzi, la Hyur-Maltha Terraria era governata da un comando decisamente parco.
Un altro brontolio provenne dal fortunale, rimbalzando tra le spire di due livide creste nebbiose; rotolando tra le nubi sembrò annunciare uno schianto imminente, al quale lo juniores ufficiale politico si preparò stringendo l'impugnatura della sciabola potenziata.
Insorse un refolo di silenzio, l'attimo di quiete prima dello scoppiare a tamburo caricato dei tuoni, il rovesciarsi dei lampi e il rimbombo dei boati. Il temporale sottostante, con tutti quei suoi giganteschi e mostruosi fulmini macroscopici, non avrebbe potuto scalfire la corazzatura della Hyur-Maltha nemmeno se fosse stato mille volte più potente.
Nemmeno, pensò Kyriako allungando il passo, se i Void-Aegidaì fossero svaniti all'improvviso lasciandola senza difese.
Sì, certo: prima di danneggiare gli edifici, o le loro fondamenta antichissime, il vento e i fulmini avrebbero falcidiato i quartieri più esposti, ma non sarebbero riusciti a danneggiare la scorza dura della Placca Atmòs-Orbitale. Quella era in una lega antica e complicata, forgiata in giorni arcaici dalle mani degli Uomini d'Oro.
Come tutte le altre Placche, la Hyur-Maltha fluttuava nel cielo della Sacra Terra da un tempo antecedente il sorgere dello stesso Imperivm. In che data fosse stata varata e da chi erano domande ormai inutili e dalle risposte perdute.
Perché fossero state varate era un quesito che poteva essere soddisfatto con ipotesi e congetture, che personalmente Kyriako riteneva fossero da lasciare a quelle menti che accettavano la rischiosissima maledizione della conoscenza e la dannazione dello spiritvs curioso.
Sapeva, però, che erano state fatte a prova di bombardamento orbitale.
Li hai frantumati in tanti pezzettini...
I mattoncini delle costruzioni.
Non ci aveva mai giocato, nemmeno prima d'essere indotto nella Schola Progenivm. Dei suoi primi cinque anni di vita, quelli che aveva trascorso nella casa dei suoi genitori, non ricordava granché. C'era stato un servitore domestico, un maggiordomo dedicato... ed anche una grande porta rossa, magari?
Sì, una porta rossa. Alta, dall'arco spiovente, segnata da uno stemma e da delle parole, un motto nobiliare. Nei suoi ricordi, sfocati e lontani, la porta era sempre all'ombra d'un grande albero di prugne. Un prusus domestico, della categoria dei julsiana-rosacei.
I mattoncini sono tutti fuori, i postumi del tuo passaggio. Ero partito per andare lontano, ma quando sono tornato dal mio viaggio ho trovato i mattoncini rovesciati. I mattoncini, i mattoncini che mi hanno divertito così tanto...
Quella dannata canzoncina!
Dal fondo nuvoloso insorse un refolo di vento, ingrossato e freddo. Sbatté contro i bastioni, sospirando oltre le nicchie tra i merli a scudo rettangolare. Kyriako alzò il colletto della giacca in tempo per sentirlo tempestato dalla raffica.
Gli angoli sbatterono, pungendogli il collo.
Tutti gli stendardi s'ingrossarono. Prede dell'onda atmosferica, le bandiere appese alle loro aste prima arretrarono, incavando all'interno. Terminato l'impeto, ricaddero in avanti con il picchiettante tono del cuoio sbattuto.
Anche la coda della sua giacca ricadde in posizione, il suo verso annegato però dal crescere d'un pressante incedere metallico.
Dal sospiro s'innalzò un grosso fulmine.
Il suo boato avrebbe spaventato una persona non usa alla costante tempesta che martellava quel luogo, magari anche qualcuno tra i milites-astra più giovani e nuovi alla fortezza, ma per lui era come tutti gli altri.
Scoppiò lontano, contro la pellicola dei Void-Aegidaìs.
Io ricostruirò il mio regno!
Hai rovesciato i mattoncini, senza ritegno. Ora sono tutti sparsi, come isolotti. Io ricostruirò il mio regno, quello che hai angosciato rovinandone in terra i mattoncini...
I passi risuonati alle sue spalle lo superarono con un paio di lunghe falcate, mosse dall'alleanza tra la tecno-stregoneria della meccanica e l'innaturale potenza dei servo-muscoli corazzati, rivettati, blindati e serrati da potenti idro-pistoni.
Una giungla di syntho-connessioni zampillava dal retro interno delle gambe, fissata in posizione da strali di ferro battuto e da maniglioni di sicurezza contrassegnati da numeri, simbologie e precise lytho-rune da tecno-preti.
Si lasciava alle spalle, alzate da verticali tubi di scappamento sorgenti dietro la cabina blindata, due sottili serpentine di fumo da combustione.
Era un camminatore Sentinel-Manvtentores.
Datogli uno sguardo, Kyriako lo scoprì impegnato a trasportare una grossa cassa marcata da paralleli, vermigli segnali d'attenzione. Seduto nella cabina di pilotaggio, il conducente del mezzo si giostrava con l'ara dei comandi e le leve direzionali.
Apparteneva al Nono Reggimento, il suo.
«Si diverte, caporale Essecivi?»
«Iaep, signor commissario!» Via il vox-casterìs incluso nelle strumentazioni di cui era straboccante l'abitacolo, la voce di quel produttivo sciocco risultava forte e chiara. Si sporse dal finestrino di sinistra per rivolgergli un veloce saluto.
Stava fumando una sigaretta. A giudicare dalle volute di fumo giallastro ed azzurrino che lui gettava fuori dalle narici, assieme al pacchetto fissato con una cerniera alla spalla destra, doveva trattarsi d'una di quelle scarse, dannate Lvcky Russ.
«Mi basta poco! Carica-et-Scarica.»
«Non ritiene che sia pericoloso fumare mentre trasporta una cassa di granate?»
«Il pericolo è il mio mestiere, signor commissario!»
Kyriako si limitò ad annuire, intrecciando le mani dietro la schiena. Mosse le braccia in modo da far spuntare, solo per un momento, la fondina della pistola Requiem. «Lo sarà anche quello del servitore-lobotomizzato, caporale.»
Il sottufficiale operator fermò la marcia del suo camminatore.
«Se i tecno-preti trovano abbastanza cervello da lobotomizzare, s'intende.»
Prima o poi avrebbero dovuto far curare quel tabagista della sua dipendenza, oppure chiuderlo in una stanza senza sigarette per quindici giorni e non aprire fino alla sparizione del suo vizio. La seconda idea aveva un suo merito, in effetti.
Sfortunatamente avrebbe voluto dire un periodo d'almeno due settimane senza uno dei più bravi operatores logistici in servizio presso il Nono Reggimento.
«Mi scusi, signore!», lo sentì appena. «Pensavo che non ci fossero problemi, signore...»
«Ed io penso che potrei anche ignorare questa sua contravvenzione, Essecivi», gli rispose guardandolo dritto negli occhi, «se spegne immediatamente quella miccia ed evita a tutti noi di saltare in aria per un caso di stupidità molesta.»
«Sì, signore...», borbottò il caporale gettando via dall'abitacolo la sigaretta.
Un momento dopo s'era già cacciato in bocca una gomma tomaccacciù da masticare. Come faceva a sopportare il pessimo sapore di quello schifo?! «Certo, signore.»
Kyriako gli indicò la strada per licenziarlo dalla sua compagnia. «Continui pure, adesso.» Dovremmo rendere chiaro che è proibito fumare nei sentinel-camminatori!
Dal Gran Baluardo di Neithana'El Garrowhne provenne un frastuono meccanico alto e fortissimo, più dell'ultima ridda di fulmini caduti sulle mura.
Al di là degli spalti ovest e sopra agli scudi balistici dei Titanoì-Mass Basilisk Magnus, le macrocranes-gru industriali stavano lavorando a ritmo spedito. Rosse e bianche, gigantesche e ben definite nella penombra data dal temporale, allungavano le loro braccia, i ganci e le grandi grucce incontro alla stiva ventrale d'una navis cargo-crociera.
C'era una particolare musica, o forse era più consono dire un ritmo, in quell'opera. Guidate da coorti di tecnikaì ed operatores, le macrocranes-gru calavano come artigli rapaci e risalivano lentamente verso il cielo, appesantite da massicci container d'acciaio.
La statua in cima al Gran Baluardo sembrava condannare il loro operato come pigro, insufficiente, non all'altezza delle sue aspettative.
Era un campione degli Adeptvs Astartes raffigurato con le mani sulla guardia d'una massiccia, alta spada potenziata.
Non indossava l'elmetto, che invece l'attendeva ai suoi piedi. Appoggiato alla spada con la cinghia sciolta, uno scudo-tempestus tutto nero allungava un'ombra obliqua sull'interno del bastione.
Antica, di poco posteriore all'Eresia di Horus, la statua dominava il porto come una qualche sorta di cavaliere-errante dell'antichità, fermo a guardare un panorama a lui piacevole.
«Finalmente sono arrivate le nuove munizioni per i cannoni!», borbottò Kyriako. Il caporale s'era allontanato, ma una pattuglia del Nono Reggimento era a portata di voce. «Non lo sanno i tecno-preti di Kotoaza Jentalika che il ritardo è un crimine severamente punito?»
La pattuglia velocizzò il proprio passo, fingendo che in qualche modo lui non si stesse davvero riferendo a loro, al fatto che fosse di tre minuti indietro rispetto al Reggimentalìs Standard comune. In risposta a quell'atteggiamento, Kyriako marciò loro incontro.
Quella sciatteria doveva finire. Che vi fosse una parata trionfale da parte del nuovo Lord Solar non voleva dire che le pattuglie potessero essere lente!
Anzi, proprio per la magnitudine dell'evento quei cialtroni si sarebbero dovuti sentire in dovere di fare di più!
E se il Lord Solar venisse in visita qui, adesso?! Gli saltò immediatamente agli occhi il fatto che la pattuglia avesse accelerato ancora di più il proprio passo, ora prossimo ad essere un ritmato accenno di corsa. Ottima cosa, avevano energie da vendere.
Che figura farebbero fare a questa fortezza? Il pensiero d'una pessima immagine, d'una vergognosa onta addossata alla Hyur-Maltha lo innervosì.
Non sotto la mia vigilanza, stronzi.
Non ve lo permetterò. Impose loro un ordine di fermata rivolgendogli un saluto militare staccato e rapido. I dieci soldati, quasi fossero stati schiaffeggiati all'unisono da un maglio potenziato, rallentarono l'andatura.
Un possente fulmine biforcuto balenò nel cielo, scindendo in due tronconi il cielo attorniante la stazza blindata del Gran Baluardo. Le sagome dei suoi obici baluginarono in chiaroscuro, lunghe ed ornate in cima da una rampante Aquila Bicefala.
Appena un momento dopo esplose una scarica di boati lontani, i nervosismi del temporale in corso.
Chi conduceva la pattuglia scoccò un cenno distratto al cielo, spaventato da quel tuonare. Per sua fortuna fu rapido a scacciare da sé la propria paura e preoccuparsi, com'era giusto che fosse e com'era debitamente preteso da lui, di guidare la sua squadra nella marcia accanto alla merlatura.
I codardi, diceva la Tactica Imperialìs, morivano nella vergogna.
Perivano dimenticati da tutti, perfino dai loro familiari.
«Ancient-phalastaph, vedo che lei e la sua unità avete energie da vendere!», esordì lo juniores commissario all'indirizzo del sottufficiale in comando della squadra. Muràdht era un veterano capace, ma l'errore umano era sempre in agguato.
Nessuno gli sfuggiva, nemmeno il più consumato tra i soldati esperti.
«Questo è un pregio che non posso non apprezzare, lo sapete.»
«Debbo ringraziarvi, signor commissario!» fu la replica dell'ancient, pregevolmente lesto nel piantarsi sull'attenti posando una mano sull'elsa della spada potenziata e il pugno sinistro contro il petto, all'altezza del cuore.
Un saluto preciso, forte della consumata pratica propria di chi l'aveva appena fatto. Un saluto subito imitato dal resto della squadra, condotta in ciò tanto dal suo scatto quanto dal cenno che il suo immediato, diretto subalterno rivolse agli altri otto soldati
Kyriako aveva già deciso cosa fare di loro, però.
Quel cenno di piacevole disciplina, precedente d'uno scarto di secondo il loro schierarsi in fila, non sarebbe assolutamente bastato a salvarli da una sonora reprimenda per quel ritardo.
Sarebbe stato troppo semplice.
Una gratuita concessione, ingiusta proprio perché ottenuta senza spesa e senza sacrificio. Come la sopravvivenza di tutto il genere umano, così anche il merito era un soldo conquistato a fatica dalle mani callose d'una galassia fredda ed ostile.
Intrecciate le mani dietro la schiena, Kyriako passò in rassegna la squadra.
Otto milites-astra, tutti con i sottogola dei cimieri d'ordinanza ben stretti, le armi in spalla e gli sguardi fissi su di lui. A comandarli ecco due sottufficiali, entrambi i principali indiziati di quel ritardo disprezzabile.
Lo ancient-phalastaph Alir'n Muràdht e il suo immediato sottoposto, l'Ensigna-Militar veterana J'sema Nen-Ouya. Il sergente ed il caporale della squadra. Coloro che, almeno secondo la venerabile teoria della Tactica Imperialìs, avrebbe dovuto riportare il ritardo e per primo dispensare un debito castigo ai milites-astra caduti vittima del vizio della pigrizia.
Chiaramente avevano scelto di non farlo, divenendo anche loro in errore. «Risparmiate i vostri grazie per dopo, se ve ne sarà uno.»
«Signor commissario?»
«Siete in ritardo di tre minuti sulla tabella di marcia», gli inquisì soffermandosi per un momento sul viso dell'Ensigna-Militar.
Aveva lo sguardo d'una serpe, qualsiasi cosa questa volesse dire, ed un naso che era stato rotto a pugni troppe volte, un retaggio del suo essere una delle lottatrici di punta del reggimento quando si veniva agli incontri... non esattamente legali, ma nemmeno direttamente proibiti.
Un sacrificio comprensibile, il suo.
Rispettabile, anzi.
«Allo svincolo svb-Garrowhne, signor commissario, ci siamo trovati davanti ad un casino fatto su dai maledetti tecno-preti e...»
Lo fermò con un cenno della sinistra. «Siamo incappati in una confusionaria baraonda, ancient-phalastaph. Non sta parlando con un suo compagno di bevute in una bettola dell'anchora-porto.»
Il veterano annuì mortificato, guardandosi con occhi bassi le punte degli stivali. «Sì, signor commissario. Scusatemi, signor commissario.»
«Proseguite questa spiegazione», gli concedette tornando ad unire le mani dietro la schiena, contro il dorso della giacca fatta sbattere dal vento. «E datevi pena che sia buona.»
Sia l'ancient che i suoi nove sottoposti vestivano una divisa bianca divisa in un paio di calzoni ad anima larga, infilati dentro alti stivali neri protetti da schinieri bronzei ed una tunica eburnea. Il modello di questa era un rigido doppio petto, ornato da due file di bottoni d'oro foggiati a teschio alato.
Parca, disciplinata e pratica.
L'attraversava una larga fascia rossa, stretta in vita da un nodo impreziosito da un coro d'Aquile Bicefali Imperiali arrangiate a pendenti. Un suo secondo velo, drappeggiato a cadere dalla spalla sinistra e fatto passare attraverso lo strale in vita, era fissato all'uniforme da una spilla a teschio alato, in piedi su di un trespolo tagliato a circolo attraversato in mezzo da una retta.
Era un simbolo, Kyriako l'aveva già visto, ma non aveva la più pallida idea del suo significato.
Probabilmente non ne aveva alcuno.
Era sopra a quella divisa eburnea che tutti i soldati della squadra, in ciò regolari alla panoplia del Nono Reggimento, vestivano una sbalzata, bronzea lorica anti-schegge dallo stampo musculato, quasi a volere proiettare negli occhi dei civili dell'Innera Sinphonìa Sol l'augusto aspetto d'un tronco umano in splendida forma, scolpito per esemplificare la perfetta costruzione fisica dell'Essere Umano.
Apprezzando quella tautologia filosofica e riconoscendole senza esitazione la testimonianza del vero, l'affermazione dell'innegabile superiorità della Sacra, Perfetta Forma Umana su tutta la fetida marea dei distorti e storpi ed immondi e sbagliati aspetti dello xenos, alla sua vista Kyriako sentì un pungolo insinuarsi nelle sue carni.
Il sinistro, per i nove sottoposti armati di las-fucili in tracolla e spade ad una mano, era invece immacolato.
Una placca bianca, lucida e spoglia.
Il sottufficiale, in virtù del suo rango, quello stesso spallaccio lo sporgeva in bella vista decorato da un drappo triangolare di seta curatissima, quest'ultimo onorato dalla presenza dei colori araldici della Hyur-Maltha Terraria.
Sopra si presentava, cucito in fil d'oro, il suo rango munitoriale standard, il titolo di sergente veterano.
Otto anni prima aveva combattuto in Pardaminia, contro gli alinor-drukhaì. Kyriako rammentava che allora si era comportato in maniera esemplare. Nello sprazzo della carica finale, quando le linee dei vili xenos erano collassate sotto i colpi dell'umana possanza, era stato in prima linea.
Testimoniava la sua condotta con una medaglia d'oro appunta al petto, un piccolo obolo con incisa la figura dell'Anonima Guardia Imperiale che dominava, presentando severo il suo las-fucile alla vista di tutti, un crepaccio al quale s'aggrappava un roveto di filo spinato.
Sotto al crepaccio, sovrastante le teste degli Aeldarìs sconfitti ed esiliati dal campo della loro disfatta, un nastro di parole recitava un motto fermo: "Non Passeranno."
Aveva già concesso loro di spiegargli il perché del loro ritardo, però.
Era fin troppo.
Non un passo indietro da lì, o avrebbe perduto ogni stilla del loro timorato rispetto. Ascoltando ciò che l'ancient gli diceva, continuò a studiarli a denti stretti, un'arcata premuta sull'altra. Faceva un male della malora dopo pochi minuti.
Aveva sentito dire che il Lord Solar sporgeva costantemente quell'espressione di truce contrattura, una dimostrazione di giustissimo, beatificabile disprezzo per tutti i nemici dell'Imperivm...
Ma come diamine faceva a tenerla continuamente?!
Ogni anima della squadra aveva la propria panoplia in ordine, il che rappresentava un punto a loro favore, gli piacesse o meno riconoscerlo. Il ritardo era innegabile, perché tre minuti erano un'assurdità che non poteva e non dovevano lasciar correre senza intervenire con un'azione disciplinare, ma non erano sciatti.
L'ordine valeva sempre qualcosa.
«Quindi la responsabilità di questa deficienza sul Reggimentalìs Standard l'ascrive ai tecno-preti?»
«Signor commissario, come vi ho detto hanno inondato lo svincolo di casse di fucili!»
«Una tale abbondanza andrebbe elogiata, non criticata.»
«Indubbio e sicuro, questo», convenne l'ancient. Ammetteva il suo errore,dunque? «Però avevano occupato tutte le vie transitabili.»
«Tutte?»
Il suo interlocutore annuì. «Tutte, signor commissario! Il loro superior ha detto che era una sistemazione temporanea, per togliere dalla stiva ventrale un... quanti erano, J'sema?»
«Un ventimila modelli Tintagel.»
Dei modelli Tintagel?! Ma che diamine di baraonda era mai quella? Il Tintagelera un Pattern in uso presso i jentaliani, non il suo reggimento! «Noi usiamo iTerran Clodovean-Merovech Pattern.»
«Ay, signor commissario, ma...»
«Sì, signor commissario. Ay è dialettale.»
«Sì, signor commissario, ma loro non volevano sentir ragioni.»
Sullo spallaccio destro di ciascun milites-astra torreggiava l'identificativo numero reggimentale, lo IX in caratteri gotico-numerici corsivi avvolto dagli allori d'oltre un millennio di servigio riconosciuto dal Senatorvm Imperialìs come impeccabile.
E tutti, tutti sapevano che il Nono Reggimento delle Sentinelle Palatine impiegava i Terran Clodovean-Merovech Pattern.
Qualcuno, chiaramente, aveva scombinato i carteggi d'assegnazione. «Sentiranno la mia reprimenda, allora. E voi verrete con me. Se state mentendo...»
«Vi giuro che è la verità, signor commissario!» L'esclamazione del veterano lo portò ad inarcare un sopracciglio in risposta. «Ve lo giuro sulla Santa Eufrata Keeler.»
«Allora», disse indicandolo, «la ritengo vincolata alla sua parola. E comunque il nome è Euphrati Keeler, non Eufrata.»
«Ne siete sicuro?»
«Sì.»
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