Preliminarìs Actìs-et-Gestae ac "De Bello Avrelico" IV (3/17)



Fini schizzi di polvere macchiavano i finestrini. Ogni tanto piccoli sassolini schioccavano rapidi fuori dalla sabbia, scagliati dal vorace avanzare delle ruote. La maggior parte si disperdeva ben oltre il bordo della lastricata-viae, addosso ai camminamenti per i pedoni, ma qualcuno finiva per picchiare contro il taglio alto dei vetri rinforzati.

Piccoli tonfi smorzati.

Shiur riusciva a scorgere le pietre quando le ruote le scacciavano dalle sabbia del Pianeta Rosso. Colpivano i bordi dei finestrini e dopo l'impatto volavano via, subito dispersi nella stessa terra dalla quale erano saltati fuori.

Il rovererian Meridianei Planvm/Mars Pattern, un'esemplare preghiera ad alta tenuta di strada realizzata nelle guise e nelle forme d'un ruggente Espiritvs-Opportunitàs a sei ruote semi-cingolate, scorreva rapidamente, vorace di metri della lastricata-viae, brontolando una piacevole litania. Il glorioso Miracolo della Mozione univa in un solo fascio le roche voci dei motori in giro carburato con i secchi, contratti sussulti degli stabilizzatori massa-reattivi.

Congiunto era anche il photòn-sforzo delle luminarie proprie delle strumentazioni di bordo e delle lampade da parete, fissate dentro il veicolo. Assieme distendevano un'aura di tranquillizzante, regolare e perfino accogliente freddezza eburnea. La differenza tra l'interno e l'esterno del rovererian era drastica. Tre ore prima il cielo marziano s'era scurito, coperto da un manto di polveri rossicce, spazzate con furia dai venti atmosferici. I grandi fuochi industriali le avevano inspessite, affumicandole con serpentine annerite alzate da decine di migliaia di altoforni e camini di manifactorvm.

Infiorettando il cielo come una lunga lancia, la colonna di plasma aveva scavato nelle nubi un placido occhio del ciclone, una zona di calma paradossalmente innescata da una pluri-chilometrica colonna di fiamma al calor bianco indotta da tremende reazioni di fusione nucleare controllata.

Il contrappasso logico era stato quello di scacciare gli addensamenti nuvolosi. Cerchi concentrici d'onde d'urto in costante propagazione acceleravano le nubi di cenere verso lidi lontani, spalancando una piazza circolare nella loro maglia, ma al contempo rendevano più forte la tenebra.

Era un paradosso, quello. La incuriosiva proprio per il suo controsenso, il fatto che da una purissima colonna di luce nascesse una tenebra più forte.

Si chiese se non fosse un messaggio del Dio-Macchina ai suoi fedeli, un presagio da interpretare usando precise formule. La Macchina era una creatura di logica: se doveva trasmettere qualcosa ai suoi fedeli lo faceva in un linguaggio che, appropriandosi dell'Inerente Ordine dell'Universo, poteva essere interpretato da chi era iniziato ai Suoi misteri, dunque nobilitato ai Suoi occhi.

Quello era un presagio? Se sì, prometteva del buono?

Stretta al suo sedile con le cinture di sicurezza, Shiur sedeva con i palmi aperti posati sulla pelle sintetica della poltroncina. Quando il veicolo principiava una virata tutto lo scafo, accompagnando la mozione con una positiva risposta da parte degli Spiriti-Macchina, vibrava solido.

Astenutosi dal collegarsi al loro coro con i suoi servo-sistemi, il conducente usava il volante principale per guidare il rovererian. Non aveva rifiutato l'ausilio dei due servitori-autieres inseriti nei loro alloggiamenti, ancorati con chiavi di fissazione e bulloni al pavimento zigrinato. Shiur li sentiva salmodiare monotone colonne di numeri. Erano mono-labourers, criminali perduti.

Il ricordo in merito alla loro presenza non era suo, ma poteva accedervi comunque solo chiudendo gli occhi. La sua Io Originale aveva sentenziato che facessero da perpetui, lobotomizzati assistenti al mezzo come punizione per i loro tremendi crimini d'Eretico Disfattismo e Traditrice Mancanza di Fede nella Vittoria Finale.

Un servo-teschio li aveva sentiti professare, durante un loro turno lavorativo nel bio-manifactorvm di Mendelelenva, dubbi sull'utilità dei loro umili sforzi. La registrazione conteneva anche il loro inaccettabile respingere la possibilità che la Crociata dell'Aula di Joramund fosse davvero guidata da un non-Mechanicvm richiesto a colloquio dall'Imperatore-Omnissiah in persona.

Il dubbio, le aveva insegnato, innescava l'eresia e l'eresia era l'elettro-scintilla che metteva in moto il meccanismo del castigo. Una singola stilla di manchevolezza poteva condannare miliardi ad un fato peggiore della morte e poi le voci-trasmissioni degli Astropati, per il popolo operaio, dovevano essere tanto innegabili quanto impossibili da questionare.

Per nutrire dei dubbi, la logica era ineccepibile, quei mono-labourers dovevano avere volontariamente negato la tautologia di quell'assunto e quindi erano degli eretici.

Quella punizione, perpetua lobotomia e indotta servitù come assistenti alla guida, era l'unico vettore utile per salvarne le anime immortali dalla corrosione e mondarle dei peccati commessi verso il Dio-Macchina e la Crociata.

Riaprì gli occhi trovandosi a guardare il pavimento, steso con regolarità. Una piastra ogni tre recava gli stemmi del Manifactorvm Eaghol'èhnn, quella forgia che le più antiche leggende del Cvltvs dicevano essere stato il lido d'atterraggio espressamente indicato dal Dio-Macchina ai Primi Marziani, i Padri Fondatori del Cvltvs Mechanicvm.

In memoria, sullo scudo del suo stemma, Eaghol'èhnn ostentava un feroce mezzo cingolato, armato d'un'alta torretta che issava un periscopio oculare a taglio di rettangolo in cima. Era rappresentato nell'atto di scavalcare rocce ferrose, morte e puntute. Il suo nome primigenio era andato perduto nelle nebbie del tempo. Era impossibile ritrovarlo: dove si potevano cercare Data-Stringhe in merito a qualcosa che, forse, era accaduta più di ventimila anni prima? In quale archivio, quanto in profondità, attraverso quali barriere ostili ed abitanti rapiti dalla follia?

I savi lo chiamavano come il "Machinarivm-Reclamator", un nome che le Cronache della Magna Historìa attribuivano essergli stato dato dall'eroica martire Santa Koriel Zeth di Magma Urbis. Shiur aveva letto tanto di lei e l'ammirava molto.

Santa Zeth aveva posseduto un'intera forgia su Marte, poi strenuamente difesa dai vili e pavidi traditori dell'Obscvro Mechanichvs durante la Grande Crociata.

«Quest'osservazione panoramica potrebbe costarci del tempo d'attesa supplementare.» Commentò l'Arch-Magvs. Colse, nel suo tono, una nota infastidita e di sottecchi la vide che tamburellava, usando tutte le dita di due identiche mani destre, sul bracciolo.

Invece di prendere posto su di uno dei rostri di sedili l'Io Originale s'era accomodata sul grande trono d'osservazione centrale, piantato in mezzo alla linea interna del veicolo. Era da lì che sorvegliava la rotta navigata dal Tech-Astarte.

Sul finestrino alla sua destra continuava a brillare, benché ora decisamente più lontana, la grande colonna di bianca fiamma al plasma. Sfuriava nel cielo, pilastro d'una grande volta circolare di nubi in movimento, scagliando fulmini globulari lunghi chilometri. Lampi scheletrici, pensò la svb-adepta, come le dita contratte dei morti.

La marcia della legione stava continuando? Quel pensiero l'abbandonò quando sentì, con uno stormire di fronde metalliche e l'appena percettibile sbuffo dei bio-muscolmotori, la sua Io Originaria muoversi in avanti per affacciarsi su di un leggio trascinatole innanzi da due guardie-skitarii.

L'Arch-Magvs insisteva per occupare, ovunque entrasse, sempre quel genere di grandi scranni, adatti alle sue dimensioni. La divertiva tanto il fatto che non ammettesse discussioni d'alcun genere in merito a chi aveva il privilegio di sedersi, occupare quei posti.

Otto mesi prima, durante una spedizione congiunta con lo Arch-Yadernoi Cherno-Magos lord Norov-Vorozh, aveva insistito con veemenza perché la sedia gli fosse ceduta e non aveva voluto discutere dell'oggetto della ricerca fino a quando non era stata soddisfatta.

In Voltemandis, invece, aveva torreggiato sul conestabile lord Der Tyllis per interi minuti senza dirgli niente, nemmeno un solo verbo volante. Quando il nobile spathiano s'era alzato, forse infastidito dalla presenza, la sua Io Originaria l'aveva ringraziato con un borbottio gutturale e prontamente gli aveva sottratto lo scranno occupandolo per tutto il resto della riunione. A Shiur il conestabile dava l'idea di un granduomo molto simpatico. Lei lo rammentava distinto ed elegante, con delle lunghe giacche dai colori vivi, spesso bianchi e brillanti. E che pantaloni, i suoi! Che pantaloni!

Avevano dei grandi bottoni dorati sulle tasche, a forma di cavallo rampante, ed una cintura signorile alla quale agganciava le fondine di due las-pistole dalla foggia antica. I grilletti gene-sigillati erano in oro bianco, i calci incisi da una coppia di cavalli rampanti in iridio.

Non capiva perché il cane d'attivazione fosse una donna vestita di pochi veli ed intenta in una danza, ma quella era in argento cromato da livree metalliche. Non si era lamentato di quell'appropriazione e, anzi, se n'era andato, ridacchiando sotto i baffi, ad orbitare intorno al macro-tavolo dello strategivm.

Nemmeno la Dominvs dell'Ozi lady Parangoskarys, che da quel che Shiur sapeva odiava chi si sedeva durante i convegni localizzati negli Strategorivm, era riuscita a farla alzare.

Sulla sua personale Ark Mechanicvm possedeva uno speciale, prezioso Thronivm Arcanoi che alla vista si palesava come a dir poco colossale. Shiur sapeva che, secoli prima, lei aveva ordinato fosse ristrutturato appositamente per venire incontro alla sua statura, così elevata e china da renderle difficile prendere posto su scranni di minor rilievo.

Secondo la svb-adepta l'Arch-Magvs si comportava in quel modo perché le doleva la schiena a causa della sua statura. Era un motivo più che sufficiente, se la conosceva come pensava, per muoverla a guidare dei rites di ristrutto-restaurazione su di un prezioso Thronivm Arcanoi. Di quegli scranni non ne esistevano molti nell'Imperivm.

Costruirne uno solo richiedeva un gran numero d'anni di divinazioni, molti riti propiziatori, lunghe catene d'assemblaggio, innumerevoli messe di forgiatura e, infine, protratti cantici della costruzione. Il loro funzionamento in termini di psico-amplificazione era, in certe sue aritmetiche e determinati sviluppi, simile ai Thronivm Nautikaì-Dominatvs riservati ai Mutanti-Navigator.

Pochissimi potevano lavorare su quegli strumenti, gli scranni degli intoccabili Navigator. Avevano necessità di una cura minuziosa da riversare in ogni loro dettaglio, una fede assoluta nell'estrarre le volontà del Dio-Macchina dall'Inerente Ordine dell'Universo ed una perizia rara, che le avevano detto essere posseduta soltanto da una manciata di Superiores Arch-Magos Dominus nell'Imperivm, nell'espletare la Catechesi dell'Assemblaggio Rituale e del Primo Innesco.

Non guarderò provette per tutta la vita. Un giorno sarebbe stata grande come loro, come lord Rex, l'Arch-Magvs e tutti i Fabricator-General. Ne era sicura, convinta come lo era del fatto che vnvm plvs vnvm produceva dvem. Avrebbe cambiato le cose estraendo armi salvifiche, non viste dall'Evo Oscuro, dall'Inerente Ordine dell'Universo. Potenze incredibili, picchi non rilevati da eoni interi, con i quali sarebbe stata pari a Koriel Zeth.

Era soltanto una questione d'impegno e di tempo e poi...

Poi sarebbe stata come i grandi.

Il leggendario Arkhan Land, il Lord Arch-Magos Dominvs Belisarius Cawl e il Dominvs Technikoi Taar Sylikatoren. Conosceva quei nomi. Sapeva che erano alcuni tra i pochissimi individui, stando al libro ed a tutto quello che aveva sentito dire in merito, con in proprio possesso le conoscenze e le abilità che desiderava ottenere.

Possedevano sapienze tali da potere realizzare dei Thronivm Nautikaì da soli, perfino! Da soli oppure con soltanto un pugno di tecno-preti ausiliari.

Certo gli Arcanoi erano di varie magnitudini più semplici, ma restavano macchinari divinamente complessi e per questo affascinanti.

Il primo di quei tre nomi illustri, si diceva, aveva avuto dall'Imperatore-Omnissiah l'onorevole consegna di lavorare su di uno dei leggendari Troni della Visione. Shiur non ci credeva: i Troni della Visione non esistevano veramente.

Erano soltanto un mito dell'Evo Oscuro.

«La vista vale la pena.»

«Il tempo non è esattamente un nostro amico», disse l'Io Originale al Basilikon. Avviluppò l'impugnatura dell'ascia-ingranaggio con due delle sue tre mani sinistre, lasciando libera la terza, la più alta, per continuare a battere un qualche testo sullo scriptorìs olo-lithografico che le veniva offerto da due dei suoi numerosi bambini-servitores. I piccoli lobotomizzati stavano in piedi sopra ad uno sgabello, chini sotto il peso di ciò che le offrivano.

Pigolavano versi e lamenti fasciati in Lingva-Technis ogni volta in cui la mano dell'Arch-Magvs picchiava colpetti, con più forza del dovuto, sui tasti fissi dello scriptorìs. Shiur ne avrebbe voluto uno per sé, così da non dovere più scrivere a mano con le xtylo-penne.

Impegnato ad osservare senza toccare il tesoro che erano andati a prelevare dal Reliqvarivm Major di Alphekka Meridiana, il Basilikon puntualizzò con un tono quasi piccato: «Non è nemmeno un nostro avversario.»

«Per ora.»

Lord Rex accostò le sue mani cromate alla reliquia nella gabbia. Le sembrò intimorito, curvo davanti a qualcosa che, se soltanto si fosse spinto troppo oltre nella sua venerazione silenziosa, l'avrebbe punito folgorandolo a morte.

Era come se ne avesse tanto rispetto quanto paura. Poteva essere che stesse provando, a modo suo, ambo le emozioni? Non l'aveva visto impaurito dagli xenos pelle-verde, gli Espidax Kalartyan e gli Okùnni... però ora le dava quell'impressione. Una gabbia, non più grande di una comunissima voliera per cybra-famigli, gli faceva tutto quell'effetto?

Per prendere quel che conteneva, però, erano morti un gran numero di skitarii...

Lord Rex sfiorò le barre dorate della gabbia, intervallanti gli archi acuti di cristallo blindato trasparente, senza staccare gli occhi da quel che giaceva assopito ed adagiato su di un cuscino di raso cardinalizio. «Siamo riusciti ad arrivare con qualche giorno d'anticipo sul grande evento in programma. Potevamo permetterci una distrazione.»

«Una che poteva essere posticipata.»

«Il Lord Solar ha tutte le spade che può desiderare.» Aveva sentito dire che ne possedeva incalcolabili centinaia di milioni. Era una figura per indicare i soldati al suo comando oppure letteralmente egli possedeva davvero tutte quelle spade?

«Sì.» L'Io Originale trasportò l'olo-litho scritto nello schermo d'una delle dodici minute Data-Casseforti che sporgevano dal tronco, ancorate all'ascia-ingranaggio. «Tuttavia questa», disse alzando il capo con uno scatto metallico eppure fluido, «sarà assolutamente speciale. Unica. Una Magna Opera, se vogliamo. Una spada degna di un Lord Solar capitano di crociate.»

«Questo è davvero acciaio-arcano di Valayr...»

«Sì», annuì la sua Io Originale. «Forgiato in lontanissime ere passate con l'incandescente fiato dei draghi di Valayr, estinti da tempo. Ripiegato un milione di volte e fasciato d'invulnerabili incantesimi andati perduti nel Flagello.»

Dentro la gabbia c'erano un paio di saettanti, arabescate pinze da fabbro. Una fittissima ragnatela d'incisioni palpitava in rilievo sui manici. in controluce dava l'illusione di brillare come il sangue.

«Ho sentito parlare di questo vostro acciaio-arcano», intervenne il conducente del mezzo. Una profonda nota metallica riverberava nella sua voce, simile ad un tecno-prete affermato. «Dicono che può tagliare qualsiasi cosa e che i segreti della sua creazione sono andati perduti.»

«Questo è corretto, Tech-Astarte.»

Il techmarine dei Martelli del Fato rivolse il cipiglio del suo elmo a lord Nichilus Rex. Taglienti lenti verdi dominavano la ghiera respiratoria, nella quale si connetteva un cordone di metallo. «Non hanno i nobili von Gianellen già una spada di Valayr in loro possesso?»

Nichilus Rex si rilassò contro lo schienale della sua poltrona. «Sì. I Von Gianellen di Armageddon possiedono Tempesta Fiammeggiante da più di ventimila anni.»

«E dunque per quale ragione il Lord Solar non usa la spada della sua famiglia?»

«Questo non ci è dato saperlo.» La voce dell'Arch-Magvs, espressa in Gotico Alto, si spandé dentro il rovererian con un'eco ferrosa di sottofondo. «Né sta a noi inquisire lord Von Gianellen sulle sue decisioni. Ciò che so, e che ha motivato questa spedizione, è che la sua spada ha riportato delle ferite in Voltemandis. Non sono irreparabili, ma mi sono assunta la responsabilità di rinnovarla. Sarà degna del titolo che egli riveste, un segno di raccolta per tutti coloro che seguiranno questa Crociata.»

Un grugnito d'approvazione venne dalla ghiera di respirazione del Martello, lesto a tornare a guidare il veicolo nella sua corsa. «Acciaio di Valayr... in Sol... queste sembrano le voci d'una storia per bambini.»

«Volete dire una leggenda, m'lord?» Chiese Shiur, incerta su come riferirsi al gigante. Anche da seduto era enorme, un colosso di ferro blindato e ceramite. Portava il rosso del Cvltvs Mechanicvm sulla sua armatura, pesante tanto da schiacciare il suo sedile di due livelli incontro al pavimento.

«Sì.»

«Come... quella di una mitologia?»

«Suppongo si possa dire anche così, svb-adepta.»

Quindi stavano vivendo una leggenda? Ma se le era immaginate diversamente, lei! Più emozionanti, gloriose e combattute. C'erano state delle battaglie, sì, ma lei non le aveva vissute in prima persona. Aveva soltanto assistito alle glorie, alle vittorie ed agli onori di altri.

Non stava contribuendo.    

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