Preliminarìs Actìs-et-Gestae ac "De Bello Avrelico" IV (11/17)

Giganti addormentati, adorni di meravigliose tecnologie. Giacevano all'ancora, come se intrappolati dalle spire d'una qualche riflessione.

Sì, dirli pensosi le piaceva. Colossi pensatori, istanze in piccola misura dell'enormità senziente rappresentante il Dio-Macchina induttore della conoscenza. Le loro stature erano disposte in ordine crescente, dai più bassi fino a colossi che malapena riusciva a scorgere tanto erano distanti, lungo due rostri paralleli, lunghi ed ombrosi come grandi viali alberati.

Il brusio dei lavori in corso non li strappava a quel loro sonno appoggiato alle colonne. Impalcature dai pavimenti zigrinati, tagliate a chiocciola, si arrotolavano attorno ai pilastri, offrendo camminamenti e rialzate piattaforme transitabili ad intere dozzine di tecno-preti e tech-savantaes. Febbrilmente all'opera, tutte quelle figure si muovevano con l'intento e la precisione degli esperti.
Li guardò invidiandoli, stringendo le bretelle dello zaino per non sentirsi con le mani in mano.

Ognuno sapeva dove andare, che cosa fare e come. Sciami, come quelli degli insetti ehvou-viovohs di Aacharìa Secvndìs, che le davano la sensazione di trovarsi al margine di tutto, dentro una fascia grigia. Avevano compiti, mansioni e obbiettivi. Non li vedeva giacere inermi davanti al pericolo dell'esitazione, né bloccarsi perché confusi da qualche ordine incompreso. Conoscevano il loro posto.

Perché a me non tocca niente del genere? Riprese il cammino, avvicinandosi all'inizio di quell'alveare d'attività e lavori. Due grandi portoni a saracinesca, aperti sull'uscita della galleria, vomitavano sullo scollo gradinato un doppio torrente di tecno-preti, Magos Machinomanti, svb-adepti e tech-apprendisti. In quella calca si sentiva anonima.

Poteva confondersi con loro, sgusciando lontano dalla coorte della kyra-patrona! Si sarebbe allontanata solo per pochi minuti, un nonnulla per il quale nessuno si doveva preoccupare. Che senso avrebbe avuto? Sarebbero stati soltanto due secondi, venti attimi, cinque minuti al massimo! Dieci, esagerando! Poi avrebbe chiesto scusa, al massimo.

Prima doveva avvicinarsi, guardare i Knights stando davanti ai loro piedi. Doveva! Non sarebbe mai ritornata al Gaustas-Volost! Scattò nella calca di destra, lontano dallo sguardo di lord Rex e del Magos Machinomante Spiridòn. Sgusciò oltre due senex-forgiatores tutti curvi, rallentando per farsi superare dal loro seguito d'apprendisti. Deviando in diagonale scese due gradini e tagliò la strada ad una compagna di credo, una tech-apprendista che spingeva in avanti un semi-cingolato transportatores.

Il suo vano di carico era stracolmo di casse di munizioni, sigillate e marchiate a fuoco dagli stemmi di Marte e del Gaustas-Volost Templvm. Scivolò di qualche passo verso il fondo della scalinata a scollo, costeggiando la ringhiera che la delimitava rispetto ad una auto-viaebahn su tre livelli. Si appoggiò alla sbarra superiore alzando il viso al traffico che batteva le tre corsie.

Oltre la barriera, all'imbocco della via a pian terreno, scorse quattro skitarii che montavano la guardia ai lati del percorso. Un nastro di grandi auto-transporatores a trenta ruote li scorreva davanti, sbuffando e tremando a passo d'uomo.

La strada conduceva ai corpi di fabbrica adiacenti alla Basilikae, oppure ad essa stessa? Abbassò gli occhi alla ringhiera.
La poteva scavalcare? Posò l'altra mano per testarne la solidità. Rigidamente piantata nel pavimento, non sarebbe caduta nemmeno se l'avesse spinta con tutte le sue forze, ma per fortuna non era molto alta. Posando il piede sulla penultima sbarra avrebbe potuto issarsi e...

«Stai dietro la linea gialla!»

Oh-oh... Un quinto skitario! Non si era accorta di niente!

L'istinto le disse di fare finta di niente e, staccando lentamente le mani dalla ringhiera, prese a seguirne la corsa con passi lenti. Non servì a distogliere il tech-armigere, che la raggiunse a grandi falcate. Uno strattone improvviso la bloccò, quasi sollevandola in punta di piedi.

Lo spintone la forzò indietro. Guardò lo skitario, trovando un viso duro come il granito nascosto dall'ombra d'un cappuccio intessuto di ferro. Dal cinturone pendeva la scura fondina d'una las-pistola e il fodero d'una spada, ma lui brandiva presentemente una corta las-lancia armata di punta.

Le sue braccia erano scure e metalliche, intarsiate da lodi al Dio-Macchina espresse in Lingva-Technìs. «Dico, sei stupida?»

«No, non sono stupida!»

Spostata la lancia nell'altra mano, il soldato puntò un indice accusatore alla stazza d'un macro-advertisementìs incamerato nella parete. «Che cosa dice quello?»

Occhieggiando ai propri piedi, Shiur si sentì le guance bruciare dalla vergogna di quella cattura. «Dice che non si deve oltrepassare la linea gialla se non si è appositamente ordinati...»

«E tu sei appositamente ordinata, svb-adepta?»

«No, m'lord...»

Lo skitario riportò la las-lancia nella destra. Shiur senti i guanti schioccare e fremere. «Non sono un lord, svb-adepta. Sono uno skoutate-sergentìs.»

«Perdonatemi per l'errore...»

«Non sei di Marte» commentò. Lo guardò negli occhi, trovando al loro posto due bionici rubini, accesi da luci infernali, profonde e tenui e distanti. Una mezza maschera a ghiera gli copriva l'arcata inferiore del viso. «E la tua Lingva-Technìs non è quella dei Gaustas-Volost.»

«Sono al seguito dell'Arch-Magvs Dominae lady Shaeer», gli rispose prima che lui potesse farle l'inevitabile domanda. Se l'avesse lasciato chiedere, aveva pensato, sarebbe stato peggio. Meglio schierare subito quella carta confidando nel titolo che portava con sé.

«Sono una sua gene-copia e svb-adepta. Però sono rimasta bloccata nella folla e... niente, mi sono persa.»

«Mi pareva che l'Arch-Magvs fosse una Eminenza intelligente. Come mai tu sei così ritardata da perdere la bussola su di una strada dritta?»

A trattenerla dal chiudere i pugni ed impuntarsi per quell'insulto furono la stazza dello skoutate-sergentìs, che avrebbe potuto facilmente schiacciarla a terra con uno spintone, e il fatto che per colpirlo sul naso avrebbe dovuto spiccare dei balzi molto, molto alti. «Ve l'ho detto, è stata la folla!»

«Sei un po' degradata come gene-copia.» Godeva nell'insultarla? «Dovrei fermarti, chiamare la tua kyra-patrona e restituirti alla sua cura immanente.»

No! Quello avrebbe voluto dire la fine della sua libera esplorazione! Sarebbe dovuta ritornare in coda, dietro tutti quanti, a non fare niente e tenere il passo! E poi l'Io Originaria l'avrebbe sgridata. Potrebbe mettermi a lavare tuniche! «So trovare da sola la strada, sergente! Ve l'assicuro!»
«Stai ferma qui mentre...» Non finì quello che le stava dicendo. Lo vide portarsi due dita, l'indice e il medio della destra, contro l'orecchio. «Ci mancava questa scocciatura. Phines. Ragazzina, fila fuori dai piedi, ho altro da fare adesso. Torna immediatamente dalla tua Arch-Magvs.»

«Certo, sergente!» mentì Shiur, annuendo. «Mi serve solo un momento per ricalibrare l'indicator-gipsiòs e saprò dove trovarla.»

«Potevi farlo subito invece che perdere tempo e scavalcare la linea gialla», le fece notare il sergentìs. «Ora vai, spicciati! Se ti trovo a violare di nuovo le distanze, ti sbatterò personalmente in prigione.»

Ma... addirittura?! La prigione per avere oltrepassato una linea? «Non succederà!» gli assicurò, già allontanandosi verso la folla. «Non temete, non succederà proprio! Grazie ancora!»

Esalò un lungo sospiro e palleggiò lo zaino sulle spalle. C'era mancato poco! Che assurdità, però! Minacciarla di mandarla in prigione per due passi oltre una stupida linea! S'immaginò il rapporto, la dicitura "Reclvsama in cellam castighae pro ultra-passagivm linee", scuotendo la testa.

Che assurdità, davvero! Che assurdità!

Alzando lo sguardo che un'armata di lucerne di posizione, circondate da anelli di candele profumate, che si dispiegava dal termine della galleria e percorreva il viale delle colonne. Prima, intuì, non doveva averci proprio fatto caso. La strada che illuminavano sfociava in una piazza semi-circolare che giaceva innanzi alla strepitosa mole della Basilikae.

L'aria era aspersa dagli odori delle leghe metalliche, dal sapore ferroso che i giganti chini e addormentati spandevano oltre le loro batterie di cogitatores tutti trillanti di Data-Stringhe e dagli aromi pungenti degli incensieri.

Balsami e oli sacri, annusò Shiur mentre al contempo avvertiva i propri occhi farsi lucidi per tutta la gloria di quelle armature camminatrici, delineavano un sottofondo più dolce.

In cima alle colonne, sopra agli apici dei camminamenti, lampeggiavano dei grandi bracieri rituali, ampi e bronzei. Grappoli di servitori lobotomizzati arieggiavano le loro fiamme rossastre con dei grandi ventagli d'acciaio annerito.

Il frastuono dei Rites Manutentores era stato, ancora all'altezza di metà galleria, un vago, lontano, soffuso scalpiccio misto al cadenzato battere dei martelli.

Gradualmente, tuttavia, era cresciuto.

Con la foga dei respiri durante un brutto sogno, il martellio aveva acquisito velocità. La sua consistenza era aumentata in tandem con i bagliori luminosi sgorgati dalle sale della Basilikae. Gli scalpiccii s'erano fatti più spessi; la frequenza con cui avevano battuto sui pavimenti di quella parte del Templvm, l'assiduità nella quale aveva potuto sentire pause e momenti leggeri, a sua volta s'era intensificata.

Superato il terzo quarto della galleria, gli intervalli e i falsi silenzi erano caduti nell'abisso del continuo stormire dei passi, nel dondolio degli incensieri, tra i sospiri delle ossidriko-fiamme di saldatura e gli uragani urlati dai trapani.

Quel coro di preghiere laboriose s'era mostrato in tutto il suo splendore quando, finalmente, davanti a lord Rex aveva oltrepassato la soglia d'uscita della galleria. Servitori lobotomizzati e cherubini, apprendisti di pochi anni più vecchi di lei e già forniti di protesi e mechandrites ausiliarie, giovani e senescenti tecno-preti che misuravano posati e calmi i loro passi e gesti: quella era una folla numerosa, disomogenea ed indaffarata, che a grandi chiazze puntellava le colonne e i piccoli Dei-Macchina.

I piccoli titani riposavano nelle ombre dei fuochi, gli occhi delle loro altissime celate posate sui pavimenti fittamente inscritti dai numeri della Lingva-Technìs. Tenui, flebili scintille d'elettro-vita pulsavano dentro quelle orbite in leghe, ferro e tetraidiòn.

Il loro cipiglio la fermò, lasciandola con il fiato corto. Udì un fitto complesso di voci elettroniche e si voltò in tempo per vedere uno stormo di servo-teschi sfrecciarle vicino, a pochissimi metri dal travolgerla.

Con una mano stretta attorno ad una delle bretelle del suo zaino, Shiur tallonò il loro volo. Tutti avevano degli olo-litho panegirici proiettati sotto il mento. Documentazioni e schemi, era riuscita a vederne delle videate per un istante, inscritti bianchi su sfondi verdi.

Distogliendo la sua attenzione dal resto della formazione, due capi dello stormo planarono incontro ad una delle prime colonne. Lì, ancorato ed a capo chino, giaceva una delle più piccole armature-camminatrici che lei avesse mai visto. A stento, pur torreggiando sui tecno-preti e i loro servitori all'opera presso di lui, superava i sei metri di statura.

Sporgeva i colori araldici di Casa Taranis, dipinti sulle placche flessibili delle cosce, sulle spalle coperte da scudi circolari e lungo il capo oblungo, strutturalmente chino in avanti.

Il suo braccio destro, circondato da due impalcature mobili, era distaccato al livello del gomito da una grande, binata thermo-lancia, che si trovava vicino ai suoi piedi, disposta su di un'incudine operatoria, sotto gli occhi di due giovani tecno-preti.

Il sinistro era, invece, integro. Posava su di un apposito tripode di supporto una lunga e larga spada a catena dalla cassa alta. I denti splendevano uno ad uno, fermi ed immobili ma non per questo meno minacciosi quanto straordinari. Ad occhio avevano la lunghezza d'un intero avambraccio.

Cascate di scintille cadevano sul pavimento dall'incudine operatoria. Un terzo tecno-prete, gobbo e pieno di svb-arti ferrosi, stava vagliando il lavoro compiuto dai due restauratores confrontandolo, ad ogni atto, con le pagine di un voluminoso tomo procedurale. Fermo vicino a lei, uno dei due servo-teschi gli proiettava vicino l'olo-lithografico panegirico.

Capì che stava facendo un doppio controllo. Si era avvicinata alle cesellate ringhiere di contenimento, sulle quali aveva trovato un appoggio, per osservare meglio come quell'esperto maestro stesse guidando i suoi allievi.

I suoi gesti, tanto quanto le istruzioni che siglava monotono, erano precisi, puliti e metodici.

«Togliti dai piedi, skraba!» urlò la voce d'un ragazzo, sorprendendola. Ho di nuovo oltrepassato una linea? Ancora?!

Shiur si appiattì contro la ringhiera e davanti ai piedi le sfrecciò un giovane svb-adepto che spingeva a pedalate un carrello semi-cingolato. Dopo pochi metri fermò la sua corsa e sbatté un calcio contro l'albero di trazione della pedaliera. Era sudato, lucido sotto le docce delle luminarie. Vestiva una tunica da apprendista con stivali neri e consunti guanti a mezze-dita.

Si accodò a lui, incuriosita, mentre giostrava con il volante per curvare. «Skraba?»

«Vuol dire manine pulite.»

«Ah...» alla fine era stato solo un insulto. Il giovane svb-adepto si rimboccò le maniche, tirò la leva della marcia in retro-avanzata e poi diede un robusto strattone al volante. «Non ti volevo disturbare...»

Tatuaggi neri e rossi, Rites e Lodi alla Macchina-Divinità, percorrevano i muscoli bulbosi delle sue braccia. I bicipiti erano gonfi, tirati e duri. Se glieli avesse stretti con un laccio medico si sarebbe trovata immediatamente con due tronconi di tessuto inutile.

Seguendo il profilo delle braccia ed immaginando la forma delle spalle, Shiur posò gli occhi su di una collezioni di tagli slabbrati. Percorrevano storti la mano destra del ragazzo, presentando tratti di crosticine color vinaccia marcia.

«Quelli dovresti disinfettarteli, lo sai?»

«Cos'è, sei del Biologos?»

«Sì! Mi chiamo Shiur.»

«La mia era una battuta, idiota» fu quello che commentò lui. Il ragazzo scese dal mezzo e si chinò davanti alle ruote frontali. Per un momento, uno soltanto, le parve di sentirlo digrignare una blasfemia all'indirizzo del Dio-Macchina.

«Non sono un'idiota!», s'impuntò Shiur. Con lui, pensò, poteva. Era alto e sembrava molto forte, ma non aveva armi e non poteva minacciarla con assurdi castighi per sciocchezze. «Ti volevo soltanto fare una cortesia, lo sai? Sei cattivo.»

«Ecco, sì. Prendimi lo scrigno che sta sotto il volante. Mi serve l'instrvmenta-riparatores a bio-condvcta motivo-trasmissione percuotente e la chiave da dodici. Il semi-asse...», imprecò di nuovo, chino sulla ruota cromata.

Scoccò un pugno contro la copertura del cerchione e lei restò basita dal suo gesto. «Così peggiori quei tagli!»

«Lo scrigno degli utensilivm-artefactìs, idiota!»

«Scusami, ma se m'insulti perché ti devo aiutare?», borbottò allungando le mani sotto il volante. Dov'era quella cassetta, Omnisiah Sacro? «Non è molto carino da parte tua...»

«Renditi utile!»

«Oh, e va bene!»

Scollegò i lacci dello scrigno e questo le cadde sulle mani, costringendola a posarla sul pianale zigrinato davanti al sedile. Sollevate le manichette, Shiur spinse la cassa contro il petto, indietreggiò e cercò con lo sguardo l'adepto.

Questa cassa è una pietra!

Aveva i capelli neri, tagliati malamente appena sotto la linea della fronte. I suoi occhi erano lapislazzuli circolari, scogli azzurri dentro orbite strette. Posò lo scrigno vicino ai suoi piedi e glielo spinse davanti. «Ecco il tuo macigno!»

Fece scattare il coperchio con una mezza sberla. Dal mare d'utensili, ordinati con numeri e rune, prese un martello che palleggiò con pratica innervosita. «Hai veramente le manine pallide per trovarla pesante, sappilo...»

«Ma... ma ti aiuto... e ti dico che devi riguardarti la mano e tu comunque mi insulti?» Non riusciva a credere che fosse così sgarbato!

Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Non sai rispondere.»

Shiur sentì i propri pugni chiudersi. Ora basta! «No, non è vero!»

Trasalì quando il giovane martellò il coperchio protettivo della ruota, facendola cadere. Lo vide spostarlo vicino a sé con un gesto stizzoso. Protese, poi, una mano verso di lei. «Il cacciavite con la punta ad astro, grazie. È il numero LXIV.»

Gli passò quello che aveva chiesto e si accovacciò a guardarlo al lavoro. Sapeva quel che stava facendo e nei suoi gesti c'era una certa consumata esperienza. Forse il suo macchinario s'inceppava spesso.

«Hai detto che ti chiami Scir?»

«Shiur.»

«Il mio nome è Volost.»

«Come il Templvm!»

«Si, come il Templvm.»

Finalmente una conversazione tra persone educate! Posò una mano sul pavimento tenendo l'altra ferma sul ginocchio. «Che cosa trasporti?»

«Diecimila auto-proiettili di mitragliatrice», bofonchiò Volost mentre svitava gli intrecci architettonici che proteggevano le viti. «Sono per il Knight di Sir Beric.»

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