Preliminarìs Actìs-et-Gestae ac "De Bello Avrelico" II (2/4)
La bianca pavimentazione dell'Agorà delle Direzioni si scuriva man mano che la distanza dalla piazza centrale cresceva. Gradualmente divenne di un intenso colore blu, come quello dei gioielli in lapislazzuli, venata di linee dorate nei punti in cui le mattonelle si univano.
Quando Garondyna raggiunse l'inizio del viale il blu s'era assestato in una tinta ultramarina, definita e da lì sempre regolare.
Aggirò la macroscopica Aquila Imperiale che divideva il primo segmento della via dal secondo, il tratto centrale che, serpeggiando con largo svaso, si divideva a bivio ogni volta che scivolava davanti ad una delle tre verdissime aiuole.
Si spostò gradualmente sul camminamento pedonale di destra per non calpestare i teschi, dorati e con dietro l'osso della nuca un paio di bianche ali spalancate, che puntellavano gemelli e paralleli la sezione centrale della via.
Passare proprio su quelle mattonelle, pure con tutta la strada a disposizione, non era vietato e non vedeva alcun cartello alzarsi a proibirlo con avvisi a lettere cubitali ma le sembrava comunque qualcosa d'irrispettoso.
Era... era quasi uno sgarbo, ecco.
Erano mattonelle rievocative, inscritte delle battaglie combattute e dei trionfi vinti dalla Legio Lunar. Ognuna nominava esattamente ottantotto eroi caduti a partire dai primissimi scontri al principiare del trentesimo millennio, quando la Luna era stata unita all'Imperivm. Assieme a loro c'erano settantasette voci ignote, segnate come tali, messe a ricordare silenziosamente il fatto che non tutti i martiri per l'umanità potevano essere ricordati con glorie, onori e canzoni.
Passarci sopra le dava un sapore sbagliato.
La prima aiuola le scivolò gradualmente sulla sinistra. Un rigagnolo cristallino ruscellava quieto nel minuscolo, bassissimo fossato che divideva il prato dalla ringhiera.
Il profumo di cento diversi tipi di fiori le pungeva il naso. Erano sparsi a chiazze sulla collinetta e messe quasi per impedire al prato, altrimenti curatissimo e pareggiato, d'essere un monotono tappetino verde.
Si coprì il naso con un fazzoletto quando gli effluvi la fecero starnutire e continuò di buon passo la sua camminata verso l'uscita dal parco. La via scivolò verso il basso. Fiancheggiando i suoi passi con un muretto segnato da vasi di piante rigogliose e teschi d'ossidiana issati su capitelli memoriali, la portò ad una lieve china precedente il bordo della seconda aiuola.
Le lampade davano riflessi azzurrini alle ringhiere scure, con uno scintillio basso, cromato e ripetuto che s'alzava quando le loro luci colpivano la spada della Confratenitàs e gli ingranaggi dentellati, dominanti in silenzio.
Sulla cima albeggiò una cintura di statue colorate, alzate sopra un circolo di gradini bianchi e porosi che salivano a formare un cono di supporto, un'arena per sostenerle. Dalla strada l'effetto prodotto era quello di alzarle, a modo suo graziosamente, alla vista.
Una figura centrale dominava la vera di statue facendosi titanica sopra di loro. Da lontano il circolo poteva apparire come composto unicamente da Confratelli Ac Sthallivm, compagni di quelli dell'Agorà centrale e come loro intenti a dar battaglia ma era un'illusione.
Una finta presto dissipata.
I Cavalieri ed i Paladini della Confraternitàs erano presenti in quel circolo, sì, con numero e possanza espressa in quelle posizioni aggressive e slanciate alla battaglia con le quali erano stati ritratti dagli scultori però erano lungi dall'essere i soli comprimari del gigante.
A dominare sulle loro già stolide ed alte figure, superiori in statura d'almeno una testa e mezza, v'erano degli Adeptvs Astartes.
I suoi passi l'avevano condotta ormai a pochi passi delle ringhiere. Si spostò per costeggiarle. Di buon passo lasciò correre le inferriate stando attenta a non urtare i sigilli di purezza che vi erano stati apposti sopra.
L'aria sapeva di stantio con una nota in sottofondo d'elettricità, di tensione.
Odiava entrare in un Void-Aegidaì. Le statue allungavano ombre simili a daghe, lunghe e confuse contro le ringhiere. Le più alte venivano dai giganti in armatura blu, dagli Space Marines.
Ultramarines, per la precisione. Erano cerulei ed aurei, con indosso imponenti, antiche panoplie e complete corazze potenziate dagli elmi a visiera ghierata.
Garondyna sapeva che erano Ultramarines, una tra le più grandi delle antiche Legiones Astartes, perché sugli spallacci portavano la dorata "U" di Ultramar, il loro originario dominio astrale. In legame d'armi con i paladini della Legio Lunar abbattevano con gloriosa facilità una schiera dopo l'altra di traditori, di rinnegati dalle fattezze volutamente oscurate.
Di loro non era importante sapere quasi alcunché perché non c'era molto da dire o da sapere. Erano stati dei vigliacchi e dei codardi, lo dicevano gli autorevoli testi della sua scuola, quindi era impossibile non riconoscere la verità delle loro colpe. Eretici e oppositori della Teologica Verità Imperiale, al servizio dell'Arci-Traditore.
Agli ordini di quest'ultimo, il nefando Horus, avevano attaccato Sol al termine dell'Eresia ed in Sol erano stati duramente sconfitti e poi messi in rotta.
Sopra il cielo della Sacra Terra l'Imperatore-Dio, sacrificando le sue spoglie mortali ed ascendendo alla gloria del Trono d'Oro, aveva abbattuto l'Arci-Traditore e tutti i vili demoni che l'avevano spalleggiato, dandogli potere.
Prima di raggiungere la Sacra Terra, però, i malvagi traditori avevano preso posizione sulla Luna e lanciato assalti su Marte, Venere e Mercurio; quella era stata una decisione stupida, il suo libro di Magna Historia Imperialìs era onesto e chiaro in merito, perché aveva diviso le loro forze, a malapena coese, rendendo possibile contrastarli efficacemente e poi scacciarli fuori dal Sistema Solare.
E chi dominava l'anello delle sculture, titanico sia sugli armati della Confraternitàs come sugli Astartes, era colui che in quei frangenti bui aveva assunto il comando dell'Imperivm, rivolto tutta la sua potenza al sacro compito di dispensare il giusto castigo a chi aveva tradito suo padre l'Imperatore-Dio ed assicurato che il Suo sacrificio non fosse vano.
Era il Signore di Ultramar, Gene-Figlio del Maestro dell'Umanità, Primarca della Tredicesima Legiones Astartes e Lord Comandante dell'Imperivm.
Il Figlio Vendicatore, che aveva preso la spada del suo divino padre dopo il duello con Horus e condotto le Guerre dell'Ira e della Furia contro i rinnegati.
Al centro della stata si stagliava, titanico e possente come uno scudo, Roboute Guilliman. Il cuore sembrò esploderle in petto quanto notò che innanzi a lei, davanti al cancello dell'aiuola, v'erano proprio tre colossali Adeptvs Astartes.
Proseguendo cauta il suo cammino, attenta a non disturbare il loro silenzio, Garondyna notò che erano azzurri con inserti bianchi dove una placca si connetteva all'altra. Due avevano gli elmi sul capo e le sembrò che stessero facendo da guardie del corpo al terzo, che invece mostrava il suo volto.
Sembra... ma è...
Se non fosse stata una ragazza attenta, conscia della propria pregevole quanto apprezzabile intelligenza, veloce a cogliere i dettagli, brava nell'evitarsi le brutte figure, modesta e perfettamente sana di mente avrebbe pensato che l'Astartes senza elmo era Guilliman.
Non poteva essere, ma si assomigliavano molto.
Il profilo del viso era lo stesso e sporgevano il medesimo mento severo, deciso, perfetto eppure in qualcosa strano. Quando le rivolse uno sguardo, facendole sentire un fremito d'attesa e paura lungo la schiena, vide che la forma degli zigomi, patrizi e duri come il granito, era pressoché identica.
Cambiavano gli occhi. Quelli di lord Roboute Guilliman la sua statua li rendeva blu mare, più chiari di quelli Von Gianellen ma di gran lunga più scuri degli azzurri, chiarissimi occhi dei Vendas.
L'Adeptvs Astartes che l'aveva appena guardata, invece, gli occhi li aveva imbevuti di purissima, chiara acquamarina.
Dove il Primarca era un biondo chiaro, lui pendeva verso un castano indorato.
Sentire la sua voce le strinse lo stomaco. «Non serve che devi per la mia presenza. Lei non ha ragione di temermi, signorina. E se vuole osservare sappia che noi non la disturberemo»
Non sapeva che cosa rispondergli! Provò ad evitare il suo sguardo abbassando la testa ma se l'Astartes avesse preso quel segno come un insulto al suo onore? Come un'offesa, una mancanza di rispetto?
«Io, m'lord, passavo... ecco, passavo di qua. Sapete, le statue...»
«Può osservarle.»
«No, non voglio disturbare voi, miei lords angeli della morte!», si scusò offrendogli una profonda riverenza con il capo.
Un conto era ammirare da lontano i Magli Imperiali che facevano il cambio della guardia al Bastione Luce Diurna, ma parlare con uno Space Marine?
Come si faceva, per l'esattezza?!
Si sarebbe aspettata un cenno da parte dell'Astartes, un licenziarla alle sue faccende senza più offrirle un pensiero. Al massimo, ipotizzava, una parola di congedo, vaga e spiccia, più che sufficiente a farle capire che la sua presenza non era richiesta.
Un gesto simile, da un sovrumano Angelo? Oh sì se l'avrebbe capito!
L'avrebbe accettata subito quella parola, più che ben volentieri, se ne sarebbe subito andata per la sua strada senza più disturbarlo.
Udì l'impensabile perché non si sarebbe mai aspettata una risata. «Non sono più uso a tutta questa deferenza», lo sentì dire. Si chiese se avesse sentito o capito male. «In Glacialis i bambini provano a sfidarmi a braccio d'adamantio e qui s'inchinano. Davvero, non sono più abituato a ciò.»
Il suo ridere era imponente, profondo ma caldo, con una palpitante nota dentro. Era una voce che, dopo averla sentita così, voleva udire ancora. Sapeva di sicuro, di forza.
«Maestro, credo che quella volta il bambino stesse scherzando.»
«Heliòns, dici? No, Tamririòs: aveva una fiera stretta e ci mise tutto il suo onesto impegno. Uno dei miei assaltatori migliori è nato da quel coraggioso piccolo folle.»
Non aveva capito niente di quel che s'erano detti. Chi era Heliòns? Indecisa sul da farsi la ragazza spostò il suo peso da un piede all'altro. La smise immediatamente, trasalendo, quando l'Astartes che le aveva parlato diede le spalle alla statua per guardarla dritta negli occhi, dall'alto in basso.
Nel girarsi batté un passo a terra; quel movimento, così semplice e scontato, le diede i brividi. Le era parso più come il martellio di un grande chronometròn da campanile che come quel lieve movimento che era stato.
Un tuono, sì, fasciato nella spessa, pesante ceramite azzurra d'una grande, barocca armatura potenziata.
Se lo sarebbe stato più ingombrante e grave, quasi portato con sforzo ed invece era stato innaturalmente fluido, naturale sino ad un punto dove la sua mente aveva rifiutato di riconoscerlo come, in tutta la sua disarmante anonimia, un passo.
«Conosce, ragazza, chi è l'uomo al centro del circolo?» le chiese offrendole d'avvicinarsi. Obbedì senza pensarci nemmeno. Come aveva visto quelle dita piegarsi aveva capito che il "no", qualsiasi scusa lo comprendesse, non era nemmeno considerabile.
«Oh? Chi è... oh, lui è il Figlio Vendicatore, m'lord. Il Primarca degli Ultramarines», disse stringendo le bretelle dello zaino. «Roboute Guilliman.»
L'Astartes, quello che il suo confratello aveva chiamato maestro, corrucciandosi in fronte strinse gli occhi, nei quali lei scorse un momentaneo velo di fastidio: «Rauw-bU-Tey Ghill-uh-mann.»
Chinò il capo piantando il proprio sguardo sulle punte delle ballerine. «Mi dispiace, m'lord! Mi dispiace! Non volevo sbagliarlo! Me l'hanno insegnato così!»
Si coprì la bocca per zittire dei colpi di riso, divertito. «La sto canzonando. Tutti sbagliano il suo nome. Ho sentito almeno venticinque pronunce di questo nome. Ognuna si riteneva quella corretta. Un millennio fa due pianeti, Ultramaria Ghillena e Ultramarina Pontvs, si sono fatti guerra per tre decadi per decidere chi tra loro avesse ragione in merito a questo discorso della pronuncia.»
Lo guardò sbattendo le palpebre, colpita dalle parole che aveva sentito. Che cosa? Una... una guerra per come andava detto un nome?
«Lord Maestro?» s'inserì una delle due guardie. La sua voce, ottenebrata e fatta profonda dall'elmetto, le diede i brividi. Con essi giunse la sensazione che per quanto artefatta dal cimiero era da giovane, da ragazzo, non come quella del suo superiore. «State terrorizzando questa mortale.»
L'ultima parola le strappò uno sguardo rivolto all'Astartes: l'aveva pronunciata con una vena di quello che le era sembrato disprezzo.
«Le faccio paura, signorina?»
«No no no, ovviamente no! Cioè, sì... volevo dire...» Mi uccideranno! Mi uccideranno per l'offesa! Che cosa gli devo dire?!
«Non deve temere alcun male da me», tagliò corto il lord maestro. Fece ritorno all'osservazione della statua, indifferente al come lei si era intrappolata con le parole. «Ero solamente divertito dalla vostra reazione. Pensavo che le genti di Sol fossero use alla vista di noi Astartes.»
«Oh... sì, lo sono ma io... sono di Garon, m'lord.»
«So che è presso il dominio della Monarchia di Garon che orbita il pianeta fortezza-capitolare delle Falci Martellanti.»
«Non le ho mai viste, m'lord. Studio qui sulla Luna, io...»
«Siete una savant?»
«No, m'lord. Una studentessa del rango intermedio», borbottò Garondyna, ancora spaventata. «Studio alla... volevo dire, io frequento la Tranquillitàs Panatinaikon Athenian Accademia.»
«Aule auguste», commentò il più vecchio tra i due Adeptvs che accompagnavano il lord maestro. «Sale madri di notevoli, nobili menti.»
«Troppi complimenti, m'lord. È solo una...»
«Non lo dite.»
«Certo. Perdonatemi, miei lords... non volevo offendervi...»
Il maestro passò con lo sguardo da un colosso all'altro. «Tamririòs? Non ti sento dire a Segestikòs quello che hai detto a me.»
«Lui lo sta facendo apposta, Lord Maestro.»
«Segestikòs?»
Fu a dir poco straniante vedere la guardia dalla voce anziana stringere le spalle. «Non ricordate la Campagna di Estherania, Edvardìs? La Commercial Lady-Kharisteia aveva studiato alla Tranquillitàs, nelle aule che frequenta costei. Se udisse "è solo una scuola" si rivolterebbe nella tomba.»
«Tomba che non ha, Confratello-Anziano.»
«Questo, ragazzo, è soltanto mero, futile, inutile e saccente puntualizzare ciò che non è assolutamente necessario specificare.»
«Come si mette la cenere in una tomba? Con un retino?»
Lord Segestikòs gli lanciò un cenno del capo improvviso, veloce tanto da sorprendere Garondyna: «Porta rispetto!»
«Sì, Confratello-Anziano.»
«Nessuno che sia caduto in Suo nome è morto invano, ragazzo. Di chi muore per Lui, dovresti saperlo, non è nobile parlare male o senza rispetto.»
Eisenhorn! La conosceva quella citazione, l'aveva studiata! «Puntualizzavo sul fatto che non vi è alcuna tomba per quella donna.»
«Quella donna...», udì borbottare dall'Astartes, il suo sprezzo acutizzato dall'elmo. «Io devo curare questa tua insolente arroganza, ragazzo.»
«Non vi pare di esagerare?»
«Questo lo giudicherò in seguito. Ti osserverò in questa Crociata, Confratello. La sensazione che ho? Hai lo sguardo fissato troppo in alto.»
Il Lord Maestro interruppe quella conversazione chiedendo che facessero silenzio e la sua voce fu come uno schiocco di frusta per Garondyna.
Si tese a guardarla e lei sussultò sentendosi piccola, indifesa se quel gigante avesse voluto schiacciarle la testa. Non le rivolse neanche un dito contro; si limitò a guardarla con la fronte aggrottata.
Si sentì a disagio. Distolse il proprio sguardo dal volto dell'Astartes per portarlo ad altro e subito tornò a guardarlo, indecisa come prima su dove esattamente posare gli occhi. Era difficile, era come concentrarsi su di un foglio bianco, pensare all'astratto oppure immaginare da zero un... una... un'immaginazione?
Sì, una fantasia di qualcosa che non le era stato spiegato.
La distraeva! Ovunque posasse gli occhi, comunque lo facesse, scivolava altrove ed era punto e daccapo. Gli occhi dello space marine erano freddi e non riusciva a sopportare il loro intento. Le due cicatrici, sbozzature di pelle biancastra, spalmate dallo zigomo fino alla tempia?
Se fissava quelle, al di là dell'essere maleducata, le veniva da chiedersi che cosa potesse averle causate e...
E non voleva saperlo. Qualsiasi cosa fosse stata, poteva ferire un Astartes.
Le sembrava tanto impossibile quanto orripilante, abbastanza da essere certa, assolutamente sicura di non volerlo sapere.
Lo vide espirare con calma. «Come vede non siano minacciosi. Non loro due, perlomeno, dal momento in cui sono impegnati a discutere. Ciò detto e premesso, non la voglio trattenere ancora, studentessa-savant. Può pure prendere congedo.»
«Posso andare? Posso veramente andare?», chiese spostando di nuovo il peso da un piede all'altro. Congedarsi, sì. C'era una frase, una cosa specifica, da dire. Qual era... qual era?
Ah, sì! «Non vi posso servire in nessun'altra maniera, miei lords?»
Il lord maestro non represse un colpo di riso. «La ringrazio per la cortesia, ragazza. Sappia che è apprezzata. Prego, comunque: vada pure.»
«Certo, m'lord!»
Avrebbe giurato che lui le avesse detto, quando già era lontana qualche decina di passi, di preoccuparsi degli studi. Era vero?
Se lo stava immaginando?
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