Preliminarìs Actìs-et-Gestae ac "De Bello Avrelico" II (1/4)
Una mente priva di un più nobile, esigente scopo finirà per vagare in luoghi oscuri
E non vi è ritorno nella Luce da questi.
Un mero attimo vissuto senza scopo apre a tutta quanta una vita d'eresia, miscredenza,
blasfemia, bestemmia e peccato.
E non vi è ritorno alla santità della Fede da questi.
Una mente aperta è un bastione con i cancelli spalancati e gli spalti scoperti.
E ciò lo rende un bastione inutile.
Un singolo pensiero eretico annulla una vita di pia, onesta dedizione.
E non vi è perdono per gli eretici.
L'unica ricompensa del codardo, del vigliacco e del pauroso è quella di vivere un altro misero giorno nelle tenebre della sua riprovevole paura.
E non vi è uso per i vigliacchi in seno all'Umanità.
-Dauathathedadiòs Alicarnis, Illuminato Lecteratìs Scholam-Tutores della Tranquillitàs Panatinaikon Athenian Accademia, Hive Statiòr Tranquillitàs, Luna-ac-Sacer Terra, Astralìs Sol Systemia.
Saggezze estratte, con sentiti ringraziamenti. dalla sua pregevole opera: "Il Cammino Dorato o la miriade delle vie che l'Imperatore-Dio Illustrissimo ci mostra per la saggezza dei superstiti".
Edito nel dies undicesimo del mese di septembre, M34.847.
Garondyna Tanja Stalinskoviya
Segmentvm Solar
Braccio di Orione, Sector Sol
Svb-Sector Sol, Opulento Cuore Capitale dell'Imperivm
Sistema Solare di Sol, Culla dell'Umanità
Luna, Naturalìs Satellitaes della Sacra Terra, il Mondo-Trono dell'Imperatore-Dio Nostro Immortale, Divino Signore
Mar-Pontvs Tranquillitàs, Hive Statiòr Tranquillitàs
Giorno Nono del mese di gennaio, M42.Y016
La rotazione diurna non era ancora cominciata quando, allo scoccare dell'Ora Settima, Garondyna uscì dal suo appartamento per recarsi a ritirare dei biglietti. Avrebbe assistito alla partenza della potente, grande Crociata diretta in Aurelia.
Quello era stato il topic più conversato e chiacchierato delle ultime settimane, un brusio spoglio di sosta, continuo su ogni canale. Doveva vederla, ovviamente godendosela da un posto d'onore, e per poterlo fare le servivano i biglietti che le aveva inviato suo zio.
Gli eserciti sottoposti all'autorità del nuovo Lord Solar si erano adunati lì in Sol; lungo più settimane, mesi interi, le flotte erano apparse e avevano preso ancoraggio lì sulla Luna, sopra i cieli della Sacra Terra, nei castelli orbitali di Venere, lungo l'Anello di Ferro di Marte e in cento altri bastioni freddi sparsi per il Sistema di Sol.
Qualcuno diceva che erano soltanto una parte di tutta l'armata. Era possibile?
La finestra del pianerottolo e quella dell'atrio erano buie, opache e chiuse all'assente luce artificiale che, quando il cielo della cupola passava alla funzione giornaliera, scivolava tra le volte acute dei loro piccoli, simpatici archi.
Chiuse la porta con un passaggio della chiave magnetica e scavalcò lo zerbino di benvenuto. Doveva stare veramente, veramente super-attenta a non muoverlo dalla sua posizione perché bastava un millimetro per fare impazzire Magdalìs!
Se quel vomito brutto di un tappetino era di un soffio fuori posto allora lei faceva storie e lamentele a non finire, come se ne andasse della sua vita.
Per lei quell'inutile tappeto doveva essere sempre perfettamente sistemato. Quella lì aveva qualche neurone fritto.
Si gettò lo zaino sulle spalle e scese i gradini uno ad uno. La lampada sopra alla finestra la seguì per alcuni secondi con gli occhi, registrò il suo uscire dalla soglia d'attenzione e lentamente si spense. Era già oltre il pianerottolo ad angolo, in vista del cancello, quando le ali dell'Aquila Bicefala scivolarono in una tenue retroilluminazione rossa.
Gli occhi del teschio alato, invece di smorzarsi gradualmente come l'effige spalancata in volo, si spensero con un sibilo risucchiato. Rimasta da sola, in alto sopra al volto, l'Aquila Imperiale pulsò tenuemente, assorta nella sua penombra.
Schiacciò l'interruttore per sbloccare il cancello. I pannelli tra i sostegni ad inferriata si erano schiariti al suo avvicinarsi, innervati dalla corrente che scendeva dall'architrave. Erano pressoché trasparenti quando lo scatto della serratura le permise di aprire la porta. La chiuse dietro di sé con un bello strattone frutto del guizzo d'un momento, un pensiero che le aveva attraversato la testa.
A pochi istanti dall'ultimo secondo Garondyna lasciò andare la sua presa maniglia invece di guidarla, con calma, al bloccarsi con la serratura.
Ebbe giusto il tempo di saltellare dal gradino rialzato alla strada. Infilò le mani nei taschini della giacchetta scolastica e si allontanò dal sottotetto fischiettando divertita.
Lo schianto del cancello fu incredibilmente rumoroso: un boato ferroso e poi un tintinnio sonoro, rafforzato dal traballare delle inferriate metalliche di sostegno.
Il disincarnato urlo arrabbiato di Magdalìs la raggiunse pochi attimi dopo mentre, a passo svelto, s'incamminava per l'ascesa al marciapiede sopraelevato. Scoppiò a ridere mentre gli insulti di Magdalìs volavano fuori dalla finestra. Ad un certo punto il riso la portò a piegarsi sulle ginocchia e sentire male ai fianchi. Si strinse la pancia per lenire il dolore, una goduria davanti allo scherzo riuscito, e cercò di riacquistare un briciolo di normalità tornando dritta in piedi.
Con un sorriso a trentadue denti fieramente impresso sulla sua faccia, la giovane salutò la domvs-habitat e il risultato del suo felicemente riuscito sabotaggio al sonno della coinquilina. La ragazza camminava di buon passo già da qualche minuto quando le numerose, variegate lampade dell'illuminazione artificiale urbana principiarono ad accendersi.
I bracieri votivi erano tutti accesi e guizzanti, uno a distanza di dieci metri dall'alto. Oltre loro si aprivano le quattro grandi corsie dell'Interpolitan Viae Ad Victoriam, attraversate da un traffico sottilissimo e sparuto di vetture ad automotionae.
A metà strada tra ciascun tripode, spostato però di due o tre passi all'interno al grande viale pedonale, si alzavano le statue delle lvxophoràssee: misuravano tutte quante cinque volte la statura d'una persona adulta, in quel dettagli identiche da rango a rango della Viae.
I loro occhi erano coperti da una benda dorata, stretta dietro la nuca: due scie rosse irregolari e mai simili colavano dalle orbite coperte fino al mento, dove parevano gocciolare a terra grazie a qualche trucco ottico.
Tutte quante rivolgevano il braccio destro, quello che solitamente stringeva la lanterna, al cielo d'acciaio della cupola in segno di devozione e preghiera. Il palmo era alzato, aperto a reggere un cerino profumato, rosso e scolpito come per metà consumato.
Con la mano sinistra, invece, solitamente stringevano l'asta d'una grande bandiera, tutta aperta e sventolante al loro fianco.
Qualcuna differiva dalle altre brandendo, invece della bandiera, una lunga spada potenziata dalla guardia d'oro scolpita a forma d'Aquila Imperiale rampante.
Dapprima furono dei tenui cuori di luce quelli che presero vita. Alcuni istanti dopo divennero vere e proprie fiamme elettriche, tutte dall'alone ampio e cadente sul marciapiede, che palpitavano dentro le lanterne endecagonali rette dalle bendate donne di pietra bianca.
La rotazione diurna stava per cominciare.
Per esperienza sapeva che molto presto il traffico sulle quattro corsie si sarebbe fatto più intenso.
Chi lavorava nei turni notturni avrebbe fatto ritorno ai propri habitat e quartieri inondando le corsie con vetture, calessi mechahippo trainati e con i lunghi, vermigli communalìs-transportatores a tre piani.
Doveva attraversare la strada al più presto. Una volta cominciato a fluire in numero e massa il traffico l'avrebbe costretta ad allungare il percorso fino al più vicino tertiamcrvx-directionaes, che era distante e sempre affollatissimo perché vicino a negozi.
Aveva un tarocco nella manica, tuttavia. Poteva attraversare all'altezza del Magnòr Platea-Parcvm Ad Victoriam, fenderlo velocemente in risalita e poi arrivare al Camminamento Sopraelevato 22-13 per prendere la maglev-rotaia della settima ora mattutina.
Le servivano soltanto degli strali pedonali. Schivò due gruppi di ciclisti avvicinandosi ai bracieri, dove l'aria sapeva d'incenso. Mischiandosi a mezz'aria con quel sapore di polvere che cadeva dalle statue la faceva sentire come dentro una macro-cattedrale o sotto le navate di una Magna-Basilika.
Mise qualche passo tra lei e le statue delle donne cieche, scosse il capo per scacciare uno sbadiglio, rassettò la presa delle bretelle sulle spalle e poi allungò il passo. Si sentì afferrare le spalle dal timore d'arrivare in ritardo alla fermata.
Si stropicciò gli occhi tra un passo e l'altro sperando di non rovinarne il trucco.
Vide gli strali pedonali trenta metri avanti a lei e scattò in una breve corsa con cui li raggiunse. Sulla destra, nemmeno un terzo di chilometro dopo le strisce e la figura dell'astantìs-segnalator armato di bandiera, in quel momento lampeggiante una vivida aquila imperiale rossa in segno di stop, cominciavano le ringhiere in ferro battuto del Magnòr Platea-Parcvm.
Gli alberi decorativi del parco erano tutti curati, ben visibili sopra alla ringhiera perché alti e verdi tanto da farle male agli occhi.
Erano... erano così in contrasto con il cielo d'acciaio della cupola! Un qualcosa che veniva da un altro mondo, tutto strano e lì fuori luogo.
Si riscosse da quel pensiero. Attraversò gli strali pedonali nel momento stesso in cui l'insegna imperiale si colorò di verde e fu dall'altra parte prima che l'aquila divenisse rossa. Non fermò né rallentò il proprio cammino, anzi un po' accelerato alla volta dell'ingresso est.
I muri perimetrali del grande parco erano spessi, alti tre volte la sua statura. Sembravano tinti con dell'avorio. In cima erano decorati da un'alta ringhiera scura a forma d'ingranaggio di macchina, di cogs come lo diceva il Mechanicvm, con ali spalancate.
Le ombre che i muri allungavano come stiletti sul camminamento pedonale finivano con l'essere confuse dalle docce luminose che venivano emanate, ora a pieno regime, dalle grandi, endecagonali torce delle lvxophoràssee. Nel contrasto si frantumavano scindevano in tanti, tantissimi piccoli giochi di chiari e scuri atterrati. Senza definizione e sostanza, lì. Impressi sul marciapiede.
Tenendo a grandi passi il centro del viale lastricato, Garondyna s'inoltrò nel parco e puntò all'Agorà delle Direzioni, il suo ampio cuore centrale. Era facile vederla da lontano. Ancor più semplice raggiungerla, indifferentemente da quale direzione si venisse.
Sistemata la presa dello zaino sulle spalle, gesto che ripeteva ogni volta che le bretelle scivolavano ai lati o premevano troppo sulle spalle, affrettò ancora un po' il suo passo e trasse una boccata d'aria.
L'Agorà delle Direzioni aveva un complesso di statue onorarie impossibili da mancare, anche se lo si voleva a tutti i costi. Era troppo grosso per non apparire. L'aveva visitato in gita durante il suo primo semestre di scuola, quando era stata ancora nuova della Luna e delle sue curiosità. La piazza in sé era grande abbastanza da apparire come una piccola collinetta eretta al centro d'una piazza circolare gradinata, con sedici ordini di posti a raggiera crescente.
Il Magnòr Platea-Parcvm apparteneva alla Legio Lunar della Confraternitàs Ad Sthallivm: lo aprivano volentieri al pubblico praticamente ogni giorno salvo quei pochi in cui officiavano i loro riti e, per avere tranquillità, rendevano l'accesso vietato. In genere si facevano neutrali all'idea che i civili come lei lo percossero come semplice, mera scorciatoia per evitare le flotte dell'incrocio più avanti.
L'unica richiesta che era espressamente fatta presente ai visitatori, tramite occasionali avvisi di macro-vox altoparlanti, era quella di non sporcarlo... e personalmente Garondyna non capiva proprio con quale coraggio e modo lo si potesse sporcare: chi era abbastanza stupido, in tutto il formicaio, da gettare cartacce nel cortile d'una fratellanza militare, assecondata agli ordini sovrani del Cvltvs Mechanicvm di Marte?
Un suicida?
La Confraternitàs lo pattugliava regolarmente il Magnòr Platea-Parcvm, per l'Imperatore-Dio!
Non con eccessiva serietà ed attendendosi dei nemici, quello era chiaro, però si potevano vedere non di rado dei Confratelli Ad Sthallivm in armatura atomikae-alimentata intenti ad attraversarlo da parte a parte, armi versate a tracolla ed elmo sottobraccio. Da quello che aveva colto e sentito dire era una loro forma di liturgia ma non ne era affatto convinta.
Quale liturgia prevedeva di camminare su e giù per un parco con alberi e siepi? La liturgia del giardiniere? No, quella loro pratica era soltanto un regalo ai turisti od ai passanti travestito da servizio militare.
Erano impressionanti e, sapendolo, non si nascondevano troppo a chi poteva trarre gioia o sicurezza nel vederli mantenere l'ordine: figure grigie, corazzate dall'acciaio delle loro armature atomikae-alimentate, il cui incedere era un calcolato stormo di valanghe ferrose in caduta.
Quelle tecno-panoplie li rendevano grandi come degli Space Marines... o forse un po' di meno, pensandoci bene. Colossi corazzati, comunque fosse, dal passo fluido ma di tuono pesante, minaccioso per qualsiasi orecchio nemico dell'Uomo.
Il loro emblema, che si presentava segnato anche sulle ringhiere, era quello d'un dentellato ingranaggio argenteo ornato d'ali spalancate, tagliato in centro dalla figura dritta ed affilata di una spada potenziata accesa, prossima all'avvampare di fiammanti energie tecno-mistiche. Lo dominava il teschio metà umano e metà bionico del Mechanicvm.
Preso un sentiero che sgusciava sempre sulla destra Garondyna prese ad osservare, tra un passo e l'altro, il centrale complesso delle statue: s'ergeva solitaria una butterata spelonca rocciosa, che lei aveva letto da qualche parte essere un frammento della crosta esterna, alta per più di quaranta metri nel cielo. Si trovava dentro un protettivo campo di void-aegidaì, visibili per le tenui distorsioni nell'aria.
Graziosamente illuminato a circolo da dodici statue lvxophoràssee, pareva un dente adunco uscito dal terreno del parco.
Il pietroso cadavere di un pelle-verde, chino in avanti, era scolpito come accasciato sulla parte più alta della spelonca. Un piede umano fasciato d'acciaio potenziato si stampava con gloriosa violenza sul suo muso quasi a ricordargli chi dominava la Via Lattea. Calava con potenza, percettibile anche attraverso la statica composizione, rompendo ossa, spezzando zanne e fratturando crude piastre metalliche che ad occhio sembravano saldate direttamente, con grossi chiodi arrugginiti, nella mascella della bestia aliena.
Il torace dello xenos era stato immortalato nell'atto d'esplodere perché colpito fatalmente da un carminio dardo di las-fucile; il rosso uccisore era esploso da un Confratello ad Sthallivm rappresentato a testata bassa e slanciato in avanti, all'attacco, il las-fucile portato all'altezza della spalla e un voluminoso zaino respiratore che si ancorava alla piastra vertebrale dell'armatura atomica. Era lui che con quel bel calcio schiantava in terra l'orko.
Garondyna lasciò il viale, rivolse lo sguardo ad uno dei pannelli informativi che puntellavano il contorno dell'Agorà. Fu davanti allo schermo in un momento e qualche passo. Sentì un sussurro d'elettricità e poi un lento movimento d'ossa. Alzò gli occhi ad incontrare lo sguardo del servo-teschio di servizio, incastrato dentro una cornice d'onice in cima al pannello.
La sentenza informativa, un dettaglio in pergamena allacciato a due chiodi sotto il fondo basso della cornice, affermava che il cranio e il cervello lobotomizzato al suo interno provenivano da una stupida folle che, incautamente, aveva offeso l'officio di un tecno-prete asserendo a voce alta di potere fare il suo lavoro meglio di lui.
Era stata diligentemente condannata a morte. Il suo corpo era diventata materia di ricambio per servitor-operai mentre la testa scarnificata e il cervello, ridotto a funzioni elementari e regolato da piccoli cogitator, avrebbe scontato una condanna di novantanove anni e novantanove giorni di servitù a quel pannello, fornendo informazioni tramite videate olo-lithografiche.
Ben le stava.
Da un puntatore incollato sopra l'orbita sinistra il servo-teschio le proiettò davanti una finestra di servizio dai bordi sfocati, simili a piccole fiammelle. Chiedeva in che maniera potesse esserle utile. Garondyna picchiettò un colpetto contro la voce "Localae Cartographika Dispositio" e sul tabellone sottostante si disegnò una mappa dei quarantadue quartieri vicini all'Agorà delle Direzioni.
Il suo timore d'avere sbagliato strada era infondato. Spazzò via la videata della mappa dopo un secondo sguardo, dato per essere assolutamente sicura, quindi controllò gli orari d'arrivo e partenza della vicina stazione mag-lev.
Aveva ancora venti minuti abbondanti. Licenziata anche quella videata Garondyna chiuse l'utenza con un passaggio dell'indice sulla runa d'uscita e il servo-teschio produsse, aperta la bocca con un lamento d'ossa forzate, uno scontrino. Lo staccò dal rotolo prima che l'allarme a trillo cominciasse a suonare. Quel verso era orripilante nel fastidio che dava.
Diede un veloce sguardo al conto che le era appena stato presentato. Certo che quelle piccole operazioni sarebbero anche potute essere gratis! Sospirando la sua noia la ragazza gettò una bronzea monetina da cento-cinquanta millesimi di Trono Imperiale dentro la cassetta dei pagamenti in basso a destra, stropicciò lo scontrino nella tasca della giacchetta.
Cento-cinquanta millesimi per due videate! Avevano alzato il prezzo di ben venticinque millesimi! Doveva essere colpa della Crociata, quella.
A confermare i suoi sospetti fu l'apparizione di una piccola videata olo-lithografica, proiettata da uno spioncino in cima alla cassetta, dominata da una roteante Aquila Bicefala Imperiale, sotto le sue zampe la definizione dell'Aula di Joramund. Passando con un balzo dal fondo al principio dell'ala destra, un Capitan Imperivm alto la bellezza d'un indice le rivolse un sorriso contento e poi un pollice alzato.
L'olo-lithogramma si dissipò nell'aria e lei e si allontanò.
Immobile ed alta nel cielo, la composizione gravava sulla piazza. Sei commilitoni, tutti Confratelli Ad Sthallivm, innalzavano tutti assieme una bandiera dell'Imperivm il cui puntale era infisso pochi passi oltre il cadavere dell'orribile mostro alieno.
Garondyna conosceva i loro nomi, impressi in ordine ed in oro bianco dentro un circolo di platino nero alla base del monumento.
Tutte le persone con un briciolo di dignità che vivevano in Hive Statiòr Tranquillitàs sapevano di loro! La Confraternitàs Ad Sthallivm aveva lanciato una campagna di salvataggio e riconquista della Luna quando la Bestia di Ullanor l'aveva invasa nel quinto secolo del trentunesimo millennio.
Arghel Lyons, Konstantìn V'a Hòrr, Alvidio Ar, Estarsi Dàharni, Kyrnae Tar', Eldera Lyons e il fuciliere, rappresentato nel momento in cui abbatteva il suo fetido nemico orkesko, Danseiòn Bethesdhaeiòn.
Riprese il suo cammino rivolta al viale per l'uscita Est-Tridecimaplvsduam. In pochi attimi ebbe le statue alle proprie spalle, come un sogno abbandonato.
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