Preliminarìs Actìs-et-Gestae ac "De Bello Avrelico" I (2/2)


Passò il pastorale dalla sinistra alla destra. La torcia appesa in cima oscillò in risposta, quasi alla stregua d'un pendolo, spargendo a vampata tanti piccolissimi guizzi di fiamma. Decius la placò con un tocco attento, intimorito dalla possibilità che si sganciasse dagli uncini e cadesse a terra.

Sarebbe stato alquanto imbarazzante.

Era ambra vermiglia, quella. Fragile e laboriosa da produrre, importata dalle montuose giungle di Aphrodites Terra in Venere-di-Sol e poi attentamente lavorata da abili artigiani proprio lì, sul suolo urbanizzato del Sacro Mondo-Trono.

Pendendo aggrappata alla cima dell'asta per mezzo d'una catenella di sottili anelli d'oro, numerosi e intervallati da grani di rosario in guisa di cromati teschi umani alati, l'ambra resisteva al calore tanto bene da offrire una pregevole indifferenza al rubicondo cuore di fiamma che le bruciava dentro.

Le sue luci danzavano ad ogni passo compiuto, gettate come lingue rossicce e giallastre oltre le nove pareti d'azzurrino intangi-cristallo che andavano a comporre, lievemente inclinate verso l'esterno, quasi a citare una singolare e splendida goccia di sangue, la gabbia ad alto scheletro ennagonale. Un voto di fede, inciso in bianco rilevato d'argento, correva in fine corsivo lungo i bordi inferiori e superiori.

«Prendete congedo, Somma Eccellenza?»

«Sì», fece cenno alle due sororite celestiane di aprire per lui le porte a vetri del balcone, «debbo lasciarvi in solitudine, lord Dragunovion. Con la Crociata in procinto di salpare comprenderete che i momenti liberi sono rari e sparsi.»

L'Astartes si volse ad incontrarlo, il pavimento tremulo sotto i suoi passi foderati di ceramite potenziata. Anche senza malevolenza lo guardava dall'alto, con ignorante facilità.

Si sentiva piccolo vicino agli Astartes ed ai Cvstodes, un bambino che uno qualsiasi tra loro avrebbe potuto uccidere con un vago schiaffo.

«E questo», disse come mero dato di fatto, «l'avete spartito con me.»

«Siete individui particolari», commentò Decius oltrepassando la soglia della porta-finestra. Oltre la ringhiera di marmo bianco del grande e lungo balcone, in volo regolato sopra al dedalo di strade che fendevano Hive Lessandria in settemila-e-centoundici direzioni diverse, il traffico aeronavale scorreva in processioni lunghe dozzine di chilometri tra le spire dei palazzi.

Quotidiano, incurante forse degli eventi in corso.

Il Sommo Ecclesiarca vide bene la marcia di tre sturmndranghenne nere, rosse, bianche e dorate, i colori araldici dei regnanti dell'Over-Archia di Armageddon-in-Solar, scivolare in pesante volo tra sei voluminose colate di fumo grigiastro, serpentine nuvolose allungate al cielo dalle alte cima d'altrettanti pilastri di titano-forni industrial-manifactorvm.

La vita quotidiana scorreva normalmente ma l'Opra Pia dell'Adeptvs Mechanicvm non dormiva mai. Come avrebbe potuto, considerata la situazione? Soltanto i morti nel loro riposo eterno e coloro i quali erano in pace potevano dormire... e da quel lato della tomba, come uno dei Sommi Signori del Senatorvm Imperialìs lo aveva ben presente, non v'era nessun riposo o pace ad attendere gli anni a venire.

Soltanto, come ha detto Creed, sangue, sudore, lacrime e l'asprezza della Lunga Guerra.

Il ricettario è lo stesso, miei ospiti. Non cambia mai. «Parlarvi è raro anche quando si è del mio statvs.» Quando aveva cercato un po' di tranquillità su quel balcone dell'Imperial Aulae non s'era aspettato un'ospite. Aveva provato una punta di fastidio, negarlo sarebbe stato mentire e l'Imperatore-Dio vedeva le bugie dall'alto del Suo Trono d'Oro, però era calato subito all'idea di farlo presente ad uno degli Adeptvs Astartes.

Che osservasse pure e gli facesse compagnia, dunque! Perlomeno aveva offerto una conversazione interessante, per quanto lapidaria.

«Suppongo sia così.» Non capì se quella era un'affermazione circa qualcosa che gli era stavo appena svelato come nuova o se, invece, stava riflettendo in merito ad un dato di fatto di cui era già a conoscenza. Lo vide rivolgergli un cenno di congedo con il capo, rispettoso ma secco, per poi voltarsi a guardare nuovamente le colossali Inmalazarie.

Rispose al suo congedo pur sapendo che non lo stava guardando. Avanti a lui d'appena qualche passo, distratte dall'immota presenza tanto del Maestro Capitolare quanto di tre suoi subordinati Confratelli, Anabell e Vogelenne attendevano il suo arrivo. La seconda, la più giovane, guardava gli Astartes con un cipiglio stranito, che Decius trovò confuso e divertente. Batté le palpebre corrucciando la fronte, forse per assicurarsi che non fosse una statua a colori in stile realista.

Anabell gli venne incontro accompagnata dai rochi sussulti dei servofibra-idromuscoli della sua armatura potenziata. Come la novizia Vogelenne, lei aveva preso i voti ed apparteneva all'Ordine della Nostra Signora Martire, uno dei più antichi nell'ambito della Sorellanza Militante. La sua armatura era una stretta panoplia scura drappeggiata da cadenti panni rossi.

A stringerle la vita, sotto lo svaso finale del tethra-blindato corpetto marcato in scuro dai simboli della Militant Sororitas, v'era una metallica cintura a due lacci fatta da grani di rosario metallici che tintinnavano in concerto con i teschi alati che li intervallavano. Un cranio con ali di spade ogni tre grani, sempre con piccolissime gemme azzurrine incastonate nelle orbite per fare da occhi, ed uno strale di pergamena votiva impressa sulla fibbia.

Dall'intrico d'uno dei due nodi cadeva, lungo la gamba fino al ginocchio, una lanterna d'ossidiana incisa di corsive preghiere scritte a las-stilo in Alto Gotico. La lanterna era stata scolpita a tempietto votivo, in sagoma di lettera I, per riprodurre con preziosità di dettagli la figura di Santa Katherine, antico e venerabile Flagello delle Streghe. La Lady Canoness, santificata nel trentottesimo Millennio, era fasciata in povere vesti bianche che si univano ad un'armatura scura, simile in foggia a quelle vestite dalle due sororite celestiane.

Sollevava fieramente una bandiera dell'Imperivm impugnando, con la destra, una spada potenziata aspersa di punitivo, vermiglio fuoco.

«Quando desiderate, vostra Somma Eminenza.»

«I nostri ospiti illustri sono arrivati?», le chiese guardandola negli occhi. Quello destro era un fine innesto bionico, del genere che diveniva effettivamente difficile distinguerlo da un occhio vero anche per lo sguardo di chi era pratico, trapiantatole per sopperire al fatto che l'ascia di un pelle-verde le aveva asportato metà volto durante la Terza Guerra di Armageddon.

«Manca poco, Somma Eminenza.» La chirurgia ricostruttiva le aveva ridato un viso lasciandole alcune cicatrici di post-operazione ma l'occhio, perduto irrimediabilmente, aveva richiesto un sostituto. Era stata lei ad indurre nell'ordine la più giovane Vogelenne. «Dai bastioni hanno comunicato che la scorta del Lord Solar è entrata nella Via Maestra.»

L'indomani l'Imperivm avrebbe discusso della partenza della Crociata. La gente d'un milione di volte un milione di mondi e popoli le avrebbe rivolto un pensiero di buoni auspici, atteso il suo tempistico trionfo e pregato perché l'Esercito degli Eserciti raccogliesse almeno una misura di tutte quelle vittorie che servivano a sistemare la situazione e rialzare il morale.

Il ricevimento, fortunatamente, non avrebbe sollevato voci e pettegolezzi: sarebbe stato sommerso dai titoli di testa inerenti proprio quell'Esercito degli Eserciti che, lasciato il Sistema di Sol, faceva rotta per Ullanor e poi per la regione del Sector Korianìs.

Proprio come faceva piacere al Lord Solar, dunque.

Non gli dava l'idea d'un uomo che amava attendere le cerimonie, certo non quelle in più del necessario. Fabritiòs Von Gianellen era torvo, a denti stretti e nella sua mente Decius lo accostava ad un vulcano che bolliva nervoso. Quando discorreva egli non alzava la voce, comunque mantenuta ad un livello più che chiaro, né si dava a gesti.

Era educato e fedele all'etichetta, com'era doveroso che fosse considerando chi era e quali statvs ed offici ricopriva, però non era affatto un'amante della discussione o della chiacchiera.

«Allora abbiamo ancora qualche decina di minuti per terminare i preparativi per l'Aula Magna.»

Le adepte sororite si disposero prontamente ai suoi fianchi. Il mantello di Anabel sollevò una cascata di tintinnii quando ella si mosse alla sua destra. In creste a salire più strette, intrecciati a delle cave astine dalle quali pendevano degli oniro-psicaptivatòr, una livellata colata di piastrine identificative dava una lingua d'argento al mantello vermiglio.

Decius sapeva che quelle piastrine erano appartenute a sororite e milites astra con cui Anabel aveva combattuto in Armageddon diciassette anni prima. Anime perite, esistite per un secondo come una residua immagine di bagliore, andate in compagnia dell'Imperatore-Dio. Insisteva nel ricordarle, nel rammentare il loro sacrificio, portandole con sé. Perseverava anche, una pregevole prova di saggezza, nel proteggersi da eventuali spiriti maligni con quegli oniro-psicaptivatòr.

Le scoccò uno sguardo tra un passo e l'altro ed ella rispose raddrizzandosi composta. Vogelenne, invece, Decius la notò voltarsi di tanto in tanto a guardare gli Astartes vicini alla balconata, statuari tra le ombre della via colonnata.

«Vogelenne», Anabel si volse a redarguirla a labbra contratte, «smettila di fissare gli Space Marines.»

«Si, Sorella. Scusatemi.»

«Ti piacerebbe se loro fissassero te con tanta assiduità?»

La giovane sororitas fece per rispondere e poi tacque indecisa. Decius dovette sforzarsi di non ridacchiare e invece sollevò gli occhi al soffitto, alle pitture tenuemente illuminate dai lampadari mantenuti a minima alimentazione per creare atmosfera.

I giovani! Loro e il loro sangue caldo.

La luce filtrata dalle porte-finestre del balcone aveva ceduto il passo all'illuminazione artificiale della via porticata ad archi acuti retti da vermiglie colonne dorykee-elysiane. Alta sei volte la statura d'uno degli Adeptvs Astartes, faceva echeggiare bene i passi. Ogni mattonella, ennagonale e marcata da un numero, presentava placcata in oro la Bicefala Aquila Imperiale, rampante sopra un diverso pianeta del Dominio dell'Imperatore-Dio.

Le sentinelle di turno si mantenevano sui camminamenti marginali, alti un passo sopra al pavimento, con gli scudi rettangolari alti e le las-lance dritte. Avevano un drappo rosso correlato da una barda bronzea che copriva loro il volto impedendogli simbolicamente di parlare.

Per una tradizione di cui Decius era del tutto ignorante, salvo una situazione d'emergenza o per istruire ordini o direttive ai presenti, la parola gli era proibita durante il servizio attivo.

Qualcuno, pensò Decius avanzando lungo la via coperta verso il tappeto rosso che segnava il percorso dritto attraverso saloni inter-connessi, avrebbe dovuto spiegare a Vogelenne che gli Astartes non provavano attrazione per nessuno. Probabilmente erano anche sterili.

«Si può sapere che cosa ti prende? È da quando sono arrivati che continui a fissarli. Se ad uno di loro desse fastidio?»

«Credo che me lo direbbe lui stesso, Sorella.»

Per distrarsi dal loro discutere Decius guardò agli archi che regolari si succedevano ai suoi lati. Erano sempre a coppie parallele, presenti ogni diciotto metri di percorso. Li dominava un largo drappo vermiglio che cadeva a, figurativamente almeno, sbarrarli al passaggio dei transitanti.

Su ognuno era impressa la picto-grafia di un momento della Magna Historia dell'Imperivm, dalla sua proclamazione in Ex-D'laì Polìs il primo giorno del dichiarato anno trentamila sino a quando, disordinatamente attraverso i secoli e i millenni, il sentiero finiva sboccando nei saloni.

Il paramento immediatamente alla sua destra mostrava un vano-bombe più si spalancava rischiarando le tenebre con una luce calda, di cielo illuminato da un sole. Scorrevano più picto-grammi incatenati, immagini legate in rapida trasmissione, a circolo chiuso.

L'ordigno in centro a tutti i pictomotione-cessatio, immortalato dall'aprirsi dei portelloni fino ad un momento prima d'essere lasciato cadere dai suoi grossi morsi magnetici, sorvolava l'espanso scorrere d'una grande xeno-città.

Una vista disgustosa che le Sacer Scriptvraes della Lectitio Divinitatvs insegnavano ad odiare con passione, con il fuoco dell'ira. Una xeno-città era una città popolata da xenos, da sudici alieni. Esseri incapaci d'ogni virtù, la descrizione che la Lectitio dava di loro era impeccabile, ignoranti al significato della lealtà.

Sulla testa la bomba portava, impresso dentro un ottagono di piombo ornato di glosse in Lingva-Technis Binary-Codex, il simbolo che denunciava la stregoneria della radioattività. Gli altri stemmi vicino alla punta della testata, immediatamente sotto, erano quelli di Hussy'q-in-Pacificvs. Tra un passo e l'altro il Sommo Ecclesiarca notò una scritta graffiata sulla corazza della bomba in un vago, curvilineo Alto Gotico.

Ridacchiò di quel che diceva.

"Tieniti i tuoi dololos, R'daema'. Corri se vuoi 'che tanto non cambia niente.".

Non sapeva a cosa od a chi la frase si stesse riferendo ma era divertente l'inutilità dietro quel gesto, l'inscrivere qualcosa su di una bomba che probabilmente era termo-nucleare. Sulla sinistra lo stesso ordigno brillava al centro d'una grande città costiera che si snodava anche in lunghe grotte montuose. Esplodeva innalzando un titano di fuoco e di fumo, una colonna passivamente accecante e slanciata al cielo in più circolari espansioni di nuvole grigiastre, radendo al suolo le architetture xenos.

Quando giunse alla coppia successiva Decius comprese il riferimento storico: sulla destra lady Aqkil'el Darnara era stata catturata dalla picto-grafia nell'atto di trafiggere con impeto un condottiero aeldarìs-droùvithaì passandolo da parte a parte con una brillante, potenziata spada dorata.

Il drappeggio sulla sinistra mostrava, adesso il quadro era completo, la Crociata Redamanthinea che combatteva gli aeldarìs-droùvithaì e gli orki pelle-verde di Hurtz nella Regio-Expansione di Hulnaz-zhùr-Naznagha.

Era storia del Trentasettesimo Millennio, quella.

«No. No, no e assolutamente no. Sei stupida?», commentò aspra Anabel. Scivolò per un momento nel suo natio accento di Sole Deilis in Minerva la Quarta. «Gli Adeptvs Astartes, a differenza tua, possiedono quelle bizzarre dotazioni note come buone maniere.»
La parlata di Anabel gli ricordava quella d'un'altra Sororitas che per qualche tempo era stata una celestiana al suo servizio, incaricata di proteggerlo a costo della propria vita.

 Il suo nome era...

Letha? Era Letha, vero?
No, non Letha. Assolutamente non Letha. Era Lelith? Laelith? Lelith?

Lelith... no. Lelith era il nome di una sanguinaria kýrnne drukhar-commorita. Lelith Hesperax, una Aeldarìs per la quale esisteva un presente ordine d'assassinio diffuso a tutti i vertici di conto ed importanza interni all'Officio Assassinorvm.

Il nome di quella celestiana allora qual era? Lilith, magari?

«Ma non li ho disturbati!»

«Che cos'è questo tono spoglio di rispetto, novizia?»

Lethilia! Lethilia, ecco qual era il suo nome! Lethilia! Era lei quella donna, se la ricordava come una figura strana, che veniva da Minerva la Quarta proprio come Anabel. Non aveva sue notizie da almeno un buon decennio e mezzo.

«Volevo dire, Sorella-Superiore, che non ho arrecato loro alcun disturbo. Li stavo solo amm... guardando. Non avevo mai visto degli Astartes rossi! Pensavo fossero tutti blu o gialli.»

«Ad essere blu sono gli Ultramarines mentre il giallo lo si associa principalmente ai Magli Imperiali che hai già visto al Bastione Luce Diurna», le disse Decius. «Quelle sono Falci Martellanti. Non provengono dallo stesso Primarca, Sorella. Alcuni Capitoli, per una simile gaffe, potrebbero offendersi gravemente.»

«Non sono gene-figli di Guilliman il Figlio Vendicatore o di Santo Dorn Praetorian Terra?»

«No, non lo sono.» Le ascendenze dei Capitoli dell'Index Astartes, anche quando erano raccolti nelle massicce pagine della Magna Opvs Tà-Biblìa Astronomicana, erano discorsi difficili ed ingarbugliati. «Per quanto non sappia da quale Primarca provengano. Vi sono delle teorie.»

Gli Space Marines delle Falci Martellanti non erano i soli ad essere dei "Figli Ignoti", discendenti delle Legiones Astartes ma senza memoria o con ricordi frammentati del loro capostipite.

In qualità di Sommo Signore della Terra aveva accesso a documenti solitamente proibiti anche agli occhi dei più illustri nomi delle Grande Casate, già autorizzate ad avere visione di documentazioni proibite ad ampie frange dei numerosi Administratvm.

Al contempo non poteva accedere oltre sovrascritture, cancellature e censure fatte od apposte nel corso dei millenni. V'era tanto inchiostro nero sulle pagine più antiche della Tà-Bibilìa Astronomicana. Copiosi strali apposti a coprire informazioni che i signori dei secoli passati avevano ritenuto troppo pericolose per potere essere mantenute integre.

«Non sono i soli, comunque. Anche i Corvi Sanguinari, per dirvi un nome tra tanti, sono d'ascendenze sconosciute. Così i Guardiani della Tempesta, i Cavalieri di Riposo del Titano e gli Astria Inductòr-Paladins.»

«Vi prego di non punire la mia ignoranza, Somma Eccellenza, però due su tre dei nomi che avete detto mi sono del tutto sconosciuti.» Era stato dicendo quelle parole che Anabel aveva scoccato un cenno alle distanti Falci Martellanti.

Erano ancora lì presso l'ingresso del balcone panoramico?

«I secondi, invece, me li ricordo. Erano presenti durante la Terza Guerra di Armageddon.»

«E li avete visti di persona?»

«Sì, Vostra Somma Eminenza.» Soltanto qualche passo dopo ella riprese l'uso della parola ed aggiunse a quanto aveva già detto: «Durante il Secondo Assedio di Hive Blackfyre. Arrivarono durante il sessantasettesimo giorno di battaglia.»

Tre intere Compagnie di Confratelli Astartes erano giunte in soccorso dell'Over-Archia passando per la Sacra Terra, la rotta di Orionìs Secundìs e la via Elysian-Zevonese.

Il loro passaggio Decius lo ricordava nitidamente, come se fosse avvenuto il giorno prima, come se quello non fosse il gennaio del sedicesimo anno del Quarantaduesimo Millennio, ma il novecento-e-novantanovesimo del Quarantunesimo.

I Cavalieri di Riposo del Titano, seguiti da un robusto esercito di Milites Astra da Europa Universalìs e da armate e corazzate legioni di cavalieri adunatisi dai mondi dei Principati di Ashenphaèldh, erano passati per i cieli della Sacra Terra, gloriose stelle comete di ceramite ed adamantio, dopo avere ricevuto l'autorizzazione a traslare dall'Empyreano Immaterivm al Realìs Materivm.
In lento volo atmosferico avevano diffuso una chiamata alle armi rivolta a tutti gli animi valorosi in ascolto, a chi era disposto a viaggiare in difesa di Armageddon.

Con l'Autorizzazione del Senatorvm erano ripartiti dieci giorni dopo il loro arrivo, forti di diciotto reggimenti della Guardia Ururushu-Veneriana di Ishtar Terra, una Missione dei Cavalieri di Santo Giovanni in Solar e una zelota Crociata del Proletariato.

Poco materiale umano da ritenere tanto per lo scarno preavviso dato. Com'erano apparsi così i Cavalieri erano ripartiti, seguiti da quell'esercito variegato ma numeroso, volando alla volta di Armageddon Capital e della guerra che la Bestia Verde vi aveva portato contro.

Tre compagnie... era un dispiegamento assolutamente massiccio per un singolo Capitolo di mille elementi, quasi un terzo di tutti i suoi effettivi.

Il ricordo della chiamata alle armi espressa dalla grave, roboante voce del Primvs Optimvs-Lord il Gran-Maestro Parademiòn Jabalaonskalona Orariòr lasciò il posto allo scalpiccio e al passaggio degli inservienti di palazzo.

«Ricordate bene», si rivolse ad Anabel, «i Cavalieri di Riposo del Titano erano in Armageddon. Che ve li rammentiate, vi dico, è sia corretto che prevedibile: la loro immagine è cara ai tanti popolini imperiali.»
Non erano sfortunatamente celebri quanto altri Capitoli ma rientravano di buon passo in quello che, sotto cento versioni diverse, era il pubblico dominio dei popoli degli stati che componevano l'Imperivm.

V'erano certe frange degli Adeptvs Astartes che, secondo un'opinione da lui condivisa, era meglio non fossero note. Nel nome della sicurezza alcuni elementi e certi dettagli andavano nascosti alla vista di tante folle purtroppo curiose.

Erano persone facilmente vinte dal panico, quelle.

Se soltanto avessero saputo tutto...

«I Guardiani della Tempesta, invece, sono un Capitolo molto riservato, Sorella. Gli Astria Inductòr-Paladins? Oh, loro operano come Capitolo Crociato, eternamente impegnati a navigare la Galassia, e raramente sappiamo esattamente dove loro si trovino o in quali condizioni versino.»

Vogelenne gli rispose con un ringraziamento per la spiegazione al quale Decius non diede peso.

Al seguito delle sue guardiane volse a destra, oltre un drappeggio che raccontava una delle innumerevoli, sanguinose Danze dei Draghi. Prestò attenzione all'oscillare della torcia in cima al pastorale. Per scrupolo ne aumentò la luminosità di due gradi e mezzo, avvolgendo le due guerriere di scorta dentro una cupola di fiammante, incensata aura rossa e dorata che sfrigolava silenziosa. Quasi a volergli rispondere il salone d'intervallo colonnato gli si spalancò innanzi, vastissimo e monumentale.

Duecento-e-cinquanta colonne incrociate a via maestra lo scandivano, tiranne sopra ai viali porticati, con la loro spessa, altissima mole. Salivano fino al soffitto, da loro retto con stanca gravità, affondando quel rettangolo incamerato tra le corse di due viali coperti dentro un'aura d'artificiali penombre.

Poteva apparire vasto e desolato ma in verità era pieno di vita. Servivano un paio di buoni occhi e tanta consumata esperienza per orientarsi dignitosamente.

V'era un riquadro colonnato a fare da divisorio per ogni parallela coppia di viali coperti dagli archi drappeggiati e di questi, sapeva Decius per esperienza e per scrupolo, la cima della Sommitàs Mediana dell'Aula Imperialìs ne contava sessantaquattro. Ogni sentiero sotto gli archi conduceva ad un diverso, esteso, riservato balcone panoramico alto a sufficienza da apprezzare le spire di Hive Lessandria.

Erano composti a raggiera e inclinati man mano per essere pareggiati alla perfezione, dalle fondamenta dell'Alto Nobilitas Castrvm parevano disegnare un sempiterno occhio vegliante.

Trentadue popolose aule colonnate. Alte duemila-e-quattrocento-due metri, il basamento di marmo bianco incluso in quella misura colossale, salivano dritte come spessi pilastri cremisi verso il sommo soffitto a cupola affrescata.

Il loro ascendere era intervallato, con specifici ritmi, da fasce più scure, ora vere dorate ed ora bande vermiglie, dentro le quali si palesava un circolo di Bicefale Aquile Imperiali ad ali spalancate. Grandi fuochi d'illuminazione lambivano i loro occhi dettando, a terra, luci danzanti.

Sopra e sotto il livello delle Aquilae Imperialìs, sporgenti dalla struttura delle colonne, un'aureola di Santi Imperiali si protendeva in armi verso il soffitto.

Attraverso i secoli e le generazioni, lungo un lavorio costante e manuale, le colonne erano state scolpite per raccontare ognuna un diverso secolo o millennio della storia dell'Uomo, in special modo i "recenti" dodici millenni dell'Imperivm.

Camminare sotto le loro spesse ombre, lungo i tracciati pedonali, lo rilassava. Per fare presto, quando s'era di fretta o di visita turistica motivata dal mero piacere, v'erano delle stazioni di mag-lev rotaie che sibilavano tra i basamenti lungo specifiche fermate.

Per quanti invece volevano percorrerle con calma esistevano piccole, riservate cittadine connesse tra loro da ponti sospesi, servizi di trasporto e noleggi di auto-motionae calessi mecha-hippotrainati.

Quella sera non aveva il tempo di fare il giro. Puntò alla più vicina fermata della mag-lev rotaia. Avanzando con il pastorale ben alto Decius vide la popolazione della Sommitàs Mediana fargli spazio, dividersi ed offrirgli saluti rispettosi.

Conosceva alcune centinaia d'inservienti e maggiordomi palatini, che a loro volta erano ben al corrente delle sue passeggiate tra quelle pareti. Non gli serviva nemmeno denunciare la propria identità per avere, se così desiderava, una mag-lev rotaia pronta a portarlo dove gli occorreva.

In una seduta di consiglio s'era votato per l'inviare loro una notifica con richiamo con cui esortarli, facendoli al contempo venire in Sol, ad unirsi alla Crociata dell'Aula di Joramund comandata dal Lord Solar Fabritiòs Von Gianellen.

Il problema principale che era emerso dopo quella delibera era stato uno dal carattere meramente logistico. Lo si sarebbe potuto dire un ago lanciato a sgonfiare il palloncino celebrativo: gli astropati del Plvs-Primarys Riservato Chorvs Palatino non avevano sentito una voce di replica dalla posizione, presunta fino a prova contraria, degli Astria Inductòr-Paladins.

S'era stabilito subito che dichiararli pubblicamente dispersi avrebbe danneggiato il morale dei popoli imperiali e che comunque sarebbe stato un gesto eccessivamente frettoloso. Era pur sempre possibile che i loro cori astropatici recepissero quel messaggio con qualche settimana o mese di ritardo.

Si doveva portare pazienza, risoluzione con la quale era d'accordo.

L'Empyreo Warp non era un vettore affidabile, solido e del tutto sicuro nemmeno nei suoi giorni migliori.

Peraltro certi capitoli, soprattutto tra quelli Crociati, andavano estinti per poi, secoli e secoli dopo la loro sparizione, riapparire da un qualche buio nulla cosmico.

Non raramente quanto riemergeva non era il capitolo scomparso ma un qualche nuovo capitolo, magari d'ascendenze diverse, che per caso o per circostanza aveva rilevato la storia dell'altro.

Altre volte, come i Magli Exemplar, i Capitoli degli Adeptvs Astartes svanivano al termine d'una qualche grande guerra e di loro non si sapeva più nulla.

Puntò la fermata della mag-lev rotaia e le celestiane si mossero innanzi a lui. Tuonavano passi corazzati contro il pavimento, falcata dopo falcata. Fendendo lo strale lasciato vuoto dalle ali di folla si portò al principio della piazza mag-lev ferrvmviaria. I pilastri perimetrali alzavano luci accoglienti, rossastre e vivide, che scoppiettavano dalle cime ad obelisco dal tronco ampio.

Ognuno esponeva, disposte a coppia ogni quattro metri di statura, sessanta bandiere di potentati e nazioni parte dell'Imperivm e le faceva sventolare pian piano via delle pale di ventilatori, nascosti dietro ghiere di ferro e marmo, interni agli obelischi.

La trovata una vista gloriosa. Muta e semplice testimoniava, senza urla ma solo attestandola con drappi e vessilli di forme e tagli e colori. La diversa vastità del Dominio dell'Imperatore-Dio.

Oltrepassato l'ingresso in mezzo a due d'essi, ricevuto il saluto dal plotone di guardie di turno, Decius puntò alle scalinate d'accesso al Templvm.

I gradini erano rossi, ampi e bassi. Era una piccola ascesa che portava ad un viale colonnato esteso, come un braccio, dalla fronte dell'edificio.

Per quanto luminosi fossero i pilastri perimetrali le ombre, quelle dettate dalle grandi colonne strutturali a vasta raggiera, erano fitte, dense. Una cortina notturna che schiacciava in terra la vita in corso, le luminarie accese, lo sferragliare incendiato dei musi delle mag-lev rotaie, lo scorrere delle masse.

L'aria stantia del Templvs Mag-Lev Ferrvm-Viario si scaricò sulle sue spalle dandogli un senso d'infastidito disagio. Centinaia di migliaia di persone che passavano ogni giorno producevano aromi di sudore, di sporco, di profumi mescolati sino al fastidio.

Vasta com'era ed altissima, superiore alle spires di formicaio già al suo Anello Mediano, l'Aulae Imperialìs collezionava talmente tanta umidità dentro le sue pareti da avere un proprio micro-clima. Ogni cinque o sette giorni capitavano colossali piogge interne e non raramente scoppiava un temporale con fulmini e rovesci battenti.

Nascosti tra gli strali di tenebra, sul soffitto, dei macro-sistemi d'aerazione cercavano di pulire, depurare e profumare l'aria. Per quanto s'impegnassero, però, Decius si sentiva sempre a corto di respiro quando entrava in uno dei Templvs.

«Vogelenne», disse Anabell, «precedici e requisisci una carrozza.»

La giovane novizia annuì e si spinse in avanti tra la folla ammassata oltre le colonne interne, quelle giacenti sotto il frontone del Templvs. In pochi attimi Decius la perse di vista.

«Vi faccio strada, Vostra Somma Eminenza», Sorella Anabel gli fece cenno di seguirla. Non le sbarravano il cammino riconoscendola come Adepta Sororitas, Sorella di Battaglia. Una delle ferventi aliciae dominis-canìs, alta nell'armatura potenziata e portatrice della Verbas Imperialìs.

Spalancato a semi-cerchio e infiorettato al fondo da ventotto binari di mag-lev rotaia, il Templvs Mag-Lev era un bailamme di folle in andata e ritorno. L'aria aveva una nota elettrizzata che Decius percepì anche sotto la pressione stantia.

Era l'attesa per la partenza della Crociata. La gente della Sacra Terra amava le parate militari, manifestazione dell'Innegabile e Superiore, Munifica Potenza Umana, almeno quanto amava sapere che v'era una gloriosa, santa Crociata impegnata a difendere i suoi interessi.

Al fianco di Sorella Anabell superò il punto centrale del Templvs, dove si stagliava una colossale Dea-Madre Terra sospesa in volo, via la tecno-magia del magnetismo, a qualche decina di metri da un piedistallo di cristallo trasparente avvolto attorno ad uno scoglio di marmo bianco.

Fluttuava, alta tre volte cento metri, con le braccia allargate in segno d'accoglienza ed una corona a dodici punte incendiate posata sulla fronte. Uno stormo di cherubini alati, infantili e in tuniche bianche, ognuno con una propria espressione sul viso, porgeva alla sua attenzione una serie di pergamene crepitanti, lunghe e fittamente inscritte dai nomi estratti a sorte di diecimila milites astra caduti in vari conflitti.

I suoi occhi erano immensi rubini magistralmente saggiati per apparire perfetti e da loro colavano dipinte scie rosse in contrasto con il sorriso materno che le illuminava il viso da matrona con capelli castani e lineamenti dolci.

Lacrime sanguigne.

Era detto che, sdraiata ai piedi del Trono d'Oro dell'Imperatore-Dio Padre dell'Umanità, lei piangeva per la nascita e la morte d'ogni essere umano. Dai cherubini riceveva le loro identità, un nome le diceva tutto perché era sapiente verso le esistenze dei suoi figli, che sussurrava all'Imperatore.

Ed il Padre-Dio dell'Umanità, immobile sul suo Trono d'Oro, stillava una singola lacrima aurea per ciascuna anima caduta in Suo nome.

Fluttuava ardendo sopra al palmo della mano sinistra una brillante elica di DNA umano, le sue frange ora in rubini ed ora in oro impreziosito da rifiniture bianche. Posata sul palmo destro, invece, v'era una riproduzione della Sacra Terra secondo artistiche fantasie, con assurdi ed inesistenti continenti verde-marroncini e grandi oceani blu e bianchi.

Io sono la cellula che si srotola nel mare, Noi siamo la voce che vi fa nascere per lottare. Io sono la prima mutazione e con Lui ho cucito la vostra meravigliosa evoluzione.

Io sono la voce della natura.

Io sono la madre della vostra bio-architettura, la forza della marea, lo schianto delle croste.

Lui è la vostra armatura.

Il padre della gloriosa avventura tra le stelle, la forza della marea armata, la spinta alle conquiste che sono soltanto nostre...

Con quella litania in mente, lo Hymnòs ad Divinitàs Duale, Decius proseguì verso la banchina. In pochi minuti il Sommo Ecclesiarca si lasciò alle spalle la grande figura della Dea-Madre Terra, scalza e rivolta all'ingresso del Templvs, per passare in testa a tante anime sotto gli architravi d'avvio alle fermate.

Per passare sotto a trionfali, rampanti Aquile Bicefale scolpite in volo sopra un'alba di spade e las-fucili.

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