Capitolo I: Il Signore della Tempesta
Capitolo I: Il Signore della Tempesta
Atto V, il Lord Solar Fabritiòs signore della Nobile Casata di Von Gianellen ed Over-Lord dell'Over-Archia di Armageddon
Parte II di II
Imperivm del Genere Umano
Segmentvm Ultima, Peripherica Stellarìs Expansionae di Aegis Pro-Viae-Korianìs
Sistema Stellare di Lorn Eron, mondo-cardinale di Lorn Eron II
Alta-Terranìs di Volscini Sethra-Pelta,
Faglia di Sparakìs
M42.016
L'orrida bestia avanzò oltre la calca degli incursori, piegati sulle ginocchia e coinvolti nella sparatoria che illuminava corridoio e scale. Furono lesti, tra il suo rumoroso incidere alle loro spalle e i lampi laser che s'incrociavano a mezz'aria, a scartare, a muoversi in cerca di riparo dietro le pareti.
Un paio di tiratori trovarono rifugio addossandosi all'angolo destro del corridoio mentre un terzo soldato, che Fabritiòs vide essere armato di fucile al plasma, si nascose dietro una delle colonne giacenti prima delle scale per il piano superiore.
Era sul punto di sparargli addosso quando il fuoco dei suoi soldati agì per lui. Trasalì, sorpreso dalla salva, e si vide superare da uno sbarramento incredibilmente fitto, denso e serrato di dardi laser. Il rango di fucileria esplose tonante, i suoi scoppi così vicini gli uni agli altri da sembrare un solo fascio d'ultra-istantanee pennellate cremisi.
La colonna incassò la raffica resistendole per taluni secondi e poi rovinò tagliata in due. Ogni colpo le provocò uno scoppio, un morso a zanne aperte di polveroso, sdentato metalmarmo. Le due basi si separarono traumaticamente, il trancio all'udito pesante come un pugno. La metà superiore perse un frammento caduto in terra con enorme trambusto.
L'incursore armato di fucile plasma, prim'ancora di venire travolto dalle macerie, si sciolse in una pioggia di scoppi dilanianti e bolle strappanti intere porzioni del suo corpo. Rovinò in terra, agitato da spasmi senza controllo.
Fabritiòs sentì che se avesse potuto avrebbe fatto degli onesti complimenti ai suoi soldati per quell'azione. Non poteva, non in quel momento, però la volontà la sentì.
Correndogli incontro, i battiti dei suoi zoccoli sul terreno simili a scoppi di pistola, il caprone-Daemon levò un bestiale muggito a fauci spalancate. Fabritiòs spinse indietro Hera, le cui mani ancora puzzavano di carne bruciata, ed abbaiò un comando di ripiegamento. La bestia spezzò in due uno dei kasr-gladiani, sfortunato tanto da trovarsi sulla sua strada, lo superò senza interrompere il proprio incidere e si scrollò di dosso lo scoppio di un paio di las-fucilate.
Gli apparvero delle bolle d'ustione laddove fu colpito, immediatamente scoppiarono in schizzi di carne e muscolo liquefatti e un tessuto cicatriziale si disegnò sulle ferite. Nell'aria, attraverso i sensori olfattivi del cimiero, Fabritiòs avvertì un pungente odore di biancospino. Veniva dal demone.
Aveva due lunghe lingue sibilanti che Fabritiòs, dalle spalle dello HVD del suo cimiero integrale ad auto-senses, notò essere irte d'ustioni: erano fasciate, legate tra loro con un significato, ed istigavano un palpabile dolore a guardarle.
Una puntura d'ape in mezzo agli occhi, gli venne in mente. Era come venire punti in mezzo agli occhi e non potersi grattare via l'infezione. L'odore di biancospino s'intensificò, urticante e glaciale come la punta di uno stocco.
La bestia schioccò ambo le sue lingue e Fabritiòs avvertì immediatamente un secondo lampo di dolore, nero e dolente. Sentì le palpebre stringersi, astiose, contraendo la pelle.
Si piantò il calcio del las-fucile Ghjallahourn contro la spalla, al contempo arretrando con una mano impegnata a schermare la ferita Lady Commissaria Hera dagli assalti di chi cercava lo scontro all'arma bianca, quindi prese la mira; esplose una serrata scarica di fuoco stringendo i denti: la chimera demoniaca, fusione d'uomo e capra, dapprima incassò i dardi che le piovvero addosso stando eretta, con un muggito offeso a fare loro da risposta.
Tentennando all'indietro, poi, cercò di persistere nella sua avanzata. Dirottata la propria mira su di un incursore fatalmente scopertosi, il Lord Solar esplose una breve raffica. Ferito, il demone caprone era più lento e colava pezzi del proprio corpo sul pavimento.
Biancospino. C'era odore di biancospino. Lo sentì pungergli le narici con fare sempre più forte. Pungente, quell'aroma dannato era ovunque. Veniva con il Chaos. Lo accompagnava.
In quel momento il suo fuoco di copertura permise ad alcuni dei soldati di disincagliarsi dallo scontro e venire in adunata attorno a lui, in ripiegamento rapido. Uno, forse un milites astra dei Tantih o dei validi doriani, venne bruscamente sbrindellato in tanti tronconi sanguinolenti da un orizzonte di fucileria laser.
Quel povero bastardo non ebbe nemmeno il tempo di urlare.
Bolle di sangue incandescente, miscelato a frammenti d'osso dilaniato e ad organi ridotti in poltiglie appiccicose, si gonfiarono nell'aria e s'incollarono alle pareti con un suono disgustoso. Fabritiòs sentì alcuni di quegli schizzi piovergli addosso scottandolo ma non se ne preoccupò.
Non era il momento e poi il dolore era soltanto una debole illusione dei sensi.
Comandare agli altri, ai vivi, di ripiegare attivamente gli avrebbe distratti: già sapevano che cosa fare, perfettamente per giunta, e stavano dimostrandosi valorosi contro quei nemici bari, maligni, sleali, meschini ed eretici traditori.
Il capitano Brancharen scattò a coprire i soldati in ripiegamento. Lo vide caricare in mezzo al corridoio per coprire uno dei suoi soldati, rimasto atterrito dopo la morte del commilitone, aiutarlo a rialzarsi e poi esortarlo bruscamente a posizionarsi dietro di lui.
Lo coprì con una raffica, lesta ad unirsi a quella che lo stesso ufficiale alzò con il suo las-fucile, quindi persistette nell'arretrare. Sparando per ottenere una posizione migliore, il Lord Solar riuscì a guadagnare la protezione di un massiccio schedario per la Lady Commissaria Hera. Un roveto di fucileria morse di striscio il soprammobile disperdendo gocce di metallo fuso.
Fabritiòs notò abbagliato tre o quattro colpi, i più fortunati, finire il proprio tragitto nel caracollare contro le invisibili difese del suo Void-Aegidaì. Esplosero a mezz'aria contro una sfera di pressione intangibile all'occhio e sparsero scintille. Lungo lo HVD del suo cimiero apparve un segnale d'allarme che trillò un basso segnale d'allarme. Lo congedò con un colpo di palpebre.
Ignorando il dolore a denti stretti, la Lady Commissaria aveva recuperato un fucile laser da un cadavere e stava sparando ai traditori caotici. Pensò che in un diverso momento l'avrebbe commendata per quella dimostrazione di forza ma non era quello il tempo. Lungi da lui l'idea d'intimarle uno stop, Fabritiòs abbatté uno degli incursori e poi esplose una seconda raffica contro la carne, flessuosa e sibilante, di un braccio con artigli al termine delle dita. Era emerso dal pavimento trafiggendo un suo soldato e s'era inalberato in cerca di nuovi bersagli.
Numerosi occhi, vaporosi come la sostanza dell'arto stesso, si guardavano attorno con la pupilla dei rettili e gesti spasmodici. Gocciolava sangue umano, quello dell'uomo che aveva ucciso passandovi attraverso, esalando fumo.
Gridando rabbia il sergente Ionz fu addosso alla manifestazione in un batter d'occhio: le schiantò contro un duro affondo di spada a catena, l'arma cantante nel bailamme della sparatoria. Spinse affinché i motorizzati denti in titanio potessero affondare nelle carni evanescenti dell'arto. Un secondo braccio emerse dal pavimento, inalberandosi sopra il valoroso sergente.
Non andava bene.
Non andava affatto bene.
Rivolto uno strale di fuoco al nuovo trucco stregonesco del Caos, Fabritiòs comandò al sergente d'abbassarsi. I suoi colpi esplosero con poco o nessun effetto contro l'emanazione, che s'inarcò per colpire. A tranciarla in due, proprio in quel momento, intervennero il soldato-tanith con l'asta a doppia lama ed il suo valido cavaliere Sir Vittorio Dorio: fluirono alle spalle del sergente, liberi dall'occuparsi d'altri nemici, colpendo l'arto in due punti quasi allo stesso momento.
Tranciato, esso gridò.
Non aveva bocche con cui alzare delle voci ma urlò ugualmente, a dispetto di tutto prima di scindersi in vaporose volute di fiamme. Il milites-tanith, sulle labbra una preghiera bellica, si voltò con una mezza piroetta e fece dardeggiare la sua arma bianca: spalancò uno squarcio sul tronco di un sanguinario-daemon, scattato oltre la fucileria dei soldati ma ferito, ed asportò un pezzo all'altro braccio di fuoco e fumo e carni che parevano esistere e non esistere. Ferito dal fendente l'arto fece per ritirarsi: Sir Vittorio lo incalzò, uno scatto basso tra due Sanguinari, affondandogli poi un colpo di spada nel palmo. Strattonò verso l'alto, in un crescente spruzzo di sangue incandescente, dissipando tre dita ed una sezione d'avambraccio.
Per l'Imperatore, quel fuciliere-Tanith era da promuovere.
Proseguendo nella propria ritirata, l'arto frustò un fuciliere di Dwarthembergh sulla schiena. Il petto gli esplose contro il muro, incollandosi ad esso, dall'interno ed una delle gambe si sciolse in una fontana di schegge ossee e muscoli sciolti.
Scoprendosi per finirlo, Sir Vittorio s'espose a degli strali laser e i suoi scudi baluginarono a metà corridoio, deviando la letale potenza dei dardi.
Quel corridoio era una trappola di fuoco incrociato. Restare lì, intuirlo era semplicissimo, voleva dire avere tre lati dei quali occuparsi anziché uno solo.
Alcuni strali laser esplosero contro i void-aegidaì della sua panoplia: fiocchi di luce, scindenti in migliaia di scintille incandescenti, balenarono lungo la sua visuale ed una voce, sintetica e neutra, lo informò della consunzione di un'altra parte della loro batteria.
Riparatosi dietro il muro. Fabritiòs tornò a sparare sul caprone-demone, avanzato su tre dei suoi commilitoni velocemente fatti a pezzi dalle sue enormi mannaie; un quarto soldato riuscì a scampare all'assalto e porsi al coperto, che in risposta gli riservò uno sguardo astioso.
Dentro i suoi occhi, inchiodati dentro delle orbite scavate come a colpi di scalpello nelle carni, ardevano delle distanti lingue di fuoco viola e perlaceo. Uno sguardo che lui sentì graffiarlo, assalirlo con unghie e zanne invisibili eppure sferzanti e bollenti.
Sentì la misura in cui quella creatura l'aveva in sprezzo, in mortale affronto ed odio e gli sparò ancora per zittirla. Rispose al ruggito esplodendo altri colpi, uno e poi due e tre e quindi ancora ed ancora, tirando e ritirando il grilletto più la creatura urlava avanzando.
Dodicimila anni.
Dodicimila anni, gli disse una parte di lui che faceva del Lord Solar non soltanto un titolo concesso ma un'essenza propria e finita: i dodici millenni della Lunga Guerra lo stavano sostenendo, esortando, incitando quasi dando vigore in più ad ogni sparo. Lo sentiva chiaro quel senso di realizzazione che veniva dal combattere quel nemico e quel fronte più di tutti gli altri. Era più forte perfino del suo odio per gli Orki, gli invasori del suo Armageddon.
Bruciandogli nelle vene come un ramificato fiume di promethium, l'odio per i traditori assoluti ardeva con vivida forza.
Ed era bellissimo. Per un singolo momento gli venne in mente sua figlia. L'accantonò, cacciandola in un pertugio della mente, per tornare all'odio verso il nemico.
Ogni dardo era un castigo per i traditori della Magna Ora, per chi la Lunga Guerra l'aveva scatenata e cominciata con il più infame atto di tradimento che lui conoscesse. Nel detestare con ogni fibra del suo essere quella mostruosità si sentiva più forte e convinto di sé, della morale superiorità che indubbiamente era sua e della sua Crociata.
Sparò ancora alzando il tiro: il mostro caracollò, scomposto sulla schiena, con sedici fumosi strali di sangue che a fiotti gli abbandonavano il petto.
Quando ancora stava cadendo, perdendo la presa sulle due mannaie viola brandite come crude spade, un branco di segugi la superò stridendo e latrando.
Sei zampe artigliate, un corpo lungo e scattante dagli ossi in rosso, incandescente rilievo impresso sulle carni incise da svirgolanti rune gialle; i mostri, orrendi e frutto di chissà quali rituali indicibili, avevano una testa di corvo dalle penne metalliche e lunghi becchi ricurvi. Era da essi che spuntavano, smisurati e sbagliati, nastri di denti.
Irregolari, ora alti ed appuntiti ed ora bassi e quadrati, come se li avesse disegnati uno squilibrato idiota con stampata nella mente la più approssimativa, grottesca e scorretta idea di come fosse fatta una dentatura. Umana od animale?
Non aveva importanza. In qualsiasi dei due casi era snervantemente sbagliata.
La prima bestia di tutto il branco gli balzò addosso scoccandogli un morso dal quale Fabritiòs si difese in contrattacco, sbattendogli contro il muso la robusta cassa del Ghjallahourn. Si slanciò in avanti e con impeto schiaffò il cane di schiena contro la parete. Gli sferrò un calcio al ventre per ammansirlo e la bestia si lamentò gracchiando dei guaiti.
Un cane non faceva versi da uccello, per l'Imperatore-Dio e gli Antichi Dei. Un cane, anche il più brutto, doveva abbaiare, non gracchiare! Abbattuto in terra, il mostro ebbe un spasmo e poi lo assalì a fauci aperte per la seconda volta. Fabritiòs gli pestò la suola dello stivale sul muso spaccandogli il naso e lo schiacciò di nuovo contro la parete.
Rivolto al mostro il fucile laser fece fuoco. Udì uno dei suoi uomini, uno dei dwarthemberghi del capitano Brancharen, urlare divorato e poi la bestia che l'aveva attaccato venire abbattuta dalla vendicativa raffica di fucileria dei suoi commilitoni.
Una in meno!
Una seconda bestia gli saltò addosso, becco spalancato e occhi che schizzavano striature rosse. La Lady-Commissaria Hera intercettò, ringhiando, il mostro e lo bloccò contro il proprio storno e, bloccandogli il muso con una mano, usò l'altra per strangolarlo con splendida brutalità.
Urlò qualcosa nel mentre ma Fabritiòs non comprese cosa volesse dire. Non era in Basso Gotico, certamente, né aveva la testa per tradurre.
Certamente era arrabbiata. Ottimo, bene così.
La rabbia manteneva vivi.
L'odore della carne bruciata, quella dei suoi palmi, era snervante. Picchiato un cazzotto sul cranio duro ed oblungo del cane, Fabritiòs recuperò presa sul fucile e lo finì con due spari. Si volse subito per aiutare la sottoposta, il dito già sul grilletto.
Stava per agire quando, alla sua immediata destra, la testa del capitano Brancharen esplose con uno schiocco assurdo, unto. Lo sentì rimbombargli nelle orecchie, uno scoppio di sangue e cervella ed osso, e nella sua mente qualcosa gli fece immaginare un pallone che era stato riempito con troppo liquido.
Fluttuando sopra le scale con quattro gambe pendule, tutte terminanti in uncini, una figura esile ma la cui visione era insopportabile si avvicinava. Altri due crani, questa volta d'incursori caotici finiti per esserle troppo vicini, esplosero dipingendo le pareti con le loro cervella.
Dopo averle scoccato uno sguardo, rapido e protetto dallo HVD del suo elmo integrale, Fabritiòs avvertì una spina gelida pungergli il cranio.
Era... era un cervello. Un grosso, abnorme, voluminoso cervello ancorato al resto del corpo con ossa troppo fragili e lunghe. Piccoli tentacoli rossi gli facevano da gorgiera o da collare e s'agitavano in circolo attorno a laddove il corpo s'univa al principio di quello smisurato organo pulsante e livido.
La spina affondò con più veemenza. Sentì una voce che canterellava una nenia e questa gli trasmise dei brividi squassanti. Divennero istantaneamente degli spasmi, alcuni forti ed altri più deboli, che tolsero vigore alla sua presa sul fucile.
Nel canto, le cui note echeggiavano di viola con un colore distorto ed acuto, non v'era una sola parola comune a ciò che conosceva, alle lingue che aveva sentito parlare. Erano strane, altissime e poi infinitamente basse, non le capiva e sentiva di volerle comprendere ma di non riuscirvi.
Sentì il suo cervello pulsare terribilmente dandogli fitte d'emicrania. Vide davanti a sé un quadro, l'immaginazione che gli mostrava cose inesistenti, nel quale non v'era niente ed al contempo ogni cosa esistente o concepibile: i suoi suoni, colorati e porosi, non assumevano una forma ma la variavano passando da un'inspiegabile ad un qualcosa d'indecifrabile.
Udì una sequenza di tuoni elettrici e l'emicrania l'abbandonò.
«Fratelli!», scandì una voce di tuono alle sue spalle. Una che rimbombava le proprie parole, ognuna forte una volta e mezzo di più di quello che una voce d'uomo l'avrebbe potuta rendere.
La riconosceva.
«... principiate il pattern d'attacco viginta-terties.»
Ancora frustato dall'emicrania Fabritiòs ghignò.
Helbrecht aveva inviato degli Space Marines.
Lo , Confratello della Spada, Kassiòs si parò a sua difesa. Esplose dei pesantissimi passi di ceramite, si frappose innanzi al fuoco che veniva dal fondo del corridoio e poi tuonò cinque colpi di pistola Requiem. Assordanti erano i boati che quell'arma produceva quando scoccava i suoi colpi.
Assordanti e gloriosi, andava detto.
Più alto di due metri e mezzo, l'Adeptvs Astartes Kassiòs dei Templari Neri incassò una raffica di fucileria laser su di sé e vi rispose sparando una seconda scarica di pistola Requiem. L'intensità dello scontro nel corridoio scemò pochi secondi dopo e si riaccese dopo qualche attimo.
Dalle ghiere del suo nero elmetto integrale fuoriuscì un ringhio confuso. Era iracondo, quello era a dir poco certo, eppure anche vagamente interrogativo.
Come se fosse intento a domandare al nemico, eretico e traditore, se quello fosse tutto oppure solo una parte del loro arsenale. Tre dei suoi confratelli, chiusi in armature potenziate nere ed armati di spade a catena e fucili requiem, lo superarono con grande impeto: esplosero una serie di lunghe raffiche di tuoni prima d'ingaggiare i daemon-caproni ed i sanguinari in scontro corpo-a-corpo. Gli Space Marines si muovevano con il peso di titani e la velocità di barlumi di luce nel buio. Le loro voci erano dense, filtrate dagli apparati Vox-Trasmittenti degli elmetti, e gocciolavano furia. Salmodiavano delle preghiere di battaglia mentre schiantavano, tagliavano, affondavano e sparavano in mischia con i demoni caproni guerrieri e le altre mostruose assurdità schierate dai Caotici. Incisero oltre le sue guardie, che avevano valorosamente stentato a fermare quegli esseri empi, per poi scatenarsi.
La gente comune, quella povera e semplice, li chiamava Angeli della Morte. Vederli in azione dava un senso del perché di quel soprannome. Erano rapidi, più della stragrande maggioranza degli uomini addestrati, e pregni di una potenza enorme. I loro colpi arrivavano autentici e capaci di aprire orrendi squarci sanguinolenti, le preziose pallottole Requiem che esplodevano non mancavano il bersaglio e strappavano pezzi interi dei bersagli quando detonavano all'interno dei loro corpi.
Si frammentavano all'esplodere, dilaniando e squarciando accompagnate da un boato terrificante e gioioso al tempo stesso.
grugnì Kassiòs. «Da qui in poi ce ne occuperemo noi, signore. Voi dovete fare ritorno al Leviathan di Comando.»
«Devo assicurarmi che i soldati di questa base siano al sicuro, Adeptvs Astartes.»
«Opereremo perché lo siano o perché muoiano valorosamente per il Dio-Imperatore, Lord Solar. Non vi è tempo, tuttavia. Ho i miei ordini da lord Helbrecht.»
Occorsero loro pochi attimi, in sé un tempo che dava rabbia così come stupore, per forzare al silenzio le forze dei Caotici nel corridoio e riconquistare le scale. Uno dei tre marines avanzati oltre si parò a sorveglianza dei gradini: la sua spada a catena gocciolava sangue, fumoso e viscido, mentre dalla canna del fucile Requiem nasceva un rossiccio filo di fumo. Ai suoi piedi giacevano tre cani-mostri e due sanguinari, abbattuti in un tornado di colpi rapidi.
Si stagliava sopra ai milites giunti a dargli manforte per quasi un metro intero. Loro avevano combattuto bene e faticato a contenere quella valanga di mostruosità; ora, accanto a lui, si guardavano attorno con le armi in pugno e l'aria di chi aveva appena osservato qualcosa che era difficile da spiegare.
Un po' era ingiusto ma d'altra parte quelli erano Adeptvs Astartes. Fabritiòs sapeva come nascevano e non si sentiva in grado d'invidiare né la loro formazione né la loro esistenza.
Trascendere l'umanità per proteggerla era un sacrificio che pochissimi avrebbero potuto compiere. Scagliata una santa bomba a mano di Ecclesia Neo Antioch contro una foresta di braccia evanescenti, un secondo marines prese la guardia del ramo destro dell'incrocio.
Il suo compagno, sulla sinistra, finì un demone-caprone già abbattuto con un colpo alla testa ed aiutò una guardia doriana a rialzarsi. Lo vide rivolgere al soldato un cenno del capo e poi fargli cenno di posizionarsi dietro di lui.
Rivoltosi allo Iuratis-Frater, Fabritiòs s'impose in tutta la sua statura: «Comprendo. Il tele-portarivm può evacuare perlomeno i feriti?»
Vide l'Adeptvs Astartes guardarsi attorno con cenni fluidi ma definiti del volto. Fece cenno a due suoi elementi rimasti in retroguardia d'avanzare cautamente e poi gli rivolse per rispondere: «Fino a cinque persone, Lord Solar. Una cifra maggiore ridurrebbe la precisione del lancio. Non posso permettermi di farvi riapparire fuso ad una parete.»
Non era, effettivamente, una prospettiva interessante.
«Potrebbero distorcere il tele-portarivm comunque», intervenne l'Alta Cardinalessa. Era china ad esaminare il cadavere di un demone-caprone. Ella non era ferita o danneggiata in qualche modo dallo scontro, notò Fabritiòs, né apparentemente affaticata.
Stava già adoperando la sua cultura esoterica, in aperto disinteresse dei Marines e della loro visione in merito a quel comportamento.
«La linea è sicura.»
«O l'hanno fatta essere tale per trarvi in inganno, m'lord Kassiòs.»
Sganciato uno scettro d'ebano ed oro dalla propria cintura, l'Adeptvs Astartes Kassiòs lo sollevò innanzi al Lord Solar. Guardato quel gesto, Fabritiòs puntò uno sguardo sbrigativo all'ecclesiarchica preposta al suo servizio: «Non sta discorrendo di sciocchezze, Confratello-Kassiòs dei Templari Neri. Hanno usato una stregoneria per disturbare i Vox interni.»
Il marine abbassò lo scettro. «Che genere di stregoneria, Lord Solar?»
«Un jam-dekrypteia.»
fumò iracondo l'Astartes. «Potrebbe avere corrotto tutto il sistema Vox di questo specifico acquartieramento. Tuttavia la linea è sicura.»
«Ne siete assolutamente certo?»,
«Sì, Lord Solar. L'abbiamo usata per trasferirci qui e l'altro capo è attentamente sorvegliato dalla Sapienza-Lord Doneteri.»
«Impieghiamola in una posizione più sicura, per ogni eventualità.»
«Comprendo. Temete che i corpi la disturbino?»
«Più che quelli le antenne al piano di sopra, Space Marine. Volevamo usarle per inviare un segnale codificato e dichiarare l'allerta.»
«L'altra squadra le ha messe in sicurezza», gli comunicò l'Adeptvs Astartes. «Abbiamo agito da due fronti.»
Martello ed incudine, dunque.
«Possiamo impiegarle per un segnale, dunque.»
«Se occorresse, sì. Potremmo.»
«Comprendo. Dobbiamo scoprire se sono state infettate o meno dal jam-dekrypteia. Una compagnia di fanti si è adunata al piano inferiore. Intendevo usarla per presidiare le antenne dopo averle riconquistate.»
Ricevuto quella nuova, vide Fabritiòs, il Confratello Kassisòs comandò con un cenno del viso a due dei suoi marines di recarsi da quella compagnia e portarla in loco.
«Meglio muoversi in forze. Appena saranno qui, ci mobiliteremo per uno spiazzo aperto. Verificheremo noi, tuttavia, se la stazione è stata infettata o meno. Voi dovete fare ritorno al comando centrale e coordinare le difese: non vi possiamo arrischiare sulla linea del fronte.»
«Era una prova, confratello. Il Chaos potrebbe avere una spia tra i nostri ranghi. Sapevano dove mi sarei mosso.»
«Gli eretici hanno molte armi a loro disposizione», commentò il marine.
«Oh! Questo qui è ancora vivo, Shmartyh.»
L'altro eretico, quello armato di corta las-carabina e sciabola, rivolse al compagno traditore uno sguardo che Fabritiòs sentì perplesso.
In qualche modo lo era, pure a dispetto della maschera anti-gas.
«L'ho notato anche io, Fyvas.»
Il caotico di nome Fyvas, fasciato da un'uniforme cadiana alla quale aveva asportato i segni distintivi imperiali, s'abbandonò le braccia contro i fianchi con un cenno esasperato. «Stavo puntualizzando l'ovvio con retorica! Non era una... bah, lascia perdere! Ehi, laggiù! Come stiamo?»
Il kasr-gladiano ferito, quello che il sergente Iorn aveva individuato al termine dell'incrocio, levò il capo a fronteggiare i due eretici.
«Meh, sai? Uno di quei bastardi mi ha preso male. Credo... eh sì, questa roba molliccia è la mia milza, vero?»
«Yup! Sembra una frittata sulla quale hanno cagato sopra», gli rispose Fyvas.
«Beh, grazie tante amico!», borbottò il kasr-gladiano. «Veramente confortante. Ti prenderei a pugni se non fosse che l'anti-dol mi ha stordito, ci vedo triplo e sbiadito e uno dei miei occhi... oh, dio, credo sia collassato contro il visore...»
«Oppure un 'vacadòrahor che ha scopato con un altro vocadòrahor decrepito e slaaneshita.»
«Avete altre belle paroline?!»
«Shmarty, non deprimerlo! Non lo vedi che sta morendo come un cane?»
Il caotico con sciabola e las-carabina sbuffò attraverso il filtro. «Oh, è così rincoglionito che non c'ha manco riconosciuto.»
Il soldato tastò la propria milza e poi tossì. «Non so... voi due mi... mi sembrate abbastanza eretici...»
Fyvas si guardò attorno quindi si strinse nelle spalle. «Ora, ora... non c'è bisogno di tirarci addosso nomignoli, servitori del falso dio cadavere! Siamo tra amici, qui! Amici, eh! Tutti fantaccini schifosi! Sai dov'è andato il War-Mostah?»
«Si dice Lord Solar...»
«Mi correggi pure quando stai morendo?!»
«Scusaci un momento, futuro sacco di vermi...», commentò Shmarty Fabritiòs lo vide prendere da parte il commilitone. Occhieggiò ai suoi soldati, dando loro ad intendere che presto avrebbero dovuto agire e falciare quei due traditori.
«L'hai chiamato amico? Cos'è, stai tradendo?»
«Shmarty, non mi dirai che...»
«No no no no, eretico! Abbiamo tutti quanti preso i nostri voti, qui! Chaos ora, Chaos sempre, Chaos per la vita e non si torna indietro. Cos'è, li rinneghi? Stronzo tzeentchita!»
«Stavo... per gli dei, stiamo davvero discutendo di questo?!»
«Si!»
Il cadiano eretico si portò una mano contro il visore dell'elmetto. «Ero faceto, khornate del cazzo! Lo stavo prendendo in giro!»
«Ah!», sbottò il khornate. «Quindi...»
«Già!»
«Quindi tu menti ad un povero bastardo che sta affogando nel suo sangue, piscio ed escremento?»
«Ma è uno schifoso cane del Falso Emprah!»
«Quello che sto dicendo è che non si mente ad un fratello, anche uno nemico, che sta morendo!»
«Ma che differenza fa?!»
«La differenza che sta nell'essere onorevoli verso il nemico!»
Il kasr-gladiano, vide Fabritiòs, scoppiò a ridere. «Per l'Imperatore... siete eretici? Dovete essere quelli...», tossì un conato di vomito, poi riprese: «Dovete essere i peggiori, qui, di tutto il vostro esercito.»
«Almeno noi non ci stiamo cagando fuori gli intestini», lo stilettò Shmartyh. «Spiacente, servitore del falso dio cadavere.»
«Meh!», sputò la guardia. «Io me ne vado dall'Imperatore. Voi, invece?»
«Tzeentch è molto più generoso del dio lich, amico.»
«Così generoso», borbottò Shmartyh, «... da avere come servitori dei figli di puttana che mentono agli stronzi che stanno morendo!»
«Era per farlo sentire meglio!»
«Era perché sei disonorevole!»
«Oh, ceeeerto!», sbottò l'adoratore di Tzeentch allargando le braccia come un folle. «Eeehi, guardatemi! Sono Kharn, il traditore! Super-lealissimi voi khornate, eh?»
«Beh almeno io non ho ucciso mia madre!»
«Ancora con questa storia?!»
«Ehi, ehi!», sbottò il khornate, «Sono Ahriman! Sono una checca che spara fulmini perché non sa combattere da uomo! Faccio...» Lo vide agitare le mani inguantate. «... magia ed uuuuuuuh con i miei compagnoni ma finisco sempre per lasciare gli altri cultisti nella merda in cui li metto! Veramente esemplare questo genio!»
«Uno non fa la categoria!»
«Allora com'è che il discorso non vale per noi di Khorne?!»
«Perché siete tutti pazzi furiosi!»
«Grazie al cazzo, Fyvas! Abbiamo la sua ira in corpo ogni schifoso secondo! È difficile non essere arrabbiati quando LA RABBIA ti brucia dentro!»
«Appunto, siete tutti uguali!»
«Fottiti!»
«No, fottiti tu!»
Il kasr-gladiano stava ridendo apertamente. Fabritiòs avrebbe quasi voluto unirsi a lui. I due caotici erano l'uno alla gola dell'altro, dimentichi di lui e per niente attenti al loro circondario.
«Cos'è che siete voi due, i garon-gladiani del chaos, qui?»
«No, gli insulti da un morto che cammina no grazie», borbottò il khornate. L'adoratore di Tzeentch guardò il compagno, occhieggiò alla guardia imperiale ferita.
Entrambi gli svuotarono una raffica di laser addosso, finendolo.
«Va meglio, adesso?», domandò Fyvas.
«A malapena, si», gli rispose il khornate.
Fatto un cenno ai tiratori tanith di Ionz, Fabritiòs diede loro l'ordine per azzerare quei fantaccini.
, commentò il Iuratis-Frater. «Il Chaos ha marmaglie nei suoi ranghi.»
«Rinforza la mia teoria. Stanno cercandomi.»
«Sì... e non sanno che siete già fuori dalla loro trappola. Non hanno comunicazioni immediate... o perlomeno non le possedevano questi due fannulloni.»
«A gentaglia del genere io non direi nemmeno che si sta attaccando qualcosa» disse Sir Vittorio, prendendo la parola. «Questi due erano topi di fogna... fantaccini. Numero in più.»
«Eppure conoscevano il nome Ahriman», s'espresse la Cardinalessa chinandosi per esaminarli da vicino. Fabritiòs la superò per recuperare la piastrina di riconoscimento del kasr-gladiano che avevano assassinato. La infilò in una tasca dell'armatura e diede ordine perché i cadaveri venissero rimossi.
Prima che la religiosa potesse protestare per il suo studio interrotto, Fabritiòs le ordinò di disporsi nel raggio d'azione del tele-portarivm.
«I vostri studi possono aspettare, lady Baelor.»
«Toccare la materia del Chaos...», borbottò uno dei Templari Neri, scoccando alla religiosa un cenno torvo dell'elmetto. «... deprecabile. Disonorevole. Disgraziato.»
«Conoscere il proprio nemico è già vincere metà della battaglia», replicò la religiosa alzando il viso a squadrare lo Space Marine. «Della marmaglia, avete detto? Come fanno due pedoni d'infimo valore a conoscere Ahriman della Stirpe dei Mille?»
«E voi?», le domandò Kassisòs, incombendole sopra. «Voi come fate?»
«Io so aprire i miei occhi, Space Marine. Ognuno ha le sue armi in questa Lunga Guerra. Voi avete le vostre potenze, io ho le mie conoscenze e siamo tutti indispensabili alla Crociata.»
«Vi sopravvalutate molto», fu il commento dell'Astartes. L' Alta Cardinalessa sembrò ignorarlo e si pose vicino a Sir Vittorio Doria, che nel frattempo era entrato nel cerchio d'azione del tele-portarivm.
«Potreste lasciare il vostro posto ad uno dei feriti», le disse il Marine. «E prestarci la vostra conoscenza per snidare il Caos in questa base.»
«Mi ritengo più utile al comando centrale, Confratello Kassiòs.»
«Lord Kassiòs dei Templari Neri, per voi.»
«A meno che il Lord Solar non mi voglia chiaramente qui, vado ovunque egli si rechi. È il mio dovere. Non vi vedo rivolgere la stessa domanda a Sir Vittorio.»
«Sir Vittorio di Zevona è un cavaliere della Guardia d'Onore del Lord Solar», disse l'Astartes. «Non ha senso lontano dal Lord Solar né posso permettermi di disobbedire agli ordini che ho ricevuto. Voi, d'altro canto...»
«Cedo io il mio posto», disse la Lady Commissaria Hera facendo per allontanarsi dal cerchio. «Il Lord Solar ed i feriti vengono prima.»
L'Astartes in comando, notò Fabritiòs, colse quel cenno con un vago moto del capo. L'aveva osservata, giudicata forse, in un batter d'occhio. «Voi siete ferita, ufficiale politico», la redarguì. «Non vi giudico in grado di combattere né posso lasciarvi qui. Andrete nel primo tragitto. Ne invieremo degli altri.»
«Vi sono feriti più gravi.»
Kassiòs annuì.
Poi attivò il tele-portarivm.
L'odore di ozono era pungente, aspro. Aleggiava sopra il pavimento, quello familiare del Leviathan, pur disperdendosi con lentezza. Guardatosi attorno, Fabritiòs notò che era giunto in loco con chi l'aveva accompagnato.
Non v'erano stati errori nella trasmissione.
«Lord Solar», si avvicinò il Signore delle Forge, «Avete fatto ritorno.»
«Taluni degli uomini che erano con me durante l'attacco non possono dire la medesima cosa.»
Anche se difficile da leggere in volto, l'anziano maestro tecno-prete gli apparve come dispiaciuto per un momento. Forse aveva notato l'assenza del capitano Brancharen e compreso.
«Dovete tele-portare qui gli altri feriti», ordinò Fabritiòs uscendo dal cerchio. Chiamò del personale del Medicaes per chi, venuto con lui, era ferito quindi si rivolse al Lord Generale Pintor.
«Voglio un rapporto dettagliato dell'ultima ora e tre compagnie per mantenere quel caposaldo ad ogni costo. Adesso, seguitemi allo Inner Strategivm.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top