Capitolo I: Il Signore della Tempesta
Atto V, il Lord Solar Fabritiòs signore della Nobile Casata di Von Gianellen ed Over-Lord dell'Over-Archia di Armageddon
Parte I di III
Un tuono precedette la caduta delle prime, gelide gocce di pioggia. Ne udì, ad occhi chiusi, il picchiettare contro la tettoia sovrastante. Il cielo in alto sopra di lui era una tavola di nembi, grigi e neri, lividi, densi come stuoie d'olio.
Dentro la loro fitta trama bussavano insistenti orde di tuoni biforcuti, tripli, quadrupli e poi a guise di mani scheletriche.
Una giornata bellissima. Fabritiòs si spinse contro il cuscino del divano-a-sdraio, tenne le mani intrecciate sul petto in segno d'attesa quieta, incrociò i piedi e continuò a tenere gli occhi chiusi.
«Il sonno del guerriero!», lo schernì Serena. «Se non ti muovi finisco prima.»
Fabritiòs inarcò un sopracciglio, dubbioso verso quella richiesta. «Hai studiato pittura per anni. Non dovrebbe essere un problema per la tua consumata esperienza se il soggetto si muove.»
La donna dietro la tela alzò il pennello a mo' di dito indice. «Puoi anche dire modello!»
«Preferisco soggetto», ribadì stando immobile. «Lo trovo più adatto di modello. Modello ha connotazioni che non apprezzo.»
«Mio signore Fabritiòs, il nemico si avvicina!», rise Serena sbucando da dietro il quadro in corso d'opera. «Su che modello impostiamo le nostre difese?»
«Non scherzarci sopra», l'ammonì osservando il cielo. «Ritieni ti serva ancora tanto tempo?»
La pittrice si staccò dalla tela ed espose una seconda volta la testa. Aveva un cappello da giornata sulla fronte e dalla tesa pendevano alcune lenti macroculari che, distanziate dall'obbiettivo, avevano incominciato a trillare avvisi tediosi.
Una treccia bionda, lungo fin quasi ai fianchi, le scendeva dal cappello presentando diversi giri di rubini intrecciati in cerchietti d'oro.
Fatto compiere un giro al pennello, la lady sua moglie disse: «Se qualcuno si muovesse un po' meno io forse riuscirei a rendere correttamente il profilo del suo mento...»
«Non è difficile.»
«Vuoi insegnarmi la mia arte?»
«... no», disse dopo un momento di raccolta dei suoi pensieri. «Tuttavia non sento d'avere un mento così difficile.»
«Ogni parte deve combaciare bene con le altre o il dipinto ne risente nel complesso. Se non rendo correttamente il mento, la fronte sembrerà strana in relazione alle guance oppure al naso.»
Aveva una sua logica: modesta, degna di degli artistici perdigiorno sì... però aveva una sua logica e poteva accostarla all'intaglio del legno.
«Non fai lo stesso ragionamento quando incidi le tue miniature?»
«Non ci ragiono sopra», le disse Fabritiòs. Quante volte aveva ripetuto quelle parole? Troppe per ricordare la cifra esatta. «M'immagino una figura e lavoro il legno finché non corrisponde. È istintivo.»
Serena replicò subito, apparendogli all'udito fintamente invidiosa: «Un pittore ti ucciderebbe per una simile memoria photos-visiva, lo sai?»
«Può provarci certamente.»
Udì il brontolio di un tuono nel cielo e chiuse gli occhi, riaperti nel mentre della conversazione.
«Lo sai che questo è soltanto un sogno, vero? È tutto nella tua testa.»
Fabritiòs soffiò un verso di fastidio. Lo sapeva? Certo che lo sapeva. Poteva dirgli, ora, qualcosa di nuovo e non ripetuto in tutte le occasioni precedenti?
«Lo so.»
«Rievochi sempre ricordi felici», fu il commento della pittrice, un affondo di coltello piantato nel fianco. «Non ne hai uno più recente? Uno che viene dopo che sono morta?»
Non la guardò mentre le rispondeva. «No.»
Serena non gli diede immediatamente una replica. Per alcuni secondi la udì armeggiare ed affaccendarsi sul quadro, la pioggia che picchiettava la tettoia sopra di loro.
Poi la realtà divenne quella dell'Aula di Comando del colonnello-maggiore Norton Tirios. V'era un comune odore di fycilene e di sangue bruciato dagli scatti dei laser.
Fantasmi tentennanti, gli ultimissimi lasciti della sua visione così breve, stavano sparendo con il ritornare brusco ed impudente del mondo-materivm. Fabritiòs ricordava, anzi teneva bene a mente, dove si trovasse, chi fosse e per quale ragione si trovava lì.
Non poteva dimenticarlo, neanche per un singolo after-istante di secondo, lo sapeva e peraltro v'era sempre qualcuno disposto a ricordarglielo: non erano soltanto gli sterminati numeri delle masse umane impegnate verso la Crociata ad impedirglielo ma il suo stesso essere, chi e che cosa era. Conscio di non potersi concedere un lusso come quello, lui era il Lord Solar.
Lo era stato il giorno precedente, il suo ieri e l'altro-ieri che l'aveva preceduto.
Lo era, per l'Imperatore-Dio ed i suoi Santi e gli Dei Vecchi e Nuovi, quel giorno, quell'ora ed in quel minuto a discapito dei suoi sogni ad occhi aperti. Venivano dopo, se v'era spazio per loro tra tutti gli obbiettivi che la Crociata era stata incaricata di raggiungere.
Sapeva che lo sarebbe stato anche l'indomani. A meno di non cadere in battaglia, punto ovviamente da evitare, o di non vedersi succeduto da altri che non v'erano.
Mai Fabritiòs, sempre "il Lord Solar".
Se quello volevano, quello avrebbero ottenuto una ed una volta ancora.
Segmentvm Ultima, Peripherica Stellarìs Expansionae di Aegis Pro-Viae-Korianìs
Sistema Stellare di Lorn Eron, mondo-cardinale di Lorn Eron II
Alta-Terranìs di Volscini Sethra-Pelta,
Faglia di Sparakìs
M42.016
Una barra-lampadario lampeggiò due volte, scricchiolando elettrici gemiti sopra allo scivolare in silenzio degli echi dei las-fucili. In entrambi i rapidissimi, fastidiosi cambi tra buio e luce giallastra la luce sprizzò scintille arancioni, bianche e rossastre. Fabritiòs la guardò a denti stretti.
La sua mente stava lavorando in merito a ben altre preoccupazioni, regina tra queste l'attacco appena ricevuto, e da quella lampada proveniva una sensazione funesta. L'odore dell'ozono e delle altre particelle decadute per merito del teleportarivm si mischiava ad un sentore di freddo ed un'acre odore di biancospino.
Il puzzo del Chaos, come lo conoscevano i fantaccini delle varie guardie dell'Astra Militarvm.
Qualcosa, un dettaglio perlomeno, in quell'incursione non era del tutto andata storta per i corrotti e più osservava quella lampada, nelle narici gli olezzi lasciti dell'incursione, più si sentiva convinto dalla cosa.
Non era soltanto cautela dottrinale, la sua. Non in quel caso, almeno.
Era una convinzione.
Per un momento la grande luminaria apparve sul punto di spegnersi ancora. Il suolo tremò scosso dal non troppo distante impatto di una granata e le pareti, sussultando, fecero cadere quadretti di Santi ed Aquilae Pax Imperialìs votive.
La lampada finì per scollegarsi dai suoi cardini levando un grido strutturale: piovve in terra con un fracasso di vetri rotti, sparpagliati in ogni dove. Altri scoppi giunsero e le vibrazioni da loro trasmesse al suolo ed ai muri fecero scattare Hera.
Il Lord Solar la guardò voltarsi, fulminea, verso il fracasso, energica come sapeva essere nel suo elemento, nel crogiolo della battaglia, e s'accigliò per una ragione di cautela: pistola Requiem armata, un filo di fumo che saliva dalla canna, e spada potenziata accesa dall'inizio dello scontro, ella incontrò il suo sguardo. Aveva spalancati i propri occhi, colorati d'uno sbiadito azzurrognolo. Una smorfia feroce le era stampata in viso, merito della battaglia appena conclusa, che snudava denti bianchissimi in contrasto con le macchie di sangue impresse sul viso.
Trascorse così un brevissimo istante, durante il quale Fabritiòs non si mosse né le fece gesti, poi la donna parve folgorata da una realizzazione. Per un momento fu convinto che lei avesse deglutito. Velocissima nell'abbassare ambo le armi ella distolse lo sguardo.
Interiormente contento che avesse notato la sua impropria condotta, Fabritiòs si guardò intorno. Altri scoppi di granata giunsero a squassare la terra innanzi alla torre-castrvm ed uno dei cadaveri seduti innanzi alle batterie di Vox-Machinae Ripetitrici collassò al suolo cadendo dalla sedia. A fare le veci del braccio sinistro v'era un moncherino fumante, il resto dell'arto strappato e scagliato Lui soltanto sapeva dove dalla forza di un bolt laser, mentre il viso dagli occhi a scendere era una maschera di muscoli anneriti ed ossa fatte scure dal colore.
I denti spuntavano in rilievo sulla carne, quelli rimasti quantomeno, dandogli una sorta di ghigno beffardo, diabolico, persistente in mezzo alle spirali di fumo grigiastro che salivano dalle carni bruciate.
Facendo cura nel puntare il suo las-fucile verso il pavimento, la procedura corretta che Hera aveva fallato, Fabritiòs si chinò accanto a lui. Lesse il nome impresso sulla targhetta identificativa impressa sull'uniforme, VxO Jonas Kisiri, quindi gli appose la mano sul volto, quanto ne rimaneva, per chiudergli gli occhi. In parte erano bolliti, in parte rinsecchiti.
Jonas Kisiri, da Kasr-Gladius.
Dovere: Vox Operator. Statvs: ora a rapporto dall'Imperatore-Dio e da Rogal Dorn. Condizione: un altro di tanti e troppi anonimi. Ed ora la sua guardia è finita.
Non aveva senso prendere la sua piastrina quindi gliela lasciò al collo, lì dove s'era impressa a stampo sulla carne bruciata dal laser.
L'odore della fycilene impregnava l'aria dandole un sapore acre, metallico sul palato. Residui tentacoli d'ozono, lasciti dell'assalto portato con i teleportarivm, aleggiavano con peso e si spargevano come lentissime nubi.
Il Lord Solar diede uno sguardo alla spia luminosa del suo las-fucile vedendo che aveva esploso una decina di colpi in totale. Sostituire la cella era uno spreco: la batteria energetica del Ghjallahourn poteva alimentare almeno cento-e-sessanta colpi a media intensità, novanta in condizione di massima emissione, dunque non vedeva motivo per sostituirla nel nome di poco.
Il frastuono prodotto dal lampadario era vissuto per un secondo, forse anche meno, finendo immediatamente scavalcato dal rimbombo, propagato a distanze alterne, delle artiglierie.
Svanito, ponderò Von Gianellen, come un vigliacco al primo segno di pericolo. Non erano ancora sopraggiunti rinforzi nemici, tuttavia. Potrebbero disporre di teleportarivm che necessitano di un momento per ricaricarsi... oppure questo era un diversivo.
Il pavimento della sala faceva sfoggio di sé mostrando un nutrito stuolo di cadaveri e di bruciature da impatti d'arma laser. Una smorfia di disappunto, forte abbastanza da fargli stringere i denti, gli sopraggiunse quando vide che il tavolo strategico-tattico era stato danneggiato; perdeva scintille da uno dei suoi fianchi, sgranocchiato dagli strali cremisi, il proiettore principale era scoppiato in un firmamento di schegge sparse sul piano di lavoro quadrettato, due degli ausiliari spruzzavano scintille.
Alcuni cavi penduli erano caduti a terra, aprendo a chiazze di liquido connettivo grigio-argenteo.
La sua smorfia rabbiosa crebbe quando provò ad accenderlo con un colpo sulla piastra-console principale ottenendo soltanto un rantolo di statica ed uno schermo blu sovrascritto da avvisi, tutti in Lingua Technis, bianchi.
Se appariva la Necro-Ceruleovideata si poteva presumere, spesso con una misura di correttezza, che lo Spirito-Macchina fosse trapassato ed il macchinario, dunque, divenuto inservibile. Provò, digitando con un comando di resurrecta-rites riassunto tutto in un tasto, a riportarla in azione: ciò che ottenne fu uno scoppio di scintille lesto a farlo ringhiare d'ira, un secondo rantolo di statica condiviso dai servitori-mentat collegati al tavolo ed una reiterazione della Necro-Ceruleovideata.
Schiantò un colpo di laser sullo schermo in videata blu e sulla tastiera, invocando con un pensiero perdono al dio-macchina, per dare ad esso la pace ed impedire che i suoi dati venissero colti da eventuali incursori nemici capaci d'infiltrarsi. Uccidere uno Spirito-Macchina, oppure infierire su di uno già in fase di trapasso, era tecnicamente un peccato ma quando sussisteva una buona ragione era un doloroso corso d'azioni che andava svolto.
Meglio distrutto che preda del nemico, secondo il catechismo del Cvltvs Mechanicvm. Meglio distrutto che preda del nemico.
Spero ne abbiano un altro di riserva in questo posto. Senza il tavolo principale quell'Aula di Comando era, in utilità mera e pura, paragonabile ad un finissimo destriero zoppo. Abbatterlo con un colpo ben assestato sul cranio costava meno di curarlo per niente o vari, futili sentimentalismi.
Diede ordine al sergente Ionz di terminare con un colpo in centro alla fronte tutti i servitori-mentat collegati al tavolo. Ormai mugolavano in agonia, chini e con gli occhi appena accesi da un barlume di luce, senza riuscire a computare nulla.
Non potevano essere spostati dalle loro alcove irte di cavi umidi e venire catturati avrebbe permesso al nemico d'accedere alla loro coscienza-animvs e carpire potenziali informazioni circa le disposizioni difensive in quel settore.
Era meglio essere sicuri piuttosto che dispiaciuti. Ionz obbedì solerte terminando i servitor un colpo alla volta, sulle labbra una velocissima preghiera che invocava un misericordioso perdono da parte del Dio-Macchina per quella necessaria offesa.
«Disperati?», domandò il Lord Solar recuperando, dopo l'ultimo bolt laser esploso da Ionz, quando aveva detto il colonnello-maggiore Norton Tirios. Nel proprio tono avvertì una sana nota di scetticismo: i nemici dell'Uomo, tantissimi e purtroppo scaltri, la portavano la Disperazione, mai la vivevano. Ascrivere svantaggi al nemico era poi uno sbaglio gravissimo, deleterio.
Se il condottiero errava le sue decisioni, cogliendole con impudenza oppure basandole su fatti sottovalutati, il suo esercito non poteva che precipitare nella rovina.
Al nemico si attribuivano vantaggi, più o meno grandi, perché per quanto si dovesse sperare nel meglio la cautela imponeva di prepararsi sempre al peggio. Era una somma legge mai inscritta eppure presente in tutti gli eserciti che componevano, quando si riusciva nell'impresa di riunirli in una singola entità d'inarrestabile possanza umana, la forza magna che aveva l'onorato nome di Astra Militarvm: spera per il meglio, preparati all'orribile peggio.
Era meglio sparare mille granate in più del dovuto che non presupporne cento esplose in meno perché non necessarie. Fatto quindi quell'eco alle ultime parole pronunziate dall'ufficiale Norton Tirios, Fabritiòs dardeggiò con gli occhi ai cadaveri che tappezzavano, tutti sparsi e rotti con arti travolti ed espressioni sbarrate, il pavimento dell'Aula.
«No», sentenziò sempre impugnando verso il basso il suo Ghjallahourn-Pattern. «La sfortuna li ha teso un tranello ma hanno colpito con cognitio causae.»
Tributare anche una parvenza di complimento ai servitori dei Poteri Perniciosi gli risultava offensivo, quasi doloroso da sopportare. Se non lo fosse stato, come insegnavano i religiosi tanto saggi, vi sarebbe stato di che preoccuparsi. Era un'agonia in sé per sé e doveva esserlo, era giustissimo e saggio, per chiunque oltre a dirsi fosse effettivamente leale al Trono d'Oro della Terra.
Alas! Le verità, quando autentiche, tagliavano tanto chi le riceveva quanto chi le pronunziava. Lo facevano sempre.
Consapevole d'avere l'attenzione del kasr-gladiano, Fabritiòs camminò attorno ad uno degli alastri-incursori morti. Non lo puntò direttamente con il las-fucile ma nondimeno fece attenzione; si accertò visivamente che fosse morto e che se qualcosa avesse cambiato quello statvs lui avrebbe potuto ucciderlo di nuovo senza rischiare la propria vita. «Hanno scoccato questi incursori attraverso un sistema di machinae-teleportarivm: non so attraverso quale strumento ne fossero a conoscenza ma loro sapevano, con una misura d'esattezza, che mi sarei trovato qui, Tirios.»
«Stregoneria!», sputò l'ufficiale kasr-gladiano. Si mosse, circospetto, incontro ad uno dei cadaveri. Gli strappò dalle mani il fucile laser per controllarlo e poi, vide Fabritiòs, sul suo viso si disegnò. «Stregoneria e... io non sono un tecno-prete, Lord Solar signore, ma questo è un pattern aureliano.»
«Un Decretior-Juliara Apostatès, se posso, Argivian Pattern.»
Precisa, come sempre, osservò Fabritiòs. Il pavimento tremò pochissimi istanti dopo quella considerazione, scosso da un colpo più forte dei precedenti. Si trattava di un macro-mortaio? Una bombarda d'assedio? Senza il tavolo strategico-tattico era cieco rispetto all'esterno, lì dentro. Doveva uscire, ottenere una posizione di comando e coordinare le difese.
E doveva farlo presto, per l'Imperatore. Maledettamente presto. S'impuntò per non cadere; il suo sguardo, acceso d'ira, salì al soffitto e vide le lampade superstiti accendersi e spegnersi. Malfunzionavano, come se impazzite, alternandosi ai tremori dovuti all'artiglieria.
Udì un fischio che si faceva, di secondo in secondo, più vicino. L'impatto arrivò pochi secondi dopo il tremore ed il suono: un boato sconquassante, sordo ed accecante, che spense tutte le lampade dell'Aula e proiettò un altissimo grido di macerie e fiamme sparate in aria.
Come pensavo.
Norton Tirios, vide Fabritiòs, passò in fretta il fucile alla Lady Commissaria Hera tacendo poi in, presunse Fabritiòs, attesa d'altro. Colta l'attenzione dei presenti, l'ufficiale politico storse le labbra e si guardò attorno mentre le luci tornavano attive.
In lontananza stavano già cadendo altre granate.
«Fu prodotto dal novecento-trentasette del millennio trentasettesimo fino all'anno cinquecento-due del millennio trentanovesimo», spiegò la donna, affrettata ma comunque minuziosa. Fabritiòs la vide grattare via la stella caotica incisa sulla cassa dell'arma e poi mettersi la stessa a tracolla.
«Sa dirmi da quale mondo-forgia nacque? In fretta, possibilmente.»
«In principio, m'lord Solar, fu prodotto nei manusfactorum Argivian-Argosna di Meridian», disse lei. Si alzò in piedi con un basso taglio degli occhi, umile nonostante il suo grado ed il suo titolo. «Poi la produzione fu spostata in Aurelia Seconda e sul Mondo-Forgia di Caristo-Phoruus.»
«Continui», la esortò Fabritiòs. «Vorrei sapere dove va a concludersi questa vicenda.»
La donna s'irrigidì, ancora una volta. Lo faceva sempre, aveva anzitempo notato Fabritiòs Von Gianellen, quando dialogava con lui. Era un gesto che ripeteva ben oltre la necessità dell'attenti e lui lo trovava, segretamente, divertente in modo strano. Qualche volta era bello farla scattare, chiedendole in merito ad un fatto qualsiasi o di nessuna relativa importanza, per nessun'altra ragione salvo che vederla drizzarsi come un chiodo.
Battuto un colpo sul fucile caotico, ella proseguì: «Quando Aurelia Seconda svanì, inghiottita dalle correnti dell'Empyreo Warp, Caristo-Phoruus tenne un conclave per determinare se i pattern condivisi con essa fossero da tacciare come colpevoli per la calamità... ma questo conclave non si concluse mai, m'Lord Solar. Caristo-Phoruus, prima che una decisione potesse essere presa, fu invaso dagli xenos-eliksni. Fecero incetta dei Decretion-Juliara Apostatès e da allora il Mondo-Forgia di Lhaondana l'ha decretato Machinae Excomunicatìs Maxima. Già non aveva un nome molto fortunato, risalendo al patrizio Decretior-Juliara l'Apostata...»
«Un traditore», fu il commento di Sir Vittorio. «Nonché un eretico della peggiore risma.»
«Indubbiamente...», aggiunse Hera. Fabritiòs, dopo avere osservato i corpi, strinse la fronte in un segno di agitata iracondia. Se hanno un fucile, potrebbero avere altri strumenti provenienti da quel mondo-forgia decaduto. Per quale ragione, mi chiedo io, un esercito dello Heretek-Traditore Asphodel dovrebbe appoggiarsi alla nostra base liturgico-tecnologica? Già dispone della sua, lo si sa dai tempi della Crociata dei Mondi di Sabbath...
Opera di stregoneria o semplice tradimento? Il Chaos possiede modi innumerevoli per carpire i nostri segreti.
«Ora non è il momento per discutere del come, colonnello-maggiore», decise mutilando quella conversazione prima che si dilungasse eccessivamente. Non gli andavano molto a genio i discorsi troncati, nemmeno quando suoi, ma l'ora era tarda e la guerra incombeva, desiderosa d'essere combattuta e quello era un discorso nel quale preferiva trovarsi.
Suppongo che Pintor ed i suoi soldati potranno darmi maggiori delucidazioni in merito. Curioso come non abbiano fatto parola di questa situazione: o non ne sono al corrente -e dunque sono idioti- oppure sanno e me l'hanno tenuto nascosto... il che li renderebbe idioti auto-lesionisti.
Scoccò un cenno al sergente Ionz di Dorian ed al capitano Brancharen di Dwarthemberg: «È imperativo, signori, che io raggiunga il Leviathan per coordinare la nostra rete di difesa.»
Ionz non replicò con un saluto, fatto che Fabritiòs apprezzò quella volta come l'aveva approvato nelle occasioni precedenti in cui s'era trovato a fare affidamento su di lui, però s'irrigidì. L'abitudine non la si uccideva facilmente, poteva comprenderlo. Cos'era un sergente davanti ad un Lord Solar, in fin dei conti? Che cos'era una pulce innanzi ad un Titano?
Personalmente aveva una risposta per quel quesito ma non era il momento per esporla. In seguito, nel qual caso Ionz fosse sopravvissuto a quella giornata, forse se ne sarebbe occupato.
«Milord, signore...», esordì il sergente, «... io e la mia squadra vi scorteremo lì a costo della nostra vita. Avremo bisogno d'aiuto, però. Ci stanno attaccando e non so quanto sei uomini possano in mezzo a quel fottuto casino.»
«Vi forniremo tutto l'ausilio necessario», intervenne il capitano Brancharen. Si strinse la collottola dell'elmetto spikenkrimr, imbracciò la las-carabina da scontro ravvicinato togliendosela dalle spalle e poi occhieggiò ai soldati che aveva disposto a difesa del muro sbrecciato. «La nostra priorità è portare in salvo il Lord Solar fino al punto d'estrazione.»
Hanno già organizzato? Ottimo.
Il primo dei due soggetti invocati era un uomo dalla fede semplice, certamente non sofisticata né capace d'elevarsi lungo Lui soltanto sapeva quali vette, che nelle proprie armi rivelava che persona era e quali discorsi gli erano più congeniali.
Non portava seco armi raffinate oppure belle da vedere, degli strumenti per tempi certamente più civilizzati come invece era il suo Ghjallahourn, bensì un semplicissimo las-fucile dall'aspetto robusto tanto quanto vissuto dalle battaglie, una solida daga da trincea, una pistola laser dal caricatore lungo ed una comunissima, povera spada a catena.
Armi semplici per un uomo semplice, pio. Un "Mulo di Macaroth", per fare una citazione storica di qualche livello.
Era un sergente, l'anonimo uomo qualunque dei sottufficiali reggimentali; nessuno di speciale, privo di titoli od encomi, giunto da un mondo che era morto ed al quale lui era sopravvissuto assieme a pochi altri. Uno sguardo mediamente attento era più che sufficiente per comprendere appieno sia Ionz che con quale genere di persona si stesse avendo a che fare: era basso ma tarchiato, ben costruito dalle fatiche sostenute e dagli eventi, pallido di carnagione, con l'elmetto a coprirgli la testa ed una maschera-respiratore pronta all'uso in caso d'armi chimiche o stregonerie avvelenatrici dell'aria.
Prima della sua morte il Mondo di Dorian non aveva brillato dentro l'Imperivm per ricchezza o prosperità ed infatti l'armatura del sergente era di una qualità se non bassa allora lievemente inferiore alla media che poteva essere ascritta alle forze di ben più fiorenti stati. Vestiva una cotta di maglia sotto la giacca anti-schegge ma Fabritiòs la sapeva essere incapace di deflettere il laser o di opporre ad esso una qualche sorta d'autentica, effettiva resistenza.
Più o meno era utile a quello scopo tanto quanto un foglio di pergamena inzuppato di promethium lo era circa il deflettere un grosso incendio.
Ionz, tuttavia, era un buon soldato e già da qualche tempo Fabritiòs poteva dire di conoscerlo. Lui obbediva agli ordini, guidava i suoi uomini scelti con giudizio e non alzava mai una singola, seria lamentela. Era un analfabeta funzionale, parte di quel genere che a malapena sapeva leggere e scrivere il proprio nome senza sbagliare o ripiegare su di una bella "X".
Fabritiòs sapeva di non avere necessità di un letterato o di un qualche nume della cultura imperiale, tuttavia: gli servivano un paio d'occhi ed un braccio capace di dargli modo di coordinare una prima difesa da quel castrvm colpito dagli incursori.
L'altro elemento era il capitano Brancharen di Dwarthemberg, ufficiale militante sotto le insegne del 33esimo Reggimento della Solerte Guardia di Dwarthemberg: lui ed i suoi sottoposti, un piccolo gruppo che aveva seguito la Lady-Commissaria Hera Herakleiòn, avevano macchie di sangue sulle uniformi scure e dalle bocce da fuoco dei loro las-fucili salivano piccoli strali di fumo. Avevano combattuto bene durante l'incursione, alzando strali di tiro dopo strali di tiro.
Non erano truppe da combattimento ed urto ravvicinato, lo sapeva, ma in quei frangenti sapevano come agire con un modicvm di dignitosa perizia: i loro ufficiali Fabritiòs li riteneva molto bene addestrati, fatti forti e sfregiati delle esperienze maturate durante la Terza Guerra di Armageddon o impartite loro da chi vi aveva preso parte.
Lì presenti in loco erano una decina, tutti con l'elmetto puntuto calato sulla testa e le armi pronte agli angoli oppure puntate in basso per maggiore sicurezza. Difficilmente l'Over-Archia di Armageddon disponeva di sudditi-milites più leali e solerti di loro, dei natii dei mondi-fortezza di Dwarthemberg, e Fabritiòs era fiero di loro.
I dwarthemberghis erano tra i pochi che, in tutto il territorio spettante alla sovranitàs-domina ultima dei Von Gianellen, ancora usavano i tradizionali titoli regi invece che quelli over-archici. Non v'era verso di vincere la loro testardaggine in merito né di farli digerire il fatto che il titolo era stato cambiato per questioni d'eleganza politica ben dodici millenni prima, dopo l'unione con il nascente Imperivm.
Per loro era sempre e soltanto koenighaìn, non Over-Lord, e sarebbero morti prima d'accettare il contrario o di fallire le sue aspettative sul campo.
Tranne Brancharen tutti i soldati dwarthemberghìs avevano calato le maschere da battaglia, argentee e divise nei lineamenti, sui volti. Le lenti degli occhi non brillavano, la loro retro-illuminazione spenta per ovvie ragioni.
Un forte pugno esplosivo si schiantò contro l'edificio. Dal tetto crollarono strali di polvere, frantumi edili ed altre lampade scardinate dai loro alloggiamenti.
Era una sua sensazione o i traditori stavano migliorando il loro tiro? Dovendo considerare tutte le opzioni possibili...
Alphas: non siamo soli. Gli sovvenne l'incursione e come questa era apparsa con un modicvm di dispersione e spicciolata. Tatticamente parlando aveva senso sferrare un simile assalto ma presentava una cifra di rischi, primo fra tutti l'adoperare dei sistemi-teleportarivm, tali da rendere l'invio di venti elementi in totale uno spreco, un costoso azzardo.
Non poteva presumere che avessero inviato soltanto quelli, nemmeno forzandosi d'essere un peccatore positivo, ottimista e speranzoso. Nessuna di quelle tre cose lo rispecchiava.
Per la sua mente non era credibile né economicamente solido come piano d'azione. Sicuramente ne dovevano avere inviati degli altri, più e più ondate. Accettare quel punto sollevava il quesito: erano approdati in quel Castrvm, magari in uno dei suoi vari piani inferiori o superiori, oppure erano stati dispersi dall'Effectvs di Aipaer Shcattaer?
I teleportarivm erano imprecisi ma le illusioni ottimiste erano assassine.
L'avere colto la sua esatta posizione, il punto dove si trovava all'interno di tutta la griglia difensiva, sottolineava un fatto importante: avevano scagliato i loro dardi sapendo che lui si sarebbe trovato in quel luogo ed in quel momento... e questo fatto, doveva ammetterlo, la Donna Rossa l'aveva effettivamente predetto.
Non era stata del tutto esatta ma aveva detto che avrebbero colpito in quel dì mirando, per quanto una simile constatazione fosse ovvia, a lui.
Betha: potrebbero avere disposto un pharos-segnaletikae nella struttura per dare ausilio al tiro delle loro artiglierie. Nessun piano sopravvive al primo incontro con il nemico ed è per questo che si agisce con almeno tre piani di riserva.
Lo facciamo noi e lo fanno loro.
«Capitano», lo interpellò senza lasciare l'impugnatura del suo las-fucile folgore Ghjallahourn Pattern, conscio al contempo che Ionz avesse compreso benissimo quale compito gli spettasse. «Le sarei molto grato se potesse rendermi uno statvs della nostra corrente situazione.»
«Sì, Lord Solar signore. Abbiamo un collegamento vox con una squadra estrattiva», affermò lui chiamando l'operatore della squadra. «Abbiamo trasmesso loro un codice di soccorso quando abbiamo dichiarato libera quest'Aula. Si sono già messi in moto e saranno in prossimità entro nove minuti. Per il momento...»
Nove minuti? Troppi.
Sentì Hera che controllava il caricatore della sua pistola Requiem. Sir Vittorio, invece, gli si avvicinò con lo scudo e la spada potenziata che, attivi, sibilavano sospiri di potere tecnologico.
«... in caso prosegua, saranno qui entro il tempo stabilito altrimenti potrebbero richiedere alcuni minuti in più per le manovre d'emergenza.»
Fabritiòs dardeggiò alla volta del capitano: «Ditegli di abortire la missione di recupero.»
«M'lord?»
«Si tratta, capitano, di una trappola», gli disse Fabritiòs. «Nel momento in cui sarò a bordo gli altri incursori agiranno. Un solo cargo, molte teste importanti. Comandategli di abortire la missione e di predisporsi ad un lancio d'emergenza.»
«Senza la squadra», intervenne il colonnello-maggiore, «Voi siete bloccato qui.»
Annuì pian piano. «Questa era la loro intenzione. I venti incursori? Un'esca, un tranello semplice ma devo dire potenzialmente efficace. Per raggiungere il Leviathan dovremo navigare le nostre linee a piedi... oppure purificare questo castrvm. Tirios, di quante unità può disporre in loco?»
«Ho tre compagnie, Lord Solar... se sono ancora in condizione di combattere.» Non ne era sicuro e Fabritiòs sapeva, invece, di non potersi permettere il lusso dei "forse". Fatto cenno alle squadre del sergente Ionz e del capitano Brancharen di aprire la via sul corridoio, oltre i muri sbrecciati dal precedente colpo di fucile al plasma, ponderò in merito alle sue possibilità lì. Salire ai piani superiori, scendere a quelli inferiori oppure navigare il dedalo pre-fabbricato verso l'esterno? Si accostò ad un pannello informativo e schiacciò la runa per evocare la pianta edile dello stabile.
Lo schermo del cogitator formò una prima immagine, l'assemblarsi di una fittissima rete di trattini e passaggi e riquadri, poi la stessa s'interruppe e le succedette un fiume di statica grigiastra. Dagli altoparlanti del riquadro, quattro teschi alati coronati in verticale da fucili kantrael con la baionetta già innestata, esplose un boato di rumore bianco. Nato assordante, il fruscio crebbe in volume e Fabritiòs si tappò l'orecchio più esposto con la mano.
Imprecò, non sentì quello che aveva detto, vibrò un colpo di palmo agli interruttori per spegnere il suono e questo proseguì imperterrito.
«È un jam-dekrypteia!», esclamò rivolto sia ad Hera che a Sir Vittorio, la sua voce coperta dal frastuono emesso a getto continuo. Gli dominava nei timpani e stava entrandogli nel cervello, lo sentiva farsi strada con la violenza di un elettro-trapanatore e di un tintinnvs fatto rintoccare dentro una campana.
La Lady-Commissaria lo superò in slancio e piantò un colpo di gomito nella vetrata del riquadro, frantumandola. Tre granate caddero vicine al castrvm, dandole vibrazioni sorde. Afferrati i cavi che alimentavano uno degli altoparlanti Hera s'impuntò con uno stivale contro la parete e tirò a sé, strappandoli. Uno sfrigolare di carne bruciata si levò dai suoi palmi ed un momento dopo il colonnello-maggiore Norton apparve con un'ascia d'emergenza. Strappatagliela dalle mani, Hera la impugnò a denti snudati, osservò le posizioni dei suoi bersagli e poi prese a menare veloci, secchi affondi contro i cavi ancora inseriti nella nuca degli altoparlanti.
Un colpo, un taglio, un secondo colpo, un secondo taglio, scintille in volo, l'odore della carne che bruciava intento ad appestare la donna... e poi il frastuono si spense. Liberatasi dell'ascia, Hera si guardò i palmi e sospirò. Scoccatole uno sguardo, Fabritiòs vide che in certi punti le carni ustionate s'erano fuse al tessuto dei guanti.
Strali di fumo salivano dalle piaghe.
«Ora sanno che siamo qui. Accorreranno in fretta», considerò Fabritiòs stringendo per bene il suo las-fucile Ghjallahourn.
«Hanno infestato i sistemi del mio castrvm con le loro tecno-stregonerie...», udì venir detto da Norton Tirios, un momento dopo impegnato a ricaricare la sua auto-pistola. «L'infezione potrebbe essere già in propagazione, dobbiamo avvisare i tecno-preti!»
«Lo faremo», premise Fabritiòs. Poteva essere un attacco nullvoides, quello? Se lo era, allora poteva spargersi come una piaga contagiosa. Se non lo era, la sua area era circoscritta ma ciò tagliava il castrvm di Tirios, il nexus posto a sorvegliare quella sezione del fronte, da ogni utilità.
Presumo allora che... «La più consistente fra le sue tre compagnie, colonnello-maggiore la faccia radunare nell'aula-refettorio. Capitano Brancaren, deve dettare al suo Vox Operator dei codici che tra poco, in sicurezza, le passerò... ora, Tirio: conto che lei abbia familiarità con questa struttura.»
«In condizioni normali? Ci può giurare, Lord Solar signore. Con questi tranelli tra le palle? Non posso assicurarle niente.»
«L'aula-refettorio è due piani sotto di noi. Rammento bene?»
«Sì, signore.»
Quei pochi secondi in cui la planimetria era apparsa sul riquadro, prima dell'avvento del frastuono, allora non erano stati del tutto inutili. «Il piano immediatamente inferiore al nostro ha una biblioteca come suo cuore centrale?»
«Gli annali reggimentali.»
«E sopra di noi abbiamo una stazione di radar-auspex...»
«Confermo.»
«Gli ascensori sono da tagliare fuori da ogni piano ma ciò non premette che non possiamo impiegarli...»
Il Lord Solar si piantò di spalle contro il muro che precedeva quello della scalinata d'accesso al piano superiore e fece un cenno all'ufficiale politico Hera perché le rimanesse vicina. Aveva ingerito una pastiglia di anti-dolorifico per ignorare l'agonia alle mani ma le sensazioni attenuate non cancellavano il fatto che non fosse in condizioni ottimali per combattere.
Scoccato un colpo alla cassa del Ghjallahourn, Fabritiòs osservò le sue istruzioni obbedite dal sergente Ionz e dai suoi tiratori scelti; si disposero in copertura all'altro muro, i fucili puntati un rango alle loro spalle ed un rango al pianerottolo delle scale.
Sir Vittorio, las-fucile in una mano e spada potenziata nell'altra, si posò vicino ad un grosso schedario ligneo alto sino al soffitto. Lo seguirono Tirios, due suoi soldati e il Sultano Ras'Leoluk. Dietro di sé invece, oltre Hera, Fabritiòs aveva la sua Donna Rossa e quei due cavalieri vermigli adibiti a proteggerla. Proprio Kira avanzò oltre la loro custodia, disarmata salvo che per una daga ricurva posta a riposare in un fodero, e scivolò oltre l'angolo.
In mano aveva una candela.
"La via è libera, qui", affermò la religiosa comunicandolo a gesti, quelli dell'Astra Militarvm. Non aveva memoria che li avesse appresi ma era contento che sapesse impiegarli. "Sono al piano di sopra e se prendiamo le scale ci sentiranno arrivare. Un famiglio osservatore. Qui da qualche parte. Si sta avvicinando. State attenti. Me ne occuperò io."
Scambiato uno sguardo con il sergente Ionz, Fabritiòs scivolò di un passo appena oltre l'angolo eletto a sua difesa ed incassò il calcio del Ghjallahourn contro la spalla. In quel momento avrebbe tanto desiderato che lord Erkenbrand si palesasse con dei rinforzi.
Avvicinò il dito al grilletto ed inspirò. L'aria era stantia, un sapore di gesso e metallo superava il puzzo di carni bruciate che saliva dalle mani di Hera e da alcuni cadaveri kasr-gladiani abbandonati sulle scale ed ai piani delle scale.
Erano stati abbattuti con colpi precisi, ben mirati. Opera degli incursori-alastri, probabilmente. La truppa del rango e della fila media non possedeva quella perizia nel tiro, imperiale o caotica che fosse. Non lo si insegnava, non alla fanteria generale.
Abbandonato il riparo di Sir Vittorio, la Donna Rossa si ritirò nel cuore del corridoio e poi prese il muro con le spalle. Posò a terra la sua candela, le scivolò attorno e Fabritiòs la vide osservarne la fiammella con gli occhi stretti, acuti.
Si stava concentrando.
Appena sotto il palmo della sua sinistra, osservò, uno scoppiare di scintille di fiamma stava avvenendo in crescenti dimensioni. Lo stemma dell'Aquila Bicefala Imperiale balenò al centro del globo in formazione, apparendo e svanendo in un battito di ciglia. La completa nascita della sfera innalzò uno scoppiettare di lingue di fuoco che, nel semi-totale silenzio del corridoio, si palesò come se in possesso della forza di una macro-cannonata.
Dall'angolo di destra provenne un sospiro veloce e Kira vi puntò il palmo contro. Fulmini di fiamma le ardevano negli occhi mischiandosi al naturale colore dei suoi occhi. Sbattendo su quattro ali consistenti come veli di fantasmi, un famiglio bionico apparve in volo. Aveva cinque occhi, uno centrale chiuso e quattro laterali ordinati che, incastrati nel suo cranio di falcone, brillavano verdastri.
Le penne erano dolorose da guardare, coperte da rune del Chaos. Un golfo di fiamme sibilò in avanti e lo intrappolò. Avvolto dal fuoco, il famiglio fece per urlare ma la Donna Rossa fu rapidissima nel calargli addosso per finirlo. Le sue fiamme crebbero d'intensità con il suo farsi più vicina e svanirono dopo un singolare sospiro di potere. Afferrato il corpo annerito del famiglio, Kira lo finì tirandogli il collo.
«Un byao'Sek grypha-aì-dadoondha», lo descrisse lei, a voce bassissima, offrendolo in mostra al Lord Solar ed a chi volesse guardarlo da vicino. «Non sono mai da soli a sorvegliare. Ce ne sono degli altri e probabilmente accoreranno presto.»
«Allora non dovevate ucciderlo con la vostra... la vostra...», sibilò Tirios, «... stregoneria.»
«Potreste ringraziarmi, colonnello-maggiore, invece d'insultare le mie arti. Accecandolo gli ho impedito di trasmettere la nostra posizione. L'uccello vi odiava.»
Per qualche ragione il tanith-nalsheen al comando di Ionz ridacchiò. In mano aveva una candela.
"La via è libera, qui", affermò la religiosa comunicandolo a gesti, quelli dell'Astra Militarvm. Non aveva memoria che li avesse appresi ma era contento che sapesse impiegarli. "Sono al piano di sopra e se prendiamo le scale ci sentiranno arrivare. Un famiglio osservatore. Qui da qualche parte. Si sta avvicinando. State attenti. Me ne occuperò io."
Scambiato uno sguardo con il sergente Ionz, Fabritiòs scivolò di un passo appena oltre l'angolo eletto a sua difesa ed incassò il calcio del Ghjallahourn contro la spalla. In quel momento avrebbe tanto desiderato che lord Erkenbrand si palesasse con dei rinforzi.
Avvicinò il dito al grilletto ed inspirò. L'aria era stantia, un sapore di gesso e metallo superava il puzzo di carni bruciate che saliva dalle mani di Hera e da alcuni cadaveri kasr-gladiani abbandonati sulle scale ed ai piani delle scale.
Erano stati abbattuti con colpi precisi, ben mirati. Opera degli incursori-alastri, probabilmente. La truppa del rango e della fila media non possedeva quella perizia nel tiro, imperiale o caotica che fosse. Non lo si insegnava, non alla fanteria generale.
Abbandonato il riparo di Sir Vittorio, la Donna Rossa si ritirò nel cuore del corridoio e poi prese il muro con le spalle. Posò a terra la sua candela, le scivolò attorno e Fabritiòs la vide osservarne la fiammella con gli occhi stretti, acuti.
Si stava concentrando.
Appena sotto il palmo della sua sinistra, osservò, uno scoppiare di scintille di fiamma stava avvenendo in crescenti dimensioni. Lo stemma dell'Aquila Bicefala Imperiale balenò al centro del globo in formazione, apparendo e svanendo in un battito di ciglia. La completa nascita della sfera innalzò uno scoppiettare di lingue di fuoco che, nel semi-totale silenzio del corridoio, si palesò come se in possesso della forza di una macro-cannonata.
Dall'angolo di destra provenne un sospiro veloce e Kira vi puntò il palmo contro. Fulmini di fiamma le ardevano negli occhi mischiandosi al naturale colore dei suoi occhi. Sbattendo su quattro ali consistenti come veli di fantasmi, un famiglio bionico apparve in volo. Aveva cinque occhi, uno centrale chiuso e quattro laterali ordinati che, incastrati nel suo cranio di falcone, brillavano verdastri.
Le penne erano dolorose da guardare, coperte da rune del Chaos. Un golfo di fiamme sibilò in avanti e lo intrappolò. Avvolto dal fuoco, il famiglio fece per urlare ma la Donna Rossa fu rapidissima nel calargli addosso per finirlo. Le sue fiamme crebbero d'intensità con il suo farsi più vicina e svanirono dopo un singolare sospiro di potere. Afferrato il corpo annerito del famiglio, Kira lo finì tirandogli il collo.
«Un byao'Sek grypha-aì-dadoondha», lo descrisse lei, a voce bassissima, offrendolo in mostra al Lord Solar ed a chi volesse guardarlo da vicino. «Non sono mai da soli a sorvegliare. Ce ne sono degli altri e probabilmente accoreranno presto.»
«Allora non dovevate ucciderlo con la vostra... la vostra...», sibilò Tirios, «... stregoneria.»
«Potreste ringraziarmi, colonnello-maggiore, invece d'insultare le mie arti. Accecandolo gli ho impedito di trasmettere la nostra posizione. L'uccello vi odiava.»
Per qualche ragione il tanith-nalsheen al comando di Ionz ridacchiò. V'era qualcosa in quanto detto dalla Donna Rossa di divertente? Non gli sembrava.
«Lui ed i suoi compagni di stormo erano proprietà di un altro condottiero che avete ucciso. Se avesse potuto vi avrebbe preso di mira personalmente per strapparvi gli occhi con il becco.»
«Sembra la mia ex-moglie», commentò il maggiore-colonnello.
«Hanno l'anima di un milites corrotto dentro il cervello e si ricordano dei loro nemici. Avete già incontrato queste forze, prima?»
«Può darsi», commentò il kasr-gladiano, così silenzioso da sembrare muto. «Quindi sopra non sanno che stiamo arrivando? Bene così.»
Per ora, pensò Fabritiòs. Per ora. «Dobbiamo prendere quelle scale.»
Il colonnello-maggiore picchiettò con lo stivale contro il pavimento, imbracciò meglio il suo las-fucile Kantrael e si mosse verso i gradini senza attendere altri ordini. Lo seguirono un pugno di suoi soldati, alcuni tratti dall'Aula di Comando ed altri recuperati lungo il tragitto fin lì, che si disposero di guardia, armi spianate e pronte in ogni direzione.
Il maggiore scagliò una granata oltre il pianerottolo e si coprì la testa per difendersi dal flash e dal boato dello scoppio. I suoi sottoposti corsero a prendere posizione e Fabritiòs udì il succedersi d'alcune scariche di fucile laser, subito scavalcate da urla.
Un momento dopo Kira, accanto a lui, spalancò gli occhi e mormorò: «Arrivano gli altri falchi! Arrivano!»
Dal corridoio di sinistra, stridendo e sbattendo selvaggiamente le ali, giunse un torrente di byao'Sek grypha-aì-dadoondha. I loro versi chiamarono l'attenzione del Lord Solar e dei suoi soldati; raffiche di laser, alcune più fitte d'altre, si mossero subito ad intercettare lo stormo abbattendo alcune decine di famiglie. Come i loro corpi caddero a terra, altri volarono a riempire i ranghi vuotati.
Un gruppo numeroso calò su uno dei kasr-gladiani rimasti a fare da retroguardia. Beccandolo in massa, con affondi d'osso ed acciaio, lo costrinsero fuori dal suo riparo e poi sciamarono incontro agli altri tiratori così da impedire loro di supportarlo.
Abbattuti tre volatili con altrettanti colpi di Ghjallahourn, Fabritiòs si vide assalito da altri quindici ed uno gli vibrò un affondo di becco sul braccio. Veloce alzò il las-fucile ed esplose un dardo spedendo così la bestia, senza più una testa, a crollare sul pavimento. Il kasr-gladiano assalito dalla moltitudine ora, dimenandosi per le beccate, era un grumo di quadruple ali che sbattevano e versi stridenti. Esponendosi al rischio, Fabritiòs si mosse in suo soccorso ed abbatté un paio di famigli con il Ghjallahourn. Una terza creatura lo colpì con il becco alle spalle, spaccandoselo contro la placca toracica, mentre una quarta gli si avventò al collo. Afferrata in volo, Fabritiòs la schiacciò contro il pavimento e la calpestò per uccciderla.
Il kasr-gladiano era schiacciato dalla massa dei famigli ed urlava, impossibilitato dal loro peso e dal loro volo insistente a difendersi. I suoi commilitoni stavano sparando a qualsiasi famiglio non fosse bloccato nell'aggredire un alleato e così facevano i tiratori di Ionz.
Dalle scale, anch'esse invase dagli uccellacci malefici, stavano provenendo dei passi. Scorto Norton Tirios che spaccava il muso ad uno dei dadoondha con un cazzotto sul becco, Fabritiòs recuperò la presa sul las-fucile ed esplose una salva di sbarramento al soffitto.
Mentre i cadaveri dei volatili gli cadevano innanzi ai piedi, prese ad arretrare verso Hera per difenderla dalle beccate.
Ignorando le sue ferite, la Lady Commissaria aveva messo mano ad una pistola laser e cominciato ad esplodere colpi non esattamente precisi contro i famigli. Alzando un ruggito che all'udito del Lord Solar si portò come uno dei rumori più belli della Via Lattea, il sergente Ionz attivò la sua spada a catena e la menò contro i volatili che gli si accalcarono contro. Schegge d'osso e metallo, tritate dalla sublime corsa dei denti a nastro rullante, volarono in ogni dove ed il rumore allontanò i falchi, spaventandoli.
Forse rammentavano, forse erano degradati tanto da essere terrorizzati da uno suono forte. Ionz si fece strada nella massa, coperto dai suoi tiratori, sferrando fendenti pesanti che catturavano i volatili e li trituravano in gloriosi scoppi d'interiora e membra ridotte a brandelli.
«Dobbiamo andarcene!», urlò il sergente. «Signore, dietro di noi! La copriremo!»
, gli ordinò in contropiede, chiamandolo a coprirlo mentre si muoveva lungo le scale per soccorrere i kasr-gladiani di Tirios.
Quest'ultimo aveva appena schiantato un famiglio contro il muro per esplodergli a bruciapelo un colpo quando una lama dritta, avvolta da fulmini di potere rossastro, lo trafisse alla nuca spuntando dalla bocca, lorda di sangue.
Scansato il cadavere, Fabritiòs si trovò a deviare un affondo di lama con una spazzata del fucile e poi cadde, spinto a terra dal placcaggio dell'incursore.
Rotolò sulle scale sentendone gli angoli sbattergli contro con la grazia di pugni ma riuscì a terminare la caduta con l'incursore distante da sé. Si alzò, una mano sull'impugnatura del las-fucile ed una sul manico di Arkham Indomita, pronto a combattere. Trasse un mozzo respiro vedendo l'incursore incontrare la lama di Sir Vittorio e cadere in terra, morto, e si volse in cerca del corpo di Tirios.
Gli strappò la piastrina identificativa e chiamò i suoi soldati, quanti erano sopravvissuti all'assalto degli incursori, a ripiegare. Uno degli alastri si frappose e ne abbatté due alternando pistola e lama; Sir Vittorio lo intercettò piantandogli la spada nel cuore e sferrandogli un calcio per estrarla in fretta.
Fabritilòs si vide fiancheggiato dal cavaliere in un momento. Il suo scudo s'alzò a difenderlo da qualche strale di laser e poi s'abbassò per permettere al cavaliere di rispondere ad un attacco. La sua spada potenziata incontrò una lama vermiglia brandita da un essere caprino, rosso di muscoli e con un'oblunga testa di caprone, forzandone la struttura per poi tagliarla ed affondare nell'essere sottostante.
Giunto in aiuto del suo sottoposto, Fabritiòs esplose a bruciapelo una raffica contro il daemon-caprone e poi fece cenno a tutti d'arretrare.
Altri passi provenivano dalle scale...
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