Capitolo I: Il Signore della Tempesta



Capitolo I: Il Signore della Tempesta

Atto III, Comandante di secondo titolo, lord Ieseon Diodatheo Astalen della HEZIF


Imperivm del Genere Umano

Segmentvm Ultima, Peripherica Stellarìs Expansionae di Aegis Pro-Viae-Korianìs

Astralìs-Clustaer ab Arcadia Peripherica Korianìssea, Arcadia Svb-Sector II

Sub-Regio di Sigisma Octanvs Secundus, Sistema Stellare di Laudata Jolivia, Agro-Mondo Civilizzato di Haravesta

35, 790 chilometri d'altitudine nell'alta orbita

HEZIF Via Vaector Aoth, carriaer-incrociatrice corazzata classe Orions-IV Zevona Pattern, Sesta Squadra, 12esima Flotta


In maniera simile ad una fiamma di candela colpita dal passaggio del vento, l'ololitho-gramma della Lady-Ammiraglia Juskin Skovìtri tremolò, si distorse con un fondo di statica e poi tornò integro e regolare, apparentemente solido.

Lord Ieseon non scompose la sua posa d'attesa e restò con le mani intrecciate dietro la schiena, premute contro il dorso del soprabito a colletto basso vestito sulla tuta da fatica.

Quel genere di comunicazioni, contemplò, funzionava bene quando non si stava sparando né ricevendo colpi da parte del nemico.

La solidità degli ololitho-grammi in tempesta era tale da fungere come metro di paragone per qualcosa di fortemente instabile.

Tuttavia permettevano un confronto ravvicinato a dispetto dell'eventuale distanza intercorrente tra chi li impiegava: il proiettore dal quale nasceva la Lady-Ammiraglia si trovava infatti a cinquanta centimetri dalle punte dei suoi stivali, incassato dentro il vecchio tavolo strategico-tattico, mentre la donna così vicina era in verità in piedi nella cavernosa Aula di Comando di un vascello localizzato ad oltre ventitré milioni di chilometri di distanza, quarantasei gradi in ascesa, dalla prua della sua nave.

Una lezione importante, tra le prime che s'apprendevano in Accademia? Le distanze, negli ambiti che spettavano alla guerra astro-navale, erano concetti poliedrici, fluttuanti e soprattutto ingannevoli più delle dolci paroline di una costosa paramour.

Ciò che era detto vicino poteva, in verità, rivelarsi essere lontanissimo. Quel che l'estrema distanza era per alcuni diventava la porta accanto per altri. Se si rientrava in date circostanze, ogni cosa era possibile e niente era autentico.

L'ologramma tremolò ancora, distorcendo l'immagine della Lady Ammiraglia in una segmentata colonna di zero ed uno, numeri bianchi su di sfondo verde.

Senza scomporsi, il lord comandante Ieseon rivolse il suo cipiglio ad un sanzionato machinomante del Cvltvs Mechanicvm: «Magus, può fornirmi delucidazioni su questi disturbi?»

Attraverso una maschera respiratoria a ghiere fittissime, l'ecclesiastico rispose al suo appello con un tono convinto, per quanto sinteticamente alterato: «Aye, comandante. L'ultima diagnostica effettuata su questo sacro vascello dai miei fratelli-sottoposti ha riportato definite, settoriali fluttuazioni nel tracciato di dual-conducturae proprie delle alternanze foto-manifestanti nel merito del...»

«Magus, per cortesia: in un linguaggio comprensibile a tutti noi che non siamo iniziati a queste magie.»

«I cogitators legati alla ricezione olo-lithografica hanno sviluppato un difetto nel loro animvs-calcolatorii . Un difetto che non abbiamo sistemato. Stiamo lavorando in merito.»

Capì che serviva fare una domanda più centrata e meno aperta a possibili sproloqui da parte del magus. «Potete fare qualcosa, intendo ora, per questo proiettore?»

Sciolto l'incrocio delle braccia, nascoste da maniche ampie e vermiglie, il vermiglio religioso s'accosto al tavolo. Appose la mano sinistra sul bordo ritraendola dopo un secondo di silenzio. «Affermativo. Non è superiore alle mie capacità.»

L'ololitho-gramma si ricompose tornando a mostrare la Lady Ammiraglia, la cui figura fu subito nuovamente distorta in frammenti intrisi di numeri. Prima che dovesse venirgli ordinato nuovamente in termini ancora più semplice, il tecno-prete, un giovane dal volto quasi del tutto privo di protesi ma con un cappuccio a coprire parte dei suoi lineamenti e i capelli di cavi, estrasse da una delle maniche un rudis con cui pungolò tre volte consecutive il tavolo strategico-tattico.

La testa della sua bacchetta, vide Ieseon, sprizzava scintille. L'altra estremità era, invece, d'ingranaggio bianco e nero, l'altra era una foresta di aculei pervasi da piccoli archi elettrici.

L'ololitho-gramma si spense, ogni luce di posizione sul tavolo brillò e poi l'ufficiale superiore riapparve come se la proiezione non fosse stata interrotta.

«Vi devo avvisare, comandante: non possiamo continuare a resuscitare la corretta funzionalità di questo elemento della dotazione di bordo. Il Rites Controllvm-Altmotionìs-Aborctire-Resurrecta non è una definita solutio uniqvam ex problema Anima Technis.»

«Lo terrò bene a mente, magus. Ora siamo in collegamento con la Himalazaya

Al silenzio che seguì la sua domanda, vivo per un momento, si sostituì la voce drastica e lievemente distorta della donna ololitho-grafica. «Kommantarm Astalen, rapporto», domandò la sua interlocutrice, nel tono una traccia d'accento che pesava quanto la caduta di un'incudine.

«Circa il collegamento... vi rispondo di sì, comandante», disse il tecno-prete arretrando per lasciare il quadrato del tavolo strategico-tattico.

Ma che simpaticone...

La personalità più elevata in grado nell'ampia gerarchia militare della Crociata circa l'esercito dispiegato in quel momento in quel sistema stellare di Harvesta, era un'autoritaria donna rigidamente dritta di spalle e retta come un chiodo. Di statura una testa più della media di molti uomini incontrati da Ieseon, la Lady-Ammiraglia Juskin Skovitri si presentava con ambo le mani saldamente intrecciate sulla testa di un bordone da passeggio bronzeo, fasciato da sigilli di purezza in calligrafia minuscola e da pergamene, in certi punti macchiate da sangue rappreso, il cui titolo citava gli eventi di diverse battaglie astrali avvenute nei precedenti sette decenni di storia imperiale.

A capo coperto, protetto da un elmo cilindrico scuro, alto e rigido dal quale cadevano tre lunghe nappe rosse infiorettate di piastrine militari, lo stava guardando con una neutrale, concentrata distanza ed un taglio delle labbra, sfregiate in due punti sempre in salita da scheletriche dita di cicatrici.

Uno dei suoi occhi era una bionica lente di vetro rosso incassata nell'orbita, l'altro aveva delle tracce d'ustione sotto la linea delle palpebre.

Ogni volta che appariva, imperiosa con quel bordone di comando e l'enorme colletto della giacca a circondarle il mento appuntito, l'ufficiale vostroyana gli dava sempre l'idea d'essere uscita da un quadro del ventottesimo millennio. Agganciata alla cintura portava una lunga sciabola potenziata dal pomello di teschio umano ed il fodero di un fucile laser dal calcio ligneo. Una scorta di guardie scelte le faceva da diadema tutt'attorno, disposte in semicerchio alle sue spalle.

Osservando in rapida passaggio d'occhi le lenti rosse dei loro elmi-copricapi, alti e coperti di pelo come se pensati per un clima frigido, Ieseon pensò per un momento a dei demoni usciti dalle viscere dei Tempi Antichi per guerre aliene da combattere sotto soli sconosciuti.

Primigeni Vostroyani.

In gioventù aveva letto della loro tradizione marziale. Come, supponeva, molti altri conosceva la leggenda in merito; era quella storia, vecchia d'ormai dodici millenni, che parlava della neutralità protratta di Vostroya durante l'Eresia dell'Arci-Traditore Horus. A conflitto fatto e finito, il dominio di Vostroya era stato chiamato dal Primarca Roboute Guilliman a rispondere del grave misfatto, a giustificare l'assenza delle sue truppe dai bastioni della Sacra Terra.

Per rimediare a quella mancanza, per taluni un tradimento compiuto in attesa di scoprire l'identità del vincitore dell'Eresia, Vostroya aveva giurato di cancellare l'onta attraverso il costante martirio bellico di tutti i suoi primogeniti.

La tradizione era stata immediatamente inserita nelle leggi proprie di quei continenti e dei mondi che nei tempi pre-Imperivm Vostroya aveva conquistato tanto quanto imposta a tutte le colonie di fondazione ed epoca successiva.

Prendendo la parola in posa d'attenti, Ieseon disse: «Lady-Ammiraglia, signore: dalle nostre sonde abbiamo letture che indicano una manovra d'avvicinamento da parte del nemico. Sugli schermi, prima che le nostre spie-satelliti andassero distrutte, abbiamo ricevuto l'impronta termica di una squadra d'attacco. Contiamo Quindici vascelli. Dalle picto-grafie ricevute, paiono essere dieci corazzate-CCS e tre di queste di tipo Hyerophante... dunque vi sono di seguito due incrociatori-portaerei e tre portaerei-CAS. V'invio le documentazioni che ho in merito?»

«Con celerità, kommantarm. Sarebbero ben gradite. Qual è la loro direttiva di marcia?»

«Fino a quarantacinque minuti fa era incrocio frontale, schieramento a cuneo, portaerei in ultima coda d'ala sinistra. Hanno modificato l'assetto, scomponendo la formazione in tre direttive. Una sta rallentando, signore... ritengo che voglia acquistare un'orbita alta sopra Haravesta.»

Di nuovo... che sia per vetrificare? Ci sono i nostri soldati, laggiù.

Tra la guardia della Lady-Ammiraglia si levò la voce di un curvo primarys-psyker, uno stregone che brandiva un'asta di metallo la cui testa era fatta da una dorata icona d'aquila imperiale bicefala: «I deprecabili xenos muovono d'attacco? Non è bastata loro la prima salva di cazzotti che gli abbiamo tirato?»

«Il Covenant non si ritira mai», sentenziò la Lady-Ammiraglia rivolgendo al savio mistico uno sguardo rapido, quasi licenziante. Non v'era sprezzo ma Ieseon percepì una qualche gocciolante fretta. «Esso è assettato di strage e guerra più d'ogni altra forma Xenos a noi conosciuta salvo gli orki. Il loro fanatismo nel combatterci non conosce limiti o confini, Albericvs... ma non sono stupidi. Fanatici zeloti? Termini disgustosamente adatti a descriverli. Stupidi? Per l'Imperatore, no. Hanno in mente qualcosa.»

Notò che la presa della donna sul bordone s'era fatta più stretta. «Ha assunzioni in merito, Lady-Ammiraglia?»

La sua interlocutrice tacque chiudendosi in un guscio di silenzio dal cenno innervosito. Stette ad osservare i vari ololitho-grammi proiettati alla sua attenzione per un momento prima di degnare Ieseon, quasi fosse l'unico presente, di una risposta: «Non è il loro attacco principale, non lo posso credere tale. Quindici navi?»

Udito quel numero, Ieseon esalò un sospiro teso. Quindici navi. Se quei due numeri fossero stati dei ket'qaes propri degli xenos Eliksni allora li avrebbe trasformati tutti in catorci fumanti con una mano legata dietro la schiena e ridendo. Non gli sarebbe servito più di un pomeriggio ma... vascelli del Covenant, quelli del suo segmento sottoposto al Profeta dell'Onore?

I giochi cambiavano. Con quella forza in campo, giunta a rinforzare il blocco quasi interamente smembrato nelle ultime settimane, la situazione strategica intra-sistema non era più una passeggiata al chiaro di luna, anzi tutt'altro.

Quindici loro vascelli da guerra volevano dire una flotta di sistema che bruciava affondando nelle atmosfere di quattro corpi celesti abitati ed il rischio d'altrettante vetrificazioni.

Quindici bastimenti dei bastardi coviaes volevano dire, usando il metro d'ingaggio che era da secoli innumerevoli dottrina suggerita, almeno trenta navi di risposta condotte nella bolgia della guerra da un ferreo, ben coordinato comando.

Ed il comando noi lo abbiamo... apparentemente possediamo anche le navi ma ci non mi toglie questa sensazione di stare camminando su di un filo sottile...

Nell'Aula di Comando della Via Vector Aoth tornò a giungere la voce della Lady-Ammiraglia, la cui proiezione sussultava già da qualche istante: «Noi ne schieriamo quaranta, lord Astalen. Quindici delle loro zattere contro quaranta delle nostre sante bagnarole? Sanno che con una disparità del genere non è che un suicidio, peraltro futile, volto a fare perdere loro tanto naviglio da battaglia. Io questa potrei dirla... la manovra di una mente disperata?»

Quell'ipotesi non lo convinceva.

«Dubito, Lady-Ammiraglia, che sia questo il caso. Con tutto il rispetto... negli ultimi due mesi ci hanno spinto contro le corde dell'arena in più occasioni», fu come intervenne la proiezione olo-lithografica del capitano di vascello lord Massenzio Scipionìs, l'ufficiale in comando dell'incrociatore Classe Post-Acheronìs III IFSA Re Aurelio IV.

Una parte di me vorrebbe dargli ragione, il comandante Ieseon raddrizzò le spalle e fece rivolgere le telecamere della proiezione al nuovo interlocutore, mentre una seconda parte di me chiedergli quante volte ha messo a rischio quella sua nave mezza caotica.

«Vi hanno messo alle corde, lord Scipiònìs, perché eravate stati incuneati tra l'alta orbita e i vari circoli satellitari. Riassumo settimane intere di progettazione e manovre eseguite in sprezzo alla dottrina classica che tutti noi amiamo? Una posizione pessima nella quale si è piccioni-bersagli. I coviaes sono più fluidi di noi nell'ambito della manovra dentro e fuori le attrazioni gravitazioni, debbo concedergli questo...», intervenne la Lady-Ammiraglia, interrompendosi per leggere un comunicato portato alla sua attenzione da una staffetta. Osservandola, Ieseon la vide posarvi gli occhi sopra, scendere velocemente in basso e poi rendere indietro il dispaccio.

«Questi alieni bastardi non meglio armati di noi sulle lunghe distanze, tuttavia! Abbiamo dei vantaggi e su questi noi dobbiamo farli giocare secondo le nostre regole. Voi siete andati a dare loro battaglia alla baionetta troppo presto, capitano; coraggio ammirevole, sì... ma dispendioso. I nostri soldati a terra possono resistere qualche settimana con pochi rifornimenti. Quello che non possono fare è vincere da soli questa campagna e, per il Lord Solar, non si vincono le campagne sperperando le navi in maniere stupide.»

Il capitano così sgridato s'impunto con un sonoro scatto di stivali: «Se aveste letto i resoconti delle nostre manovre sapreste che...»

«Ho letto i vostri resoconti, lord Scipiònìs. Tutti quanti. Vi sono state azioni meritevoli e decisioni sciocche. Nessuno è immacolato ma ciò non giustifica l'essere posti in acque maligne dagli xenos. Non sono qui per insegnarvi il vostro lavoro; il Lord Solar mi ha inviato perché questo sia finalizzato a sbloccare una volta e per tutte la situazione di Haravesta.»

«Queste cinque navi che stanno arrestando la marcia...», s'introdusse il Maghyster-Generale Claus Savas Rodis, nella voce un distinto tono trikeliano, indicando la componente della forza navale xenos che andava sempre più rallentando la rotta d'ingaggio frontale. «Voi che cosa ne pensate, Lady-Ammiraglia? Vogliono attirarci in avanti per tagliarci le ali a metà strada?»

Ella gli rispose mentre chiamava a sé una coppia di servitori lobotomizzati che sulle spalle caricavano una mappa del sistema. «Mi appare come una decisione stupida; già sono in inferiorità numerica e lasciano un terzo della loro forza in riserva?»

Fatto un passo in avanti, lord Ieseon riprese la parola: «E se si trattasse di una finta? Si pongono in alta orbita mentre ci impegnano con una forza simbolica... è un braccio di ferro.»

«Spiegatevi meglio, kommantarm Astalen.»

Ho la sua attenzione, bene. «Perdonate la poca chiarezza, ho impiegato un'espressione delle mie parti. Quello che intendo dire, signore, è che ritengo loro vogliano vedere se cadiamo nella trappola o meno. Se agiamo, diamo loro una determinata risposta mentre se continuiamo su questa rotta, capiscono una diversa nota in merito a che genere di forza si trovano a combattere. Rompiamo la nostra formazione per guadagnare sull'orbita alta di Haravesta oppure restiamo una falange di batterie frontali e Lance?»

«In una diversa occasione avrei ordinato entrambe le cose», commentò la Lady-Ammiraglia.

«E perché no?», s'introdusse Savas Rodis. «Abbiamo navi a sufficienza per coprire le nostre retrovie, proteggere i rinforzi in arrivo e dare battaglia ai loro scafi.»

«Perché no? Perché hanno da fare ancora una mossa...», contemplò la primigenia Vostroyana. «Vediamo come reagiscono ad un nostro tiro di pietra. Fuoco con tre Lance, signori e signore. Sia ordinato alla nostra avanguardia ciò: tre colpi di Lancia, reticolo di venti gradi e due paralleli rispetto al centro. Fuoco in cinquanta secondi.»

E trentasei secondi dopo quelle parole, metà schieramento xenos svanì effettuando un rapido ingresso nelle demoniache, cerulee correnti del Warp. Richiamato immediatamente l'ordine di fuoco, la Lady Ammiraglia diede ordine alla sua unità di muoversi a ranghi larghi.

Venti minuti più tardi, invece, una delle navi riapparve all'altezza dello spazio vuoto tra l'ammiraglia della squadra di rinforzo, la Himalazaya dell'Imperiale Flotta di Vostroya, e la sua nave alleata di destra, la IFoGEMINI Nola Inviere.

Che razza di assurdità vanno compiendo? si domandò Ieseon orientando gli osservatori di prua del suo vascello a quell'improvviso scenario di scontro. In centro ad uno dei macro-schermi principali v'era la vessillifera di destra del vascello-ammiraglio.

La sua crociera la conduceva verso l'alta orbita lunare, tra il buio e flebili lame di luce solare, arancione e cotta come un frutto maturo. Ruggendo in chiuso silenzio, le fiamme dei dodici reattori al plasma saldamente incamerati nella poppa stavano tracciando delle chiare scie, post-fiamme azzurrine e biancastre, veloci a denunciare ad occhi addestrati non solamente la direzione ma anche l'inclinazione della manovra entro la quale s'era immessa.

Fendendo in avanti su di una direttiva che Ieseon lesse come d'aggancio alla fionda orbitale, la IFoGEMINI Nola Inviere, Santa Gemeina fu colpita sul muso da due missili da crociera. Ignorando gli impatti a sfera cerulea, ella proseguì ed altri missili la raggiunsero. Simili a serpi chiarissime, i lampeggianti nave-nave s'inarcavano nel vuoto per deviare attorno a frammenti e frantumi, salivano oppure scendevano di quota e poi sfrecciavano alla volta dell'obbiettivo.

Cupole di luce brillarono a più riprese, due e poi tre quindi due ed ecco quattro alla volta, sui macro-schermi orientati a tracciare il vascello alleato.

Una seconda salva s'innalzò dalle bocche di lancio della corazzata xenos, intenta a ruotare per uscire dall'accerchiamento; in silenzio intercettati da missili-contromisure e da stuoli di flak-autocannone, i nuovi colpi raggiunsero in ben minor numero il loro obbiettivo.

Sul metallico, squadrato dorso della Nola Inviere s'erano aperti, al termine dello sbarramento missilistico, quattordici semi-crateri anneriti dai quali salivano sfumanti colonne di fumo. Lividi, si disse Ieseon, brutti da vedere ma non pregiudicanti.

Soltanto due delle trenta torri d'artiglieria erano andate distrutte, molte grazie fossero rese all'Imperatore-Dio della Sacra terra. Seguendo meglio la faccenda sui macro-schermi, vide le sovrastrutture tagliate di netto dal resto della nave che viravano senza controllo come trottole.

Piccolissimi, sgranati fiumi di figure indistinte navigavano nel vuoto. Uscivano, emorragie immerse in guizzi di fuoco ed atmosfera compressa, dalle strutture tranciate e si perdevano immediatamente, troppo minuti anche per gli osservatori di prua.

Erano persone.

Nola Inviere proseguiva nell'atto di spingere i suoi quattromila-e-novecento metri di struttura e torri e castelli, al tempo stesso inclinandosi in preparazione al tiro delle macro-artiglierie.

Quarantacinque gradi, annotò mentalmente il comandante della HEZIF. Inclinazione ad angolo acuto, dorso superiore esposto al tiro nemico ma scivolante verso il "basso", dirlo aiutava a non perdersi pur non avendo alcun senso in quelle circostanze, così da sfavorire eventuali impatti diretti.

Un coltello incandescente, se posto nell'atto di tagliare in lungo un panetto di burro, non sarebbe stato altrettanto fluido e ciò pungolò l'orgoglio del comandante Ieseon, una stoccata di tagliacarte nel fianco.

Ammettere che in quell'ambito la sua nave arrancava era doloroso, forse un po' umiliante, però dovuto; la Nola Inviere era rapida e dall'Aula lui la stava osservando scivolare sul piano siderale, quasi una goccia d'olio caduta su di un foglio di carta.

Di contro, la sua compagna di manovra d'attacco era molto più poderosa nel compimento dell'accerchiamento contiguo. Vide il profilo della loro orbita intorno al vascello nemico realizzarsi e, rapidamente, diede ordine di portare la Via Vector Aoth più vicina per offrire supporto.

L'ololitho-gramma sulla sua destra, quello della Lady-Ammiraglia, s'animò di suono e voce quando la stessa, in comando della più lenta e massiccia Himalazaya, picchiettò con una nota d'eccitazione il fondo del suo bordone contro il pavimento.

Sul viso, lievemente distorto dai fastidi che attanagliavano le ricezioni picto-grafiche della Via Vector Aoth, sporgeva il ghigno degli affamati quando innanzi ad un sontuoso banchetto.

«Cominciate l'attacco», scandì rivolgendosi al suo staff di comando. «I macro-cannoni prima, le torri laser in seguito rapido rapido, poi vengono le artiglierie al plasma. Comunicate lo stesso ordine alla Nola Inviere; ci coordiniamo su venti secondi.»

Dopo un secondo d'attesa, con lo sguardo rivolto verso uno dei suoi macro-schermi, la donna schioccò la lingua quasi stillando del veleno sulle sue labbra sfregiate. «Hnhai R'rrrhaza utbey...»,

A giudicare dal tono non erano parole di complimento al vascello alieno. «Lady-Ammiraglia, la mia nave ha quasi completato una carica di Javelyn», la informò Ieseon. «Ad un suo cenno, potremmo essere pronti a sparare una salva se le può servire una mano da qui.»

«La risparmi per la prossima gran bastarda, kommantarm. Pare ne stiano per emergere delle altre ma a questa stronza ci pensiamo noi. Continui a coprire il nostro perimetro cieco.»

«Aye-aye, signore.»

«Stop scaduto», annunciò la donna rivolta, presumibilmente, anche agli ufficiali della Nola Inviere. «Fuoco ordinato a volontà. Facciamole male.»

Aprendo il fuoco di fila all'unisono, le due effettive navi da battaglia aperta esplosero una fitta gradinata di macro-granate a propulsione propria. Drappeggiando lo scafo, bulboso e perlaceo, lampi di Void-Aegidaì esplosero in risposta all'arrivo delle granate.

Un fulmine provenne da fuori del perimetro, il suo schianto bruto contro la prua della nave xenos, e gli scudi collassarono in una fiammata esausta dopo la quale iniziarono, spuntando come funghi di fuoco ad ombrello puntuto, a nascere scoppi d'impatto.

«Grazie, Occhi Rossi. Muovete ora in supporto della Eroe Alexander», istruì la Lady Ammiraglia il cui ghigno, ora ancora più largo, persisteva nel darle l'aspetto di una maschera da Cappellano Astartes. Sul suo viso apparivano i bagliori di schianto della doppia salva alzata contro la Hyerophante covies, che Ieseon vide stare tentando una manovra evasiva.

Concentrando un torrente di ventotto quadrinate batterie di macro-cannoni magnetici a corto raggio sulla connessione tra tronco e scafo, la Nola Inviere scivolò verso l'alto mentre la Himalazaya prendeva il tragitto orbitale basso alzando le sue salve contro i reattori.

E la predetta ondata di rinforzo, consistente in quattro navi, emerse a duecento-e-trentamila chilometri ad est in basso rispetto alla nave xenos in quel momento soggetta al bombardamento. Guardando sugli schermi, Ieseon vide che tra loro figurava una delle portaerei.

Ma che strategia è mai questa? Stanno giocando a fare da bersagli con noi? «Tracciate la minore della nuova squadra! Portaerei nel mirino, subito!»

«Reticolo collimato!», annunciò il signor Relerio dal cogitator di punta del dodecagono dedicato al tiro delle due Javelyn. Uno scatto portò lord Ieseon dal subordinato, sulla cui poltrona girevole egli appoggiò una mano.

«Da dov'è apparsa si è già mossa ed in corsa d'attacco con la nostra ammiraglia. Il bersaglio ne uscirà entro ottanta secondi, comandante.»

Osservò l'icona della piccola corazzata coviaes in volo inclinato; imprigionata in un quadrato semi-solido di ololitho-grammi e sbarre di bronzo, pareva grande non più di un'unghia. Oltre lo scafo della Via Vector Aoth e la distanza che separava quest'ultima dalla sua preda, però, l'illusione si disintegrava innanzi a due volte duemila metri di balena dal muso d'uncino e dalla pinna biforcuta.

Immediatamente dopo avere scagliato uno sguardo ad uno dei macro-schermi collegati agli osservatori di prua, il comandante si rese conto di stare facendo stridere i propri denti. Attorno al vascello xenos lo sfondo buio dello spazio era distorto, quasi ondeggiante.

Cinquanta secondi.

«Fuoco con ambo le javelyn!», ordinò a voce alta abbastanza da farsi sentire chiaramente dalle trenta anime assegnate a quella postazione. «Numero Due con cinque secondi di scarto su Numero Uno! Fuoco a carica massima, duale, rapido rapido!»

Dette quelle parole vide un Vox-Operator girarsi a fronteggiare la sua batteria-comunicatrice e battere nervosamente le dita su alcuni tasti in evidenza. Dato l'enter-commandii prese la cornetta, così sganciata dal suo alloggiamento a guisa di teschio umano, e ripeté le istruzioni ricevute.

«Javelyn Numero Uno, fuoco a carica massima, per effetto, rapido rapido. Javelyn Numero Due, fuoco a carica massima, per effetto, rapido con scarto di cinque secondi. Reiterazione: rapido rapido, Uno. Rapido con scarto di cinque secondi, Numero Due...»,

Uno schermo incassato nella parete, centrato sulla postazione corrispondente situata nell'Aula di Tiro delle Javelyn, s'animò a ricezione compiuta. Da vicino a lui, invece, un servente alle coordinate strappò una stampata ancora pregna dell'odore dell'inchiostro dalla sua macchina e la inserì nella bocca d'ingresso di un servitor-mentat.

Dopo un secondo, nell'Aula di Tiro delle Javelyn un simile servitor-mentat proiettò un riquadro ololitho-grafico verdastro al cui centro pulsava il bersaglio, coordinato dalla telemetria comparata alla posizione di lancio dei colpi ed alla presunta situazione all'impatto. Forzato l'ololitho-gramma dentro una tavoletta dalla cornice bronzea, un tecno-prete fasciato di rosso scivolò accanto ai macro-cogitator d'avviamento e passò la schematica al Maestro di Tiro.

«Uno, rapido rapido, per effetto, max-output. Due, scarto di cinque, per effetto, max-output. Reiterazione, uno rapido rapido, per effetto, max-output, due scarto di cinque, per effetto, max-output. Rimuovere le sicure, carica attiva, rotaie calde!»,

Ieseon lo vide osservare il risultato, in piedi contro la balaustra corazzata ed urto-assorbente, quindi strappare una cornetta da aggancio e dettare le coordinate ai technis-officii sottostanti. Due macro-schermi nell'Aula di Comando presero vita, centrati dall'alto sulle stasis-chambaers delle artiglierie, mostrando quattro enormi auto-carri a trentasei ruote che in due gruppi, facendo retromarcia, inserivano le granate nel servo-braccio a semi-cerchio incaricato d'inserirle nel condotto di lancio.

Quarantacinque secondi...

«Rotaie al novantacinque... novantasette... novantanove... rotaie al cento-percento della carica, padre machinomante!», avvertì a gran voce uno degli operatores.

«Caricamento completato!», fu allora l'annuncio che venne del Tecno-Prete Machinomante. Il Maestro dell'Aula schiacciò allora un pulsante sulla sua batteria, un grosso triangolo rosso circondato da miniature di Sanguinius e dalle Sante Martina e Celestina, quindi arretrò di un passo.

Il vascello tremò dalla prua fino ai coni di spinta in poppa, sussultando per l'impatto datogli dalla granata in uscita. Sullo schermo telescopico più concentrato a seguire il vascello alieno la granata di Javelyn Uno apparve con un muto sibilo e come luminosa tracciante di sé stessa. Veloce più di un terzo del regime luminale solcò la distanza che la separava dal bastimento xenos e si schiantò contro di lui producendo un riverberante cuore d'archi elettrici lungo una traslucida cupola perlacea.

«Gatling-Silos dal Numero Ventiseiesimo al Numero Ventisettesimo», comandò lord Ieseon allontanandosi dalla piattaforma dedicata alla comunicazione diretta con le Javelyn. La sua voce era rivolta al secondo piano, al nastro di scrivanie e tecno-preti ed operator che rivolgeva ai tubi di lancio dei multi-carica HK-Coles Zevona Pattern. «Fuoco nel cratere, rapido rapido, solo una salva.»

«Fuoco nel cratere, rapido rapido, solo una...»

Il secondo proiettile delle macro-artiglierie di prua raggiunse il vascello, sfondandone gli scudi provati per poi aprirsi una urlante, ma impercettibile, strada nello scafo. Scosse telluriche, propagate dall'epicentro dell'impatto, attraversarono il corpo del bersaglio tranciando un paio di torri lancia-plasma e portando la nave, per un momento, al buio.

«... salva. Reiterazione: fuoco nel cratere, rapido rapido, solo una salva.»

«Fuoco in tre, due, uno...», gli istruì, «... fuoco!»

«Lancio testate autorizzato, via alla salva!»

Con alle proprie spalle sottili scie d'argento bruciato, i missili multi-stadio ad ordigni termo-nucleari da crociera fendettero il vuoto, sedici in numero e tutti armati di punta. Strali di laser-impulso e proiezioni di plasma si levarono dalla nave xenos in misura controffensiva e nove dardi si sciolsero in volo mentre due caddero, disorientati e mutili.

Gli altri cinque, serrati in volo e forti dell'ultima spinta prima del distacco, si scomposero a dieci secondi esatti dall'impatto in una secondaria, più larga salva di singole testate e piovvero in picchiata dentro il cratere, sulle torri monche ed all'incrocio tra la sezione centrale ed il muso ad uncino.

Per un momento, lo spazio sopra Haravesta brillò della luce di una trentina di nuovi, minuti soli da novantacinque megatoni l'uno.

«Ben fatto, kommantarm Astalen. Noi, la Graphton, Maryos, Re Aurelio IV e la Occhi Rossi ci muoviamo sulla bastarda più grossa, ora. Copriteci le spalle.»

Stentando a trattenere un moto di soddisfazione, lord Ieseon replicò all'ordine con un aye rapido e si volse per tornare alla postazione di conduzione centrale.

Non va bene, non va bene... perché giocano a fare da bersagli?

«Signore», lo chiamò uno degli addetti ai Vox Nave-Nave, «Ho una richiesta di salire a bordo... viene dal Lord Inquisitore Sophus Aether, signore. Cosa debbo rispondergli?»

L'Inquisizione? Ha seguito la Lady-Ammiraglia? «Permesso accordato.»


https://youtu.be/tRAi43RE-NU

Telialus Sigilia


Imperivm del Genere Umano

Segmentvm Ultima, Peripherica Stellarìs Expansionae di Aegis Pro-Viae-Korianìs

Astralìs-Clustaer ab Arcadia Peripherica Korianìssea, Arcadia Sub-Sector II

Sub-Regio di Sigisma Octanvs Secundus, Sistema Stellare di Laudata Jolivia, Agro-Mondo Civilizzato di Haravesta

Continente di Aumegos Mjolnargarde, Nova Celesstar Urbe


«Servono dei rinf... zi... ra!»

«Oh, cazzo!», urlò una voce d'uomo. Era vicina, era allarmata ed era roca. Sopra ad essa udì lo scoppio d'alcune raffiche di las-fucile. Il velocissimo rintocco di una mitragliatrice s'unì subito dopo, schioccando un torrente di spari pesanti.

Posizionati vicino alle finestre frantumate, alcuni marinerìs misti a fanti trikeliani stavano esplodendo las-fucilate e granate di sbarramento per tenere distanti gli xenos alla carica. Uno di loro si volse per ricaricare e dai frantumi delle vetrate entrò un torrente di schegge e fumo.

Telialus tossì coprendosi le ghiere della maschera-elmo con il pugno. Passi corazzati e schianti si facevano sempre più vicini, dall'altro angolo dell'isolato al loro.

Il soffittò fu scosso da un impatto che innalzò la temperatura nella stanza. Le tende, quelle non già rovinate, s'incendiarono all'istante spargendo fili di fumo.

Un brusio detestabile irruppe nel canale Vox trasformandolo in un sordo per un secondo di confusione e debole equilibrio. Fu costretto ad appoggiarsi, schiena e zaino contro la parete, poi schiacciò una piccola runa per zittire e purificare il vociferare interno. Altra statica venne prima del silenzio e quando il meccanismo tornò in vita, essa ancora si fece udire. Sopra al disturbo tuonarono gli spari alleati scoppiati all'indirizzo del fronte xenos in avanzata. Tre secondi dopo, le risposte nemiche sibilarono fendendo l'aria con sospiri e sussurri fulminanti.

S'accucciò di riflesso temendo d'essere un bersaglio, impaurito dall'idea di morire lì. Il colpo, quello che aveva sospettato l'avrebbe raggiunto, volò invece ben oltre e si perse chissà dove scoppiando in una zaffata fumosa di fuoco blu. L'avvistò attraverso le vetrate del salotto restando abbacinato.

Maledetto fosse il plasma e la mente contorta che l'aveva scoperto! Maledetto lui!

Telialus fece per inviare dannazioni, sempre interiormente, anche a chiunque fosse in comando delle linee di comunicazione reparto-reparto quando un boato, velocissimo e robusto come una martellata, impattò appena oltre le sue spalle.

Perse il fiato, annaspando per la lunghezza di un secondo. Trasmettendo una cascata di tremori bollenti all'abitazione in rovina, improvvisata come riparo in linea avanzata, il colpo lo scaraventò prono a terra. Boccheggiò in cerca d'aria, il buio dentro gli occhi, setacciando il pavimento asperso di rovine in cerca del proprio las'.

Una mano lo prese per la spalla e lo lasciò subito. L'addestramento s'attivò meglio di un qualsiasi altro riflesso conducendolo ad impuntarsi sui palmi e sulle ginocchia. Fu allora che sentì piovergli sulla schiena uno sbuffo di polvere, schegge cristalline e vetri e così s'abbassò coprendosi la testa.

La pioggia dei detriti cessò dopo un momento, lasciando che il bailamme dello scontro tornasse a riempirgli i timpani attraverso la calotta dell'elmetto. Riprendendo aria attraverso le ghiere della maschera-elmo, si guardò attorno.

Dov'era? Dov'era, per l'Imperatore?!

Dandosi una botta alla testa, il sottufficiale arcadiano strinse gli occhi al di là delle lenti dell'elmo, sempre in cerca della las-carabina. I tiratori alle finestre continuavano a sparare e le loro voci s'erano fatte ancora più tese, allarmate. Finalmente la vide la sua arma, finita in terra a pochi passi dai suoi piedi; fece per prenderla gettandosi in avanti, il suolo tremò e lui dovette aspettare un secondo chiedendosi se non fossero in arrivo altri colpi di mortaio.

Uno. Ne bastava uno solo per...

Avvolse una mano al cane ed una all'astina e poi sentì un nuovo, fortissimo urto abbattersi contro il muro alle sue spalle. Basta, per l'Imperatore! Basta!

Brandita per bene la las-carabina, Telialus si girò sulla schiena con innanzi a sé l'abitazione che perdeva pezzi e gli crollava tra i piedi; incassò il calcio contro la spalla e nello spazio di un mezzo istante arretrò con un forte colpo di reni. Sentì la sua armatura sfregare contro il pavimento, irto di detriti e rocce sbozzate, ma non se ne curò.

Ottenuta della distanza egli s'impuntò e facendo per tornare in piedi vide uno dei suoi commilitoni afflosciarsi in terra a corpo morto. Sbatté le palpebre, guardò meglio e notò che era privo di una metà del cranio e di un terzo abbondante del torace. Gli sopraggiunse in gola un conato di vomito che respinse. Chiuse e poi riaprì gli occhi, deciso a non farci caso.

Uno in meno, si disse. Il discorso era chiuso lì.

La parete innanzi a lui ricevette un colpo ancora, questa volta un sospiro che la trafisse più volte in altrettanti punti, precedendo di pochi istanti una serie di scoppi, tutti incandescenti a bolla. Sgretolandosi, il muro portante fece rovinare in terra una cospicua parte del tetto. Il fracasso s'unì a dei non troppo distanti scambi di fuoco intenso, sovrapponendosi e mischiandosi con una confusione che toglieva senso alle direzioni e miscelava il sopra con il sotto. Tremava tutto, l'aria era bollente, aveva sete e voleva prendersi a calci perché gli pareva d'essere lento, goffo e disorientato.

Il crollo, nello stesso momento, suscitò in alcuni dei compagni di linea una reazione di bestemmie, imprecazioni ed urla d'avvertimento per togliersi dai piedi il più velocemente possibile.

Quelli, si disse in momento di pensiero lucido, non erano affatto cattivi consigli. Scattando verso la squarciata cucina sulla sinistra, il capitano Telialus superò i cadaveri di due marines della 510esima del 36esimo Reggimento e s'appoggiò di spalla contro una madia alta poco meno di lui. Piegato sulle ginocchia, il fucile in mano, sapeva che non l'avrebbe protetto poi molto ma l'illusione era piacevole.

Quasi poteva...

Una voluta di cervello schizzò sul tavolo centrale, ai piedi del quale crollò uno dei suoi diretti sottoposti, decapitato e con la testa esplosa in tutte le direzioni. Passi pesanti, incupiti da armature scagliose, presero a farsi più vicini.

No, non poteva. Si disse che non poteva e si diede una botta alla sua unità Vox-auricolare ricevendo da essa, in ritorno, una rinnovata scarica di mera, noiosa, ululante statica. A ridosso della parete di fondo della cucina era aperto e spalancato uno squarcio slabbrato e fumoso, ai suoi piedi giaceva una muraglia di detriti: un paio di marinerìs, vide lui in quel momento, vi si gettarono vicino e, fatto rotolare un cadavere adibito a riparo, installarono una delle loro mitragliatrici binate.

Fece per aiutarli ma non si mosse, bloccato dal suono degli spari che imperversavano tra i quartieri e le strade che gli univano.

Il mitragliere tirò i grilletti con un gesto stizzito e subito un saltellante fiume di bossoli esplose dalla camera d'uscita dell'arma di supporto rovinandosi sul pavimento in fiumi colorati di rame, ottone, bronzo ed altri metalli che non conosceva.

Poche scariche, serrate e dense, poi il tiratore esclamò: «Servono altre munizioni, qui!»

Un tracciante viola attraversò il salotto centrale schiantandosi al di là della casa, forse oltre lo steccato, contro il pavimento del marciapiede. Accostatosi alla madia, Telialus controllò lo stato di carica della sua las-carabina ed optò, in nome della cautela e con una preghiera all'Imperatore che gli rimbalzava dentro le pareti del cervello, per rimuovere la cella energetica, dalla spia ormai arancione, per una interamente carica, pronta a sopportare un secondo assalto.

La saldò con un bel colpo sul meccanismo d'innesto e si vide superato da due marines e da un infermiere del Medicvs. S'accostò per coprirli, puntando ora la porta di servizio ed ora lo squarcio aperto sulla cucina, nelle orecchie continue urla e costanti scambi d'ordini.

La porta di servizio sbottò, le sue imposte cadenti a terra in un rovesciarsi di legno dipinto, ed un soldato della Plutocrazia si buttò in terra vicino ai due addetti alla mitragliatrice. Telialus lo vide tirare fuori dal tascapane una cassetta di munizioni e passargliela velocemente e si rallegrò del non avergli sparato addosso per immediato riflesso.

Il mitragliere innestò la nuova cintura di proiettili, tirò indietro il doppio meccanismo di tiro, abbracciò i grilletti e tutto esplose in una cerulea bolla di plasma incandescente. Per un momento osservarla fu bella, poi divenne orribile ed accentante. L'onda d'urto lo costrinse sulle ginocchia assieme ai tre cui s'era unito, che come lui fecero per alzarsi subito.

Fermarsi equivaleva a morire.

Sentiva bolle d'ustione esplodergli addosso, sotto la corazza anti-schegge e l'uniforme, i loro liquidi pulsanti mischiati con il sudore.

L'infermiere, sulle spalline dell'uniforme aveva sporchi stemmi di Imenera, raccolse un ferito steso sul pavimento della sala; se lo caricò in spalla puntando poi verso l'uscita, precedentemente aperta tra il salotto ed il resto della casa dallo scoppio di una granata di mortaio. Scavalcate le macerie con lo slancio più veloce che avesse mai sperimentato, l'arcadiano si volse e chiamò al ripiegamento quelli che ancora, tra le fiamme del plasma ed i muri cadenti, pullulavano e resistevano tra le rovine dell'abitazione.

«Indietro, voi!», urlò tossendo poi per la gola riarsa. «Ripiegate! Indietro! Indietro!»

L'avevano sentito? Erano riusciti ad ascoltare il suo ordine? Stava per raggiungerli quando fu superato da una squadra di Hospitalliere del Medicae dirette a raccogliere altri feriti. Lasciati i due marines e l'infermiere a qualche passo da sé, l'arcadiano rincorse le ragazze quasi ritornando nella breccia.

Stupide, imprecò dentro di sé. Stupide suicide!

Ne Afferrò una per la vita. strattonandola via a colpi di falcate spinte, e lei per un momento cercò di divincolarsi. L'abitazione esplose dall'esterno oltre l'interno proiettando frammenti e macerie in sbuffi ampi e distesi. Frammenti picchiettanti lo investirono e lui cercò di fare da scudo alla Sororitas Hospitalliera, che quasi scivolò in terra.

«Ce ne stiamo andando!», le urlò mentre la faceva tornare in piedi e la spingeva verso la strada, tallonandola con lo sguardo gettato al riparo distrutto. «Non perdiamo tempo!»

Tre aghi violacei sfrecciarono oltre il varco e si persero contro l'asfalto della strada in mezzo, sbrecciandone il manto con scoppi ticchettanti.

Un lampo azzurro-verdastro balenò sopra l'altezza del tetto. Abbagliante, velocissimo, quasi bello da vedere per chi non sapeva che cosa volesse dire, andò a schiantarsi contro il diroccato profilo del guard-rail della vicina super-strada. Lo scoppio nato all'impatto proiettò nel cielo una fontana di frammenti d'asfalto e marmo-cemento fatti neri dal fuoco. Un grosso pezzo si fracassò sul muso di una autovettura, altri due crollarono lungo la strada.

Un quarto pezzo si rovesciò contro un lampione, sradicandolo. Trascinando la Adepta Sororitas, Telialus trovò riparo dietro la macchina investita dalle macerie ed in un momento si vide affiancato da tre commilitoni della sua unità.

Uno di loro aveva un braccio fasciato che gli pendeva dal collo. Gli altri due erano anneriti e sporchi. Dietro i loro elmetti poteva sentire respirare degli sguardi stravolti, piegati dagli orrori di cinque settimane di continuo scontro frontale.

«Ci stanno massacrando!»

Una ridda di guaiti si fece udire oltre il profilo delle case. Sporgendosi con cautela oltre il tettuccio della vettura, Telialus vide una squadra di xenos Vaasari farsi strada oltre l'angolo dell'abitazione appena abbandonata, chini dietro le punte dello steccato. Tirò il grilletto della las-carabina e ne abbatté due cogliendoli negli spazi che non erano coperti dall'armatura viola e perlacea a placche. Gli altri xenos si sparsero e tra loro apparvero dei tiratori jackalìs.

«Becchi!», esclamò uno dei suoi commilitoni. «Becchi in avvicinamento!»

I maledetti xenos, vide Telialus, avevano fucili e scudi energetici. Alcuni già stavano sparando, altri coprivano i Vasaari con le barriere mobili. Contro quelle difese il laser andava sprecato, ne assorbivano come alcolizzati con la birra.

Sparata una raffica di sbarramento, l'arcadiano scivolò di ritorno al riparo e sentì dei colpi esplodere contro il tettuccio ed il cofano dell'autovettura.

Occhieggiò i suoi compagni e poi scosse la testa, maledicendosi. «Non possiamo restare qui, non possiamo restare qui... dobbiamo andarcene.»

«E dove, sotto-tenente?!», gli domandò uno dei tre. «Le linee dei Vox sono tutte intasate... sono ovunque, signore! Ovunque, le dico!»

«Non può essere, soldato. Le nostre seconde linee stanno tenendo duro, ne sono certo. Non è una ritirata, questa. È un ripiegamento tattic...»

Un trasporto medico stava scivolando al riparo, notò con la coda dell'occhio, coperto da alcuni marines gladiani che avanzavano tra il fumo e gli spari. Alcuni esplodevano delle raffiche di las-fucileria per coprirsi. Un paio di loro furono tranciati dai dardi cristallini dei jackalìs e Telialus colse l'occasione; s'alzò, allineò il puntatore sugli xenos e tirò il grilletto.

Le urla di un commilitone abbattuto da una bolla di plasma gli rimbombarono via gli auricolari-Vox e il sollievo per sapere le linee di comunicazione di nuovo attive si tramutò in inquietudine quando udì un avviso, in accento trikeliano, per incombenti fanterie pesanti nemiche.

Volevano dire...?

Il rombare cupo e minaccioso di quattro navette Nevermore schiacciò le sue parole e soffocò i suoi pensieri, costringendolo ad abbassarsi di nuovo. Di scatto sollevò il capo, contento che la sua menzogna rincuorante si fosse appena rivelata come un'involontaria verità, e lo fece in tempo per notare che uno dei due velivoli stava tecnicamente precipitando.

Si gettò a terra, tra i compagni. Altri soldati gli scorsero davanti, chini e sporchi come lui. Forse precedevano il veicolo medico!

Uno di loro ordinò di mettersi al riparo.

Scatenando il fragore d'oltre quarantacinque metri di super-metalli e quattro reattori incandescenti, la Nevermore danneggiata rovinò in testacoda appena oltre l'abitazione in rovina, contro la strada e le case appena oltre la stessa. Geyser di detriti e macerie, spruzzate di fuoco e combustibile volatile, si levarono dal sito dello schianto per ricadere con tremendo peso lungo più sezioni dell'isolato.

L'altra Nevermore appena passata virò per offrire al suolo la fiancata delle armi pesanti ed una di quelle postazioni s'orientò per esplodere colpi nella direzione dalla quale era venuta. Sibilando super-sonica, una forma agguerrita e curvilinea sfrecciò sopra l'incrocio.

Sempre con la coda dell'occhio, Telialus sentì e vide il trasporto medico brillare, avvolto da una lancia poi globo di plasma, spargendo rottami incendiati ovunque. I soldati troppo vicini s'accesero come fogli di carta accostati al fuoco e le loro urla lo sommersero.

Altre figure, altre macchine volanti xenos, passarono rasoterra sradicando i tetti che gli scontri recenti non avevano ancora devastato. Piovendo in terra, tegole ed assi si sparpagliarono in ogni dove costringendo l'arcadiano a restare chino.

«Atterrano nella piazzola di Santa Marissea», gli disse un Vox-Operator indicando in fretta le altre tre Nevermore che avevano virato sulla destra. «Dobbiamo tenere questo incrocio, signore! Ha lei il comando, ora!»

A tallonare i veicoli xenos accorsero un paio di Lightning e dei Pegasus che, anche loro a regime di volo super-sonico, scoccarono dei missili dalle scie cremisi e purpuree. Uno dei velivoli alieni, mandato in testacoda dall'urto e dallo scoppio conseguente, si schiantò contro un furgone ad otto ruote, tranciandolo in due sezioni che stillavano metallo disciolto, finendo per rovinare a ridosso di una piccola palazzina a tre piani dalla fronte sventrata.

Schioccate le dita per chiamare l'attenzione di chi gli era vicino, Telialus s'alzò e una figura corazzata emerse dalla casa esplodendo colpi energetici binati, a raffica.

«Élites...»

Impegnato a rullare con peso verso l'imbocco per la piazza dei Nevermore, il moto lento e costante di un TT-Argòs trikeliano chiamò la sua attenzione. Tagliato basso, lungo, simile ad un parallelepipedo su cingoli alti, il mezzo avanzava.

Schiacciandosi contro il corpo dell'autovettura abbandonata, il sotto-tenente Telialus sbirciò oltre le proprie spalle per vedere dove si trovasse l'élite.

A qualche passo dal giardino, con attorno una corte di latrati alzati da gruntìs e di jackalìs che ora avevano indirizzato una parte del loro tiro al mezzo trikeliano. L'ululato dei velivoli da caccia e picchiata xenos non s'era allontanato troppo.

Per esperienza, l'arcadiano sapeva che sarebbero tornati. Lo facevano sempre, da che aveva cominciato a combattere laggiù.

Gli spari dello TT-Argòs presero a rispondere a quelli scoppiati dagli alieni; trasmesso in ogni dove un doppio risucchio, un suono d'aspirazione che gli passò nei timpani con la grazia di uno schiaffo, le due mitragliatrici incastellate del mezzo avevano cominciato a sgranare colpi.

Ne ascoltò il suono tornando chino a terra, una mano premuta contro l'asfalto. Dopo un sospiro venivano un pugno di centinaia di schiocchi sordi, poi il silenzio. L'attimo di tregua era brevissimo, subito seguito da un nuovo risucchio e dal ritorno dei battiti metallici.

Lo steccato, laddove fu colpito, andò in pezzi spargendo schegge microscopiche e frantumi spezzati da pugni blindati. Alcuni degli xenos esplosero come palloni pieni d'acqua, altri non si mossero dal loro corteo opponendo ai colpi giungenti la carica dei loro scudi portatili.

«Fuoco!», ordinò ai soldati che erano con lui, alzandosi per esplodere a propria volta dei colpi sul nemico. Ora che erano distratti bisognava approfittarne; prese la mira in fretta, soddisfatto di potere tirare il grilletto appena accostato al tettuccio della vettura, senza assicurarsi di controllare che ogni bersaglio fosse colpito ed abbattuto sul momento.

S'abbassò prima di venire tagliato in due dai dardi luminescenti delle carabine xenos che, invece, si conficcarono a più riprese nell'autovettura. Quando esplosero, dilaniando il metallo quasi lo stesso fosse un foglio di carta, la macchina tremò e lui seppe che era decisamente giunto il momento di togliersi dai piedi e trovare un nuovo riparo.

Afferrò la Sororitas Hospitalliera per il colletto e la trascinò con sé usando la mano impegnata a brandire il fucile per indicare una fila di cassoni dell'immondizia.

Non avrebbero retto nemmeno un momento ma erano un bonvs rispetto al giacere allo scoperto. Raggiunta la nuova posizione misurò una ventina di metri tra sé e il mezzo trikeliano che avanzava, trasse un respiro e riprese a correre per un riparo migliore. Superata una siepe, scivolò con l'adepta medicae in una buca lasciata anzitempo da un dardo di mortaio e diede una botta al suo equipaggiamento Vox per controllare se fosse di nuovo ricettivo.

Gli rispose la statica prima d'ogni cosa. Si girò a guardarsi attorno, il sudore sugli occhi e la fronte, notando che nel giardino erano riversi più e più cadaveri. Non erano tutti umani ma v'erano sciami di mosche, rosse e ronzanti, che svolazzavano sulle carni.

Tra i corpi ve n'erano anche alcuni che ancora si muovevano, notò guardando meglio. Feriti. Strinse le palpebre, la gola che gli bruciava dalla sete, e dopo un momento accettò che non si trattava di miraggi dovuti alla sua mente esausta.

Erano feriti.

Muovendosi a gattoni, l'Adepta Hospitalliera lo lasciò nella buca per soccorrere il più vicino. Contro il profilo della casa, un muro alto dal quale spuntava l'aspetto di un comignolo alto e spento da chissà quanto, irruppe un giavellotto cremisi e dopo un momento il legno e la struttura sottostante di mattoni, pieni di bolle fumose, esplosero in avanti rovinando schegge e detriti, frantumi e sibili velocissimi. Telialus sentì alcuni dei frammenti rimbalzargli contro l'armatura, così rapidi da sembrargli dei pugni. Si sdraiò a terra, infastidito dal ricevere nuovi urti, e di sbieco vide la tunica della Sororitas, lungo la schiena, venire tagliata lungo le spalle e sulle costole sinistra da sciabolate veloci, cause di squarci nel tessuto che erano slabbrati ma fini, dai quali stillavano gocce rosse.

La Sororitas trasalì e poi riprese ad avanzare verso il ferito che aveva adocchiato. Si chinò vicino a lui e lo girò sulla schiena dopo averlo controllato. Con un gesto della mano, vide l'arcadiano, ella scacciò le mosche che lo tartassavano e poi aprì il tascapane.

Torna al riparo, pazza suicida!

Nella sua buca piovve un cadavere, annerito e trafitto in viso e sulle spalle da schegge di legno. Lo deviò da sé facendolo rovesciare in terra e gli sottrasse un paio di celle laser dalle giberne. A lui non sarebbero servite, quello era sicuro.

Un movimento attirò la sua attenzione e lo portò ad imbracciare la las-carabina verso l'ingresso nel giardino della casa; proiettandosi oltre la siepe con un balzo, un commilitone ynfentrya di Veimir-in-Leja rotolò sul giardino e si slanciò nella sua buca, scivolandovi dentro.

«Signore, lei ha un Vox?», chiese dopo avere ripreso il proprio respiro, in viso stampata un'espressione stravolta sottolineata dallo sporco. Si passò il fucile laser da una spalla all'altra, ne controllò lo stato di carica e poi ansimò tenendosi fermo contro la testa l'elmetto bianco a calotta posteriore scivolante.

«Ho un micro-bead ma sento solo statica.»

«Noi abbiamo un Vox-Operator, signore... ma non abbiamo ufficiali. Quinta Squadra, signore. Quinta Squadra, Sesto Plotone, Prima Compagnia, 255esimo Ynfentrya Yregymentya di Veimir, Leia Major. Siamo nella rimessa per vetture, due case indietro sulla sinistra rispetto a qui. Siamo... siamo senza ordini, signore. Credo che il comando spetti a lei, ci dica che cosa fare.»

Merda.

«Ehi, tu! Sorella, seguici!», abbaiò alla Hospitalliera, che gli rispose con un cenno d'intesa e poi chiedendogli, la sua voce sommersa da un boato di scoppio, d'attendere. Chino sulle ginocchia, Telialus si precipitò a prenderla e l'afferrò da sotto le ascelle, strappandola al ferito. Lei fece per ribellarsi e lui la strattonò più forte dardeggiando poi alla strada in cui era marciato all'attacco il TT-Argòs.

Una tormenta di gruntìs lo stava assediando sparando dardi di plasma.

Dov'è finito Quattro-Mandibole?

«Può salvarsi!», si ribellò la Sororitas, impuntandosi. Dato uno sguardo al ferito, un suo compatriota arcadiano il cui volto era spaccato quasi in tre parti pasticciate di sangue e mosche, Telialus gli diede la pace con un dardo di laser sulla fronte.

«Adesso è con Lui. Seguimi senza fare storie! Fai strada, soldato!»

Annuito, il soldato di Veimir si scrollò di dosso della polvere e stando chino scattò verso l'ingresso del giardino, fucile laser ben stretto tra le mani e baionetta inastata. «Stia basso, signore! Quei bastardi potrebbero avere tiratori scelti ovunque!»

Una forza baluginante lo sollevò in aria sprizzando interiora e frantumi d'ossi sull'erba. Due strali luminosi gli foravano la schiena alzando volute di sangue bollito. Le lame spuntavano per oltre cinquanta centimetri dalla sezione dorsale dell'armatura anti-schegge, vaporose ed azzurrine.

Rivelandosi in tutta la sua statura, lo xenos schiantò il suo bersaglio in terra. Lo scavalcò con un passo corazzato, pesante e curvo. Arretrando con un colpo di reni, Telialus armò il fucile laser e lo alzò a puntare lo xenos, che persistette nella sua avanzata senza tornare invisibile.

L'arcadiano esplose dei colpi e questi scoppiarono contro gli scudi energetici del massiccio, poderoso xenos. Fece per schiacciargli addosso una delle sue zampe ma una pietra, il suo sibilo muto ed inaspettato, lo colpì contro il cimiero alzando un tintinnio peculiare.

Lanciandosi contro la Sororitas, colei che l'aveva colpito, lo statuario xenos sollevò la lama energetica per un affondo e poi vi fu uno scoppio di tuono che Telialus sentì rimbombargli nelle orecchie. Il cranio del mostro ora giaceva piegato in modo assurdo, per metà spappolato e colante a terra.

Superando di slancio il cadavere del fante di Veimr, un commilitone armato di fucile a pompa si parò davanti all'alieno ed esplose altri due colpi i cui tuoni parvero riverberare in lungo e largo, quasi facendo tremare lo steccato al posto delle granate in caduta.

«Ne arriveranno altri!», disse il fante loro salvatore. Aveva il viso sporco di fumo e sull'armatura delle scolorite, sudicie insegne di Spathian. «Muovetevi, su! Togliamoci da qui!»

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