Capitolo I: The Heroes and the Storm (parte la VIII, Zarth Rynn'El)
Capitolo I, parte la VIII
Hastata-SpecialistAI Zarth Yazhea-he-yi Rynn'El, Battaglione Valor
"Ancora una volta nella breccia.
Nell'ultima vera battaglia che affronterò.
Vivi e muori in questo giorno.
Vivi e muori in questo giorno."
-Estratto dal lascito dell'Anonimvs De Grigiorvm, scritto in data incerta da mano ignota.(Può darsi che con le prime righe stia citando la Quinta Epica Enrianea del Lancìs-Agitatìs?)
Non scivolare in quella quieta notte.
Al crepuscolo ci si dibatta con ferocia contro l'incombere del buio.
Sfuriate, chiudendo i pugni nell'ira.
Sfuriate contro la Morte della Luce.
-Attribuito all'Infinita Saggezza del Sacrissimo Dio-Imperatore, estratto dal manoscritto "Il Maestro dell'Umanità" scritto dall'illuminato cvstodes-tribuno lord Diocletian Coros tra lo M30.Y010 e lo M30.Y189
Imperivm del Genere Umano
Ultima Segmentvm, Frangia Orientale
Nord del Reame di Ultramar, Mar Finalìs Regio
Gladius Astralìs Sector
Svb-Sector Gladius Central, Sistema stellare di Gladius
Gladius III, Mondo-Fortezza.
Formicaio Cerberus, Glenna-Granta Castrvm
Diciannovesima Avlae Armamentarivm, Settimo Segmento.
M42.Y005, decimo-septimo giorno del mese di martes.
Il ronzio degli olo-lithogrammi espositivi annegava sotto agli sbuffi, i sospiri prolungati e gli schizzi delle pictacanisterivm-bombole.
Il colore in eccesso scivolava in piccole, numerose stille dalle giacche anti-schegge fino alle sottostanti ghiere di scolo, sdrucciolando lungo i bordi e le gambe dei tavolacci operativi. Una poltiglia di cento tinture differenti incrostava le inferriate in martian-ferrvm, formando una ragnatela paludosa, spessa quasi un quinto del suo dito medio.
Di consolante c'era il fatto che quelle matasse di colore sprecato abbondavano davanti ad ognuno dei cento e più banchi operatori.
Flebili serpentini di fumo risalivano dalle scorze fresche, sbozzate e bulbose, appestando l'aria con un sapore acre. In quell'angolo della Glenna-Granta Castrvm, l'aria era calda e pungente. I filtri di cui era fornito il respiratore la proteggevano bene, incassando la bassa tossicità di quelle esalazioni ogni qual volta si avvicinavano troppo.
Ciononostante, Zarth aveva una gran sete.
L'arsura che le bruciava in gola cresceva ad ogni respiro e trarre fiato voleva dire grattare contro quella sensazione, accompagnandola con un pungente retrogusto metallico che veniva dal respiratore.
Respinse un colpo di tosse e schiacciò il pollice sulla capsula d'espulsione, che rilasciò un nebuloso getto di primaer grigio ed azzurro sul bersaglio. Le particelle aderirono al plastacciaio del vambracciale, disponendosi all'interno di una trama scandita a scaglie irregolari.
Allentata la pressione sulla testina, la ragazza indietreggiò di un lungo mezzo passo; una volta appoggiata la destra sul banco da lavoro, inclinò il capo per misurare l'opera che aveva appeno compiuto.
Tamburellò con l'indice ed il medio su la superficie. I rintocchi batterono e ribatterono contro i timpani, per un attimo apparendole quasi come delle eco di passi chiodati percorsi dentro una delle numerose, alte e lunghe halla-viae della Trono di Spade.
Nel complesso, osservò con una punta di compiacimento, la pittura mimetica apposta sul primaer non si era disposta affatto male. C'erano delle sbavature, sì, ma di solito quelle erano un fatto inevitabile, anche se tutt'altro che arduo da riparare.
Per loro il Saggissimo, Esaltante Vademecvm Ac Milites Astra Pro Imperialìs Astra Militarvm suggeriva infatti di non tormentarsi troppo durante la stesura iniziale perché nel complesso non pregiudicavano l'opera completa.
Anzi, era conveniente non sciupare le preziosissime tinture dell'Imperatore-Dio in centomila vane riparazioni pasticciate lasciando, invece, semplicemente asciugare l'applicazione iniziale, per poi limarne le sbavature con lo scalpello a punta piana, in modo tale da non incidere o scheggiare l'armatura sottostante la colorazione mimetica.
Soltanto dopo che il colore si era agganciato con la giusta costanza ed era diventato possibile rimuoverlo, si poteva procedere a colmare con rigorosa attenzione i vari vuoti provocati in raschiatura impiegando i dovuti applicatores a setole finissime forniti in dotazione.
Impiegare modelli di applicatores non certificati e sanzionati per l'uso era non solo un gesto attivamente sconsigliato, ma anche passibile di mancanza di rispetto verso la superba panoplia bellica e logistica generosamente fornita.
Zarth alzò lo sguardo incontro al menhir olo-lithografico che dominava il banco da lavoro.
Dietro alla maschera del respiratore, alla vista dello scenario lì proiettato, curvò le labbra in una smorfia infastidita. Incerta sul da farsi spaziò da sinistra a destra, rivedendo ed analizzando per almeno la decima volta la palette-cromatica che lo dominava.
Distratta dalla musica che fluiva dai vox-casterìs, Zarth curvò un sopracciglio. Quella chansonetta cominciava a darle sui nervi. Se non altro questa volta gli adepti della vox-stazione della Glenna-Granta Castrvm non stavano trasmettendo Terra Avtoviae-Bahn...
Al terzo ascolto di fila era comunque diventata una noia monotona buona soltanto a riempire l'aria, storcendo gli spruzzi delle tinture sotto i timbri dei suoi tamburi e dei dischi. Era in Anglya anziché in Alto o Basso Gotico.
Era convinta che se fosse stato l'inverso sarebbe stata ancora più noiosa.
Sentendo la canzone ricominciare da capo, Zarth sbuffò sonoramente, soffiando la sua frustrazione contro i filtri a griglia della maschera.
Agitò la pictacanisterivm-bombola, la fronte aggrottata dalla noia.
Non hanno nient'altro?! Rilasciò un getto di colore sulla parte bassa della placca toracica, attenta a non spruzzare il tavolo. Ormai la so a memoria!
«Oh, vùe'll, I-eghòn am thae pattern o' type that'll nevahr in-settle down...» sentì provenire dalla sua destra, canticchiato quasi a tono con i vox-casterìs.
La ragazza si lasciò sfuggire un sospiro che il respiratore acuì, trasformandolo in un lamento più cavernoso di quanto avrebbe voluto. «Vuer pretty gyrls art, thou know I-eghòn am araounth...»
Spruzzò altro colore sperando, anche se solo per un momento, che il gesto fosse sufficiente a soffocare la voce del commilitone.
Non fu abbastanza.
«I-eghòn kiss 'em and I-eghòn strynx 'em, be-thae-causàs they art all the same!»
Un fatto del quale andarne fieri.
«Quel posto deve fare proprio schifo...» mormorò Ikarus passandole accanto e piantandola di canticchiare.
Di sfuggita, grata per quell'interruzione, Zarth vide che lui reggeva sulle braccia una plastha-tela grigia, piegata e ripiegata più volte. Sopra c'era il suo elmetto, fresco di pittura e fumoso. Il visore era innestato nell'alloggio interno, al riparo dal colore.
Offrì un cenno di saluto al commilitone che le rispose palleggiando con noncuranza la plasta-tela. L'elmetto sobbalzò senza cadere.
Macchie di colore erano schizzate sulle braccia di Ikarus, lasciate nude fino al bicipite gonfio ed innervato. Era uno strano contrasto il loro, blu e nere com'erano impresse sulla sua scura pelle olivastra da uomo del Principato di Elysia.
Guardandole di sfuggita, Zarth si disse che dovevano essersi solidificate già da alcuni minuti. Porose e spalmate, lo facevano sembrare un tintores poco capace.
Probabilmente lo era!
«Chi può vivere tutto il suo tempo stando al chiuso?!» domandò Ikarus adocchiando il menhir. Non cogliendo la stupidità della sua stessa domanda, il ragazzo strinse la testa tra le spalle e puntellò il pavimento con un colpetto dello stivale. «Non capisco come ci riescono. Voglio dire... riesci ad immaginarti di vivere tutta la tua vita dentro una scatola?»
Lo stava chiedendo. Lo stava davvero chiedendo. Non ci posso credere. Secondo lui Horual-Adàn era come Elysia? Probabilmente quell'asteroide è meno sovrappopolato di dove vengo io. Ikarus, mi stai prendendo in giro?
«Sono pazzi, dico bene?»
Stava insistendo, ignaro di che razza di controsenso fosse chiederlo a lei tra tutti quelli del Battaglione. Non c'era niente da fare, ne era davvero convinto.
Zarth strinse i denti, contenta che il respiratore le nascondesse il volto. Trasse un buon respiro sentendo subito il sapore ferroso della pittura pungerle la gola. Per quale ragione lui riusciva a parlarle? Non gli dava fastidio? Neanche un po'?
Un tumore alla lingua, magari?
«Penso che se ci nasci è la tua normalità» decise di esordire cercando di sembrare calma. Era meglio, a quel punto, non farsi più domande del necessario sull'innata stupidità del commilitone. «Per quella gente potrebbe essere strano il contrario, come... come il posto da cui vieni tu.»
Si ricordò di quando era approdata su Elysia per la prima volta, di come il sole di quel mondo verdeggiante e pieno di mari e di oceani l'aveva abbagliata un passo fuori dal ventre del trans-orbiter.
La sensazione di essere del tutto allo scoperto era subentrata poco dopo, congelandola sulla piazzola d'atterraggio. Niente alte, confortevoli mura ed archi ai lati, nessun tetto o volta bombata sopra alla testa.
Niente se non immense nuvole bianche, spesso traforate da lance di luce solare o squarciate da intensi sprazzi di cielo azzurro, solcato da centinaia di migliaia di astra-vessille ed aero-navìs.
Leandros l'aveva canzonata con un solido colpo di mano sulle spalle dato, stando alle sue parole, per farla riprendere dallo shock. Secondo lei non aveva convinto nessuno degli sbarcati, presi come lei a relazionarsi con quel pianeta così diverso dal loro.
Era un record degno di lui e dei suoi precedenti, a pensarci bene.
Neanche uno su tutti gli ottantacinque compatrioti natii di Horual-Adàn e venuti in Elysia con lei per unirsi al prestigioso Battaglione Valor di lady Tinysia.
L'aveva fatto per non far vedere a nessuno di loro quanto profondamente l'ambiente elysiano l'aveva scombussolato. Il cielo, gli alberi e la vegetazione, l'acqua, il caldo... perfino l'aria era diversa! Ricordando il suo sapore, Zarth si scoprì a rimpiangerla.
Era lì sulla punta della lingua, come memorie, ma troppo lontana per entrarle nei polmoni.
Per quanto più densa e calda di quella di Horual', l'aria elysiana era indubbiamente migliore di quella gladiana, che invece sapeva di tarmacasphalta, titanite consunta e pioggia. Tra lui e Horual-Adàn chi aveva il clima più triste?
Ikarus palleggiò di nuovo la tela con sopra l'elmetto, dandole l'idea d'essere del tutto incurante circa quello che gli aveva appena detto. Perché non la stupiva affatto? «Voglio dire, Zarth, pensaci: credi che quella gente sappia che cos'è un sole?»
Sentì la traforata syntho-trachea del respiratore premerle, umida e fredda, contro le labbra. Che domanda inutile! E stupida!
Certo che sapevano che cosa darn era un sole! Per quale motivo vivere dentro un brutto e grosso asteroide avrebbe dovuto renderli ignoranti di qualcosa che avevano a pochi passi, astronomicamente parlando, dalla loro porta di casa?
Che correlazione c'era tra le due cose? «Io... credo lo sappiano.»
«Secondo me no» affermò lui in contropiede, sicuro delle proprie parole come un predicatore. Il respiratore gli copriva metà del viso, allungando diversi lacci neri attorno alle orecchie, verso la nuca. Indossava una bustina protettiva e delle tac-lenti operative incassate in uno scheletro di plastha.
Le vistose macchie di colore sulle braccia e sui calzoni dell'uniforme provavano che non era stato molto attento alle istruzioni del capitano Ben Elyssa e di lord Mosharadàn.
Sollevando l'elmetto per confrontarlo con lo scenario rappresentato dall'olo-lithogramma, Ikarus storse la bocca. «Secondo me non lo sanno.»
Decidendo che provare a fargli cambiare idea sarebbe stato uno sforzo vano e che la parte bassa dell'armatura poteva dirsi completa per il momento, Zarth condusse il getto della pictacanisterivm-bombola a piovere sull'altro vambracciale. Tenne premuta la capsula d'iniezione, trattenendo il fiato per istinto più che per necessità.
In fin dei conti, non è che vivere in una archologya sia qualcosa di normale per non so nemmeno quante migliaia di mondi...
«Melpomehn, vey?»
Seguito dalla sua coorte di adepti, apprendisti e servitori lobotomizzati, lord Mosharadàn stava fendendo la sala a grandi passi.
Era difficile non sentirlo arrivare, in special modo quando calcava le suole chiodate dei suoi stivali di martian-ferrvm contro dei pavimenti metallici, facili a rispondere a tono. Lo vide guardare il banco occupato da Ha'hava e rallentare.
Le sue emozioni, quando decideva di averne, erano molto difficili da interpretare, più di quelle d'ogni altra anima del Battaglione; tutta la metà inferiore del suo volto era coperto da una solida, grigia maschera di respirazione a griglia acuta che pareva agganciata in profondità, fino alle ossa stesse. L'occhio sinistro era un lume elettronico, vermiglio e freddo, brillante sotto il tessuto della cappa rossa che portava sul capo.
Vestiva sempre una tunica rossa bordata da stemmi dell'Adeptvs Mechanicvm e drappeggiata sopra ad un torso, delle braccia e delle gambe coperte da brunito martian-ferrvm.
Era la sua pelle, quella, oppure erano componenti di una armatura che indossava ogni giorno?
Considerando il suo statvs di tecno-prete, definire con esattezza dove cominciavano le tecno-stregonerie e dove principiava la persona era arduo. Aveva sentito dire che serviva la causa del Battaglione sin dalla sua prima fondazione.
Voci di corridoio, probabilmente, il cui fondo di verità poteva essere dato dalla sua ampia conoscenza delle macchine da guerra, degli artefatti e delle armi di cui si serviva l'unità.
Che cosa fossero o cosa rappresentassero quei segmenti di metallo, se pelle o carne, era un tiro a dir poco cieco, ma che Mosharadàn fosse leale al maggiore e che quest'ultima si fidasse senza riserve del suo giudizio era un fatto conclamato.
Alcune volte, durante l'addestramento a Camp Martes, li aveva visti discutere tra di loro. A prima vista, lady Tinysia riusciva ad intendersi con il tecno-prete senza difficoltà di sorta.
Come una vecchia amica oppure una conoscente di lunghissima data. Pari a Calcantès, Mosharadàn era un componente della coorte di comando del maggiore e gli si doveva rispetto per le sue conoscenze, per l'abito rosso che vestiva e per il grado speciale che possedeva.
«Stai sprecando colore.»
«Con tutto il rispetto... no, milord. Non è così» ribatté quella stronza di Ha'hava mostrando la pictacanisterivm-bombola al tecno-prete machinomante. «È questo affare che ne sperde più del dovuto.»
Ah, ghignò Zarth. Incapace!
Lord Mosharadàn poggiò il puntale della sua asta contro il pavimento e protese il braccio destro alla sgradita compagna di hastata. «Tu dici? Lasci che sia io a giudicarlo.»
«Non le sto mentendo, milord.»
Soppesata la bombola, il machinomante la guardò con cipiglio critico. Il banco da lavoro della compagna sporgeva una voluminosa macchia di colore sprecato. Addensato sul bordo, gocciolava periodico contro le ghiere del canale di scolo.
Non aveva regolato bene l'emissione della tintura, ne era certa. Ha'hava era una stupida tracotante che non aveva occhio per i dettagli importanti.
Probabilmente non si era nemmeno accorta della possibilità di regolare il flusso girando la testina.
«Il foro d'uscita è difettoso» giudicò il machinomante, consegnando poi la bombola ad uno dei suoi servitori lobotomizzati. «O l'hanno prodotto male in-situ manifactorvm oppure qualcuno ha danneggiato il nido traforato, scombinandone il pattern.»
Zarth masticò la rivelazione tornando al lavoro per nascondere il suo disappunto. Che razza di peccato, non era colpa di Ha'hava e delle sue mani incapaci. Sarebbe stato così bello vederla arrostita dal rimprovero del lord machinomante!
Notò il fatto che Ikarus le stava dicendo qualcosa.
Quando era tornato a parlarle? Non l'aveva seguito né sentito, distratta dalla scena. Voleva dirle qualcosa d'importante? No, probabilmente è una sciocchezza. Non sarebbe strano, considerando il soggetto.
«Ve l'ho detto che era la bombola a sprecare colore, milord!» furono le parole che sentì ribattute da Ha'hava. D'istinto la parodiò dietro la maschera del respiratore, stando attenta a non sillabar effettivamente neanche una sola lettera.
Era comunque meglio non interferire.
«Se ne era resa conto e non ha mai pensato di convocarmi prima?» chiese lord Mosharadàn, la sua voce pesantemente influenzata dalla ghiera di respirazione. «Perché? Per quale motivo, milites? Per quale stupido, sciocco e deficiente motivo?!»
Si sta incazzando!
Ha'hava si era stretta sull'attenti. «Non volevo disturbare i vostri rites, milord.»
«Questa non è una scusante, Cheromidàs» affermò il machinomante, immobile e rigido proprio come una statua. «Una dotazione difettosa conduce in modo inevitabile ad un'opvs compiuta in malo modo, con poca cura per la sua sacralità. Gli Spiriti-Macchina sono suscettibili a questo, lei dovrebbe saperlo.»
La indicò con la punta flessibile d'uno dei suoi dodici, nervosi servo-arti tentacolari: «Io sono suscettibile a queste scuse del darn.»
Gli altri mechandrites frustavano l'aria attorno a lui, sorgendo dalla sua spina dorsale per poi elevarsi a mezz'aria, dotati di vita propria.
Erano come una perversa giungla di liane, fatta però da giunture scure come il carbonio e dieci strumenti di cui Zarth non conosceva minimamente le funzioni.
«Sì, milord.»
«Curi il suo equipaggiamento e questo la servirà fedelmente, proprio come un buon figlio dovrebbe servire la causa delle sue bio-origini.» Abbassò il servo-arto. «Lo lasci all'incuria e questo non sarà giustamente disposto ad aiutarla nella bolgia del combattimento.»
«Capisco, milord. Avete ragione.»
«Lo so che ho ragione, Chromidàs. Ne sono già al corrente. Se non si è dimenticata anche questo dettaglio dovrebbe sapere che è il mio fottuto lavoro esserlo. I miei rites, per quanto fondamentali, non scavalcano queste problematiche né lo si deve pensare. Se incontra una dotazione difettosa deve renderne conto e celere avviso a me, così che io possa intervenire quanto prima.»
Ma come, niente punizione? Sono delusa.
«Sì, milord. Ho capito, milord.»
Con un cenno della mano sinistra, Mosharadàn inviò uno dei suoi servitori verso il fondo ovest della sala, a recuperare una nuova pictacanisterivm-bombola.
«La prossima volta non aspetti e si ricordi subito di convocarmi» scandì il tecno-prete allontanandosi da Ha'hava e dal suo tavolo operativo tutto sporco. «Comunque sia, una denuncia di fornitura fallata con seguente sostituzione non richiede che due minuti. È un tempo che può essere speso se vuol dire rendere gloria all'Omnissiah attraverso una panoplia predisposta secondo leges.»
«Certo, milord...»
«Riprendete non appena avrete la bombola sostitutiva.»
«Zarth, mi stai ascoltando?»
«Sì, Melpomehn.»
Quel nome era fin troppo piacevolmente gotico per un possedimento dei t'au. Sentirlo sulla lingua, sapendo via briephing che era un luogo xeno-dominato, le lasciava in bocca una sensazione metallica, fredda e fastidiosa. Era nervosismo il suo? Oppure dell'altro?
Era paura?
Non ho paura dei t'au, per l'Imperatore-Dio! Chi ne ha?! L'idea di temere quegli xenos la innervosì, portandola a mordersi un labbro.
Era inammissibile temerli! Inammissibile ed ingiusto! Erano soltanto un mucchio di arretrati erbivori che si spaventavano facilmente davanti ai rumori forti, con un'arretrata tecnologia sacrilega e nessuna dignità con le armi bianche, quelle da glorioso combattimento corpo a corpo.
I loro ridicoli fucili spara-lucine non avevano nemmeno gli attacchi per le baionette!
Il Saggissimo, Esaltante Vademecvm scritto per l'imminente campagna era una vera e propria miniera di Data-Stringhe in merito agli infidi t'au e leggendolo aveva notato che ribadiva alcuni concetti già presenti nei manuali militari di suo padre.
Se entrambi dicevano la stessa cosa, questa non poteva che essere vera com'era vera la divinità dell'Imperatore-Dio!
I t'au si appoggiavano ciecamente ai loro spara-coriandoli luminosi perché il loro corpo era debole e storpio. Avevano la forza di un bambino umano e nessuna capacità di pensare a lungo termine, né di formulare vere e proprie strategie.
Proprio come faceva per gli infidi aracei, il Vademecvm consigliava di sfruttare la maestosa, innegabile e giustissima superiorità del mosaico anatomico umano per atterrarli e poi finirli con la baionetta.
Una volta sdraiati sul dorso, infatti, non potevano trovare alcuno scampo né possedevano la forza fisica necessaria a rialzarsi.
Sudici, stupidi xenos!
Invece d'essere in linea con quella saggezza scritta, il maggiore aveva detto di non sottovalutare i blueìs e di stare sempre in guardia.
Non la convinceva, però; tutte le note informative su cui aveva posato gli occhi dall'arrivo nell'Astralìs Sector di Gladius la rassicuravano, dicendole che lady Tinysia aveva ingrandito la loro minaccia per chissà quale delle sue assurde ragioni.
Certe volte era proprio difficile capirla.
«Mi stavi ignorando, ey?»
Si limitò ad annuire in silenzio per rispondergli e lui si allontanò di qualche passo scuotendo il capo. Lo seguì distrattamente, vedendolo schivare e poi salutare Titanatoi-Aurelios con un cenno della testa.
Un momento dopo si mischiò al viavai di milites astra che tallonavano quel segmento dell'Avlae Armamentarivm.
«Che te ne pare?» chiese Zarth intercettando Titanatoi prima che lui potesse sfuggirle. Mise in mostra i vambracciali appena sottoposti alla doccia cromatica del primaer, aspettando il suo parere in merito.
Si fidava di lui.
Ora si stavano asciugando sotto i fasci delle lucerne di servizio, tinti da una mimetica di scheggiati intagli di grigio celestrianeo, scuro kantor-ceruleo e da frammentati fendenti di nero basilare. «Ritieni che le gradazioni sono giuste?»
Titanatoi aggiustò la maschera del suo respiratore, sollevandola dal collo a coprirgli la bocca. Abbassò le tac-lenti dalla fronte, calcandole per bene contro le orbite per difendere i suoi occhi da eventuali schizzi di colore bollente.
«Sì», disse già chino sul lavoro compiuto. «Sì, sì. Credo che così va bene.»
Oh, che bello. Una tantvm ecco una soddisfazione. Si fece da parte per dargli un po' di respiro, piantandosi una mano sul fianco.
«Per Melpomehn.»
Non c'era bisogno di dirglielo e lo sapeva, ma le interessava scoprire che cosa pensava Titanatoi del fronte al quale il Comando di Gladius aveva assegnato Valor. L'idea di essere l'avanguardia della prima ondata di sbarchi era...
Da digerire, insomma, era meno facile del previsto. Non avrebbe ammesso d'esserlo né le piaceva riconoscerlo, ma si sentiva addosso della tensione da quando il maggiore aveva informato l'unità del loro primo assegnamento per la campagna.
«Non sembra un posto troppo brutto, a guardarlo così» commentò lui, toccando il menhir con il lungo regolo per cambiare la videata in sospensione.
Una triade d'immagini, scisse da quella originale, si posero in sovrimpressione, roteando lente in uno spaccato di vuoto cosmico.
E pensare che questo posto non è nemmeno così lontano... che stelle vedono nel loro cielo? C'è anche quella di questo sasso bagnato?
Occhieggiando per un momento alla figura centrale, Zarth si sentì piccola. Le definizioni in basso all'olo-lithogramma si stendevano lunghe e precise, probabilmente frutto dell'opera di un qualche adepto o di un tecno-prete data-scrvtatore, segnando una superficie di novecento-tredicimila e ottocento-e-settanta chilometri quadrati ripartita per altri due parametri, a lei ignoti, simili.
«Soltanto a me sembra una patata gigante?» borbottò Aurelios quasi ridendo. Puntò l'asteroide con uno scatto della mano, avvolta da un guanto da lavoro. «Una grossa, grossa, grossa patata nel mezzo dello spazio. Una di quelle dolci, ad occhio. Te le ricordi?»
L'immagine delle navis-nobilite che cannoneggiavano un abnorme patata spaziale l'assalì, balenandole davanti con la velocità di un fulmine.
Ecco la Trono di Spade scagliata in crociera diagonale, i suoi reactores che allungavano chilometriche scie di plasma esausto contro lo sfondo del cosmo, che faceva tuonare tutte le sue macro-artiglierie contro una patata gigante.
È più divertente di quello che vorrei ammettere. «Sì, ma quelle non avevano una crosta di carbonivm, nichelivm, hastato e titanivm...»
«Rymm'El, se la vedi come tutta buccia fa meno impressione delle tue parolone» Le rispose Aurelios, la fronte accigliata visibile nonostante le tac-lenti e il respiratore. Tornando ai suoi vambracciali, Zarth notò che colavano stille di colore sul banco da lavoro.
Dopo avrebbe dovuto scrostarlo.
Quello che non aveva negato era che facesse impressione. Dentro la cornice dell'olo-lithogramma, Melpomehn giganteggiava sullo sfondo del cosmo vuoto e vastissimo. Grigia e butterata in superficie, somigliava più ad un piccolo pianeta che ad un abnorme asteroide trasformato, chissà quando e solo Lui sapeva da chi, in un insediamento probabilmente abitato da milioni.
Il sole del suo sistema era a malapena visibile, alto sull'orizzonte infinito, come una microscopica biglia dallo sfocato colore bianco. Come appariva, invece, dalla superficie di Melpomehn?
Lo si poteva coprire con l'unghia oppure giganteggiava comunque, forte di quelle sue dimensioni enormi?
La ragazza agitò la pictacanisterivm-bombola e poi pressò la testina, rilasciando un nuovo getto di colore nebulizzato sul segmento più alto del vambracciale sinistro. Titanatoi-Aurelios indietreggiò subito, per non ritrovarsi coinvolto dalla dispersione del cromàs.
Un attimo dopo si portò oltre il termine delle ghiere.
«Nessuna pictographia mi dice com'è fatta al suo interno» china sul pezzo dell'armatura anti-schegge, Zarth gli lanciò un cenno innervosito. «Se ha foreste e giungle?»
«Tu ti fai troppi pensieri: se le ha, allora noi le bruciamo ed ecco che non le ha più. Se non le ha, non importa. È così semplice.»
«Ma gli ordini sono di riconquistarla.»
L'amico si piantò le mani sui fianchi: «Sì, questo è vero; dobbiamo riconquistarla... ma non sta scritto da nessuna parte che dobbiamo recuperarla intatta.»
In effetti, considerò Zarth battendo un colpetto con le nocche contro la placca toracica dell'anti-schegge, su questo punto non ha tutti i torti...
«Salvati i nervi!» cinguettò lui picchiandole una pacca sulla spalla. «Fai come me: guarda quella roba come se fosse una patata gigante e nient'altro.»
«Lo sai che più lo ripeti e più mi sembra stupido?»
«Lo so, ma è indifferente.» Focalizzata la videata sul secondo terzo della pictographia, Titanatoi si lasciò sfuggire uno sbadiglio. «Dai, Rymm'El, rallegrati! Se la conquistiamo saremo i Tubero Uno di tutta l'offensiva!»
I che cosa?! «Volevi dire numero, vero?»
Schioccò le dita e la puntò con l'indice. «Noi dobbiamo lavorare sul tuo senso dell'umorismo...»
«Sul mio, ah?»
Aurelios annuì. «Sul tuo, sul tuo. Ora vieni con me, ti faccio vedere una cosa.»
Perché ho una brutta sensazione? «Di che si tratta?»
Il commilitone aggrottò la fronte: «Sì, ora te lo dico così la sorpresa se ne va a farsi fottere in Bren. Lascia asciugare questa roba in pace, tintorettatrice, e seguimi.»
«Credo che si dica tintoratryx» commentò Zarth posando la pictacanisterivm-bombola sul banco. Si pulì le mani battendole addosso alla blusa dell'uniforme da fatica senza smettere di seguire Titanatoi. I suoi passi erano lunghi, abbastanza da lasciarla indietro se non teneva il ritmo.
Un monitores-ocvlvs voxvideo-transmittente li tagliò la strada, scivolando a mezz'aria con le antenne di poppa sollevate e vibranti.
Un sentore di statica le corse lungo la pelle. Dando un'occhiata rapida al suo schermo bombato, Zarth lo trovò occupato da una vignetta illustrativa a colori. Sorridendo tra di loro, quattro diverse iterazioni di Capitan Imperivm sferravano calci ad un singolo t'au steso a terra, impegnato a lamentarsi per le percosse invece che a reagire.
Capitan Gladius era il primo da sinistra e sulla testa portava il basco dei Marinerìs Gladiani, seguito da un Capitan Ultramar biondo e in toga guillimanea bianca con un cerchietto d'allori sulla fronte. Avvolto in una giacca trapuntata verde, Capitan Garon era il penultimo da sinistra, affiancato da una Capitan Cadia in armatura da kasrkin e vispi, accesi occhietti viola.
Il t'au incassava i calci ad occhi sgranati e non reagiva, anzi; riusciva soltanto a coprirsi la testa calva con mani da quattro dita, subendo e deformandosi ad ogni nuovo colpo.
«Il verbo della verità è noto a tutte le fasce delle infinite popolazioni dell'Imperivm!» tuonò la voce del narrator del programma trasmesso da quel monitores-ocvlvs, inframezzata da una stridente nota di statica. «Come potete vedere, gli infidi e deboli t'au non sono capaci di reagire una volta che li si atterra! I collettivisti, chiaramente, non hanno spina dorsale!»
«Sai che da bambina li collezionavo?»
«Ora lo so!» rispose Aurelios facendole cenno di stare attenta a dove metteva i piedi. Attorniando una Venator montata su sei ruote, un quartetto di commilitoni della hastata del sergente Zaharka stava applicando la mimetica sullo scafo. «Io non ne ho mai avuto uno, ma non me ne vanto.»
«Non mi stavo vantando!» bofonchiò Zarth schivando una doppia pictacanisterivm-bombola di primaer. Kaletar, chino vicino alla seconda ruota di destra, allargò infastidito le braccia. Si lamento urlando qualcosa, ma non gli prestò orecchio.
Aurelios scansò una compagna, anche lei in servizio sotto gli ordini di Zaharka, poi aggirò due technikaì chini e molto impegnati a controllare qualcosa sul monitor di una scheda da scriba collegata via cablaggio alla guida della venator. «Attenta alle macchie di colore!»
«Non sono stupida, lo sai?»
«Sì, ma non è quello il punto. Si scivola, qui!»
«Forse perché noi staremmo lavorando, Markhairena!» sbottò uno degli addetti al veicolo. «Dobbiamo anche mettere i segni di pavimento bagnato?!»
«Lo sai che sarebbe proprio una buona idea?»
«Fottiti!»
«Tu prima, Heleos!» lo canzonò salutandolo con uno schiocco di dita. «Avvertimi quando hai finito di stuprare il motore della mia ragazza.»
«Questa è la nostra Venator!»
«Vero» annuì Titanatoi con un ghigno sulle labbra «ma appena morite me la prendo io. I patti sono patti!»
https://youtu.be/ieVKIBs5lqA
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