Capitolo I: The Heroes and the Storm (parte la 0, Jacheion Froster)

Maggiore Jacheion Froster, ufficiale in servizio presso la Guardia Imperiale del Mondo-Fortezza di Gladius


"In Hoc Officio, Gloriam.

In Hoc Dovere, Honore.

Ultra et in Hoc Limes, Imperivm."

-Inscrizione sull'architrave del Palazzo del Senato Militare di Gladius.

Viene datata come risalente allo M30.Y301.


Imperivm del Genere Umano
Ultima Segmentvm, Frangia Orientale
Nord del Reame di Ultramar, Mar Finalìs Regio
Gladius Astralìs Sector
Svb-Sector Gladius Central, Sistema stellare di Gladius
Gladius III, Mondo-Fortezza. 
Formicaio Cerberus, Palazzo del Senato Militare
M42.Y005, decimo-septimo giorno del mese di martes.


Brutale.
Nera e livida, come la traccia di un buon pugno.

Tuonò dal nulla delle profondità, magari da un qualche punto nel cielo frustato dal temporale. Forse da un qualcosa a cui una mente fantasiosa avrebbe potuto attribuire una volontà.

Un'origine valeva l'altra. Entrambe andavano bene.

La grande scossa fece collassare un fiume d'acqua piovana sulla piazza rialzata, dove ricadde carico d'accidia, trasportato dal vento all'avanzata. Il boato aveva scosso il cielo, ma il rovescio aveva urlato con voce ancora più greve, soffocando gli altri suoni.
Ah, il classico clima di Gladius. Ponderò l'uomo mentre la cascata piovana sibilava incontro alle suole chiodate dei suoi stivali. Piovoso e rumoroso.

L'ondata a seguire, spinta da una nuova esplosione di pressione nel cielo, s'inalberò sulla piazza schiaffeggiandogli il bavero della giacca con bordate ghiacciate e schiumose. Rigagnoli pungenti come aghi di ferro gli sciabolarono contro il volto, bagnando anche il suo cappello da ufficiale. Proseguirono ancora disperdendosi in un picchiettio continuo che sbatteva insistente contro il metallo della spianata. C'erano delle occasioni in cui gli veniva da chiedersi se, a suo modo senziente, perfino il clima trovava la presenza dell'Uomo su Gladius come un ostacolo da demolire.

Con tutti i mondi posseduti dall'Imperivm a largo raggio, contando solamente ognuno dei suoi schifosi e singoli sassi orbitanti attorno ad un qualche grumo di radiazioni potenzialmente nocive e calore, i suoi antenati avevano scelto d'insediarsi su quell'ermo ciglio roccioso, ingrato e temporalesco.
Una fottutissima buona scelta, ey!

Sentì l'insorgere di una nuova ondata di pioggia. Ormai l'ufficiale aveva perso il conto di quante onde scroscianti s'erano avvicendate sulla spianata, generosamente disponibili a ricordargli perché si diceva, in ogni angolo del Dominio dell'Imperatore-Dio che disponesse di un Coro Astropatico e di una popolazione con almeno un paio di soggetti letterati nel suo insieme, che quel Mvndvs di Gladius III aveva un onestissimo, innegabile, inconfutabile clima di merda.
Non si poteva dar torto a chi lo diceva. 

Esistevano casi anche peggiori, più o meno noti rispetto alla sua pater-patrialanta. Taluni dei loro nomi gli erano familiari per visita, mentre la maggior parte lo era per sentito dire e voci di corridoio.

Tra le grandi formazioni nuvolose s'avvicendò uno sconquasso temporalesco.
Subito immessa nei tracciati di scolo dall'inclinazione del pavimento, l'ondata, schiumando rabbiosa, scivolò in basso, incontro ad uno strapiombo alto trecento metri: come le altre che l'avevano preceduta e come quelle che l'avrebbero seguita, si dirigeva a cadere sui tetti dei sottostanti, incastellati macro-autocannoni binati di posizione.

Lunghi un terzo di chilometro, alzati incontro al cielo al principio della giornata, con magne Imperiali Aquile Bicefale marcate d'oro innalzate alte sopra alle ampie bocche da fuoco, gli obici gocciolavano a loro volta un tremendo frastuono sui due livelli di muraglie inferiori. 

Il picchiettare dell'acqua che cadeva da loro era udibile perfino al di sopra del vicino, asserragliato coro di ruggiti plasma-thermonucleari incrociante nel cielo.

E quelli erano spessi tuoni borbottati dalle batterie di magno-coni propulsori dei vascelli e delle void-navis in volo, non il lontano brusio d'una mezza dozzina d'isolate cattedrali nucleari. Riuscire a farsi sentire nonostante quel sottofondo era qualcosa da premiare,

Una nuova scossa portò subito ad un altro rovescio d'acque piovane. Questa volta, però, la litania dei void-acceleratori non cedette terreno con tanta facilità; continuò a farsi udire come sottofondo, uno pressante e indurito.
Uno, si disse lui, ansioso di acquistare il centro del palco.

C'era qualcosa di estremamente spaventoso, ma glorioso allo stesso tempo, nel roboante canto che alzavano i mostri forgiati per la Via delle Stelle e il Sideral-Thalasseo.
Era la loro potenza, che stentava a concepire? Era l'eco cavernosa con cui sputavano, come draghi, il loro fuoco azzurro? Era, magari, il sospiro dell'aria che bruciava alle loro spalle, prima di diventare semplice scia e vapore incandescente?

Magari era tutto quello. Magari era qualcos'altro.

Le statue di vedetta sui contrafforti superiori al suo osservatorio, già vecchie di dozzine di secoli anche quando il suo bis-nonno non era ancora nato, stavano lottando aspramente contro i loro massicci piedistalli per non cadere strappate dal vento e dalla pioggia. 

Picchiate dai colpi di maglio del grande temporale, subivano in contemporanea le scosse potenti portate loro addosso dalle vibrazioni generate e rifrante nell'atmosfera dalle catapulto-accelerazioni.

Da qualche parte, molto in lontananza, cadde un fulmine. Il suo lampo venne nascosto dal rovescio, ma il boato fu quello d'uno scoppio grande e diabolico.

Una granata non avrebbe saputo fare di meglio. Froster si trovò a chiedersi se quello fosse stato un buon presagio. Aveva sentito dire che il fulmine cadente era il lamento d'un impero che crollava.
Noi o loro?

Contrasse le labbra in un mezzo sorrisetto Il fulmine e l'impero in decadenza. Molto poetico, no? Anzi, immaginifico. Se non si stava sbagliando, la frase era stata detta una volta da una qualche persona di cui proprio non ricordava il nome.

Una perla, davvero. Già, proprio una perla di quel genere così valido e pratico per il sapere quotidiano da compiere solerte il circolo completo, finendo con l'essere del tutto fottutamente inutile.

«Tutto qui?» chiese, ridendo in faccia al temporale. «Ey! Non hai altro?»

Un grappolo di pugni luminosi sconquassò il cielo. Vi scaricò contro un serrato ritmo di bagliori, photonikei-magli lanciati con ira dal temporale per punire l'irriverenza dell'uomo che non lo temeva. Nei suoi anni di servizio come milites-astra aveva visto di peggio.
Il ventre atmosferico di Gladius sembrò in procinto di spezzarsi quando i tuoni, beccheggiando da un estremo all'altro, corroborarono i loro colpi con un rinculo così intenso da sembrargli un muro solido che sopraggiungeva in picchiata. 

Bacchettate su tamburi, istantaneamente tradotte nell'apparizione di nuovi fulmini incatenati, illuminarono cielo e terra al ritmo di fitti, ampi squarci elettrici.

Sagome auguste, colossali e poderose, apparvero tra i nembi bombardati di luce. Jacheion le intravide per pochi secondi.
Bestioni da guerra. Guadagnavano quota, del tutto insensibili ai bombardamenti del temporale. Fulmini, lampi ed acquazzoni si scagliavano iracondi contro gli scafi, umiliandosi nel vano tentativo di fermarli, d'opporsi a quelle mistico-techno-magik forze misteriose che consentivano loro di navigare tra le nuvole del cielo così come incrociare il vuoto del Sideral-Thalasseo.

Alzò il viso per salutarle. Cattedrali volanti alte, robuste e spesse, lunghe svariati chilometri e fornite di scafi corazzati, tenuti insieme da una cantieristica di riprovata solidità. 

Costruite per scrollarsi di dosso salve d'artiglieria che vedeva in una palazzina volante la sua granata più innocua, da sbarramento disturbatore, in che modo potevano impensierirsi per un temporale?

Jackeion sapeva che la loro formazione era numerosa, un fatto che lo portava a sentire il proprio animo acceso da un ruggente spirito di guerriera soddisfazione: soltanto lì, nel cielo innanzi ad Hive Cerberus, erano duecento-e-cinquanta, di cui oltre la metà venute da lontano per gettare l'ancora in terra di Gladius prima di ripartire alla volta di Nimbosa.

Prima di ricevere i saluti dell'umanità sotto forma di ponti di macro-cannonate e artiglierie corazzate, gli schifosi t'au non avrebbero avuto nemmeno il tempo materialmente necessario per capire che cosa li aveva colpiti.

Non è Damocle, questa. Adesso, pensò con un curvo ghigno lupesco sul volto, ci siamo rotti le palle di voi e abbiamo smesso di giocare, blueìs. Si passa al rounth' serio.

Una nuova cateratta di lampi fendette i rigonfiamenti già gravidi di piogge, precedendo tre schianti al suolo ed una tormenta di grandi fruste di luce che si scagliarono sull'appuntita, interconnessa distesa urbana dell'Anello Superiore.
Le finestre illuminate di quelle spire megalitiche erano, purtroppo, meno di quelle che lui avrebbe voluto vedere.

Notò le sagome di uno stormo di bombardieri Marauder che planavano tra i rovesci e le tempeste. Venivano da ovest, dallo spazioporto maggiore. 

Nessuno aveva mai il tempo né la voglia di chiamarlo con il suo denominativo burocratico corretto, come Astral-Anchoragiòn Major. In tutta onestà cominciava a pensare che fosse una divertente idiosincrasia.

Chissà come doveva sentirsi Lady Dovere-e-Dedizione, laggiù, vedendo tutte quelle navi da guerra passarle vicino. La Magna Inmalazaria di Gladius, stolida e granitica come tutte le sue sorelle sparse nell'Imperivm, era la pluri-chilometrica guardiana dell'Astral-Anchoragiòn, la statua più grande di Gladius e un memento del fatto che perfino laggiù, all'estremo ciglio, erano l'Imperivm.
Terranìs resisteva. Cadia teneva duro. Armageddon combatteva.
E lei, uguale per tutti attraverso il vuoto, rimane il simbolo che Lui ha designato dodicimila anni fa. Una coronata Guardiana Potente di vedetta al nostro porto. Nella sua mano impugna una torcia, la cui fiamma è il fulmine di plasma imprigionato.
E il suo nome è quello di Madre degli Esuli, di Nuovo Colosso.

«Decisamente uno spettacolo, ey?»

«Il clima, generale Taranis, o le navi?»

L'ufficiale comandante del Cento-e-Trentesimo Reggimento Corazzato abbaiò una risata. Qualcuno avrebbe detto che il suo sarebbe stato un bel sorriso, se solo fosse stato vero. 

In verità era un uomo veramente brutto, il perfetto insieme dei peggiori tratti caratteristici che il largo e vasto Imperivm associava alla gentaglia che veniva da Gladius: un mento duro, occhi piccoli e stretti, un naso rotto troppe volte e una cicatrice da impatto di scheggia che gli regalava, perennemente stampata in faccia, la peggiore metà del sorriso di un pagliaccio del circo.

Gli offrì un sigaro nevarrino, accendendoglielo con un fiammifero impermeabile. «La città, maggiore. Chiaramente stavo riferendomi alla città.»

Sul serio? «Oh.»

Il generale dovette capire che cosa avesse pensato, perché sfoderò un sorrisetto e scoccò un cenno alle navi che incrociavano verso l'alta atmosfera. «E ovviamente anche a tutto il resto.»

Ecco, quello era più da lui. Aspirata una boccata di buon fumo, Jacheion l'assaporò lentamente ascoltando il battere della pioggia.
I nevarrini erano buoni. Sul palato davano un gusto d'aroma forte, accentuato dal fondo di foglie di tabacco bruciato. Sapevano di cingoli in rullio sulla terra, di promethium al primissimo mattino che impregnava la terra bagnata dalla rugiada, di vittoria.
«Sì, signore. È uno spettacolo.»
«La sento carico, Froster.»
«Lo sono.»

«Beh et beh!» Cinguettò il generale Sebastian "ghigno d'artigliere" Taranis, soffiando dalle narici due volute di nevarrino. «Direi che questo, maggiore Froster, spiega perché lei stesse gridando come un totale deficiente contro il temporale.»

Gli uscì dalle labbra una risata nervosa «Da quanto era qui, signore?»
«Da qualche minuto prima che passassero i bombardieri della Avias-Hastata Quattordici.» Gli si avvicinò, battendogli un colpetto di mano sulla spalla. «Non credo sia necessario dirle che mi aspetto un fottuto ottimo lavoro da lei, yeì
«L'ho mai delusa, signore?»
«Divina dannazione, no!» Replicò l'alto generale, offrendogli un ghigno storto che a suo modo era rassicurante... se si scavalcava quanto egli fosse brutto. «Quindi non cominci adesso.»

Apprezzava quell'uomo. Sotto di lui, il Cento-e-Trentesimo Reggimento Corazzato aveva ingrandito il proprio ruolino di servizio con una sequenza di scripte della vittoria e bandiere di campagna. Pretendeva molto e con severità, ma non vedeva i milites-astra come meri numeri da buttare incontro al macello.

C'era sempre uno scopo.
«Non è mia intenzione.»
«Ottimo, perché l'ho assegnata allo scaglione di Hornblowr e non voglio mi faccia sfigurare.»
«Il generale Horatio?»
Taranis annuì spiccio. «Quel gran figlio di buona donna, sì. Proprio lui. Di questo ne dovremo parlare meglio più avanti, ma un paio di dettagli posso darglieli già adesso.»
Quindi era già tornato da Armageddon? O era stato molto veloce, oppure...

Oppure l'avevano richiamato. «Di che cosa si tratta?»

«Hornblowr è riuscito a scucirci dei reggimenti della Legione d'Acciaio di Armageddon e di Konig. Ci serviranno quelle forze e lui è l'elemento adatto per collegarsi a loro. Sa che ha una certa sintonia con lord Vendas.»
Un nuovo tuono si schiantò contro una spire di formicaio, lontano dalla spianata. «Se ci mandano rinforzi...»
«Niente ma e se, Froster. L'avtoviae-bahn ha sempre due corsie. Laggiù nel Segmentvm Solar stanno accadendo... fatti importanti. Potremmo avere qualcuno capace di chiamare la salva entro qualche anno e l'Imperatore-Dio solo sa quanto potrebbe aiutarci un comando unificato. Le darò altri dettagli più avanti. Per ora...»

Il generale alzò il braccio destro, rivolgendo l'indice all'ascesa delle void-navis incontro al cielo. Gli parve tentennare per un momento, forse inattesa di qualcosa. Susseguendosi improvvisi, i lampi schiarirono i ventri scuri delle nuvole, rivelando a violacee luci gli scafi in volo.

«Quella la riconosce?»
Il maggiore scoprì i denti in un sorriso di soddisfatta contentezza. «Non riconoscerla sarebbe grave. Dio, è bella rivederla.»
La grande navis-nobilite, lasciandosi alle spalle ampie scie d'aria condensata,puntava la sua Lancia di prua incontro alla massiccia tempesta. Illuminate dalle lvxophorassaee di fiancata, le macroscopiche lettere Alto-Gotiche del suo nome brillavano auree, scintillando riflessi metallizzati.
«Eccola lì. La Trono.»

«Se è qui vuol dire che abbiamo anche Valor?»

«Non immediatamente» scandì il generale Taranis. «Valor sarà impegnata verso Taros nelle fasi preliminari. Ci serve un punto d'appoggio se vogliamo aggirare Ko'na'my'n e Dar'Fior'Shià.»
«Posso dire una cosa?»

Il generale gli diede licenza con un cenno della mano. «Vada pure, figliolo.»

Jacheion guardò la risalita della Trono di Spade verso le nuvole, seguendo il lungo percorso della Navis-Nobilite come un ragazzino avrebbe fatto con i fuochi d'artificio durante il Giorno dell'Imperivm. «Promette bene.»
«Può ben dirlo. Promette bene, sì. Promette davvero bene...»    

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