Chapter 2: Apericena con Retrogusto Acido
Quando Katsuki era arrivato a casa dei suoi genitori, questi si erano scambiati uno sguardo perplesso e lì per lì non avevano detto nulla. Loro figlio aveva varcato la soglia in silenzio, con uno sguardo quasi indecifrabile sul viso e un'espressione pregna di tante sensazioni differenti. Tante parole senza aprir bocca, quella così serrata da rendere le labbra un'unica linea sottile.
Poi, però, Masaru aveva preso finalmente parola.
"E' bello riaverti a casa, Katsuki. Per quanto tempo ti fermerai?".
Katsuki gli rivolse uno sguardo completamente apatico, mentre portava i bagagli al piano di sopra; non gli rispose fino a quando non scese nuovamente al piano inferiore con le mani in tasca.
"Dov'è il piccolo Izuku?" aggiunse perplessa Mitsuki, mentre si asciugava le mani per preparare la cena. "Non ci hai nemmeno chiamato, avremmo cenato insieme".
"Non serve. Ci siamo lasciati" rispose finalmente il biondo, come se fosse stata una cosa ovvia.
Mitsuki sgranò gli occhi, Masaru sbatté incredulo le palpebre e le labbra, visibilmente a disagio. Fu il primo a notare che mancava l'anello di fidanzamento, fu il secondo a rendersi conto che quel cuore era ormai una bomba ad orologeria. La donna bionda sospirò, sedendosi immediatamente a tavola per guardare in faccia il figlio che l'aveva imitata qualche istante prima e ora giaceva scomposto sulla sedia con lo sguardo perso nel vuoto.
"Ma quand'è successo?".
"In realtà era da tempo che non stava funzionando. Era arrivato il momento. Abbiamo due vite troppo diverse". Katsuki pronunciò queste parole con profonda rassegnazione, rifiutandosi di guardare nessuno in viso. "Gliel'ho detto un paio di ore fa, l'appartamento era suo, per cui starò qui fino a quando non avrò trovato un monolocale".
Masaru sospirò appena, prendendo posto alla sua destra. Era da molto tempo che non sedevano tutti e tre; gli era mancata quell'aria di famiglia. Ricordò, per un singolo istante, di quando suo figlio aveva annunciato che si era fidanzato con Izuku.
Lì per lì era stato prima stupito da una simile risolutezza ma poi si era lasciato contagiare da una gioia, protratta fino a quando i due Hero erano andati a convivere. Non aveva mai pensato di obiettare sull'orientamento sessuale di suo figlio né di impedire a quell'amore di evolversi con il pupillo della più cara amica di sua moglie.
"Katsuki... ma il piccolo Izuku come l'ha presa?" domandò Mitsuki.
"Non ha detto nulla. Penso che ne sia stato sollevato".
Masaru non credé a quelle parole: Izuku era stato sempre attento e quasi devoto a Katsuki; la versione più veritiera doveva essere che lo sgomento per quell'improvvisa rivelazione l'aveva tenuto congelato sul posto ed incapace di dire nulla.
Si sentì sinceramente male per quel ragazzo dalle graziose lentiggini ma fino a quando non avrebbe capito il motivo di quella rottura non sarebbe stato in grado di offrire alcun supporto morale.
"Vi vedrete spesso in Agenzia" insistette Mitsuki, un po' rabbiosa.
"Siamo Pro Hero, dopotutto. E comunque... i media non hanno mai capito che io e Deku eravamo insieme; non cambierà nulla. Continueremo a svolgere il nostro lavoro come sempre fatto. Almeno su questo...".
"Katsuki". Il biondo sollevò lo sguardo e finalmente lo spostò su quello di suo padre. "E' veramente questo ciò che vuoi?".
Lo disse con un debole sorriso e una calma così docile che Katsuki percepì le lacrime frizzargli nel naso e la vista annacquarsi. Tentennò, morse le sue labbra e strinse i pugni.
"Sì. E' la decisione giusta, papà".
Masaru, allora, si alzò per stringerlo forte a sé e accarezzargli la nuca; accolse quei singhiozzi silenziosi e quel cuore insanguinato, rivolgendo uno sguardo rattristato alla moglie. Doveva essere accaduto qualcosa di davvero grave...
Izuku si accese un'altra sigaretta, continuando a fissare la città dall'alto. Del caldo che aveva patito era rimasto un freddo ricordo; l'autunno si era fatto così pungente che pareva aver introdotto un inverno decisamente prematuro.
Era passata una settimana da quando Katsuki lo aveva mollato e non era riuscito più a piangere, né a mangiare regolarmente o a dormire. Aveva imbottigliato con quasi estrema facilità i suoi sentimenti contrastanti e aveva continuato a svolgere un impeccabile lavoro nelle vesti di Number One Hero.
Guardò la mano con stretta tra due dita l'ennesima sigaretta; il fumo si era tinto di leggerissimo bianco, segno che il freddo era diventato più persistente che mai ma niente paragonato a quello che aveva cristallizzato il suo cuore.
-Forse non batte neanche più- pensò con un amaro sorriso, sollevando gli occhi vuoti al cielo.
Era oscuro l'infinito: si era fermato a riflettere che, da quando era tornato single, anche la perenne distesa di volta celeste era diventata oscura e non più un solo raggio di sole era sbucato tra quei soffici cumulonembi.
Izuku deglutì, stringendo la mano sul suo costume all'altezza del cuore; non faceva male, sentiva i deboli battiti, ma non c'era nulla. Non c'era nessun segno di esplodere.
Inspirò un'altra boccata di quel mortale fumo e si lasciò cullare dal freddo vento che lo investì dal basso del cornicione sul quale si era stagliato. Un solo passo, pensò nel guardare quella gola profonda che rendeva le auto piccole, e tutto sarebbe finito.
Un passo, dunque? Mentre rifletteva su quell'infida parola che riecheggiava all'infinito nel suo cervello, sorrise leggermente e senza alcuna emozione. Era curioso, magari facendolo si sarebbe sentito decisamente più vivo.
E portò oltre il cornicione il piede destro, aprendo le braccia, pronto per farsi cullare dall'essere finalmente libero. La sensazione di quell'illusione piacevole fu però bruscamente distrutta da due paia di braccia che lo tirarono disperatamente, facendolo ruzzolare sul tetto. Al sicuro.
"Cazzo, ma sei impazzito?!".
Il giovane Number One Hero guardò Denki ed Eijiro che avevano il fiato grosso, poi la mano del biondo ancora stretta intorno al suo polso sinistro. Era disperata, calda, genuinamente spaventata.
Comprese appena la pericolosità del suo gesto ma non poté impedire al suo viso di contrarsi in un sorriso compiaciuto.
"Izuku, non farlo mai più, hai capito?" e Denki lo abbracciò duramente, stringendolo forte al suo corpo, artigliando le dita tra i suoi riccioli verdi. "Se non ci fossimo stati noi a quest'ora saresti poltiglia sull'asfalto!".
Il verdino guardò Eijiro e i suoi occhi si oscurarono un po' alla nuova ondata di lacrime che li investì.
Cercò davvero di piangere, di riversare fuori il suo dolore ma non ci riuscì: la catena era strettamente conficcata e avvolta intorno al suo cuore e lo teneva ancora insieme nonostante tutte le profonde spaccature sanguinanti.
"Mi dispiace" sussurrò Eijiro, deglutendo.
"Non è colpa tua" arrivò flebile la risposta di Izuku, mentre Denki lo aiutava a rimetterlo in piedi. "Io... ho pensato di farlo ma non voglio... non voglio davvero morire...". Il biondo che non gli aveva staccato la mano dal polso trattenne a sua volta delle pesanti lacrime e strinse ancora per infondergli conforto. "Devo proteggere le persone, non posso pensare a me stesso".
"Noi non siamo indistruttibili, sai Izuku. Siamo fatti di carne e abbiamo dei sentimenti" rispose dolcemente Eijiro.
"Hai avuto altri pensieri suicida?".
"Denki!" scattò subito il rosso crinito.
"No, Eiji! Io devo saperlo! Questo potrebbe essere un campanello d'allarme!" scattò quasi velenosamente Denki con un tono che non avrebbe ammesso repliche.
"No. E' la prima volta che l'ho pensato" ammise ora vergognosamente Izuku, distogliendo lo sguardo. "Non riesco più a capire. Niente ha più un senso e mi sembra di vivere in una bolla. Niente mi stimola, niente riesce a colmare la voragine nel mio petto".
Lo disse con una voce così appena percettibile che per i due ventunenni Izuku parve un bambino spaurito. Denki lo strinse ancora una volta in un abbraccio, Eijiro gli riservò una carezza dolce sui capelli.
"Perché ti ha lasciato?" chiese Denki.
"Non gli stavo più dando attenzioni... ho messo il mio lavoro al di sopra di tutto... Mi ha consegnato il suo anello, mi l'ha pronunciato quelle parole una sicurezza incredibile. Mi ha fatto capire che non stava scherzando dal fatto che avesse già impacchettato tutte le sue cose...". Izuku si strinse ai baveri della giacca nera di Denki, schiacciando la fronte contro quel petto profumato di acqua di colonia. "Ma forse non l'ho neanche capito perché mi ha lasciato. Continuo a pensarci ma non riesco a trovare risposte...". Trasse un respiro traballante, guardando poi Denki negli occhi con un'espressione smarrita. "... è stata unicamente colpa mia?".
Non seppero cosa rispondergli; non conoscevano i dettagli di quell'improvvisa rottura di un rapporto prossimo a evolversi con il matrimonio ed ancora erano totalmente basiti nel pensarci attentamente.
Katsuki era arrivato il giorno dopo in agenzia e aveva detto a tutti, con la tranquillità più incredibile del mondo, che era tornato single ma non aveva aggiunto nient'altro. Quando poi Izuku aveva presenziato in ufficio con occhi gonfi di stanchezza e il tabacco appiccicato sui vestiti si erano proposti di non fare alcuna domanda.
"Perché non andiamo a mangiare insieme? Sono tre ore che pattugliamo questo lato della città e non ci sono state più segnalazioni. Possono pensarci anche le forze dell'ordine, no?". Eijiro annuì alle parole di Denki e lo ringraziò con un sorriso caloroso. Izuku invece non disse nulla. "Che mangiamo? Io avrei voglia di un po' di manzo ai ferri".
"Io ho lo stomaco chiuso, non ho fame".
"Lo sappiamo ma finché continuerai a bere caffè e a fumare finirai per collassare quando meno te lo aspetti" continuò Denki, battendogli un'amichevole pacca sulla spalla. "Offriamo io ed Eijiro".
Katsuki ingurgitò un po' di whisky con ghiaccio, ignorando gli sguardi che aveva iniziato a lanciargli Shoto, seduto a un tavolino poco più distante dal bancone di quel nuovo bar. Il bicolore guardò la sua fidanzata Momo e si alzò per avvicinarsi senza avere alcuna intenzione ostile.
Il biondo gli concesse uno sguardo di traverso e truce, continuando a muovere il bicchiere tra le dita e facendo tintinnare i cubetti di ghiaccio contro l'interno del vetro. Prese un altro sorso, deglutendo senza emettere alcun suono con la bocca.
"Non mi aspettavo di vederti qui. Sei da solo?".
"Perché non torni dalla tua ragazza e ti levi dal cazzo?".
Momo si alzò indignata a quell'espressione sprezzante ma il bicolore le alzò contro una mano e negò appena, conscio che Katsuki sicuramente avrebbe ceduto anche con quell'alcool in corpo.
Il loro incontro, in realtà, era stato casuale; lui e Momo erano usciti per un aperitivo in quel locale chic e quando avevano preso posto avevano visto il biondo tutto ricurvo con i gomiti sul bancone, seduto su uno sgabello e un bicchiere vuoto che poi il cameriere gli aveva rabboccato a un cenno di una mano. Uno molto nevrotico, tra l'altro.
"Sono solo, non vedi?" aggiunse dopo un po', con un insopportabile ghigno. "Tu che cazzo ci fai qui?".
"Sono uscito con la mia fidanzata, non mi aspettavo di trovarti qui" rispose deciso Shoto. Katsuki sbuffò scontento, prendendo ancora un sorso. "Quindi è vero che hai rotto con Midoriya?" e quel poco di super alcolico fu spruzzato in faccia al cameriere con la stessa potenza di un idrante.
Katsuki sbatté il bicchiere sul bancone frantumandolo e afferrò per il bavero della giacca di pelle nera Shoto, tuttavia ancora composto e quasi preparato a quell'attacco frontale. "Dammi un solo cazzo di motivo del perché non dovrei adesso spaccarti la faccia, miserabile Bastardo a Metà!".
"Stai facendo soffrire Midoriya e lui è un mio amico".
"Non me ne frega un cazzo! Abbiamo rotto perché andava bene così, non c'era più una relazione tra di noi!" urlò il biondo, stringendo il pugno sulla pelle nera. "Non provavo più nulla per lui! Sarei stato a casa sua a fare lo scroccone?!".
"Avete preso quella casa insieme, se non erro".
"Era suo l'appartamento, cazzo!".
Shoto gli prese fermamente il polso e lo intimò silenziosamente a lasciarlo andare, sotto gli occhi basiti del cameriere che non si era mosso di un millimetro né aveva respirato e della preoccupata Momo, in piedi con una mano sulla bocca.
Dopo qualche attimo, Katsuki lo lasciò con una sferzata della mano e tornò seduto con un "tch" di bocca e una mano tra i capelli.
"Perché tutti fate la predica a me? Deku non ha detto un accidenti quando l'ho lasciato" aggiunse con voce più pacata. "Mi avrebbe fermato se fosse stato contrario... no?".
"Gli hai dato il tempo di farlo?" arrivò di netto la voce di Momo. Kacchan sobbalzò come se fosse stato colpito alla nuca e si voltò con un'espressione incredula e ferita. "Lasciare una persona quando meno se lo aspetta non ti fa avere reazioni pronte che normalmente avresti nell'affrontare altre situazioni".
"Momo ha ragione. Tu sei andato via senza dare il tempo a Midoriya di dire la sua. Se vi foste spiegati nessuno di voi due a quest'ora starebbe soffrendo" seguitò Shoto, aggiustandosi la giacca sgualcita.
"Se ci teneva a me, alla nostra relazione avrebbe dovuto mostrarmi più amore, cazzo! Invece ha iniziato a tenere le distanze! Quante notti l'ho aspettato invano? Quante volte in Agenzia mi ha ignorato? Quante volte ha tenuto dei fottuti segreti?!" scattò il biondo, alzandosi. "Non sapete un cazzo! L'argomento è chiuso! Io e Deku abbiamo rotto che vi piaccia o no!". Sbatté un paio di banconote sul bancone e se ne andò, lasciando quei due alle spalle.
Momo sospirò, accompagnando una ciocca dietro l'orecchio con una certa classe. Concesse un cenno di scuse al cameriere e fissò Shoto, spostandogli via un paio di ciuffi dalla fronte. Avevano finalmente capito il motivo di quella rottura.
"Dobbiamo farli chiarire e tornare insieme. Quei due sono fatti l'uno per l'altro" si lasciò sfuggire Shoto.
"Sì, ma... ora la ferita è molto aperta. Bakugo-san non vorrà in alcun modo ragionare".
"Gli terrò un occhio addosso. E' l'unica cosa che posso fare al momento".
Shoto chiuse le palpebre per un momento, tentando di pensare alla strategia migliore per tentare di aggiustare le cose ma quando li riaprì il suo cuore ebbe un sussulto.
All'entrata del bar c'erano Denki, Eijiro e Izuku, quest'ultimo teneva sul viso un'espressione indecifrabile ma con chiaramente visibile una flebile speranza di riconciliazione. Durò qualche attimo, poi Katsuki lo oltrepassò senza neanche guardarlo.
"Consegna il rapporto a Tsukauchi domani mattina e dai quello completo sull'intercettazioni telefoniche e i vari spostamenti di quei merdosi Villain sulla droga a Endeavor" disse.
"Va bene... grazie... Kacch-". Izuku inghiottì avidamente aria dal naso. "... Sarà fatto, Bakugo".
Il biondo ebbe un lieve fremito capace di scuotergli le ciocche più sparate verso l'alto: scoccò uno sguardo scioccato al verdino, per un solo attimo ma poi si lasciò alle spalle quel sempre più soffocante locale.
Anche se incompleta, quella parola agrodolce gli aveva fatto riemergere una flebile voglia di conciliazione.
Forse, mentre svaniva nel freddo della sera, era semplicemente stata l'illusione di troppo alcool. Izuku avrebbe detto "Kacchan" se avesse avuto serie intenzioni di tornare insieme, no? Spinse brutalmente via le parole di Momo e non ci pensò più.
Shoto e Momo si avvicinarono al gruppetto qualche istante dopo, tentando disperatamente di dire qualcosa per smorzare quel silenzio piombato come una ghigliottina. Izuku teneva ancora lo sguardo basso, lustro di lacrime che neanche stavolta sarebbero cadute. Denki strinse un pugno, Eijiro sospirò amaramente.
"Scusa, Izuku-kun... avrei dovuto portarvi direttamente al ristorante piuttosto che farci prima un aperitivo".
Il verdino inspirò profondamente dal naso e negò appena al rosso crinito. "Torno a casa. Domani avrò una giornata estremamente difficile e non vorrei crollare dal sonno".
"Ti accompagniamo noi" si offrì Momo e Shoto annuì. "Fa freddo e poi questo locale dista almeno sei chilometri da casa tua, vero?".
"Io... non vorrei... disturbare...".
"Nessun disturbo" sorrise appena Momo. "Buona serata, Kirishima-san, Kaminari-san. A domani".
"A domani" ripeterono in simbiosi i due Pro Hero, seguendo con lo sguardo i tre lasciare il locale con volto pesante.
Come anticipato da Momo, quando uscirono dalla pesante porta infrangibile, una folata di gelido vento li investì, facendoli rabbrividire. Shoto, da gentiluomo, aprì la portiera dell'auto, facendo accomodare la sua ragazza sul seggiolino anteriore per poi accompagnare gentilmente Izuku dietro. Alla fine montò e mise in moto.
"Mi dispiace per darvi preoccupazione... in un modo o nell'altro... non porteremo i nostri problemi a lavoro" proferì appena Izuku, portando la mano nella tasca del suo cappotto nero oversize. "Posso fumare?".
"Preferirei di no nella mia auto, Midoriya".
"Oh, nessun problema, Shoto-kun. Sarà solo la forza dell'abitudine" si affrettò a rispondere l'altro, rinfoderando pacchetto e accendino in tasca. Deglutì, guardando fuori dal finestrino dove le luci creavano giochi veloci tra le ombre. "Sarà davvero... una dura abitudine da dimenticare".
Momo premette una mano contro le labbra, colpita da quell'ultima frase così pregna di dolore, Shoto strinse rabbiosamente le mani sul volante non sapendo cosa dire. Come sarebbe anche solo stato possibile dimenticare una persona così amata?
D'un tratto, Izuku sentì una sensazione sgradevole risalirgli in gola. Cercò prima di deglutire, torcendosi nervosamente le dita ma poi portò una mano alla bocca, incurvandosi in avanti.
"Midoriya-san! Shoto, ferma la macchina!" esclamò spaventata Momo a quei respiri rapidi e i gemiti di disagio.
Come l'auto nera si fermò a uno spiazzale con delle sterpaglie, Izuku si gettò fuori e iniziò a vomitare semplicemente acqua e bile. Erano circa tre giorni che non mangiava e per settantadue ore il suo stomaco aveva cominciato a rivoltarsi anche con senza nulla dentro.
Per ben tre minuti interi i conati riecheggiarono fin nell'abitacolo dell'auto, ammutolendo i due fidanzati, poi Izuku crollò chinato sulle ginocchia e con le mani ricoperte di gelido sudore premute contro il viso mortalmente pallido.
La Pro Hero Creati fece materializzare una bottiglia d'acqua, Shoto gliela porse e lo aiutò a tornare in auto, senza però partire subito. Izuku fissava l'orizzonte con occhi spenti e le mani giunte sul basso ventre, una gamba nell'auto, l'altra ancora sull'asfalto.
Tremava di tanto in tanto, deglutiva ancora.
"Devi di nuovo vomitare?" chiese Shoto.
"No" rispose appena Izuku. Inspirò profondamente dal naso. "Mi dispiace per questo inconveniente...".
"Non dirlo neppure per scherzo, Midoriya-san! Ti senti meglio? Vuoi una caramella forte?" rispose Momo, volgendogli un dolce sorriso e l'altro annuì e poi negò.
"Midoriya, perché non vieni a dormire da noi? Sarai anche più vicino all'Agenzia" propose il bicolore, ma Izuku negò dolcemente, riportando anche l'altra gamba nell'auto. "Sei sicuro?".
L'altro annuì e l'altro gli richiuse la portiera, montando in auto.
Fecero almeno altri due chilometri prima che l'auto si fermasse dinanzi al cancello della dimora di Izuku e che questo scendesse. Salutò Momo e Shoto e salì in casa, buttandosi a peso morto sul divano.
C'era ancora debolmente l'odore di Katsuki: chiuse gli occhi, forse nei suoi sogni sarebbe stato felice.
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