Capitolo 5 - La Correlazione
Quando, il venti aprile, dopo un'ultima battuta da parte di Atsumu riguardante la strana correlazione tra la sua data di nascita e quella di un certo tedesco con i baffetti con cui condivideva il caratteraccio dispotico, Katsuki tornò a casa, si accorse di non riuscire a dormire. Era sconvolto, in positivo ovviamente, dalle vicende della giornata.
Si era accorto solo in quel momento di quante persone ci fossero nella sua vita che gli volevano un bene tale da farlo sentire baciato dal sole in una giornata di pioggia.
Nei giorni successivi rifletté a lungo. Tante cose dovevano cambiare. Tante cose stavano cambiando. Il primo ad evolversi era sicuramente lui, Katsuki Bakeneko.
Quando la sera del venti aprile si sdraiò nel suo letto, nella sua stanza, nella sua casa, si ritrovò a vagare tra i ricordi felici che aveva appena creato con i suoi genitori, con i suoi amici, e con la famiglia Meiun.
Dopo aver rassicurato Kaiju riguardo ciò che avrebbe dovuto fare ed essersi dissetati con della limonata fresca, i ragazzi erano tornati al loro lavoro. Mentre Takeshi arrostiva delle verdure portate da Ando, erano anche arrivati i suoi genitori: Hikariki e Masaru avevano dei grossi sorrisoni contenti sui loro volti, e appena videro il figlio gli si avvicinarono rapidamente, ancora le buste della spesa tra le mani. Dopo averlo sgridato un po' per starsi scottando sulle braccia e sulla nuca, lo abbracciarono davanti a tutti. Continuavano a dire cose carine su di lui, e a dire sottilmente che l'idea di festeggiare a casa Meiun era ottima per l'umore di tutti. Era quasi strano sentirsi complimentare: non era una cosa solita. Che fosse una strana coincidenza astrale? Oppure quella giornata di sole e l'idea di stare insieme a festeggiare aveva davvero messo tutti di buonumore?
Per pranzo rimasero fuori all'ombra di un grande albero, accarezzati da una delicata brezza fresca che leniva il calore sulla sua pelle diafana. Banchettavano quasi come contadini la domenica, eppure si sentivano re nel dì di festa. Tutti sorridevano e non badavano ai problemi. Katsuki non aveva problemi affettivi, Kaiju non si sentiva disturbato più di tanto dalle brutte sensazioni che attanagliavano il suo corpo, Atsumu non aveva problemi di ansia e Takeshi non si sentiva messo da parte. Ando finalmente aveva del tempo per dedicarsi a degli amici, Hikariki non era isterica e non cercava di litigare col figlio, e Masaru era così pacifico che sembrava un pupazzo. Era... bello, vederli tutti riuniti attorno a qualcosa di così luminoso.
Gli sarebbe piaciuto pensare a tutti loro come la sua famiglia, ma sicuramente non era possibile. Erano solo un pericoloso caso di possessione demoiaca che gli era capitato tra le mani, e che dovevano risolvere. Poi Kaiju sarebbe tornato alla sua vita, con i suoi amici (era sicuro che avesse dei fantastici amici e che sarebbe tornato a braccia aperte da loro), e loro non si sarebbero mai più incontrati.
Katsuki iniziò a grattarsi la pancia, pensieroso. Avevano anche giocato a pallavolo. Lui e la sua mamma. Hanno fatto delle squadre per giocare un po', e Kaiju, Ando e Masaru arbitravano un po' la partita e la commentavano. L'agile Atsumu faceva squadra con Hikariki contro quei mostri di forza di Katsuki e Takeshi. E, oltretutto, avevano vinto al meglio di tre. Non male. Forse ora dovrebbe iniziare a prpearare un video da pubblicare. Quello era il primo compleanno per cui no naveva fatto nemmeno un piccolo vlog. Era troppo stanco, e voleva godersi il momento e l'aria fresca per una volta.
Fece per alzarsi dal letto, intenzioanto ad avvicinarsi al computer, quando la vibrazione del suo telefono lo distrasse.
Volse il capo verso il comodino. Sul display lampeggiava il suo nome.
Kaiju.
Si accigliò istintivamente, e arraffò di fretta il telefono, aprendo la chiamata.
— Pronto? — rispose, con la voce più calma del mondo. Non voleva mettere del nervosismo o dell'ansia negli animi di nessuno. — Qui parla Katsuiki Bakeneko.
— Uhm... Kacchan? — fece la voce incerta e sussurrante di Kaiju. Era... delicata e carina. La prima cosa che riportò alla mente quella voce quieta fu il gelato alla menta con gocce di cioccolato. In effetti assomigliava a lui: ricordava le sue lentiggini. Katsuki sorrise tra sé e sé, alzandosi e avvicinandosi al suo computer, accendendolo e inserendo velocemente la password.
— Ciao, Kai. Mi hai finalmente chiamato per ammettere che hai sbagliato a segnare quel punto alla squadra della vecchia ciabatta?
Ci fu un attimo di silenzio dall'altra parte della conversazione. Katsuki temette di aver sbagliato approccio. Poi si sentì un leggero sbuffo, come se Kaiju avesse cercato di tenere il respiro. Poi una risatina melodiosa e delicata come un piccolo scacciasogni che tintinna riempì le sue orecchie con dolcezza. E Katsuki sorrise. almeno rideva.
— No, davvero, era fallo. Hai toccato la rete.
— Ma non c'era nessuna rete, come cazzo avrei fatto?! — rise, dondolandosi leggermente sulla sedia. — Be', se non è per questo allora per cosa? Fantasmini in vista? O i fantasmini i calzini? Guarda che io non sono un acchiappafantasmi, è una concezione sbagliata del mio mestiere e-
E Kaiju rise ancora. Era così fastidiosamente divertente sentirlo ridere. Katsuki non si capacitava del motivo per cui quella strana risatina fosse adorabile e lo facesse sentire sempre contento. Magari gli mancava davvero tanto essere suo amico... ma no, non voleva credere una cosa del genere.
Si accorse allora che ci fosse del silenzio. Katsuki si morse il labbro. — Kaiju, tutto bene?
— Sì sì! — esclamò lui, affrettato. — Che... che mi racconti, quindi? La festicciola ti è piaciuta? Facevi sempre facce strane quando ti facevamo gli auguri. E anche quando abbiamo cantato tanti auguri a te...
Katsuki inarcò un sopracciglio, mettendosi a cercare tra i video qualcosa da pubblicare. — Be'... vorrei vedere che faresti tu se ti cantassero una canzone che non senti da quando avevi tredici- no, no. Bugia. Quattordici anni.
Kaiju rise ancora. — Touché. Hai ragione. Be', ma davvero, ti sei divertito?
Katsuki sorrise, posandosi completamente sullo schienale della sedia. — Certo. Perché non avrei dovuto.
Dall'altro capo del telefono si sentì qualche rumore, come se Kaiju fosse appena rotolato sul fianco con un sospiro. — No, no... volevo... volevo esserne sicuro, ecco. Ci tenevo. Speravo... speravo davvero tanto che tu avessi una bella festa di compleanno. Pensavo di inviarti qualcosa, di comprarti un regalo, stavo giusto per farlo, ma sei arrivato a casa, e volevi stare con me- noi, e... sì! Be' sono davvero contento di sapere che ti sia divertito.
Katsuki sogghignò leggermente. — Sei proprio un timidone.
Dall'altro capo della cornetta arrivarono dei suoni buffi, e un piccolo "stai zitto..." che fece ridere di cuore Katsuki.
Si sentiva quasi... tranquillo. A suo agio con quella stramba telefonata, nello stare al telefono proprio con Kaiju a discutere di scemenze. Era strano il modo in cui l'umore di quest'ultimo influenzava chiunque attorno a lui.
Ci fu silenzio, ancora una volta. Katsuki osservava in silenzio il soffitto bianco.
— Perché mi hai chiamato? — bisbigliò quietamente, risvegliandosi per un secondo da quel piacevole torpore che lo avvolgeva lentamente. — So che c'è un motivo sotto.
Silenzio.
— Non ho mentito sul voler sapere se ti eri divertito. — fece scivolare fuori dalla sua bocca. La sua voce era così bassa che quasi non era possibile percepirla. Un sorriso quasi impercettibile tremolò per un attimo sulle sue labbra.
— Lo so. So che ci tieni. — sussurrò altrettanto mite. — Mi paicerebbe solo... sapere se c'è qualcosa che ti serve da me. Se va tutto bene. Se hai bisogno di parlare. Di stare in silenzio.
— Io... — si agitò Kaiju. — S-scusa... magari ti... ti dò...
— Una gran voglia di arruffarti i capelli. — fece presente Katsuki. Si sentiva il suo sorriso da come parlava. — Ecco che mi trasmetti. Dai, dillo. Senza rimpianti o quello che credi.
Altro silenzio. Vari fruscii dall'altra parte della cornetta gli permisero di pensare a Kaiju come se si stesse divincolando agitato sul letto. Così tanto da lui.
Alla fine, sentì Kaiju prendere un grosso respiro, e: — Mi sento solo. Vorrei... mi piacerebbe avere un po' di compagnia, se non ti dispiace.
Katsuki rise, alzandosi e andando a buttarsi con uno sbuffo sul letto. — Ecco fatto. Come ti senti ora?
Kaiju rise dolcemente. — Stanco, insicuro... ma divertito, quasi.
— Bene. Perché ho appena deciso che ti farò compagnia. Che ne pensi, come idea ti piace?
— Certo che sì! Grazie, grazie davvero... dimmi quando ti viene sonno e vai pure a dormire.
— Non ce ne sarà bisogno. Sentiamo, che mi racconti di bello?
Katsuki sorrise. Sperava così tanto che stesse sorridendo anche lui. Che il suo cuore fosse in pace, i suoi brutti pensieri solo un lontano ricordo.
Dopo aver chiacchierato con una tale calma e serenità con Kaiju al telefono, Katsuki si aspettava tutto, meno delle brutte notizie in arrivo così presto.
Erano rimasti al telefono per ore. Seppur Katsuki fosse esausto, in qualche modo non sentiva troppo pesante parlare di idiozie con Kaiju per rasserenarlo, nella speranza che poi il sonno gli si avvicinasse e lo accogliesse tra le sue braccia bianche ed eteree, morbide e confortevoli come cotone. Erano rimasti insieme dalle nove passate di sera quasi fino alle due di notte, sospirando rumorosamente, sbuffando risate, ricordando il passato più piacevole. Lentamente avevano riallacciato i rapporti con discorsi campati per aria, parlando di musica, libri, giardini, case, rispolverando vecchie foto, parlando di cibi e ristoranti preferiti.
C'era solo una cosa che Kaiju sembrava evitare sempre come argomento di cui parlare: le relazioni sociali e, in parte la sua vita privata. Katsuki pensò che doveva aver sofferto molto della solitudine e dell'incomprensione sviluppata in quel periodo così buio, e che forse aveva ricevuto la sua chiamata proprio perché non aveva altri a cui affidarsi. Il che lo faceva sentire... male. Colpevole. Era una cosa per lui inaccettabile: in un certo senso sapeva che non era colpa sua se la vita di Kaiju, da dopo il loro distacco, non era fiorita nel modo più adeguato, non lo riguardava. Letteralmente, non era presente, come faceva ad essere colpevole di un reato che non aveva commesso? Eppure sentiva quasi di essere stato accusato di concorso in solitudine: non mettendosi d'impegno per riallacciare i rapporti prima, lo aveva abbandonato nel momento del bisogno. Era particolarmente triste da pensare.
Era necessario rivoluzionare la vita dei Meiun. Era inconcepibile che delle persone così buone vivessero ancora in condizioni così misere, lasciate alle mareggiate più violente con tanta sconsideratezza. A partire dal padre, che li aveva lasciati, a buona parte delle loro amicizie. Persone orribili, secondo il pensiero di Katsuki. Infatti sotto sotto si sentiva uno schifo.
Ma il problema non era solo quello. Giustamente, una persona posseduta non si ritrova sicuramente esorcizzata dal potere dell'amicizia (una cosa del genere potrebbe accadere solo in qualche cartone che ha degli unicorni al suo interno). Ci sarebbe stato bisogno di varie sedute per chiarire i vari aspetti dei cambiamenti nella vita di Kaiju, per stabilire il periodo in cui le cose, per lui, avrebbero iniziato ad andare male, per determinare quanto si estendessero i poteri dell'entità, e definire dunque delle misure di emergenza in caso di necessità.
Katsuki si girò sul fianco, sotto le coperte, e chiuse finalmente gli occhi.
Il sonno lo accolse.
Finalmente poteva riposare.
― Vi hanno sfrattati dal vostro appartamento? ― chiese scioccato Atsumu, scostandosi i capelli da davanti agli occhi con una manata.
Kaiju annuì, facendo ciondolare i piedi giù da una panca nel cortile.
A quelle parole, Atsumu parve dare ancora più di matto. — E con che cazzo di coraggio?!
Katsuki, che si era appoggiato alla panca col fianco assumendo una posa molto figa, strinse le labbra in silenzio, con disapprovazione. Gli adulti erano nell'appartamento dei Meiun, cercando di... non sapeva nemmeno cosa stessero cercando di fare. Forse di parlare di Kaiju. Forse di parlare dello sfratto. Non ne aveva idea, e al momento non gli interessavano i periodi ipotetici o qualunque altra cosa lo distogliesse dal presente. Sapeva solo che i loro genitori non li volevano tra i piedi. E perciò aveva suggerito, sotto pressante richiesta della madre, di portare Kaiju fuori per prendere aria, mentre attendevano l'arrivo di Takeshi che aveva fatto tardi con delle lezioni alla facoltà di meccatronica.
Katsuki sospettava che stesse andando tutto piuttosto male. Ne aveva proprio il sentore. Quella sensazione di solletico alla colonna vertebrale che continuava imperterrito a stuzzicarlo e a tenerlo sul "chi va là". Aveva lasciato le speranze bloccate in quella telefonata fatta la sera del venti aprile. Eppure era passata poco meno di una settimana. Non poteva fare a meno di domandarselo: come era potuto succedere così in fretta?
Era tutto strano. Tutto assurdo. Tutto inconcepibile. Detestava non capire. Detestava non conoscere. Non tollerava il pensiero di non poter capire subito cosa fosse quella presenza che li perseguitava, cosa ci fosse dietro tutti quei disordini irreali, dietro tutti quei giochetti malati che la vita aveva in serbo per loro. Dov'era Dio in tutta questa faccenda incredibile?
― Ho origliato la conversazione al telefono che mamma ha avuto con il proprietario del palazzo, poche ore fa. ― spiegò Kaiju, con voce triste e strascicata. La notte precedente, come svariate altre avute in precedenza, era rimasto sveglio per ore a parlare con Katsuki al telefono. E si vedevano le tracce del sonno mancato su entrambi. Nonostante Katsuki sembrasse piuttosto in salute, lo stesso non si poteva dire di Kaiju. Quella era solo una delle tante notti passate insonni.
― Quello lì ha detto che le nostre urla, i pianti, i brutti odori e i rumori... be', i vicini non li apprezzano. Rischiamo che la polizia ci arresti o cose del genere. — continuò a esporre Kaiju. — L'unico compromesso che abbiamo trovato, per continuare a vivere qui, è stato di trasferirci all'ultimo piano, in un'ala che è vuota del tutto, e sotto di noi non ci saranno altre persone, in modo da non infastidire nessuno. Ma abbiamo dovuto pagare ingenti danni al mobilio, e tutto il resto. Non hanno voluto sentire niente, né dei miei... dei miei allora problemi mentali o altro. Decisamente la conversazione più straziante che io abbia mai sentito, non posso fare a meno di sentirmi in-
― Non continuare la frase.
Katsuki, con una piccola spinta, si staccò dalla panca e fece dei passi avanti, attirando l'attenzione dei due ragazzi. Kaiju lo guardò confuso, e Atsumu quasi si mise a ridere. Quando Katsuki faceva così, non poteva fare a meno di sentirsi in un ridicolo anime avventuroso di seconda categoria.
― Nella mia famiglia diciamo sempre una cosa, ― intonò senza voltarsi. Atsumu sapeva dove voleva andare a parare. Kaiju, semplicemente, lo guardava ammirato, come aveva sempre fatto anche da piccolo. Quando Katsuki era fisicamente vicino a lui, stava davvero bene. ― "Il male si annida nelle menti di coloro che hanno la sfortuna di incontrarlo". Sai perché?
Kaiju alle sue spalle scosse automaticamente la testa, nonostante fosse conscio di non essere visibile.
Un alito di vento spirò tra loro, ondeggiando tra quei corpi privi di grazia, e spostò con dolcezza i capelli di Katsuki, simulando una carezza sul suo viso, il cui profilo contrastava con la luce del sole che lentamente scendeva su di loro. Kaiju a quella vista si sentì... ispirato. E intoccabile.
― Non ci puoi fare niente. Non ci puoi fare niente, se il Male ti trova ti prende di mira. Il Male si atteggia come fa l'uomo di solito. C'è solo una differenza marcata: l'uomo ti prende in giro secondo... secondo qualche principio di superiorità che pensa di avere nei confronti del prossimo, secondo qualche pregiudizio. Il Male ti prende di mira a prescindere. Maschio, femmina, debole, biondo, di colore, religioso, chicchessia. Per il Male, noi siamo solo delle anime a riempire l'Inferno, siamo solo pedine con cui giocare, divertirsi, da portare alla pazzia lentamente e con tutti i mezzi disponibili.
― Oggi sei tu. Domani potrebbe essere il presidente degli stati uniti. Oggi tu hai incontrato il Male, e il Male ha deciso di prendersela con te facendo impazzire tutti coloro che ti circondano. Domani se la prenderà con il presidente e lo farà impazzire facendo suonare il suo pendolo a tutte le ore e lasciandolo senza acqua calda mentre si fa la doccia. Non possiamo fare molto per proteggerci da un attacco inaspettato di questa portata. Possiamo solo scacciare il Male con tutta la volontà che possediamo all'interno delle singole cellule nel nostro corpo, e aspettare che sia Dio a prendere la nostra anima nelle sue sagge mani, per portarle dove vuole lui. Se dovessimo cedere al Diavolo, saremmo noi stessi a condannarci alla dannazione eterna.
Katsuki sentì la voce smorzarsi per un attimo. Prese un profondo respiro e si morse il labbro con forza. Anche solo pensare a cose così brutte in presenza di Kaiju lo spezzava. Sentiva i suoi sensi ostruiti da quella creatura. Quale creatura? Non ne era sicuro. Ma non sapeva nemmeno come altro aiutarlo, se non in quel modo e in quei momenti. Le circostanze sembravano starlo indirizzando lentamente verso la sua vocazione eroica.
― Se proprio devi sentirti in colpa, perché sono quasi sicuro che stessi per dire quello, sentiti in colpa se e solo se cederai al suo volere, e farai ciò che vuole lui senza opporti.
Kaiju calciò una pietra, riflessivo. Atsumu nascose un sorrisetto soddisfatto. Aveva parzialmente indovinato il discorso, ma la svolta che aveva successivamente preso lo aveva reso estremamente figo. Non poteva non essere fiero di lui.
― Hai ragione ― mormorò Kaiju, alzando lentamente la testa. Katsuki gli dava ancora le spalle, per nascondere la sua espressione preoccupata ai ragazzi. ― Io... non potevo effettivamente sapere che cosa mi aspettava, quando sono entrato in quella casa. Non... non sono un veggente, non ancora. Posso solo cercare di adattarmi alla situazione e rivoltarla a mio piacimento fino a che potrò controllare di nuovo tutto io.
Katsuki sorrise, sospirando di nascosto per il sollievo, e quando si voltò per fronteggiarli nuovamente il suo charme li colpì. Per Atsumu era un'esperienza sempre nuova. Quasi al pari di vedersi vomitare addosso un arcobaleno.
— E intanto, fino a quel momento... tu hai noi su cui contare. E non ti lasceremo andare. Per nessun motivo al mondo tu sentirai la nostra mancanza in questo momento difficile, e non ti lasceremo nemmeno dopo che questa faccenda sarà conclusa.
Il modo in cui Atsumu inarcò il sopracciglio con fare saccente fece capire a Katsuki che forse era stato troppo sdolcinato. Ma non poteva farci niente, i discorsi poetici gli uscivano spontanei come le stronzate.
Ma sapeva di aver detto qualcosa di giusto. E forse anche Kaiju lo sentiva, tanta fu la fretta con cui si gettò tra le sue braccia e lo strinse forte.
— Oh, no! — strepitò una voce profonda alle sue spalle.
Non ricambiando nemmeno l'abbraccio, nel tentativo di avere quanto meno contatto possibile con il ragazzo, Katsuki si voltò lentamente verso il piccolo sentiero di ghiaia che portava al cancello. Takeshi li guardava con un gran sorrisone.
— Ho mancato per un soffio il discorso motivazionale di Kat!
Kaiju rise sonoramente, e con imbarazzò si separò dal corpo caldo e rassicurante di Katsuki. — Vuoi dire per caso che fa sempre questo discorso con tutti?
— No, no! — rise Takeshi, avvicinandosi per accoglierlo nel suo abbraccio come avrebbe fatto con un pulcino infradiciato. — Ne fa sempre uno, ma sono sempre diversi, e sono sempre magnifici. Detesto perdermeli.
Kaiju si accoccolò comodamente, con un sospiro contento, e Katsuki sospirò sollevato. Ancora un'altra visione di ciò che aveva per la mente e sarebbe esploso. Non aveva mai detestato tanto il contatto fisico.
Takeshi aveva compreso quel timore da tempo, perciò era davvero contento cercare di rimediare alla sua mancanza di affetto con carezze gentili sulla schiena e arruffatine di capelli tattiche.
Il telefono di Katsuki iniziò a suonare proprio in quel momento, distogliendo tutti dall'atmosfera idilliaca che si era appena venuta a creare.
Katsuki spense la chiamata, e vide i messaggi precedentemente arrivati. Alzò lo sguardo verso gli altri ragazzi, che lo osservavano curiosi.
— È ora di andare a casa, Kai.
E mise il proprio telefono nella tasca dei pantaloni.
Katsuki cominciò a giocherellare con una matita, pensieroso. Guardava la parete rovinata davanti ai suoi occhi distratti, che in quella luce tenue in cui era immerso il salotto apparivano davvero scuri, e dalle irido parecchio violacee.
Non riusciva a togliersi dalla testa lo sfratto. In fondo, però, quella storia non era raccapricciante per essere... una cosa vomitevole, disgustosa.
O meglio, lo era, ma solo da un punto di vista. Sapere che l'uomo come essere umano è capace di compiere crudeltà del genere è davvero raccapricciante, vomitevole e disgustoso, e non c'è giustificazione per questo.
Altra cosa raccapricciante, oltretutto, è la storia di come Kaiju Meiun ha incontrato per la prima volta il Male.
― Quando hanno iniziato i fenomeni, Kai? Te lo ricordi?
Kaiju rimase per un pochetto in silenzio, riflessivo, sotto lo sguardo appannato di Katsuki. Poi si alzò, e uscì dal salotto.
Katsuki e tutti gli altri lo osservarono confusi; Hikariki si alzò e lo seguì fuori, lungo l'andito, seguita da Takeshi che teneva in mano la videocamera in rec. ― Kaiju? Tutto okay?
― Sto andando a prendere una cosa, non preoccupatevi.
Si sentì qualche rumore proveniente dalla fine del corridoio e, dopo poco, Kaiju tornò sui suoi passi, con un computer in mano.
― Avevo aperto un blog, quando è iniziato tutto. ― accese il computer e attese che la pagina internet caricasse. ― Ero piuttosto spaventato, e volevo lasciare dei ricordi, una qualche fonte che qualcuno potesse trovare, sperando mi aiutasse prima che potesse succedere qualcosa di brutto. Qui ho scritto tutto quello che potevo e riuscivo a scrivere. Una volta ho trovato scritta in bacheca anche una cosa che, sono piuttosto sicuro, io non avevo postato. Chissà se riesco a trovarla...
Katsuki, curioso, si alzò insieme ad Atsumu e si fece avanti per ficcanasare su quel portatile.
La pagina che Kaiju aveva aperto era sui toni del grigio, piuttosto curata, dal titolo "Villa Komeroshi - La mia Esperienza". Era anche stata selezionata la bellissima foto di un edificio in decadenza che si stagliava, lugubre e immenso, contro un cielo temporalesco. ― Ultimamente ho avuto del tempo per metterla a posto, per renderla carina... diciamo che non sentivo di avere qualcosa di meglio da fare. ― si giustificò.
Scorse la pagina con il mouse, mostrando loro il profilo e la bacheca degli annunci. Era pieno di racconti, di piccole vicende... anche fotografie, video... di tutto.
― Non so se conoscete questo posto ― iniziò dunque il racconto, indicando un'immagine: era un'enorme casa tipica degli aristocratici giapponesi. Concentrandosi meglio sui dettagli, Katsuki notò che fosse di legno, ma non molto fatiscente; pareva avere anche un primo piano, magari una mansarda... ― Villa Arai, meglio conosciuta forse come villa Komeroshi, è una bellissima residenza vecchia di almeno cento anni, qualche chilometro fuori dalla città. Io... amo visitare questi posti, ho anche un blog apposito perché amo l'architettura, e stavo progettando già da un po' di visitarla.
― Avevo scoperto dopo pochi giorni di ricerche che è conosciuta per varie leggende metropolitane che le girano attorno... dicevano fosse infestata, ma non ci ho dato peso. Pensavo fosse una sciocchezza per tenere lontani i bambini: la chiamano villa Komeroshi proprio perché dicono che, a prescindere che ci entri d'estate o d'inverno, poco dopo che arrivi senti tirare tipo un vento freddo... come se fosse inverno... e che siano state avvistate strane cose al suo interno.
― E così ho ignorato la cosa e mi sono addentrato comunque tra le campagne. Era il venti giugno. Appena trovata, ho avuto una strana impressione... come se non fossi solo. Però avevo controllato ovunque, e almeno nei giardini non c'era nessuno, né segni recenti di qualcuno passato per visitarla... ho iniziato quindi ad osservare la casa e a scattarle le prime foto, con la mia GoPro fissata sul casco per avere un video ricordo da montare a casa. C'erano porte e finestre sprangate, non mi sembrava il caso di entrare, mi accontentavo di ciò ch'era più in vista.
— Scattavo una foto qui, una lì, una dal basso... questo fin quando mi sono accorto, in una delle ultime foto, della presenza di una strana ombra alla finestra del primo piano. Proprio questa foto qui, vedete questa sorta di alone? Non ho mai capito perché non si vedesse quel che ho visto io. Era un'ombra strana, quindi ho alzato lo sguardo, e ho visto tipo un bambino triste in penombra, e mi sono spaventato. Ho pensato "che ci fa un bambino lì? è pericoloso, come ci è arrivato?", quindi ho pensato di entrare di corsa e portarlo via, prima che si facesse del male giocando lì.
― Gli ho urlato di stare fermo e tranquillo lì, che stavo arrivando, e mi sono precipitato dentro. Quindi io sono entrato... e mi sono sentito osservato. Come quando stai parlando all'assemblea di classe mattutina per la prima volta nella tua vita. Ho ignorato la cosa, e salito le scale... e a metà percorso, mi sono sentito stanco, senza energie. Effettivamente, era proprio strano. Pensavo fosse l'agitazione, o per la puzza che c'era all'interno della casa, per cui stavo evitando di respirare troppo, il giorno non avevo nemmeno una mascherina... giuro che non mi è passato niente di paranormale per la testa! Ma ho proseguito e sono arrivato dunque all'ultimo piano.
― Ho dato anche un'occhiata a tutte le stanze della casa intanto che mi avvicinavo. Tra l'altro, e per me era una cosa strana, erano tutte piene anche dei mobili, ma anche di macchie di muffa, umidità... c'erano anche altre macchie di uno strano colore e puzza di fumo. Finché poi non sono arrivato alla stanza dove c'era il bambino. Che, tra l'altro, rimaneva in silenzio e sorrideva in modo inquietante... mi sembrava fosse uscito da una fotografia in bianco e nero, letteralmente, come una sagoma, ma avevo pensato fosse un gioco di luce causato dalla luce che entrava dalla finestra.
― Mi sono avvicinato di corsa e gli ho chiesto, lo ricordo bene, "stai bene, bimbo?". E lì l'inevitabile. Mi sono accorto in ritardo di aver messo i piedi in una strana pozza d'acqua proprio al centro della stanza. Pessima idea, ed effettivamente non da me. Nei giorni successivi ricordo di aver pensato tipo: "sarà stata colpa di qualche pioggia...", ma poi... va be', crack. Il pavimento si è piegato sotto il mio peso, e ricordo di aver sentito il bambino ridere mentre cadevo di sotto. Penso di essere svenuto dopo aver battuto la testa, perché dopo aver riaperto gli occhi avevo dolore dappertutto- soprattutto sulla testa. Mi sono rialzato, spaventato, e appena ho capito dove fossi sono scappato a gambe levate. Da quel giorno, ho iniziato a sentire voci, vedere ombre con la coda dell'occhio, avere malori fisici...
Kaiju scosse la testa, fissando tristemente lo schermo. ― Dopo un po', decisi di postare su un sito tutto quello che stavo vivendo: i miei follower nella pagina da architetto non mi credevano, e non sapevo che altro fare... qui, infatti, qualcuno mi ha dato retta, e mi hanno dato dei consigli, tipo quello di pregare, o di tenere crocifissi o santini vicino. ― sospirò. ― Non hanno funzionato molto.
Hikariki rimase in silenzio per un po', insieme anche a Masaru e tutti gli altri.
― Bro, per caso hai le registrazioni? O qualche ricordo di ciò che è successo? ― chiese Takeshi, facendosi timidamente avanti con la telecamera in mano.
Kaiju agitò il braccio, e l'attenzione di Katsuki ricadde sul suo polso fragile e niveo. Aveva un vecchio orologio allacciato.
― Si è rotto il vetro proprio il giorno, e avevo scoperto che la batteria (che avevo cambiato di recente, per inciso) era stata completamente scaricata. Ancora oggi non funziona bene, e ogni tanto si riblocca alla stessa ora di quando sono caduto, circa le quattro e venti del pomeriggio. Lo tengo solo perché era un regalo di mio padre.
Katsuki annuì, comprensivo. Ricordava che Kaiju non aveva un padre, nonostante non sapesse cosa gli fosse successo.
― Forse l'entità negativa ti ha ciucciato tutta la batteria dell'orologio ― asserì quindi Katsuki, alzando la testa per guardare il ragazzo dritto negli occhi con le sue iridi azzurrognole. ― Per poi, prendere le tue energie. Poi? Hai anche dei video?
E i video li aveva, e anche le foto.
Effettivamente si vedevano varie anomalie nelle foto. Da orbs, strani puntini luminosi simili a polvere che attraversavano gli scatti, fino a foto mosse o che non riuscivano a mettere a fuoco certi punti dell'abitazione.
― Classico ― sospirò Hikariki. ― Le entità negative cercano sempre un modo per farti fare ciò che vogliono sfruttando delle sembianze particolari. Spesso usano i bambini o le donne, per farti abbassare la guardia.
Kaiju chinò il capo, depresso, e Katsuki gli diede due pacche sulle spalle.
― Il Male aggredisce chiunque in modo indiscriminato, Kaiju. Te l'ho detto.
― Sì... ― sospirò Kaiju, poggiando la sua mano su quella di Katsuki, che cercò nuovamente di ritrarsi. Kaiju sospirò ancora. ― Lo so.
— Ma... Kaiju, — Ando si mise a guardare il sito e le date delle registrazioni video sul portatile del figlio, confusa e preoccupata. — Hai visitato questo posto molto dopo aver iniziato ad avere quella sintomatologia che mi ha fatto pensare che fossi depresso.
Il silenzio cadde nella stanza. La famiglia Bakeneko si ghiacciò tutta, da Hikariki l'intrattenibile a Katsuki l'impassibile.
Tutti fissavano a intermittenza Ando e Kaiju. Anche Kaiju era piuttosto sorpreso, forse confuso, un po' sospettoso anche.
— Di... di che parli, mamma? Le vicende autolesionistiche... e...
— Kaiju, — gli mise una mano sulla spalla. — Tesoro, hai smesso di parlarmi di te a dicembre. Hai iniziato ad essere ipersensibile, triste e a tratti quasi aggressivo da quel periodo. E non nego che ciò che è successo da quella visita alla casa abbandonata in poi non sia stato per me... quasi una conferma, ma Kaiju, ti trovo depresso da dicembre.
Kaiju parve tremare. I Bakeneko si alzarono lentamente. Si guardarono tra loro, salutarono velocemente i Meiun, e si ritirarono nella loro dimora. I Meiun non dissero più una parola.
5046 parole
Autrolino dell'Angoscia
ECCOCI QUAAAAAA
Capitolo nuovo nuovo per approfondire le dinamiche e ciò che Katsuki sente in questa baldoria di situazione.
Tante cose sono in atto, piccini... ricordate di tenere una coperta sulla testa, una candela accesa in una mano e un po' di sale nell'altra... proteggetevi dai vostri demoni a ogni costo.
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