Capitolo 1 - SOGNI E INCUBI a cura del cervello di Neko

Un ragazzo, con i capelli di un biondo quasi platino e gli occhi che con quella luce calda e soffusa sembravano rosso sangue, guardava con fare distratto e quasi annoiato i suoi genitori, arrivati quasi alla mezza età, alle prese con uno dei loro classici problemi in cantina.

Stavano correndo da una parte all'altra del piano sotterraneo, per sistemare un'infestazione particolarmente fastidiosa.

    ― Hikari, ti ho detto che devi stare bene attenta a passarlo lungo gli angoli della stanza... sai che se lasci buchi non ha effetto.
    ― Prima lo sistemiamo, tesoro, e meglio è. Lo sai benissimo!
    ― Un lavoro fatto in fretta ma male è un lavoro inefficace, lo sai.
    ― Allora vuoi dormirci tu in questa casa con questi maledetti cosi che impestano tutto? Eh?! Ho già buttato abbastanza biscotti a causa loro.
    ― Hikariki...
    ― Okay, okay.
Hikariki, ovvero la signora Bakeneko, prese un profondo respiro per calmare i nervi, e si afflosciò quasi su se stessa.
    ― Sono calma. Va bene, lo faccio meglio.
    ― Devo stare qui ancora per molto? ― chiese il ragazzo, irritato.
La madre lo guardò. I capelli biondo platino, quasi bianchi, scintillavano sotto la luce serale che entrava da una delle piccole finestre della spaziosa cantina.
    ― Ovvio. Devi imparare il mestiere, conoscerlo! Questo è parte del mestiere. Ce l'hai chiesto tu. L'hai voluta la bici? Pedala!

Il biondo sbuffò, esasperato.

Katsuki Bakeneko. Questo era il suo nome. E, oseremmo dire, che purtroppo era quello il suo nome: di fatto veniva da una famosa, o circa, famiglia giapponese, che non tutti vedevano di buon occhio. I Bakeneko erano dei tipi molto strambi, particolari, e soprattutto decisamente credenti.

I signori Bakeneko, Hikariki e Masaru, si erano conosciuti durante un viaggio in Europa: erano casualmente partiti insieme, come vicini di volo diretti in Germania, e avevano stretto da subito un legame (Katsuki in verità dubitava che sua madre, l'ostile e stoica Hikariki, avesse stretto da subito un legame con qualcuno, ma quando lo raccontavano lui fa sempre finta di niente).
Tra loro c'era stato fin da subito un legame di assoluta fiducia (altra cosa di cui Katsuki dubitava), e avevano rivelato fin dai primi giorni della loro permanenza i motivi per cui erano in visita in quella zona, ovvero ricerche. Masaru faceva ricerche dal punto di vista paranormale, Hikariki dal punto di vista spirituale, culturale, religioso. Entrambi avevano grandi conoscenze della religione, anche cattolica, motivo per cui entrambi volevano indagare in una particolare zona. La Waldniel Hoster School era la loro attrazione di maggior interesse, essendo stata il centro di particolari discussioni anche sotto l'occhio critico di pedagogici.
Insomma... lunga storia abbreviata: questa scuola era stata fondata per aiutare persone con problemi mentali e invece col tempo era diventata luogo di abusi e carneficine. Entrambi ne erano rimasti affascinati.
Masaru voleva indagare per capire se, per caso, fosse stato davvero infestato, invece Hikariki voleva conoscere meglio la sua storia e pregare, da brava cattolica qual era, per le anime che giacevano in quel luogo tetro.
Masaru era affascinato dal modo di vedere le cose di quella ragazza, così giovane ma saggia, che non perdeva la sua bellezza innocente ma neanche il carattere passionale. Hikariki, invece, apprezzava dell'uomo il suo fascino pacato e il suo coraggio nel parlare così apertamente di un argomento solitamente criticato negativamente e assoggettato ai ciarlatani.
Hikariki credeva in ciò che interessava Masaru, e Masaru lentamente iniziò a dar più peso a ciò che riempiva l'animo di Hikariki. Si erano innamorati così.
E lasciandosi andare all'amore che provavano, senza pensarci due volte, erano finiti per... amarsi, in tanti sensi diversi. E da lì, il piccolo Katsuki venne pensato, e dall'amore regalato a quella piccola e nuova famiglia. Nonostante Masaru e Hikariki avessero rispettivamente venticinque e ventidue anni quando ciò avvenne, accettarono di buon grado ciò che la vita aveva loro offerto. Nell'anno antecedente a ciò, però, avevano viaggiato insieme, per conoscere meglio i fenomeni inspiegabili che affliggevano il mondo... e avevano continuato a farlo, anche dopo la nascita del figlio, facendo di esso un vero e proprio lavoro.

    ― Ed è così ― disse Hikariki, facendo atterrare Katsuki nuovamente nel mondo reale. I suoi viaggi astrali da pensatore ogni volta gli lasciavano dei buchi di trama della sua vita abbastanza importanti. ― Che si tengono a bada i fenomeni demoniaci in casa. Chiaro?
Katsuki sospira, esasperato. ― Sì, ma'. Ora ho fame, andiamo a mangiare o vuoi prima buttare un altro pacco di biscotti perché qualcuno, che potrei anche essere io da sonnambulo, ha toccato un pacco di biscotti e lo ha lasciato aperto?
Hikariki prende un profondo respiro. ― Masaru, ricordi della volta che avevo detto di voler mettere delle videocamere di sicurezza in casa...?
    ― Sì? ― chiese l'uomo.
    ― Bene, le voglio mettere ancora. Perché se scopro che siete stati voi due vi stran-
    ― Hikari!
Masaru sospirò esasperato. Katsuki fece lo stesso.
    ― Propongo un salto in cucina. Che ore sono, Katsuki?
Katsuki guardò il suo Lowell nero (regalo del padre, che indossava molto volentieri nonostante facesse notare quanto fosse arrabbiato con i genitori per aver speso soldi per lui), e guardò con disappunto la madre. ― Otto e mezza.
Hikariki si lasciò sfuggire un sospiro. ― Santa pazienza. Va bene. Cucino io o ordiniamo il cinese?
Masaru e Katsuki si guardarono. ― Cinese.
    ― È più veloce ― si giustificò Katsuki.
Hikariki sospirò di nuovo. ― Cinese sia. Andiamo ad apparecchiare. Ma tu, Masaru, chiami.













Katsuki Bakeneko era il figlio di due famosi demonologi. Hikariki e Masaru Bakeneko si erano distinti per i loro studi e le loro scoperte sul mondo paranormale. Erano conosciuti con, quasi, orgoglio dagli studiosi di tutto il mondo come i degni eredi dei coniugi Warren, loro colleghi americani.

I demonologi, per chiarire, sono interessati allo studio del Demonio per eccellenza e di tutte le altre presenze malvagie che possono interferire con la vita delle persone, e amano investigare sul paranormale.

Ci era vissuto a lungo, Katsuki, in quel mondo: tanto che, quando crebbe, cominciò a suscitare in lui della curiosità, della scetticità.

Era quello il motivo per cui intraprese studi di tipo teologico: gli serviva lo conducessero ad una miglior comprensione di questo trascorso filologico, e quando decise di ricredersi un minimo su quelle che definiva "credenze" si unì ai suoi genitori per fare ricerche anche sui fenomeni paranormali.
Avevano sempre cercato di usare fonti riconosciute dalla scienza e razionali per spiegare certi fenomeni, accrescendo la serietà dello studio di demoni e paranormale. Hikariki e Masaru non hanno mai imposto la stessa strada al figlio, che all'inizio odiava il loro lavoro e si ribellava, ma... qualcosa era successo, e aveva fatto scattare la necessità, in Katsuki, di seguire con un po' più di serietà il lavoro dei genitori. Ovviamente Katsuki, essendo il classico tipo molto orgoglioso, aveva avuto non pochi problemi ad accettare il fatto di aver bisogno di loro... era quasi stato un trauma. Ma voleva andare avanti, e capire meglio. Questo era anche il motivo per cui aveva lasciato l'università per cervelloni matematici e si era dedicato invece alla teologia. Si era anche ritrovato più a suo agio, e più incuriosito dalla materia. Era interessante, e non erano troppo chiusi mentalmente (professori e alunni, ma non facciamo di tutta l'erba un fascio: gli era capitato anche di incontrare persone che si rifiutavano di aprire gli orizzonti! Ovviamente non parlava mai con loro.), il che lo istigava a conoscere, conoscere, conoscere sempre di più tutto ciò che c'era dietro.

    ― Abbiamo l'appuntamento con la signora Takagaki. Continua a non voler credere alla sua situazione, ma se continua a vivere in quel posto senza le giuste protezioni le verrà un infarto. ― commentò Masaru, attirando l'attenzione di Katsuki, che li osservava annoiato. In realtà cresceva in lui l'interesse per il caso.

Hikariki annuì. ― C'è un qualche yokai in casa sua che la sta facendo un po' ammattire. Domani le porteremo le nostre informazioni per spiegarle che noi non abbiamo aspirapolveri con le quali succhiare via i fantasmini e lasciarle la casa libera.

Katsuki sbuffò. ― Odio quando le persone rifiutano le protezioni. È davvero stupido. Mi stai pagando per dirti "Sì, casa tua è infestata. Contanti o bonifico?".

Masaru ridacchiò, arruffando i capelli al figlio, il quale si ribellò subito. ― Benvenuto nel club, Katsuki. Ci riuniamo tutti i mercoledì alle quindici. Porta una lanterna scacciaspiriti.

Katsuki trattenne alla perfezione una risata, rimanendo imbronciato.

In un certo senso odiava quel lavoro. Odiava il fatto che le persone chiamassero i suoi per... cosa, di preciso? Trovare un demone e mandare la notizia ovunque aspettandosi di diventare famosi? Nella speranza di ottenere un nuovo amichetto vampiro? Che poi, andiamo, i vampiri non esistono. Eppure esistevano persone che si facevano un'idea completamente erronea del lavoro dei Bakeneko.

I coniugi Bakeneko erano dei ricercatori del paranormale. Desiderosi di sapere sempre di più, si erano anche uniti al New England Society for Psychic Research, un'importante società di ricerche paranormali, fondata dai coniugi Warren nel 1952 per studiare casi paranormali nel New England, in America. Alla fine, ovviamente, vista la grandezza dei loro casi e l'espansione per il mondo del loro nome, avevano iniziato ad accettare anche più persone da altre nazioni. E, una cosa tira l'altra... anche i Bakeneko erano entrati nel giro, tra i membri più moderni, per così dire. Era stata una vera fortuna, la loro: avevano a disposizione più persone a cui riferirsi nei casi più difficili (non che ce ne fossero davvero stati, si dedicavano più allo studio teorico e all'aiutare nei piccoli problemi, al massimo davano le loro impressioni riguardo certi casi... ma niente di più), e anche delle cose in più riguardo l'affascinante storia dei due coniugi che tanto li avevano ispirati da giovani.
In America, le persone tendevano a credere molto di più al paranormale. In Giappone parlavano solo di leggende a cui non credere. Il motto di vita di tutti sembrava essere labora et labora. A parte uno o due giorni l'anno, nessuno aveva il tempo di pregare per davvero. Le persone stavano perdendo la loro spiritualità e l'umanità per pensare solo ai soldi, al futuro, al progresso. Ma progresso de che?

Katsuki, strano ma vero, si era rivelato un amante della corrente romantica dell'ottocento: pensava che sarebbe stato meglio far regredire la società per tornare ad avere un minimo di decenza, di rapporti, di intimità con la propria persona, con la propria testa e il proprio cuore. Vivere con semplicità. Vivere alla giornata. Pensare seriamente, certo, ma divertirsi. Le persone avevano davvero bisogno di qualcosa del genere.

    ― ...e poi ci faremo pagare, com'è giusto che sia. Credi dovremmo contattare già il signor Itō, per sicurezza? ― domandò Hikariki. Katsuki si ritrovò nuovamente a tavola, a cena con i suoi genitori.

Masaru annuiva e si alzava proprio in quel preciso momento in cui Katsuki riprendeva coscienza delle circostanze in cui si trovava.
    ― Il signor Itō andrebbe avvisato per tempo, in modo da preparare preghiere e talismani fatti apposta. Senza contare i suoi sali speciali...

E si incamminò verso la porta. Qualcuno suonò al citofono. Lui accelerò il passo per andare ad aprire.

Hikariki posò il viso sul palmo della mano, pensierosa.
    ― Katsuki, tu come stai?

Katsuki si voltò lentamente verso la madre. Inarcò il sopracciglio. ― Di che parli.

    ― Dormendo. O stando solo qui, in questa casa. ― La donna si sporse più verso di lui. ― Problemi? Distrazioni? Una qualunque cosa che interferisca con le tue energie?

Katsuki iniziò a rifletterci, e dopo cinque secondi, lentamente, annuì. ― In effetti... credo di sì. Da quando abbiamo spostato la nostra collezione di oggetti maledetti, sento qualcosa di strano. Sulla pelle.

    ― Si dice a pelle, non sulla pelle.

    ― No, sto dicendo giusto io, vecchia borsa.

    ― NON DARMI DELLA VECCHIA BORSA!

    ― TU MI HAI APPENA DATO DELL'IMBECILLE!

Hikariki prese un respiro, arrabbiata. ― Calmiamoci. Quand'è che ti avrei...?

Katsuki incrociò le braccia al petto, fissandola dritta negli occhi. Sembrava sfidarla con lo sguardo. ― Mi hai corretto mentre parlavo.

    ― Ti ho corretto perché mi sembrava tu avessi sbagliato. Scusa, eh.

Katsuki sbuffò. ― Come vuoi. Comunque no, lo sento sulla pelle. Una strana sensazione, non la so spiegare. Nessuno mi respira addosso e nessuno mi tocca. Ma è come se in casa ci fosse più... movimento, diciamo. Sento cose che vagano rapide. Sento i loro movimenti muovere l'aria.

Hikariki annuì. Katsuki aveva la faccia di qualcuno che ha dell'altro da raccontare.

    ― Spara.

Katsuki alzò il capo lentamente. ― ...bang? ― fece allora, cercando di nascondere la sua confusione.

Hikariki cercò di non ridere. ― Non nascondere le cose. Parla. Lo sai che ti ascoltiamo.

Katsuki si sedette scomposto sulla sedia, riflessivo, e la madre lo rimproverò subito. Ovviamente ignorò la sua voce.

    ― ...continuo ad avere flashes del passato.

Hikariki lo guardò confusa. Si alzò in piedi, con fare teatrale.

    ― Chi hai visto?

    ― Vedo noi. ― disse Katsuki, corrucciato. ― Mi viene in mente la storia di come tu e papà vi siete conosciuti. Ripenso al mio percorso personale. Non so perché, non sono io che decido di pensarci. Solo... saltano fuori da soli. Come se qualcuno mi obbligasse a vedere un film che non ho chiesto di vedere.
E, capita a proposito, improvvisamente Katsuki ripensò alla sua infanzia, e al motivo per cui avrebbe dovuto, chissà perché, pensarci.

Gli tornò subito in mente un suo amico dell'epoca. Un ragazzo molto carino e adorabile, con la pelle abbronzata, le lentiggini, delle braccine e delle gambette così magre da sembrare stecchini, e sempre con qualcosa di verde addosso (il verde, aveva scoperto Katsuki qualche anno dopo, era il colore preferito della madre), e sempre pieno di gioia. Era un bambino dolcissimo, allegro, scatenato, piuttosto affezionato a lui e talvolta appiccicoso, ma Katsuki a riguardo non gli aveva mai detto niente.
Soprattutto se poi gli proponeva di andare a giocare insieme da qualche parte, o di visitare qualche posto pericoloso (nei limiti di due bambini piccoli) insieme.

Aveva così tanti bei ricordi con lui... con quel dolce bambino... loro agli scivoli, al parco acquatico, e tanti pigiama party insieme, perché quando i coniugi Bakeneko andavano via Katsuki stava sempre a dormire da loro.

Erano una famiglia dolcissima e amorevole, nonostante il bambino fosse rimasto senza padre.

Hikariki tamburellò ritmicamente le dita sul piano in legno sul quale le sue mani poggiavano. Katsuki tornò alla realtà. ― Questo è insolito. ― ammise dopo una manciata di secondi.

Katsuki annuì, alzando il capo. ― Non ho flashes del futuro. Neanche flashes effettivi del passato. Ma se qualcuno parla, e mi dice qualcosa... io istintivamente inizio a pensarci... lo analizzo in modo esagerato. Tanto da perdermi nei corridoi del mio castello della memoria.

Hikariki annuì. In quel momento, Masaru tornò dentro con una busta, tutto soddisfatto.

    ― Niente male, proprio niente male... hanno davvero un buon profumo.

Hikariki si mise ad apparecchiare alla veloce, aiutata da Katsuki.

    ― Masaru, Katsuki ha una strana sensazione.

Katsuki rizzò le orecchie e si voltò furioso. Masaru li guardava a intermittenza. Era spaesato.

    ― In che senso...?

    ― Mamma, non è niente! ― abbaiò Katsuki.

Hikariki lo fulminò con lo sguardo. ― Lo sai bene cosa penso riguardo quei tuoi "non è niente", non costringermi a farti il verso simulando tutte le volte in cui lo dicevi e il tuo sesto senso ci portava a qualcosa di più grande.

Katsuki si immusonì, sedendosi a tavola rumorosamente. ― Va bene. Okay. Come vuoi.

E mentre Katsuki iniziava a spacchettare la loro cena, Hikariki raccontò alla veloce la strana sensazione di Katsuki.

Alla fine del riassunto iniziarono a mangiare.

    ― In effetti... che cosa insolita. ― assunse Masaru, mangiando con relativa calma. Si voltò verso Katsuki. ― Ma non è che abbiamo lasciato uno spirito libero, per sbaglio?

Katsuki scrollò le spalle, immusonito. Cercava di appigliarsi ai suoi dolci ricordi per non pensarci. ― Mi auguro per voi di no. Se è di nuovo il poltergheist di quel vaso che hanno rifilato di nascosto alla nonna, giuro che vado a vivere da Take.

I Bakeneko si guardarono per un attimo. Poi scoppiarono a ridere.

E anche Katsuki, tra un "NON RIDETE! IO SONO FOTTUTAMENTE SERIO!" e un "ME LA PAGHERETE PER TUTTO QUELLO CHE MI AVETE COMBINATO CON QUEL VASO!", non riuscì a contenere un sorrisetto.

    ― Va bene, va bene.
Hikariki si asciugò una lacrima provocata dal riso.
    ― Okay, che sale protettivo dovremmo prendere?

Katsuki e Masaru si guardarono.

    ― Tutti.









Katsuki camminava per strada. Stava seguendo uno strano serpente, che serpeggiava tra le piante, i pali della luce e i cestini dell'immondizia.

Era molto veloce. Lo portò ad un brutto edificio, colorato di giallo ma... sporco e disgustoso. Piuttosto inquietante.

Si accorse che l'atmosfera nella zona era brutta. Molto strana. Il cielo era così grigio cupo da far cadere nel buio tutto il mondo. C'era un forte vento, che tirava dall'ovest, e c'era puzza. Sembrava si stesse preparando una tempesta.

Katsuki seguì il serpente verso quello che doveva essere un condominio, e aprì il cancello che portava alla struttura. La situazione era orribile. L'atmosfera sempre più lugubre, così carica da essere pesante.

Katsuki rabbrividì, affrettando il passo. Rischiava di perdere il serpente.

Entrarono nella struttura. Fecero di corsa le scale, così velocemente che a Katsuki parve di aver percorso solo due rampe. Erano ora davanti alla porta di un appartamento, tra l'altro aperta, e Katsuki vedeva al suo interno solo buio, inquietante buio.

Guardò per terra. Il serpente non c'era, era già andato avanti, piuttosto oltre. Katsuki annaspò per l'ansia che lo attanagliava (perché era così preso?) e gli corse dietro. Sapeva solo che fosse una questione di vita o di morte.

Lo trovò in una camera da letto. Era piena di vestiti, di confusione. C'era sangue. Molto sangue. Forse pelle. Armi di tutti i tipi per terra. Cocci di vetro e di qualunque altra cosa potesse esserci di pericoloso.

Katsuki annaspò spaventato, agitandosi sul posto. C'era molto freddo. Nella stanza la pressione, la presenza maligna, era molto alta.

La figura nel letto non si muoveva. Sembrava non respirare neanche. Aveva le braccia e il corpo insanguinati, soprattutto il capo, coperto da una zazzera di capelli neri.

Katsuki si avvicinò lentamente al corpo, inorridito. Il serpente si avvinghiò lentamente alla gamba del letto. Sentiva la necessità di fracassare il suo cranio a terra con un colpo di tallone.

Katsuki fece per allungare un braccio e sfiorarlo.

Si alzò a sedere di scatto, sudato, con l'orribile sensazione di uno strappo allo stomaco come se fosse appena caduto giù da qualcosa.

Iniziò a guardarsi attorno, in preda alla paranoia. Non c'era niente di strano. Era in camera sua, nel suo letto (fortunatamente), immerso nel buio caldo e confortevole, nel silenzio quieto della notte.

Katsuki si accorse solo in quel momento di aver vissuto uno dei peggiori incubi della sua vita.

Si passò una mano sul volto, esausto e turbato. Era grondante di sudore, ma necessitava di riflettere ben bene su cosa era successo in quel sogno.

Era troppo strano... le probabilità che fosse un sogno premonitore erano alte. Doveva segnarsi tutto ciò che ricordava.

Accese la luce e prese dal suo comodino un quaderno con su scritto, con pennarello indelebile nero, "SOGNI E INCUBI a cura del cervello di Neko", e penna alla mano iniziò a scribacchiarci dentro. Dieci minuti dopo, mise tutto a posto e si preparò per dormire nuovamente.

Spense la luce e cadde preda della stanchezza. Alla fine, erano le quattro meno cinque della notte.

Quando si svegliò nuovamente erano ormai le sei, e Katsuki si alzò, preparandosi per la scuola di fretta e furia per prendere il treno in tempo.

Per uno strano evento cosmico, quando Katsuki scese in salotto sua madre Hikariki stava mescolando il suo caffelatte svogliatamente.

I due alzarono lo sguardo contemporaneamente e si guardarono per un attimo nel silenzio della casa.

    ― Incubi, figlio? ― domandò la donna, lasciando Katsuki sorpreso. Ma solo dentro. Non gli piaceva molto mostrarsi vulnerabile a lei.

    ― ...come lo sai? ― disse infine, prendendo una tazzina dalla credenza. Si sedette poi a tavola con lei e si versò un po' di caffè, sperando di darsi una svegliata. Il giorno ci sarebbe stata una lezione molto importante in facoltà e voleva assolutamente ascoltare il discorso con particolare attenzione.

Hikariki bevve un sorso dalla sua tazza preferita.
    ― Per tutta la notte, affannavi nel sonno e ti agitavi. ― ammise dopo qualche secondo di silenzio. ― Sono venuta a controllarti un paio di volte. Ma non potevo svegliarti, non so perché.

Katsuki strinse le labbra in una smorfia. ― Non potevi venire... e non sapevi perché.

Hikariki sospirò. ― Ti accompagno io in facoltà. Faremo più in fretta. Tu, invece... raccontami qualcosa in più di questo incubo.

Katsuki si lanciò quindi in un racconto quanto più dettagliato possibile sugli avvenimenti del sogno. Il serpente, l'atmosfera brutta e pesante... la descrizione dell'edificio in cui era entrato, quella delle sensazioni che aveva provato, delle distrazioni, del ragazzo nel suo letto che, a ben pensarci, sembrava una ragazza a causa dei lunghi capelli neri...
Tutto quello che gli veniva in mente, veniva detto. Erano tutte informazioni importanti, e voleva anche sfogarsi un po' di quella cosa così pesante e indefinibile.

Alla fine del racconto, Hikariki aveva un'espressione strana. Opaca. Indecifrabile.
    ― Anche tuo padre sembrava disturbato da qualcosa.

Katsuki alzò lo sguardo. Aveva come la sensazione di sapere cosa avrebbe detto.

Hikariki lo guardava fisso. ― Io sono stata tenuta sveglia da te e tuo padre. Voi eravate quelli davvero colpiti da qualcosa.

Katsuki inasprì l'espressione, senza quasi accorgersene. ― Mamma.

    ― Sai meglio di me cosa voglio dire.
Hikariki lo guardava fisso negli occhi. Era inquietante.
    ― Questa è una faccenda da famiglia Bakeneko. Non da Satoru. Viene tutto da quel lato di famiglia. Questo pomeriggio, dopo le tue lezioni, chiameremo tua nonna e le faremo qualche domanda.

Katsuki finì di bere di fretta il suo caffè e si alzò da tavola. ― Vado a prepararmi.

    ― Katsuki.

Lui si voltò. Lo sguardo della madre sembrava particolarmente preoccupato.

    ― Prima o poi dovrai accettare la cosa. Questi sogni, e tutto il resto. Ci sarà un giorno in cui né io, né tuo padre, né tua nonna ci saremo più. E... e questi sono pur sempre dei modi per passare tempo insieme e apprezzarci.

    ― In effetti nonna ha un gran senso dell'umorismo. ― mormorò Katsuki, cercando di buttarla sul ridere. Hikariki accennò un sorrisetto.

    ― Il tuo umorismo tagliente, infatti, è suo.

    ― Il vocabolario scarso e pieno di insulti, però, da dove viene?

    ― Katsuki, guarda, ti giuro, se ti prendo ti appendo al primo albero maledetto che trovo.

    ― E anche le minacce e le maledizioni!

    ― KATSUKI, STAI ESAGERANDO.

    ― SONO LE SEI E MEZZA DI MATTINA, È TROPPO PRESTO PER URLARE!

    ― HA PARLATO IL CANDELABRO CHIACCHIERONE! Guarda, vai a prepararti o userò la caffeina nel mio corpo nel modo sbagliato.

Katsuki salì le scale di corsa, ridendo come un matto.






3822 parole

Autrolino dell'Angoscia

Per sbaglio ho cancellato anche l'autrolino precedente scusate sono scema-

I nomi dei personaggi sono stati tutti cambiati per evitare che ai wattys continuassero a dire che questo libro è una fanfiction *lksajhdrfkgaujshgrfolaujiehsrgdfkoli* quindi sto cambiando lentamente anche il loro aspetto. Spero apprezziate comunque. 

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