Il lupo perde il pelo, ma non il vizio 2/2✔️
Il giorno dopo, poche ore prima dell'inizio della festa del Nuovo Anno, io e Ilona eravamo appena uscite da un lungo bagno caldo ed eravamo comodamente sdraiate su due morbidi cuscini rosa nella sala del tè, gustando un caldo infuso alla vaniglia. Ero avvolta in un accappatoio di cotone bianco, uguale alle ciabattine che avevo ricevuto prima di entrare nella SPA e fissavo il nulla davanti a me, attorno c'erano altri piccoli tavolinetti con altrettante donne intente a rilassarsi.
«Peccato non potersi abbronzare un po'» si lamentò Ilona, dando un'occhiata alla pelle rosea del suo braccio.
«Per me stai bene come sei» le feci notare gentilmente.
«Per te, con la tua melanina, è facile. Stai tre secondi al sole e sei già bruna.»
Le avrei detto che non era così, tra le mie amiche, forse solo Paige mi batteva, ero tra le più pallide.
«Dopo torniamo a fare la sauna?» le proposi e lei fece un mugugno disperato. «Siamo state dentro solo cinque minuti.»
«Cinque minuti di troppo» ringhiò. «Mi stavo sciogliendo. Se vuoi avere una pelle morbida e bella per Mika questa sera, vai a farti fare un massaggio. All'interno coscia, magari» scherzò. Le tirai l'orlo dell'asciugamano avvolto attorno al busto e lei strillò giuliva, coprendosi il seno. «Non ti disturberò, vedrai!»
Ne dubitavo. Alla fine era stato Dominik a cederle l'ultima camera matrimoniale e lui si era accontentato di una camera singola della suite, non da meno lussuosa o comoda. Non sapevo quali programmi avessero in mente Ilona o Dominik e non li chiesi. Per noi i posti in comune erano l'aperitivo al bar con Dimitri e Hergò, la festa e lo spettacolo dei fuochi d'artificio che si sarebbe tenuto a mezzanotte precisa. Io avrei trascorso il primo gennaio con Michael, l'unica persona che mi interessava davvero.
«Mmh» giocherellai. «E tu che farai intanto?»
«Mi godrò altrui compagnia» rispose ridacchiando.
«Dai, non fare la disperata!»
Lei finì il suo tè scrollando le spalle. «Gli uomini sono disperati. Io posso scegliere almeno» si vantò. «Ricorda bene, i maschi vogliono solo un posto caldo per il loro uccello. Ho i miei bisogni fisici.» Scossi la testa, sospirando. «A proposito, hai fatto pace con Mika alla fine?»
La tenni sulle spine per un po'. «Se con "fatto pace" intenti che abbiamo fatto sesso, no. Abbiamo fatto pace nel modo in cui lo si fa tra civili» borbottai, punzecchiandola.
«Sei noiosa! In ogni caso conto che indosserai quella lingerie questa sera. Se fossi stata in te l'avrei messa sotto l'abito da sera, giusto per rendere le cose frizzanti, ma piaci a Mika anche per questo tuo lato così tenero e candido.» Ero sicura che fosse sarcasmo. «A volte fa bene fare qualcosa di diverso.»
«Io non... non voglio fare qualcosa di diverso» mormorai in imbarazzo, temendo che qualcuno mi potesse sentire. Parlare di quegli argomenti con Ilona era semplice, ma nulla mi tolse l'idea che certi potessero sentire le mie parole e parlarmi così alle spalle. «Diverso come?»
Prese un biscotto alla nocciola dal piccolo vassoio tra noi e se lo lanciò in bocca, sgranocchiandolo. «Potresti cavalcarlo. Lo hai mai fatto?»
«Michael non è un cavallo.»
«E tu non sei una pecora.» Arrossii. «Potresti stare sopra qualche volta.»
«Non so se gli piacerebbe» confessai.
«E chi se ne fotte!» sbraitò Ilona, battendo un pugno sul tavolino. Il metallo vibrò e delle donne vicino a noi si voltarono per capire la situazione. Lei si corresse con un sospiro, aspettando che l'atmosfera generale ritornasse distesa e serena. «A nessuno degli uomini cresciuti in Russia piace essere sottomesso, in nessun campo, che sia la scuola o il lavoro, ma ricorda che Michael a letto non sta lavorando, non deve tener conto del Paese o fare rapporto a Gilbert; è solo un uomo ed è tuo, basta. Se vuoi che stia sotto glielo dici, o tagli i fondi.» Non ebbi il coraggio di ribattere. «Pensi che quando l'ho fatto con Dominik gli abbia lasciato le redini? Io stavo sopra.»
«Non voglio saperlo, diamine!» la bloccai.
«Gli ha fatto piacere? Dio, no! Era così rosso che pensavo stesse per piagnucolare! Comunque penso che a Michael piacerebbe moltissimo se portassi quel completino. Starai un incanto.»
Finii il mio infuso e, nel tanto che ci indirizzammo nuovamente verso le piscine riscaldate, ammisi che sarebbe stato interessante vedere la sua reazione. In fondo ciò che accadeva tra noi rimaneva unicamente nelle nostre menti.
Verso le cinque del pomeriggio, io e Ilona iniziammo a prepararci. Dimitri e Hergò erano arrivati poche ore prima, nel primo pomeriggio, ma non li avevamo incrociati né nella hall e né nella sala relax, segno che erano rimasti tutto il tempo nella loro suite privata al piano superiore.
Michael era in bagno insieme ad Ilona, lei, come Freddy Krueger al posto delle dita, aveva rossetti, mascara e blush. Michael si stava rasando quegli ispidi peli mattutini che rendevano le sue guance raschiose, sentivo la musica della radio provenire da là e, in aggiunta, come se qualcuno lo stesse veramente guardando, il televisore era acceso su un reality tv americano.
Feci saltare la valigia sul letto e ci scavai dentro. Facendo attenzione a ricoprire bene la lingerie rosa e azzurra con la biancheria sporca, tirai fuori il vestito rosso che avevo indossato al Kransyy Kukla e le scarpe, tralasciando sia la pelliccia che mi ero portata e sia la giacca. La festa si sarebbe tenuta sul retro, in una sala grande e privata che si affacciava direttamente sul Lago. Era un posto comodo e ottimo per fare festa, alzare il volume della musica, gridare senza infastidire nessuno e vedere i fuochi artificiali, senza contare che se mi fossi annoiata sarei potuta rientrare e riposarmi in ogni momento.
Pinzai i capelli e mi tolsi la felpa e la canottiera che mi proteggevano dal freddo. Benché nella camera la temperatura fosse di ventidue gradi, il cambio mi fece rabbrividire e restai immobile per qualche attimo, il tempo di riprendermi dallo shock e darmi una mossa.
Quando stavo per sfilarmi il reggiseno, la porta si aprì. Di riflesso scattai all'erta e mi coprii furiosa. Dominik fece una smorfia con dileggio, fissandomi con un sorrisetto.
«Che diavolo fai? Si bussa!» tuonai.
«Scusa, pensavo di averlo fatto. Magari non hai sentito bene!» esclamò con sarcasmo.
Non aveva bussato e basta, come lo sapevo io, lo sapeva anche lui. Il fatto che volesse perdere tempo, senza staccarmi gli occhi di dosso, mi innervosì. Afferrai la prima cosa che avevo sotto mano, il mio beauty case, sperando di essere minacciosa e glielo lanciai contro. Non si spostò, non ci pensò neppure e la mia arma si scontrò contro la sua spalla. Fargli male non era il mio intento principale, nemmeno se qualcuno lo avesse tirato a me mi sarei preoccupata del male, perciò lui si gustò la scena con un'espressione di teatrale appagamento.
«Ahi? Volevi farmi male? Gattina, scegli un'arma migliore la prossima volta, altrimenti saranno le unghie degli altri a graffiarti» mi intimò.
Aprii la bocca e presi la canotta nera sul letto, rimettendomela con fretta. «Fuori!» urlai, come se non fosse stato ovvio. «Devo cambiarmi.»
Lui schioccò la lingua senza il minimo interesse per la cosa, mi ignorò e si guardò intorno per cercare qualcosa. Adocchiò il borsone blu da ginnastica di Michael vicino al mobile della finestra e ci andò come se nulla fosse. Lo aprì e io ne approfittai per mascherare la mia faccia spaesata. Dominik si acquattò a terra e ci guardò dentro.
«Se ti serve portalo via!»
«Nulla in più e nulla in meno che io non abbia già visto, o toccato» precisò senza guardarmi. Diventai paonazza dalla vergogna, fumando di rabbia. Lui esultò felice, prese una bottiglietta di gel da sotto un grumo di calzini e si rialzò. «Cambiati pure, non mi disturbi!»
«Hai finito?»
«Mi serviva solo il gel» precisò mostrandomelo «e il mio fratellino voleva tenerselo per sé. Ne ha un barattolo pieno, il divo.»
Indicai la porta. «Lieta che tu lo abbia trovato, ora, per cortesia, esci.»
Lui alzò le mani, lagnandosi. Camminò svogliatamente e io lo accompagnai con un sospiro pesante, ricolmo di nervosismo. Raccolsi la mia trousse da terra e controllai che nessuno dei miei pochi trucchi fosse danneggiato.
«Giusto per farti un complimento, donna» disse Dominik, mescolando un tono di voce acido con uno rilassato «ti sei arrotondata. Specie in alcuni punti. Lo adoro.»
Sbattei un piede a terra, mordendomi un labbro piena di vergogna. «Vattene!»
Senza chiedergli niente, chiuse la porta dietro di sé e mi lasciò sola.
Feci un respiro, mi grattai nervosamente un braccio e camminai avanti ed indietro per smaltire quella serie di emozioni che mi avevano fatta alterare. Per quanto volessi, escludere Dominik dalla mia vita era risultato molto più difficile di quanto prevedessi. Fu quasi impossibile, ogni volta che mi sfiorasse o si avvicinasse per passarmi una cosa, non arrossire. Non lo attribuivo però a qualcosa di debole in me, era semplicemente inattuabile comportarsi con lui come se niente fosse quando i suoi occhi, i suoi gesti e i miei ricordi mi riportavano a quell'orrenda notte. Obbligare me stessa a non arrossire ad ogni sua parola maliziosa o a non trasalire ogni qualvolta allungava le mani verso di me era a dir poco ridicolo.
Michael faceva reagire la mia mente e il mio corpo in maniera positiva, dire che Dominik, in un modo tutto suo, non ci riuscisse a sua volta era una bugia. Era ancora capace di scuotermi.
Indossai il vestito rosso e mi sistemai lo scollo. A differenza di mesi, notai delle differenze che ai miei occhi erano sfuggite, o quanto meno passate inosservate per il tempo: i miei fianchi erano più larghi, i muscoli delle gambe erano rivestite da un morbido tessuto di carne in eccesso e lo spazio tra le cosce si era azzerato. Le mie spalle si erano irrobustite, come le braccia, e i seni fatti più pesanti.
Sembravo decisamente più grande, e grassa. Avevo smesso di fare esercizio fisico dato che la routine della scuola e delle vacanze estive, soprattutto, mi aveva tolto ogni energie e tempo libero. Ricordai la discussione avuta con Dominik l'inverno prima, sul fatto che non fossi abbastanza grande e "donna" per poter essere un minimo attraente. Un anno dopo avevo come fidanzato suo fratello minore, mi stavo per sposare con un ragazzo che non amavo e lui stesso aveva fatto un sincero apprezzamento sul mio corpo. Non doveva farmi piacere (era pur sempre Dominik!) ma una parte di me gongolò con cattiveria.
Andai in bagno e mi truccai, Ilona mi aiutò con il mascara e l'eyeliner nero. Era davvero un incanto con quel vestito nero. Solitamente a capodanno si indossava il rosso e il bianco per augurarsi un inizio migliore e fortunato, ma adoravo il fatto che Ilona si creasse da sola la sua fortuna e le sue credenze. Aumentò l'ombra dei suoi zigomi con una passata di fondotinta scuro sotto le guance e così facendo assottigliò il naso, cosa che non sapevo fare io. Indossammo i tacchi e uscimmo dal bagno.
Michael e Dominik erano in soggiorno. Guardai il mio ragazzo e ne rimasi incantata, non era elegante o chic, ma Michael Petronovik aveva quell'aria che poteva farlo brillare in qualsiasi occasione, seppure non volendo. Era un suo talento naturale. I suoi capelli neri erano lucenti e leggermente ondulati in quella piega ed enfatizzavano i suoi occhi chiari. Portava una semplice maglia bianca e dei jeans neri sfilacciati. La leggera giacca abbinata, sotto il suo braccio, mi ricordò i teppisti dei film americani degli anni cinquanta, in sella ad una motocicletta fiammante, i capelli al vento e l'espressione spavalda.
Michael rimase a fissarmi e io aprii le braccia, facendo una piroetta verso di lui.
«Così la consumi, Mika» scherzò Ilona, stufa.
«Sei davvero un gran figo» borbottai sorridendo verso Michael, sistemandogli il colletto della t-shirt, trovando una scusa per poterlo toccare.
«Allora siamo perfettamente abbinati» rispose, dandomi un bacio sulla testa.
Ilona rimase ferma per qualche istante, poi guardò Dominik e cercò di mostrarsi sicura di sé. «Tu non ti complimenti con la bella dama, Dommy?»
Lui sollevò gli occhi dal cellulare, la vide e rizzò la schiena. Era decisamente bella, se fossi stato in lui la avrei ricoperta di elogi e complimenti, sul trucco, sul vestito e sull'acconciatura, perché sapevo quanto le facesse piacere, ma lui rimase zitto e ci pensò.
«Tu sei sempre bella, ora hai bisogno di sentirtelo dire?»
Se i ruoli si fossero invertiti, se Michael mi avesse detto quelle parole, molto probabilmente mi sarei sentita ferita. Ero abituata alle sue attenzioni e ai suoi complimenti e mi piaceva così, ma per Ilona non era la stessa cosa: lei era nata bella e tutti lo sapevano. Il tono che Dominik usò non fu diverso da tutte quelle volte in cui parlava con lei, fu come se dicesse qualcosa di scontato, superficiale o banale. Quasi sembrò volle metterla alla prova.
Ilona arrossì.
«Quei due idioti sono giù al bar» scoppiò Dominik, fissando con insistenza il suo cellulare.
Se lo ripose in tasca con malavoglia e Ilona aggrottò la fronte. «Non dovevano venire qui?»
«Per questo ho dato loro degli idioti» specificò.
Riponemmo la chiave magnetica nel portafoglio di Dominik, il quale se lo mise in una delle tasche dei pantaloni, si ficcò la giacca di pelle sulle spalle e uscì, sbattendo i piedi furioso. Michael, premuroso, si trascinò sotto mano la mia pelliccia nera, in caso ne avessi avuto bisogno. Lanciai un'occhiata discreta alla mia amica, la quale stava camminando a fianco a Dominik e lo ascoltava parlar male di Hergò. La Ilona di una volta avrebbe giocato molto più in quella situazione, avrebbe usato il suo fascino e la sua astuzia, in quell'occasione si presentò più posata e silenziosa. Non capii, allora, se fosse un bene o un male quella strana trasformazione.
Scendemmo nell'hall dell'hotel e subito notammo un notevole andirivieni. Numerosi gruppi di giovani ragazzi erano accalcati alla reception, alcuni già in abito da festa, con lunghe gonne brillanti o sfarzosi completi da uomo. In tutto l'atrio non c'era un angolo di pace e silenzio e le uniche cose udibili erano i passi scoordinati delle persone e i loro chiacchiericci fastidiosi, simili ad ronzio di una mosca vicino all'orecchio. La sala relax era gremita di persone sedute a gustarsi una tazza di tè, specie gli ospiti più anziani, mente i ragazzi si stavano dirigendo agli ascensori per salire in fretta, dare gli ultimi ritocchi al loro look, e precipitarsi alla vesta al lago.
Dominik e Ilona sviarono verso la caffetteria e li seguimmo, evitando quasi all'ultimo Tobias che, con gran stanchezza e furia, stava correndo da una parte all'altra con le braccia ricolme di borsoni pesanti.
Il bar dell'Oroboro non era altro che un lungo bancone in sala mensa dove, a colazione e a pranzo, vi si poteva ordinare i pasti e vederli preparare. Era accanto al tavolo del buffet, ricolmo di pietanze semplici, gustose e da portare via, ricche di zucchero e grassi. Un uomo in divisa bianca stava rosolando delle patate e sopra di lui un filo di fumo grigio andava a ritirarsi verso un condotto di areazione.
Dimitri e Hergò erano al banco, con un bicchiere con un liquido bianco all'interno. A primo impatto non li distinsi affatto, portavano entrambi una camicia bianca e dei jeans azzurri, ma appena uno dei due si voltò e mi scoccò un'occhiata infastidita, capii quale dei due fosse Hergò. Dimitri ci dava le spalle, ma ancor prima che ci potemmo avvicinare si voltò e ci sorrise.
«Vi abbiamo preceduti, spero non vi spiaccia. Avevo sete» chiarì Dimitri, sollevando il suo bicchiere.
Dominik trattenne un'imprecazione. «Credevo veniste in camera.»
«Vi abbiamo mandato un messaggio, no?»
«Io ho lasciato il telefono in camera» disse Michael a denti stretti.
Ilona prese il bicchiere che Dimitri aveva posato sul bancone, lo annusò e arricciò il naso. Da quel che poteva sembrare doveva per forza trattarsi di un cocktail d'alcol e, dopo alcuni attimi, quel pungente odore mescolato al rhum e latte lo avvertii fresco e pungente nelle narici.
«Papà non ti ha insegnato le buone maniere?» ringhiò Dominik.
«Perché tutta questa improvvisa voglia di portarmi in camera, Dominik? Lo sai, non sei il mio tipo» scherzò il ragazzo orientale, alzando le spalle, mentre il fratello minore scacciò un'espressione di disagio.
«Non è...» iniziò e non terminò la frase. «Spero che tu almeno sia stato di parola» disse verso Hergò e lui, animato, annuì.
«Cinque grammi» esclamò contento, battendosi una mano sulla tasca. «Vedi di non fumartela tutta tu, come l'altra volta.»
«L'altra volta» incalzò Dominik «l'avevo pagata io.»
«E ho visto come ti sei ridotto. Eri morto nella mia vasca da bagno. Non sai reggere niente, coglione» lo prese in giro.
Dominik alzò le spalle, se fosse innervosito non lo diede per nulla a vedere. Pareva che si stesse divertendo. «Niente da ridire alla vostra jacuzzi. Un gioiello!» cantò. «E poi non mi ricordo di essere crollato, c'eravamo io, Ilona e voi copie.»
Ilona scosse la testa. «E quel drago blu che dicevi ti stesse mordendo le palle.»
Dimitri e Hergò scoppiarono a ridere, io tirai un dito a Michael, sperando che mi prestasse attenzione senza attirarne altra.
«Il drago blu?» bofonchiai sottovoce.
Michael inclinò la testa verso di me. «Erba. Di tanto in tanto la fumiamo, non troppa. Una volta si è mangiato una torta cioccolato-marijuana ed era come se i suoi cromosomi si fossero quadruplicati.»
Non dissi altro, trattenendomi dal chiedere ancora quando lui e Dominik si fossero messi a fumare, specie perché io non li avevo mai visti. Non nascosi però che mi dette fastidio.
Hergò trattenne un sorrisetto astuto e sventolò una mano davanti al naso di Michael. «E tu, Petronovik, ti unisci a noi?»
Michael si mostrò titubante. «Per oggi preferisco passare.»
«Se non riesci a metterlo dentro basta che usi Google Maps» buttò lì Hergò, lanciandomi una frecciatina.
«Ma va', la mamma non vuole» lo accompagnò Dominik con freddezza. «Ti sei addolcito parecchio, eh?»
Michael strinse le labbra, senza ribattere. Se fossimo rimasti gli stessi di un anno prima, il Michael di quel tempo gli avrebbe tirato un pugno o ribattuto senza aver nessun rimpianto, invece rimase in silenzio e mi accorsi anche io che aveva fatto centro nella verità. Michael se ne era reso conto da un pezzo.
Dominik passò un braccio sopra le spalle di Ilona, tirandola contro di sé. Loro e Hergò se ne andarono per primi dal bar, Michael cominciò a tirarmi affinché li seguissimo e lasciassimo quella stanza che cominciava a puzzare di chiuso e fritto.
«Questo vestito ti dona come sempre, Chanel» si complimentò Dimitri, affiancandomi silenzioso. Trasalii spaventata e il mio cuore ebbe un sussulto. Era sempre dannatamente silenzioso e con le sue scarpe di pelle pareva scivolare come un serpente ovunque, pronto a mordere. «Come ti avevo detto, la tua bellezza si spreca, quaggiù.»
Tenni la mano di Michael per sicurezza, ma non riuscii a staccare gli occhi da quelli di Dimitri, piccoli, dall'iride nera, circondati dalla sua candida pelle rosata, simile a quella di una bambola. Erano davvero belli, e soprattutto dolci, come le sue parole. Lo notai per la prima volta: mesi prima avevo registrato le sue parole come una forma di cortesia o di presa in giro, ora, per un motivo o per l'altro, le percepii come sincere.
Ebbi in gola l'impulso di chiedergli di più sulla sua defunta fidanzata, volevo assolutamente conoscerne il nome e il volto, magari per vederla meglio accanto alle figure molli delle ex mogli di Gilbert. Le vedevo ancora. Chissà se lui riusciva a vedere lei, se era felice, se era malinconica o se lo incolpasse di qualcosa. Era davvero difficile vedere Dimitri dalla parte del torto.
Dimitri corrugò la fronte, come se avesse avuto un improvviso dubbio e arrossì.
«Grazie» borbottai con difficoltà.
Il ragazzo annuì, ci superò e raggiunse suo fratello che, sotto gli occhi costanti e vigili del fratello, si incupì. Michael rafforzò la presa e mi misi sotto il suo braccio, spingendo la guancia contro di lui. Mi coprì le spalle con la pelliccia e uscimmo dall'hotel insieme ad altri ragazzi.
Il resort aveva dato la sua disponibilità nell'usufruire di uno spazio chiuso vicino al ponticciolo sul Lago Ladoga per una festa privata a cui avrebbero partecipato poche centinaia di persone. Si trattava di uno stabile in legno, molto probabilmente era stato ideato come una location per matrimoni o ritrovi, ma il clima freddo o la semplice ubicazione dell'albergo, benché fosse di lusso e avesse tutti i comfort, rese difficile l'attuazione di quel piano.
L'interno era di notevoli dimensioni, il pavimento composto da assi di legno, così come il soffitto basso, da cui calavano una pioggia di strisce brillanti e fluorescenti. Mille palloncini gonfiati con l'elio galleggiavano come boe a mezz'aria. Alcuni fortunati finivano sul soffitto, altri venivano fatti scoppiare di proposito, tuttavia, con quel volume della musica, nessuno ci faceva caso.
C'era una passerella di legno che portava in quella distaccata dépendance, era necessario passare la fine striscia di alberi innevati, prima di camminare sulla ghiaia e poi sul piccolo spiazzo asfaltato dell'annesso. Il Lago Ladoga era a pochi metri, l'aria fredda tirava dall'interno verso di noi, sottovento. C'era un buon odore nell'aria, cioccolato, alcol e muschio selvatico. Proseguendo sempre più avanti, la musica andava aumentando e tutti i rumori del bosco vennero completamente sormontati dalle attività di svago.
Lasciammo le nostre cose sul primo divanetto libero che trovammo. Dimitri si sedette con suo fratello e Dominik per fumare e ordinarono subito qualcosa per sciogliersi. Mi tolsi la pelliccia e constatai che facesse davvero caldo, seppure all'esterno ci fossero meno di dieci gradi sottozero.
Io e Michael andammo subito a ballare. La musica era alta, aveva un ritmo incalzante. Non sapevo chi fosse il cantante, ma il DJ alla console, oltre la folla su un palco a fine locale, portava delle grosse cuffie arancione fluo ed era bravissimo. Ilona ci raggiunse, in meno di due minuti trovò un ragazzo che ballasse e si divertisse con lei. Era un bel tipo, alto come un giunco, magro e con le braccia muscolose e dai capelli corvini. Il suo tipo ideale.
Non eravamo al centro della pista e riuscii a vedere molto attentamente lo sguardo funereo di Dominik indirizzato a lei. Se lo notò, non se ne preoccupò molto dato che continuò ad avvinghiarsi a quel tipo come se fosse diventata una pianta rampicante.
«Ehi» mi chiamò Ilona e mi prese una mano. «Muovi di più i fianchi e usali. Hai fatto danza, no?»
Avvampai. «Danza classica non significa ondeggiare i fianchi» specificai.
Posò le mani sulle mie anche e le mosse da sola, disegnando un otto immaginario nell'aria, spingendomi a mano a mano verso Michael. Lui rizzò la schiena, attento. Riuscii ad avvertire la curva delle sue gambe e della patta vicino al mio fondoschiena prima di levarmi Ilona e le sue maniere di dosso.
«Sei una pecorella o un cavallo, Chanel?» mi domandò eccitata a denti stretti, ritornando dalla sua nuova fiamma.
Strinsi i denti, levai gli occhi al cielo e mi voltai verso Michael. Odiava quel genere di musica latina remixata, lo aveva sempre fatto. La mia attenzione per il locale si spense interamente quando vidi il suo viso, cereo come la luna per via delle luci basse. Grazie a quelle i suoi occhi si fecero più intensi e l'azzurro dell'iride più sottolineato.
Cercai di abbandonare quel senso di ansia e vergogna che mi attanagliavano le viscere, lentamente mossi i fianchi e mi avvicinai a lui. Non sapevo ballare in modo sexy e audace, la danza che conoscevo era fatta di movimenti lenti, armonici e aggraziati, ma Ilona era davanti a me e imitai i suoi movimenti come se stessi prendendo spunto dalla mia vecchia insegnante di danza.
Ilona era fantastica, si muoveva con sinuosità, era come assistere ad una danza di accoppiamento di qualche animale, selvaggia e proibita. Il suo corpo era premuto contro quello del ragazzo e nessuno ci faceva caso. Gli altri ragazzi erano impegnati come noi, bevevano, urlavano, cantavano e ballavano. Quel modo era oscuro e viscerale, perversamente attraente. Le ragazze presenti ondeggiavano come molle e ignorarono i ragazzi presenti che se le stavano gustando con gli occhi, una ad una. Si stavano godendo la loro sensualità e non si vergognavano affatto di avere pubblico, era più che gradito.
Due ragazze vicino a noi fissarono Michael e bisbigliarono con le guance rosse. Non mi considerarono nemmeno, era come se non esistessi affatto. Se avessero potuto si sarebbero messe davanti a me per rubargli un ballo di fortuna e trovai questo pensiero spregevole. Ricordai le parole di Ilona e strinsi le dita in un pugno gelato. Io non ero la sorella di Michael, tanto meno una sua semplice conquista: ero la sua ragazza e dovevo dimostrarlo.
Mi avvinghiai a Michael e gli diedi la schiena, sentendo tutto il suo corpo a contatto con essa. Mossi le ossa dei fianchi e del bacino per cercare un maggiore contatto. Michael seguiva i miei movimenti, mi avvolse con le braccia e mi strinse maggiormente a sé.
«Attenta a come ti muovi, Chanel,» mi avvertì duramente «o non ti faccio arrivare in camera.»
Ridacchiai a quella provocante minaccia.
«Ehi, ehi! Me la consumi così!» s'impicciò Ilona, distanziando Michael. «Aspetta la mezzanotte, ragazzone. Lei è ancora roba mia.»
Michael alzò le mani, sconfitto. «Sei stata tu a gettarla tra le mie braccia.»
«Già, non in altro!»
Il ragazzo che stava ballando con Ilona si scompigliò i capelli e si fece avanti, sventolandosi la maglia lontano dal suo corpo accaldato. «Posso offrirti da bere, amico?» propose verso Michael con un'espressione divertita. «Siamo di troppo?»
«Hai capito tutto, Eugine!» lo apostrofò Ilona senza cattiveria e gli mandò un bacio volante. «Mika, mi porti qualcosa anche tu?»
«Certo, porto ad entrambe già che ci sono. Vi aspetto al tavolo.»
Ci sedemmo affaticate. Hergò era seduto insieme ad una ragazza dai boccoli rossi, un'asiatica, e stava bevendo uno di una lunga serie di shot di vodka e limone. Dimitri, seduto a braccia conserte, fissava dritto a sé un punto lontano. Doveva annoiarsi parecchio, le feste di quel genere non gli piacevano, ma evidentemente era stato costretto a parteciparvi dal padre.
Il tavolo era pieno di bicchieri mezzi vuoti, due bottiglie di vodka aperte e una di rum.
«Ti stai divertendo?» domandai a Dimitri e lui ci mise alcuni secondi prima di recepire il messaggio, sbatté gli occhi più volte e mi guardò con aria assonnata.
«Certo» mi rispose. Sarcasmo puntiglioso. Sapevo riconoscere da me quando rimanere zitta e lo feci. Lui sospirò, rendendosi conto di aver sbagliato. Si schiarì la gola e, attento, si inclinò verso di me. «Vedi quel tipo lì?» Né Ilona e né suo fratello fecero caso al suo dito puntato contro un ragazzo vicino alla porta. «Foma Vorobyov. Suo zio possiede metà dei porti della costa nord della penisola di Kola» mi raccontò. «Lui... Yuri Zaytsev. Si è laureato a Oxford con il massimo dei voti in tutte le materie, ora con i suoi fratelli è uno dei massimi direttori della Banca Zaytsev a Mosca. Lei...» Spostò il dito verso una ragazza dal vestito lilla e dalle zeppe verdi. «Arina Petrov.»
«Cosa ha fatto di bello?»
«Ha solo degli orrendi gusti in fatto di moda» sospirò «ma all'estero è una modella cosplay molto ambita da ogni casa di moda del genere. Questa non è una festa qualunque, credo tu lo abbia capito. Questa notte i maggiori rampolli, belli o bastardi, sono qui intorno. Mio padre crede che tu non avessi dovuto parteciparvi.»
«Lo crede anche tuo fratello?» Guardai dritta davanti a me per non insospettire Hergò, in ogni caso non mi avrebbe mai degnato del suo interesse.
«Sì» disse senza peli sulla lingua. «Mesi fa avrei detto anche io la stessa cosa, eppure adesso cominci a destare un mio genuino interesse, Petronovik. Buffo!»
Feci un sorrisetto freddo. «Magari un giorno racconterai la mia storia a qualcuno.»
«Chi lo dice che non lo sto già facendo?»
Michael e Eugine tornarono al tavolo e irrimediabilmente divenne più stretto. Bevemmo a nostra volta due boccali di birra schiumosa e delle patatine alla paprika piccante che mi fecero andare a fuoco la gola. Facemmo dei giochi con i bicchieri di vetro e i nostri visi divennero più rossi di quel che erano, accaldati dal bere e dalle risate.
«Oddio!» strillò Ilona e batté un pugno sul tavolo, facendo trasalire gli altri presenti intontiti dall'alcol. «Adoro questa canzone! K-pop! Vieni, Chanel!»
Avevo in bocca delle olive e perciò non potei contestare. Eugine si spostò per lasciarla passare e lei mi afferrò un polso, alzandomi di peso.
«Dovresti prima imparare a camminare, donna» la rimbeccò severo Dominik, osservando il modo in cui le tremavano i piedi nei suoi tacchi alti. «Siedi e smaltisci la sbornia. Non ti aiuterò ad alzarti.»
Lei gli cacciò la lingua, mi prese sotto braccio e lo sfidò. «Ho chi mi aiuta a farlo, per tua fortuna.»
Quando ci allontanammo, Michael diede una gomitata al fratello, che continuava a fissare Ilona con aria infuriata. Questa si girò e lo salutò baciandosi il dito medio e scandendo la parola "imbecille" con le labbra, mentre sculettava con aria giuliva. Scossi la testa.
«Non sei stata carina» le feci notare.
Lei mi zittì. «Non si parla quando cantano le Blackpink!»
Ballai con lei senza dire nient'altro, ma lo feci soprattutto per paura che potesse cadere per terra o andare da altri ragazzi. Persi di vista Dominik. Sicuramente il giorno dopo avrebbero litigato e lei se ne sarebbe pentita, correndo da me per trovare una soluzione al suo problema. Doveva capirlo da sola che tirare avanti quell'assurda situazione non portava a niente. Non potevano continuare ad essere semplici amici perché i loro caratteri facevano a pugni.
Improvvisamente la musica si fermò e Ilona gridò il suo dissenso. Io sospirai e mi asciugai il sudore sulla fronte, contenta di poter smettere di muovermi. La pianta dei piedi stava cominciando a dolermi sul serio. Le voci dei centinaia di ragazzi si fecero sentire più forti, sordi per via dei bassi costanti. Le luci ruotarono verso il palcoscenico del DJ e lo inquadrai mentre altri addetti spostarono la sua console a lato. Era un tipo buffo, troppo punk per i miei gusti e quando cominciò a parlare, con il suo accento strano, fece ridere molti, radunando vicino a sé molte persone.
Non capii nulla, forse parlò in finlandese o in qualche dialetto russo, o forse fu per colpa del microfono che confusi molte delle parole urlate. Un tipo con una camicia a quadri nera e rossa si presentò da me e alzai le mani per fargli capire di essere già impegnata.
«A nessuna delle due piace l'uccello, uomo» sibilò categoricamente Ilona, mandandolo via.
Stava ancora parlando con me quando vidi Dominik salire sul palco. Picchiai i pugni sulle spalle di Ilona e la feci voltare. Il suo ghigno umido d'alcol e spensieratezza si appiattì e come me aprì la bocca, sconcertata. Non avevamo mai visto Dominik in quel modo: i suoi lunghi capelli erano ravvivati dal gel, scossi come se avessero ricevuto una scarica elettrica. Gli scendevano sugli occhi e sulle spalle come se indossasse una maschera nera. La vita dei pantaloni era al di sotto dei fianchi, quasi al limite consentito dal pudore umano, ma non gli importava. Il suo viso bianco era decorato da una striscia di trucco nero sotto gli occhi, così come sugli zigomi. Era in contrasto con la sua carnagione.
Indossava una giacca di pelle nera, dei guanti senza dita e dei pantaloni del medesimo materiale, aderenti, che gli fasciavano le gambe tornite e i glutei. Al di sotto, lo notai dopo che tutte le ragazze presero a gridare, non portava niente. Il suo corpo era perfetto, lo avevo potuto vedere da sola molte volte: i suoi pettorali esposti erano in risalto e la luce primeggiava le sue forme scolpite, le morbide onde dei suoi addominali, le clavicole ossute e quella linea di peluria che gli scendeva fino all'orlo basso dei pantaloni erano un inno perverso e tutto di lui pareva gridare il sesso più sfrenato e lussurioso.
Sembrava proprio la reincarnazione di una divinità dell'ombra, una rock star con il suo torso ricoperto di tatuaggi di vario genere.
Iniziò a cantare e né io e né Ilona capimmo più nulla. Lei era immobile, non sembrava capire più nulla della realtà e rimase a fissarlo con gli occhi spalancati e increduli. Lo fece apposta. La guardò mentre lo fece. Respirai male. La voce di Dominik era roca e bassa, perfetta per cantare quella canzone rock-metal e solo lui, con il suo stile, le sue urla, era capace di rendere quel genere un banchetto erotico e libidinoso per tutti, persino per i maschi che, esaltati, mossero le teste e saltarono. Dominik guardava verso di noi, cantava in modo sublime, serio, con il suo solito ghigno perverso. Era intoccabile. Lontano. Irraggiungibile per tutti, persino per Ilona. Lei non gli toglieva gli occhi di dosso. Era come se ci stesse invitando ad andare da lui e a togliergli gli ultimi vestiti rimasti.
No, quella era solo una mia fantasia!
Io però lo avevo avuto, avevo nella mia memoria molte più scene proibite di quelle che le ragazze stavano immaginando di fare sul suo corpo quella sera. Avevo assaggiato il suo corpo, le sue labbra e il suo innegabile talento. Avevo avuto molto più di quel che avrebbero sperato altre ragazze quella sera.
Le gambe mi tremarono e una strana sensazione mi rese le gambe umidi e calde, ripensando alle sue grandi mani che stringevano il microfono. Mi sentii come se mi avessero tirato un secchio d'acqua in faccia.
«Ti prego, andiamocene» supplicai Ilona e la tirai.
«Vai tu» mi liquidò lei. «Io... credo che starò qui.»
«Tanto non lo avrai.»
Non seppi perché lo dissi, ma lo feci con un intento cattivo, quello di ferirla e gustarmi la sua faccia triste. Non ci pensai nemmeno e lei non mi sentì per via di un assolo di chitarra. Mi tappai la bocca e con un'orrenda sensazione spintonai le persone dietro di me per lasciarmi passare. Si erano tutti radunai ai piedi del palco, quasi tutti a parte poche persone sedute per terra o al bancone del bar, perciò raggiunsi facilmente il nostro tavolo.
Michael aveva la faccia rossa e stava ridendo sguaiatamente per una battuta di Eugine. Dimitri li fissava storto, dall'altro capo del tavolinetto rotondo con un'aria di sufficienza.
«Hai visto chi è che canta? Guarda un po'» esclamò Michael appena mi avvicinai abbastanza.
Scossi la testa. «Sì, lo so» berciai. «Devo parlare con te. Per favore, vieni fuori.»
Michael emise un lungo lamento, simile a quello di un bambino viziato e il ragazzo alla sua destra esplose in una risata che contagiò entrambi. «Fuori fa freddo! Sto aspettando Hergò!»
Guardai Dimitri per chiedergli spiegazioni. «Mio fratello non tornerà. Si è divertito a mettergli il resto della roba nel suo bicchiere e lui ha mescolato varie cose» borbottò pacato.
Strinsi i pugni, sentendomi presa in giro. Dovevo spiegare tutto a Michael.
Allontanai il bicchiere da sotto il suo naso e lo costrinsi ad alzarsi.
«Ti serve una boccata d'aria!» lo spronai. «Avanti!»
Quando l'esibizione di Dominik si fermò, lo spazio tornò opprimente com'era stato poco prima e l'aria fresca che entrava dalla porta si mescolò al respiro accelerato degli altri ragazzi, scaldando l'ambiente. Furono moltissimi quelli che saltarono da lui e si complimentarono, evidentemente pensando che Dominik e Michael fossero la stessa persona. Lui non ci provò nemmeno a spiegare la situazione, batté il cinque a numerose persone e ricevette un bacio sulla guancia da una sua "fan".
Dopo quindici minuti riuscii a portarlo fuori e dovetti sorreggerlo con tutte le mie forze affinché non cadesse con la faccia per terra. Sperai che si divertisse, perché io ero su tutte le furie.
Fuori, il cielo era più nero del mio umore, ma non c'erano nubi e le stelle e la luna erano come piccoli pezzi di vetro brillanti. Gli occhi mi facevano male ed ebbi dei giramenti di testa per via delle luci che mi ruotavano davanti. Faceva freddissimo e io non avevo la giacca, al contrario di Michael. Sugli alberi, numerosi occhi gialli si fecero vedere.
Lo feci sedere sui sassi, a bordo del lago e gli esaminai il viso caldo.
«Sei ubriaco» lo accusai.
«Non è vero. Fammi il test!» mi prese in giro, crollando con il viso sul mio petto, stringendomi forte a sé. «Vieni, facciamolo qui!»
«Sei davvero andato. Hergò ti ha messo qualcosa nel bicchiere» sibilai e lui schiuse le labbra, colpevole.
«Ooh» cantò. «Ecco perché mi vedo sette dita!È davvero divertente! Devo solo riposarmi un po'» mi tranquillizzò sereno. «Dov'è mio fratello?»
Deglutii un groppo amaro. «Devo parlarti di lui. De...»
«Chiamiamo papà!» propose. Aprii gli occhi, allarmata. Pessima idea. «Si arrabbierà se...»
«Lo chiamo io, okay?» replicai, cercando di sorridergli. «Vado a prenderti il cellulare, tu resta qui.»
«Buona idea, buona idea.»
Corsi dentro da Dimitri e mi guardò esterrefatto quando gli chiesi il suo aiuto.
«Il tuo ragazzo è ubriaco e vuoi che lo tenga d'occhio?» sbraitò, tirando la bocca in una smorfia piena di stizza. «Non sono il tuo facchino.»
«Sei stato seduto per quasi due ore senza fare niente, ti chiedo un favore e tu ti permetti di obiettare, come se avessi cose migliori da fare?» lo attaccai incredula. «Non ti ho chiesto di prendere ordini da me, io non sono Gilbert o Dominik. Tu sei un mio amico e spero che tu mi consideri tale non solo per far piacere a tuo padre. Per favore, ho bisogno di te.»
Mesi prima non mi avrebbe mai aiutato, ma respirò deciso e annuì. «Ti servirà del succo di frutta» fece d'un tratto con fretta, alzandosi. «Credo che abbiano mescolato brandy e whiskey, perciò gli servirà bere molto. Ha mangiato, perciò dovrebbe riprendersi in fretta se gli porti un succo o una bevanda isotonica.» Lo portai fuori da Michael e lo indicai. «Non fare quella faccia, io non c'entro!» si difese.
«Non eri vicino a lui?»
«E che devo fare, badare anche al tuo di fratello?» ringhiò, acquattandosi vicino a Michael e dandogli degli schiaffetti sulle guance per tenerlo sveglio. Si mise dietro di lui e gli massaggiò il punto al centro della nuca. «Michael, massaggia con una pressione sopra il ponte nasale, ti aiuterà a rimetterti.»
«Il ponte di cosa?»
Dimitri mi lanciò uno sguardo esasperato, dopodiché si rese conto che fosse la l'effetto del suo stesso menefreghismo e allentò la presa. «Lo terrò d'occhio finché non torni per far sì che non affoghi. Tu rimedia una bevanda isotonica, niente caffeina. Ce ne sono nel minifrigo in camera. E se hai prendi qualche antidolorifico. Vedo di prendere un succo di frutta, intanto.»
Mi allontanai e Michael urlò il mio nome, convinto che me ne stessi andando.
«Vado a prenderti qualcosa da bere. Ti sentirai meglio. Hai sete?» domandai dolcemente. Lui annuì. «Stai qui e non fare pasticci.»
«Giuro!» esclamò contento. «Ho anche freddo.»
«Il freddo ti farà bene.»
Li lasciai sulla riva del lago, corsi a prendere la mia pelliccia e tornai dritta all'hotel. Erano quasi le undici, i fuochi artificiali sarebbero iniziati tra un'ora e dovevo fare in fretta. Camminando verso la suite mi resi conto che mi veniva da vomitare, dubitai fosse per colpa dell'alcol, anche perché non mi girava la testa e avevo ancora tra i denti il sapore dell'ultimo tramezzino che avevo mangiato. Ero sazia e stavo bene, ma non mentalmente.
No, c'era Dominik.
Dovevo assolutamente dire a Michael del patto, di quello che avevo fatto per lui e chiedergli perdono. Quella situazione stava cominciando a pesarmi davvero. Dovevo lasciami alle spalle quell'anno di merda, dovevo iniziarne uno nuovo con lui, uno sincero e puro, senza Dominik, senza bugie e senza quel patto. Era ora di smetterla di rimandare perché "non era il momento", perché, semplicemente, il momento di riferirgli un simile tradimento, non sarebbe mai arrivato.
Attraversai il corridoio del dodicesimo piano quasi correndo. Appena misi la mano sulla maniglia mi resi conto di non avere la chiave magnetica e di dover tornare indietro per prenderla, ma quella si abbassò e si aprì comunque. Era aperta.
Un tremendo pensiero mi sconvolse la testa. Era entrato qualcuno per derubarci? Un ladro? Era ancora lì?
Mi tolsi le scarpe e con passi leggeri andai verso l'ultima camera del corridoio, l'unica ad avere la luce accesa. Scostai la porta e vidi Dominik. Aveva la faccia schiacciata contro il tavolo di mogano, la giacca di pelle era sul letto.
«Dom?» lo chiamai e lui scattò all'erta, spaventato. Si pulì velocemente il viso e solo dopo che si alzò vidi una sottile striscia di polvere bianca, un misero rimasuglio, vicino al suo pacchetto di sigarette rosso e bianco. Stavo sorridendo come un'ebete e non sapevo nemmeno perché. La mia faccia era congelata. «Cosa... fai?»
«Chanel...» mi chiamò con tono dolce.
«Hai la faccia sporca» balbettai.
Lui si fermò, guardò il suo riflesso alla finestra e ridacchiò aspramente, strofinando via i residui dal naso con il polso.
«Tutto a posto, adesso» mi disse semplicemente, alzando le mani.
«Non!» Mi bloccai e deglutii per paura, indietreggiando. «Non avvicinarti!»
«Posso spiegarti, per favore» ripeté. «Vieni, dai.»
Gli rivolsi un'occhiata disgustata. «Tu sei malato!» lo accusai. «Michael ti stava cercando, era preoccupato e Ilona... Ilona voleva anche stare con te! Tu li hai abbandonati per... per questo?» lo interrogai severa, retoricamente.
«Sei... arrabbiata con me?» chiese, allargando gli occhi e alzando le spalle.
Non ero arrabbiata. Non ero sua madre, me ne fregavo di quel che faceva, il problema era che Michael lo amava e di conseguenza non potevo allontanarlo definitivamente dalla mia vita per levarmi tutti i problemi di torno.
«Sono disgustata» rettificai decisa. «Da te.»
Scosse la testa. «L'ho fatto per te.»
«No!» strillai e lo spinsi per farlo indietreggiare. «Come ti permetti di venirmi a dire una cosa del genere? Lo stai facendo per me? Che devi osare!»
Si tirò su il naso, come se fosse un bambino ripreso dal genitore. «Io non intendevo...È che pensavo...»
«Puoi fare quello che vuoi, me ne sbatto delle tue scelte, ma Michael non merita tutto questo. Io non lo merito! Mi hai già fatto soffrire abbastanza e vuoi essere considerato una vittima anche da me? Con quale arroganza! Non meriti di avere il sangue in comune con una persona così buona. Dopo tutto quello che è successo con me e con tuo padre...» tuonai senza respirare. «Pensavo avessi smesso...»
Lui annuì stancamente. «Avevo smesso.»
«Sei troppo debole per smettere davvero. Non ho visto segni sul tuo braccio.»
Lui fece spallucce e sollevò gli avambracci per mostrarmeli. Dei fori viola sarebbero stati facilmente visibili a tutti, ma non c'erano tracce. «No, è vero, ma iniettarli non è l'unico modo per farsi, stupidina. Ho visto il vestito dentro la tua borsa» mormorò afflitto e io rimasi immobile. «Stavo cercando qualcosa per... be', per sbaglio ho urtato la tua valigia e... si è aperta... Non avrei mai avuto le stesse chance di Michael, vero? Era una partita persa dall'inizio?»
Un tempo, lo ammisi, avrei potuto amarlo. Mi sarebbe piaciuto salvarlo, ma io non ero abbastanza brava, forte e paziente. Se si fosse mostrato dolce e comprensivo, saremmo potuti almeno essere amici, andare d'accordo come fratelli, ma lui non era niente di ciò. Era un mio nemico e non meritava niente, non da me, aveva avuto fin troppo. Tentare si salvarlo significava subire del dolore, piangere lacrime amare e avere l'energia di continuare a restargli vicino. Io non ero così temeraria. Per me era meglio lasciarlo cadere dalla fune su cui si era appigliato con tutte le sue forze per non cadere nell'oblio; avrebbe causato meno male se fosse morto, anziché vivere a spese altrui.
«Mi avresti amato se...»
«Io non ti avrei mai amato» dissi aspramente, quasi ridendo. «Sei ridicolo! Non potrei amare mai qualcuno come te, ti rendi conto? Sei un mostro, un perdente e un drogato. Vuoi avere persino la mia pietà? Che ridere! Tu non puoi amare, non sai nemmeno cos'è l'amore! Non lo meriti.» Gli puntai un dito contro e la sua espressione si indurì, gettando via la maschera di reità che adoperò. «Dirò tutto a Michael» lo minacciai. «Gli dirò quello che stavi facendo, del nostro patto e quello che mi hai fatto alle sue spalle.»
Mi voltai e lui mi afferrò un braccio, furibondo, mettendoci molta più forza di quella necessaria. I suoi polpastrelli schiacciarono la carne del mio polso e percepii una vena pulsare sotto di esso, compressa. I suoi occhi si arrossarono e scoprì i denti come un animale selvatico.
«Non osare farlo, lurida troia» mi avvertì. «Sorvolerò sulle stronzate che hai sparato, hai di sicuro bevuto troppo, ma come credi che reagirà il bel principe sapendo che la sua dolce principessa sta facendo tutt'ora la puttana con il suo amato fratello maggiore? Se fossi un maschio sarebbe così palese l'erezione che hai avuto per me mentre ero sul palco! Vuoi essere fottuta di nuovo, vero?»
Gli sputai in faccia e lui, sorpreso, non si mosse.
«Preferisco essere odiata per sempre da Michael piuttosto che toccarti un'altra volta, Dom.»
«Non ti permettere di chiamarmi in quel modo. La tua lingua non deve sfiorare nemmeno il mio nome!» urlò fuori di sé, storcendomi il polso. Strinsi i denti, sopportando. «Se lo farai, quando torneremo a casa non sarai più nessuno.»
«Bene» affermai. «Sarà la mia migliore vendetta. Gli dirò tutto oggi stesso e lo farò con un sorriso. Impazzirai nel vedermi felice nel dirgli tutto quello che è successo. Non sono niente e non lo sarò, ma ho fatto pace con questa realtà. Tu ancora non hai capito di non essere importante, non sai accettarlo. Dom, senti bene quello che ho da dirti: non sei nessuno per me. Mi disgusti. Punto.»
Non avrei dovuto farlo, me lo dissi un'ora più tardi, ma a quel punto mi aveva già strattonato sul letto e messo sopra di me.
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