Gelati e dolori in rima 2/2✔️

Mi guardò mortificato e io scossi la testa, raggiungendo Paige in salotto. Le chiesi se avesse in mente un film specifico e lei disse che le andava bene ogni cosa.

Ovvio, pensai e la voce nella mia testa assunse una tonalità di odio, non è per il film che sei qui, non è vero?

«Quello che va bene a voi, per me è uguale» disse, sistemando le patatine al formaggio in un contenitore, attenta a non farne cadere qualcuna sul tavolino di vetro.

«Anche per me.»

Tornando in cucina, sentii che qualcuno aveva sbattuto un piatto sul tavolo. Dominik stava dicendo: «Non posso crederci che tu sia stato così imbecille, davvero! E papà... Papà te lo aveva anche detto chiaramente!»

«Smettila di insultarmi, Dominik. Faccio ciò che voglio fare.»

«Sono sempre tuo fratello maggiore, ricordatelo.»

«Siamo gemelli, pochi secondi non contano. E lasciami il braccio» berciò Michael. Trafficarono un po' sul tavolino, mormorando frasi tra loro in russo, finché Michael iniziò: «Lo dirai a papà?»

«Non lo so» disse Dominik.

«Non lo fare.»

«Vorrei.» Michael lo guardò in modo sinistro, ma poi abbassò gli occhi e giocherellò con una cannuccia. «Non pensavo fossi così stupido. Se avessi saputo, me ne sarei restato fuori con Chanel.»

Michael fece un risolino. «Davvero avresti preferito lei a me?»

«In questo caso sì. Odio essere preso in giro.»

«Non ti ho preso in giro» si affrettò a dire Michael.

«Sì, certo» replicò l'altro con stizza. «Spero solo che la tua scappatella sia meritata. Chanel era schiumante di rabbia, l'hai vista? Dubito che ti perdonerà tanto presto.»

«Non mi interessa. E poi» squittì soavemente Michael «anche io potrei dire lo stesso di Samantha. Quello del falò non è stato certo l'unico fuoco che ho sentito quella notte. E non dimenticare che hai baciato nostra sorella. Papà ti odia.»

«Odia anche te» lo apostrofò, ma nessuno dei due prese seriamente la cosa.

«Appena saprà che hai messo le mani sulla sua amata bambina...» sillabò Michael.

«Se lo saprà» lo corresse.

«È una trattativa, adesso?»

«Una tregua» ammise Dominik. «Tu ti sei scopato l'amica di Chanel, hai mentito a papà e non dimentichiamo la scommessa con Juri l'altro giorno» elencò.

Michael fece il suo conto. «Tu hai baciato Chanel. Hai portato a casa quella ragazzina, l'hai usata e poi non l'hai cagata più di striscio, senza dimenticare che è stata tua l'idea di uscire l'altro giorno e di fare a gara con Max. L'hai rigata tu l'auto.»

«Oh, capisco.» Dominik si rallegrò. «Un altro pareggio, vero?»

«Vero.»

«Pace fatta, fratellino?»

Michael lo spinse, ridendo.

Me ne tornai in salotto, con la coda tra le gambe. Loro due tornarono con altri vassoi di stuzzichini. Dominik reggeva un grosso contenitore di pop-corn con miele e zucchero, Michael portò da bere. I due non si scambiarono occhiate tra di loro ed evitarono di parlarsi. Forse la loro tregua implicava non badare me e fingersi ancora arrabbiati per farmi felice. Questo mi alterò non poco.

Michael si accomodò sulla poltrona nella quale normalmente sedeva Gilbert e Paige si accoccolò sulle sue gambe, con la testa sulla sua spalla. Dominik sprofondò nel divano vicino a me, mise i piedi sul tavolinetto e si dedicò a mangiare tranquillo la sua tavoletta di cioccolata.

Michael era indeciso tra Terminator e Nightmare e fissava lo schermo della televisione con crescente dubbio. Noi altri eravamo tutti più o meno indifferenti. A Paige interessava Michael. A me interessava il procedere lacunoso della loro relazione e a Dominik non interessava niente e nessuno. Se fossi stata più vivace avrei detto a Michael che odiavo i film dell'orrore, ma mi convinsi a stare zitta e a subire quella punizione.

Per aver lasciato Paige a Michael, disse la mia coscienza.

Alla fine Michael scelse Nightmare, posò il mento sulla testa di Paige e si rilassò, godendosi il film con lei tra le braccia.

Io ero a disagio. Per prima cosa odiavo quel genere di film da quando, a sette anni, convinsi mio padre a farmi vedere l'Esorcista. Non riuscii a dormire tranquillamente per giorni, ripensando a quella povera ragazzina e al suo letto ballerino.

Nightmare era un film abbastanza vecchio, ma aveva ancora un certo fascino moderno con quell'assassino dalla pelle bruciata e dai lunghi artigli al posto delle mani.

I film dell'orrore però, oltre le grida e il sangue, portavano un'altra cosa: sesso.

Fu imbarazzante rimanere impassibili a quelle scene con Dominik e Michael nelle vicinanze, specie se uno dei due stava palesemente amoreggiando con la mia migliore amica. Ad un certo punto, per la noia, fui certa che Dominik si fosse appisolato.

Io fissavo a scatti i pop-corn e la televisione, cercando di non vedere scene che avrebbero potuto turbarmi la notte. Ero facilmente impressionabile.

Verso le undici, quando Freddy aveva fatto strage di quasi tutti i ragazzi, scoprii con rammarico che i miei stuzzichini erano finiti. A furia di sobbalzare per le grida e per gli effetti sonori, metà del cibo mi era finito nella maglia e alcune briciole si erano infilate tra i cuscini del divano. Il giorno dopo Cailian avrebbe avuto decisamente da fare.

Mi alzai e Dominik, vicino a me, sollevò la testa e aprì gli occhi. Andai in cucina con l'intento di prendermi qualcosa di fresco da bere e per allontanarmi da quella scena. Non avevo nessuna voglia di passare il venerdì sera tra un film horror e una coppia troppo appiccicosa.

Posai il piatto sul tavolo e presi una boccata d'aria fresca alla finestra. Dominik entrò in cucina con un grande sbadiglio, mi sorrise e si fermò dall'altro capo della penisola appena vide la mia espressione tirata.

«Mi hai seguita?» chiesi, stringendomi nelle spalle.

«Se con seguita intendi che non hai visto i cenni convulsi di Michael che mi ordinava di andarmene immediatamente per lasciarlo solo con la tua amica, sì, ti ho seguita.»

Mi sorrise con fare diabolico e un brivido mi scosse il corpo. Sbattei gli occhi, espirando.

«Ho come l'impressione che tu non veda di buon occhio la relazione tra Michael e Paige, vero?»

«Come se lo facessi anche tu» lo presi in giro.

«Infatti non lo faccio» mi disse serio. «Se Paige si crede speciale sbaglia. Se tu credi che lei lo sia, anche tu sei nel torto. È come tutte le altre. Il tempo che do a Michael per stufarsi è ventiquattro ore.»

«È uno che si stufa in fretta?» chiesi.

Scrollò le spalle. «Tutti gli uomini si stufano subito di un gioco. Lo provano, se piace lo tengono per sempre, altrimenti no. Lo guardano, ci giocano e poi lo mettono nel mucchio. Devi dare qualcosa di molto speciale a qualcuno per impedirgli di andarsene. Ciò che Michael vuole o cerca non è in Paige. Lo so.»

«Cosa vuole?»

«Suppongo non annoiarsi.»

«E tu?»

«Credo la stessa cosa. Voglio qualcosa che gli altri non possono avere.»

«Capisco. Consideri le ragazze dei giochi, vero?» Si accigliò e non mi rispose. Aprì la bocca, ma io lo anticipai: «La tua metafora è molto chiara a riguardo.»

«Come hai detto tu è solo una metafora. Non prendermi in parola, a volte mi contraddico. Vuoi un consiglio in fatto di uomini, Chanel? Non dare mai loro ciò che vogliono.»

Io non capii affatto quello che voleva dire. Non aveva senso. Pensai: Sei davvero caduta così in basso da sentire i consigli di questo pezzo di merda?

Scossi la testa e Dominik inclinò la sua. Aprii il frigo senza dare peso alle sue parole, ricercando qualcosa di fresco da bere. La Coca Cola era finita e non volevo bere della semplice acqua naturale. In frigo c'erano solo delle birre, una bottiglia di champagne avanzata dal matrimonio che nessuno aveva toccato, dell'acqua tonica e alcune lattine energizzanti sigillate.

«Tanto spazio e non c'è niente di decente da bere» bofonchiai. Gli urli spaventati di un ragazzo vittima di quel mostro sfigurato si fecero più alti dalle casse della televisione. «Non avete qualcosa di più decente dell'acqua in questa casa da bere?»

Feci per girarmi, prendendo in mano dal congelatore una vaschetta di gelato al gusto menta e cioccolato, quando due mani mi cinsero la vita da dietro. Dominik si attaccò alla mia schiena, cingendomi in un abbraccio. Io rimasi ferma, stupita. Ci stava mettendo troppa foga, con la sua mole mi stava spingendo contro il mobile di marmo della cucina.

Posò le mani sul mio ventre e spinse il viso contro il mio collo, poggiandovi. I suoi capelli mi stuzzicavano il collo. Le mani tremarono istintivamente e sentii il fiato mancarmi per qualche secondo. Nella mia testa una nebbia fitta calò e mi ritrovai l'aria ferma in gola, incapace di scendere o salire.

Il suo petto era schiacciato sulla mia schiena e in quella posizione riuscivo ad avvertire il suo torace alzarsi ed abbassarsi in un ritmo lento, particolarmente ipnotico.

«Profumi» mi disse piano. «Hai lo stesso profumo dei fiori in giardino e della sabbia del mare.»

«Dominik...»

«Cosa?»

«Staccati» gli ordinai.

Lui fece una smorfia, contraendo le labbra. «Non posso. E non ne ho voglia. Mi piace quando qualcuno mi abbraccia, non ci posso fare niente. Tu puoi di certo capirmi, hai detto. Sei così piccola e delicata che combaciamo perfettamente. Se Michael e Paige non fossero di là, io potrei...»

«Mi fai accapponare la pelle, lo sai?» lo sfidai, muovendo le spalle.

Lui tolse il viso dall'incavo del mio collo e si allontanò con rimorso. Si mise una mano sulla bocca e meditai che fosse pentito, ma il sorrisetto spontaneo che emerse tra le sue labbra mi fece ricredere. Si torturò il piercing al labbro con astuzia felina, poi annuì.

«Stai sicura che non è l'unica cosa che vorrei fare sulla tua magnifica pelle.»

Arrossii, sentendomi parlare in quel modo sfacciato.

Dominik mi prese la vaschetta del gelato tra le mani e studiò i gusti.

«Che cosa desidera, Miss Costumino Nuovo?» mi domandò con insolenza. «Birra, frappè, latte?»

«Frappè» ordinai, imitando il suo tono.

Lui rise. Prese un apparecchio simile ad una caraffa e ci versò dentro due palline di gelato, unendo e mescolando tutto con del latte. La macchina frullò tutto senza difficoltà e io mi persi ad osservare come le solide palline di gelato si tramutarono in un fresco liquido marroncino.

Lo versò in un bicchiere e ci aggiunse della panna. Feci per prenderlo, ma lui allungò la mano e il frullato da me.

«Te lo sei fatto per te?» domandai, stringendo i denti.

In risposta lui voltò il viso, portandomi la sua guancia vicino. Soffocai un mugugno stizzito, stringendo i pugni per la collera. Mi sporsi e gli diedi un bacio di ringraziamento. Lui gongolò felice e pensai che ciò che stava cerando di fare con me era pericoloso e poco decoroso. Ammettevo che Dominik era un bel ragazzo, ma tendeva a superare i limiti senza rendersene conto. Il fatto stesso che mi avesse baciata a tradimento, evitando a stento le punizioni del padre, avrebbero dovuto fungergli da monito. Per lui, invece, era tutto più invitante. Si comportava totalmente all'opposto.

Dominik mi fissò con i suoi grandi occhi azzurri e per un attimo temetti che volesse direttamente rovesciarmi il frullato in faccia e deridermi, e invece mi evitò, andandosi a sedere.

Non seppi cosa fare. Posò il mio frullato sul tavolo e mi scrutò. Aprii la bocca, eppure non seppi cosa dire. Dominik in ciò che faceva non seguiva una corretta logica, per questo tutto quello che faceva era interessante agli occhi altrui.

Scivolai accanto a lui e appena mi mossi per prendere il bicchiere mi fece cadere su di sé, sulle sue gambe.

«Che diavolo stai cercando di fare?» sillabai furente.

«Io? Sei tu quella che è caduta su di me.»

«Solo perché mi hai fatto lo sgambetto, Dominik.»

«Davvero? E così vuoi approfittarti di me in questa maniera? Invitami prima a cena, no?» scherzò.

Provai ad alzarmi. Dominik mi tenne per i polsi, trattenendomi da dietro e facendomi restare seduta su di lui. Era una posizione scomoda. Il suo gomito era sulla mia gamba e mi stava facendo leggermente male, in più, in quella strana posizione, non mi sentivo affatto sicura o a mio agio.

«Per favore, lasciami alzare» dissi.

«Perché? Mi piace così.»

«Sei Michael e Paige dovessero...»

«Sono occupati di là» mi assicurò. Lo guardai male. «Se non fai troppo rumore...»

«Potrei urlare» chiarii.

«Perché non lo fai?»

Appoggiò il mento sulla mia spalla e mi guardò, sorridendomi. Fu il sorriso più normale che in tutto quel tempo mi avesse mai rivolto e rimasi perplessa. Grattò la fronte sulla mia scapola e mugugnò qualcosa, stringendomi più forte in quello che poteva definirsi uno strano abbraccio.

Era contraddittorio: volevo che mi lasciasse, volevo andare via e bere con calma il mio frullato, ma dall'altra parte la reazione di Dominik non mi lasciò indifferente. Aveva le dita premute contro la mia pelle e il volto nascosto, come un cucciolo che cerca disperatamente la protezione della madre dal mondo esterno.

«Per favore» lo implorai. «Lasciami e torniamo di là.»

Strinse le labbra e negò. «Sono io che dovrei chiederti per favore. Fammi calmare.»

Da sopra la spalla incontrai i suoi occhi. Lui ricambiò, irrigidendosi, lasciandosi scappare un sospiro. Mi bloccò e aprì appena appena le gambe. Temetti di cadere a terra, così mi spinsi verso di lui, trattenendomi con le sue stesse mani e in un momento fummo attaccati. Il suo bacino era contro il mio e il suo naso mi sfiorava la spalla, il suo respiro mi scaldava la pelle. Mossi le gambe, insicura.

Dominik si placò e osservò i nostri corpi appiccicati. Borbottò qualcosa velocemente e si sfregò le gambe.

«Questo non è normale, lo sai?» gli dissi.

«Cosa è normale, allora?»

«Non questo. Siamo fratello e sorella adesso.»

«Non è vero» precisò. «Lo dici anche tu. Non abbiamo né sangue o ricordi base che ci accomunano. In casa e fuori siamo praticamene estranei. Non vedo il problema.»

«Tu non vedi mai il problema» commentai.

«Forse è vero.»

«Gilbert ha ragione» lo sfidai e la sua presa ebbe un fremito. «Non dovresti avvicinarti a me in questo modo. È strano.»

«Mi piacciono le cose strane» sibilò.

Mosse i fianchi e avvertii una strana sensazione nascere in me. Riuscire a far scaturire quel genere di emozioni in un ragazzo come Dominik mi rendeva inquieta. Avevo ragione nel dire che era sbagliato, ma c'era un fascino nascosto nel pericolo e un'eccitazione ancora più grande. Mia madre e Gilbert ci avrebbero di sicuro gridato contro, Michael e Paige erano di là, sarebbero potute succedere milioni di altre cose, ma in un solo secondo la mia mente si spense.

«Dominik, smettila» balbettai.

«A cena questo era la tua portata preferita, o mi ricordo male?» mi provocò.

La sua mano mi accarezzò le gambe, tracciando il contorno della rotula. Fui scossa dai fremiti e il cuore iniziò a rimbombarmi nelle orecchie.

Mi girò su di lui e mi ritrovai la sua faccia davanti. Le sue labbra erano carnose, rosee ed invitanti, il piercing era come un invito a torturarlo. Mi umettai il labbro e ci guardammo in silenzio.

«Cosa hai intenzione di fare adesso?» domandai.

«Nulla che non ti possa piacere.»

Rizzò la schiena e mi spinse conto di lui, le mie gambe erano a lato delle sue. Ebbi voglia di singhiozzare, ma se nel farlo avessi attirato l'attenzione di Michael e Paige nell'altra stanza non volevo farlo. Mi sentivo umiliata e, in aggiunta, non volevo che Dominik si burlasse ancora di me.

Per tranquillizzarmi mi diede un bacio sulla guancia, ma fu una pessima idea. Mi fece agitare ancora di più. Le sue labbra calde portavano il fuoco del peccato proibito. Appoggiò le labbra nell'incavo del mio collo e vi lasciò un'umida scia di baci. Le sue mani si attaccarono dietro il mio collo, avvicinandoci a vicenda. La lieve protuberanza nei suoi jeans premeva in mezzo alle mie gambe.

Gli tirai i capelli lunghi, sperando di allontanarlo. Lui fece un sorriso, divertito, lasciandomi scrollare la sua testa come se fosse di pezza, dopodiché, ignorando la mia stretta, agguantò nuovamente il mio collo. Baciò profondamente e succhiò la pelle finché un segno rossastro non comparve indelebile. Fatto, allontanò la testa.

«Come i lupi. Quando sarai più grande sarai mia.»

«Non sono un animale.»

«Ti piacerebbe.»

Gli tirai più forte i capelli all'indietro e la sua testa si inclinò, il collo scoperto e in bella vista. La sua pelle sembrava porcellana con quella luce. Ancorai i piedi a terra e mi sollevai. Alzò le mani e le piantò sulla natiche, languido. Un gridolino disperato uscì rumoroso dalla mia bocca e lui, con ancora la testa abbassata da me, rise piano.

«Non mi devi toccare» lo avvertii. «Non voglio.»

Mi infilzò il sedere con le unghie e i miei occhi divennero umidi per il dolore.

Scattai e precipitai in avanti. La sedia si rovesciò all'indietro e Dominik cadde con un tonfo. Mi rialzai immediatamente, facendo un passo indietro e lui si sollevò, guardandomi cruentemente.

«Mi hai fatto male» ringhiò «alla schiena.»

Di riflesso mi passai una mano sul collo e avvertii la mia mano umida per via della sua saliva rimasta. Emisi un grugnito disgustato e mi pulii sui vestiti. Per Dominik fu come una dichiarazione di guerra.

«Non mi devi più toccare.»

«No?» mi sfidò.

«No» ribadii.

«E mi fermerai tu? Tu o la tua poca voglia di combattermi?» mi tentò.

«Gilbert. Lo dirò a lui. Non la passerai liscia. Non mi interessa se sei malato e non vuoi prendere le tue medicine, ma mi hai stufato.»

Dominik sbiancò, poi le sue guance si tinsero di rosso. Mi guardò con orrore e risentimento. Si sistemò con imbarazzo improvviso la patta in modo che non lo infastidisse troppo e si spostò le ciocche umide di sudore dalla fronte.

«Credi che mi comporti così perché ho l'ADD? Non sto sfruttando la situazione.»

«Lo fai sempre. Mi fai davvero schifo» sputai.

Dominik era immobile a pochi passi da me. Lo sgabello era ancora a terra. Si guardava le mani vuote, senza niente da poter torturare liberamente e nei suoi occhi un barlume di spavento e consapevolezza apparve. Accelerò il respiro.

«Molto bene.» Si scrollò la maglia. «Vediamo chi la vince questa volta.»

«Ho troppi problemi da affrontare per colpa tua.»

«Vai ad affrontarli allora» rugnò.

Presi il bicchiere di frullato dal tavolo e glielo tirai. Lui saltò via, sorpreso e con gli occhi tondi come due fanali. Il bicchiere si schiantò al muro e il frullato colò, finendo in una pozza viscida a terra.

«Non vedo l'ora che mio padre torni, così ti dirà direttamente lui qual è il tuo legittimo posto.»

Mi evitò ed uscì, passando per il corridoio. Appena se ne fu andato mi calmai e ripresi fiato. Istintivamente mi pettinai i capelli con le dita. La mia schiena e ogni muscolo del mio corpo tremava come se avesse freddo. Evitai di piangere. Dovevo essere forte, perlomeno sembrarlo.

In salotto, Paige sollevò la testa dal petto di Michael.

«Hai rotto qualcosa? Ti ho sentita urlare» mi disse.

In quel momento la voce dentro la mia testa urlò con ferocia. Paige non si era presa nemmeno la briga di venire da me, la sua migliore amica fin dai tempi dell'asilo, per vedere se era ferita o aveva bisogno di qualcosa. Mi sentivo al secondo posto, mortificata, tradita e umiliata.

Michael sbatté gli occhi e si sollevò dalla scomoda posizione in cui era.

«Cosa è successo?» mi chiese in un sibilo mezzo addormentato.

Il film oramai era finito e i titoli di coda si susseguivano.

«Succede che voi due mi fare proprio schifo» sbottai.

Incapace di negarmelo gli tirai un pugno sul braccio. Non gli feci male, o almeno non credo, perché la sua espressione non cambiò.

Paige si tirò su a sedere e mi scoccò un'occhiata di rimprovero. «Ma che ti prende?»

Io sollevai le braccia al cielo, imprecai e me ne andai. Spiegare a loro la mia frustrazione non avrebbe portato a niente di discutibile. Ero stufa di dovermi tenere tutto dentro. Volevo mia madre.

Ero oramai addormentata quando, verso l'una del mattino, Paige mi chiamò. Lo schermo del mio cellulare si illuminò, rischiarando l'intera stanza. Mi sollevai e mi sfregai gli occhi. Non avevo pianto alla fine, ma il mio petto era come schiacciato da una pesante sensazione opprimente di paura e tristezza. Quella casa stava succhiando via tutta la mia voglia di vivere. Era maledetta.

Cominciai a capire come dovevano essersi sentite Anne e Kezia.

«Che diavolo... Cosa?» mugugnai al telefono.

«Spero tu sia contenta, adesso» tuonò delusa lei.

Scacciai le coperte e mi alzai. La luna brillava alta nel cielo e lessi l'ora. Non mi consolava sapere che il giorno dopo avrei dovuto andare a scuola. Avevo ogni osso a pezzi.

Odiavo i giorni nuvolosi e da qualche ora a quella parte il cielo si era coperto da nuvole gonfie e grigie e, come il mio carattere, annunciavano l'arrivo brusco di un temporale.

«Come hai detto?»

«Mi hai sentita bene!»

Scostai le tende della finestra, sperando di intravedere qualcosa. Le luci in giardino erano accese, ma oltre il prato non riuscivo a distinguere niente. Il mare e il cielo erano un'unica chiazza scura.

«Mi hai rovinato la giornata, Chanel, grazie!» berciò con stizza. «Si può sapere che problemi hai? Sapevi che Michael mi piaceva e hai detto quelle cose orribili. Scommetto è perché sei gelosa e hai fatto combutta con Dominik. Non piaccio nemmeno a lui.»

«A nessuno piacciono le ragazze che vanno a letto con il primo che capita» le risposi, troppo assonnata e arrabbiata per rendermi conto delle mie parole. «Io ho detto solo quello che pensavo, ti avevo avvertita a riguardo. Non è un problema mio.»

«Sai cosa ha fatto? Mi ha detto che non gli interessava ciò che pensavi e io ci sono pienamente cascata. Siamo andati in camera sua e dopo mi ha detto che potevo andare via. Non gli piacevo più, capisci? Ha tirato la scusa che non voleva ferire te. Te! Sono io quella ferita, mi ha buttato fuori di casa!»

«Magari aveva ragione!»

Michael non era stupido; lui era quel genere di persona che quando voleva una cosa doveva assolutamente averla immediatamente. Paige era paziente. Lui no.

«Se non avessi detto quelle cose...»

«E così ora la colpa sarebbe mia?» sbottai.

«Io non te l'avrei mai fatta una cosa del genere, Chanel! Scommetto che domani tutta la scuola ne parlerà!»

«Ho come l'impressione che questo discorso giri tutto intorno a te, o penso male? Ti stai mettendo in mezzo, è una cosa che fai sempre. Dovevi capire che Michael non faceva per te. Tutto quello che ha fatto è stato per colpa tua.»

«Senti chi parla!» strillò e iniziò a singhiozzare forte. «Sai a scuola che dicono? Che sei la cagna della famiglia Petronovik, che stai con loro solo per i soldi.»

Io aprii al bocca, oramai completamente sveglia.

«E tu ci credi?» la interrogai.

«No, prima non ci credevo. Clara sì, lo diceva lei. Io ti ho sempre difesa, ma ora ne ho la conferma. Sei solo gelosa, ecco perché l'hai fatto! Sei la puttana che tanto credono, mi spiace che Mark o Dean ti siano corsi dietro come cani per anni! Ma vedremo domani come sarà, lo vedremo bene! Ti odio, Chanel! Tua madre è furba, oh, lo so. I Petronovik vi vogliono solo vicino al let...»

Non la lasciai nemmeno finire. Riattaccai e urlai, infischiandomene che fosse l'una di notte e che dovessi darmi una calmata. Per paura spensi anche il telefono e lo gettai per terra, calciandolo via.

Se solo si fosse presa la briga di non urlare e lasciarmi spiegare le avrei detto chiaramente che io non ero mai stata gelosa di lei. Io volevo unicamente proteggerla.

Le parole della gente, meditai, fanno davvero male.

Quello che avvenne dopo fu molto confuso. Mi addormentai, ne ero certa, perché successivamente mi svegliai con le guance rigate dal pianto e un cucino sopra la testa. Un tuono mi svegliò. La pioggia aveva iniziato a cadere e, come proiettili, le gocce si schiantavano rumorosamente sui vetri. La luna e la sua luce erano scomparse. Erano i tuoni a dominare la coltre buia.

La porta al piano di sotto sbatté e io mi sollevai con spavento. Ero esausta e non volevo alzarmi per vedere Michael o Dominik nuovamente ubriachi. Trovarli di sotto, a giocare stupidamente ad acchiapparella, mi avrebbe fatto esplodere definitivamente.

Tuttavia, seppure i gemelli erano svegli come avevo pensato, erano pienamente lucidi. Gilbert era davanti a loro, completamente fradicio. In mano non aveva nessuna valigia.

Dissi: «Mamma?»

Nessuno fiatò.

Dissi più forte: «Mamma?»

Lei non venne e non rispose. I ragazzi mi guardarono, poi interrogarono con gli occhi il padre, il quale annuì con qualche sforzo.

«Mamma!» strillai, quasi cadendo per le scale. «Dov'è mia madre? Mamma! Mamma!»

Gilbert deglutì e digrignò i denti, dandomi un'occhiata nervosa.

Lei non c'era.

Dai suoi occhi capii che non sarebbe mai più tornata.

«Sei un pezzo di merda!»

Saltai per le scale, gettandomi contro di lui. Lo colpii con pugni e calci, lo graffiai e lo insultai. Dominik e Michael mi afferrarono, tirandomi indietro dal padre. Gilbert si teneva la nuca, dolorante: gli avevo strappato dei capelli. I gemelli mi tennero stretta, ma in quel momento ero decisamente più forte io. Li colpii e mi liberai.

L'adrenalina invase il mio corpo e la rabbia che avevo trattenuto da mesi si scatenò, libera.

«Io ti ammazzo!» 

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