Finale alternativo - Happy Ending

(Finale alternativo della storia - Chanel è rimasta con i Petronovik)

Michael rimase in coma per tre mesi.

Nessuno di noi sapeva se ce l'avrebbe alla fine fatta o meno; Dominik, Gilbert, Ilona e molti altri trattenevano il fiato e pregavano ogni giorno affinché aprisse gli occhi. Era quasi marzo, tuttavia non riuscivo a capacitarmi che la primavera sarebbe arrivata senza gli occhi brillanti di Michael. Continuava a stare là, steso su quel letto che ad onde regolarli gli massaggiava il corpo, addormentato. I dottori dicevano che le sue condizioni erano state critiche, ma si era stabilizzato in poco. Avevano detto che c'erano buone probabilità che si risvegliasse, che dopotutto l'intervento, anche con molti intoppi, era andato bene.

Michael però non si svegliava.

I paramedici gli avevano tolto la giacca di dosso, gli avevano tagliato i vestiti intorno alla ferita e nonostante il freddo di gennaio si erano messi al lavoro. Il suo sangue, scivolando a terra sulla neve, riusciva a scioglierla per quanto fosse caldo. Aveva perso i sensi subito, non dovettero calmarlo o usare le maniere forti almeno. Medicarono la ferita su tre lati, evitarono con cura i coaguli ed eventuali infezioni e applicarono una pressione costante sulla ferita. La parte peggiore fu scoprire che il proiettile non era uscito, che era dentro di lui. Aveva sfiorato per poco il midollo spinale.

Era stato trasportato in sala operatoria con la massima urgenza, in condizioni critiche. Il proiettile si era fermato con fortuna in una cavità cardiaca, consentendo così un lasso sufficiente per un provvedimento chirurgico, questo però non aveva impedito tutto quel dissanguamento rapido.

Le condizioni di Hergò sono rimaste stabili lungo l'arco di quei mesi: Dominik gli aveva sparato alla gola, ma per un colpo di fortuna o grazie ad un intervento divino, la sua mira non era stata delle migliori e non aveva provocato una morte istantanea. Il proiettile era uscito senza problemi, non aveva preso nemmeno un'arteria o una vena importante, tant'è che il chirurgo per farci capire l'entità del danno ci disse: «Pensa che è come se avesse avuto due buchi per respirare». Delle complicanze per un ascesso polmonare gli rendevano impossibile respirare senza quell'apparecchiatura.

Avevo smesso di andare a scuola.

Avevo smesso di uscire di casa.

Avevo smesso di vivere, di pensare a qualcosa oltre Michael. Passavo le mie giornate all'ospedale, in quella stanza piccola e sorvegliata ad aspettare. Non facevo niente, a volte vagavo per i corridoi, mi perdevo tra i piani o leggevo qualcosa. Ironia del fatto, la storia di essere stata a letto con Dominik mi parve una sciocchezza in confronto all'inferno che stava subendo Michael.

Yamazaki e Gilbert si stavano scuoiando a vicenda ed entrambi si accusavano delle stesse cose. A nessuno dei due, per la prima volta nella loro vita, importò del proprio destino, ma misero i figli al primo posto. Dimitri scomparve da quando denunciò il padre, nessuno seppe che fine fece e in cuor mio sentii che fosse tornato nel suo paese, alla calma che bramava. A Gilbert rimanevamo io e Dominik e fece di tutto per non perderci.

Non mi importò niente di quando arrestarono entrambi con pesante accuse e Dominik finì in mezzo. Io fui l'unica a non essere toccata, supposi anche grazie all'intervento del tenente Radigan.

Rimasi per una settimana chiusa in casa da sola, a piangere, senza vedere nessuno, prima che la polizia decidesse di far cadere le accuse di Dominik e di archiviare l'aggressione come legittima difesa. Ai mass media non interessò l'ultimo sfogo tra boss rivali, bensì la storia che si celava dietro le loro maschere: la pedopornografia, la prostituzione di Yamazaki e gli omicidi freddi di Gilbert.

Sia Michael sia Hergò erano sorvegliati ventiquattro ore su ventiquattro, non potevo rimanere mai sola con lui e in parte capii il perché.

Ero quasi riuscita ad addormentarmi quando la porta scorrevole si aprì e Dominik entrò nella stanza con una coperta in più e del caffè caldo.

«Ho pensato volessi qualcosa da bere» fece piano, calmo, senza più la solita presunzione.

«Hai pensato male, non ho sete.»

La guardia alla porta si girò un momento, interrogandosi sull'entrare e sorvegliare noi due. Non era la prima volta che io e Dominik litigavamo, specie quando fu palese che aspettavo un bambino e non avevo detto niente. Non sapevo cosa volesse. Non era figlio suo, ma da quando la pancia aveva iniziato a gonfiarsi non si era avvicinato più del dovuto, non aveva alzato quasi mai la voce o le mani.

Per ora le indagini e tutte le questioni sui Petronovik erano tenute sotto controllo dalla polizia, perciò solo i servi della Villa e Ilona erano al corrente della mia gravidanza. Non avevo messo peso per colpa del nervosismo, vomitavo ancora spesso. Il piccolo però stava bene, avevo fatto la prima ecografia e esami del sangue: non soffriva di nessuna anomalia cromosomica ed era in forma.

Mi avvicinai a Michael e diedi le spalle al gemello, ignorandolo.

Dominik scosse la testa. «Chanel, ti prego, non comportarti in questo modo. Non fa bene per la tua salute, non stai prendendo peso. Dobbiamo restare uniti.»

«Uniti?» feci eco, trovandolo ridicolo. «Per cosa? Uniti chi, poi? Io e te? Io, te e Michael? Noi non siamo una famiglia. So come sei in verità, stai facendo la parte della vittima perché ti conviene così.»

Il suo sguardo si indurì. «Credi che non lo amassi? Tu hai perso perso il tuo principe azzurro, io mio fratello gemello. Io ho vissuto insieme a lui, ci siamo aiutati a vicenda, supportarti quando nessun altro ci aiutava. L'amore che avevamo per l'altro era l'unico tipo che avessimo in quella casa. Io gli volevo bene quanto te.»

Ridacchiai stupidamente. «Oh, allora è per questo motivo per cui a capodanno, pieno di droga, mi hai violentato di nuovo, vero? Perché volevi bene al tuo fratellino, certo.» Alzai le spalle e gli puntai un dito contro. «Non sei mai stato capace di accettare la sconfitta, Dominik. Sei un bambino viziato. Non ti sei mai fermato a chiedermi se fisicamente stessi bene, se mi avessi ferita o provocato qualche danno. Nemmeno se mi fossi suicidata te ne sarebbe importato qualcosa, perché, ovvio, se tu non hai una cosa non può averla nessun altro altrimenti. Mi hai dato qualcosa per cui soffrirò per tutta la vita.»

«Tutti soffriamo» mi sminuì.

Mi morsi la lingua, basita. «Allora la prossima volta ti legherò al letto e ti infilerò un palo nel culo. Mi sembra divertente.»

Dominik rizzò la schiena, immaginando l'idea diventare realtà. Scossi la testa furiosa e tornai a concentrarmi sul monitor su cui venivano proiettate le onde cardiache regolari del ragazzo.

«Ho commesso molti errori, lo so. Non intendo giustificarmi inutilmente, so la gravità delle mie azioni» commentò aspro. Aveva passato molto tempo a cercare di disintossicarsi totalmente e stava vedendo uno psicologo due volte alla settimana, sperando che lo avrebbe aiutato con i suoi sbalzi d'umore. Io, d'altro canto, non avevo mai detto a nessuno ciò che mi aveva fatto e né lo avrei denunciato. Non ero pronto ad un altro boom di mass media, di riflettori che mi avrebbero dato della bugiarda e della puttana. La gravidanza mi stava portando via molte energie. Ilona stava cercando di stargli vicino il meglio che poteva. «Ti ho fatto soffrire peggio di mio padre, credevo che fossi una pessima persona per la nostra famiglia, ma era solo la mia abitudine di vedere il cattivo dentro ogni persona. Non voglio più farmi odiare, non in questa situazione. Meriti di stargli accanto.»

Strinsi le dita, convinta che si stesse prendendo gioco di me. «Stai scherzando? Pensi che mi serva la tua benedizione per stare con Michael? Volevamo andarcene via per colpa vostra. Michael voleva farsi una vita altrove, costruirne una sua, e adesso non può più.»

«Ti ha difesa.»

«Saresti dovuto esserci tu al suo posto» giudicai freddamente. «Non è vero che siete entrambi cattivi. Lui era buono, molto più di voi, almeno. Voleva cambiare davvero. Perché non glielo hai voluto concedere?» lo interrogai furiosa. «Lui aveva me e non ti stava bene! Cosa vuoi, allora?»

Lui non seppe rispondere. «Non lo so. Vorrei tornare indietro. Non avrei mai fatto quelle cose se... avessi saputo.»

«Ma le hai fatte» lo corressi acida. «E non dare la colpa a Hergò. Ci siamo scavati la fossa da soli, tu e io, lo sai. Hergò ha solo acceso la miccia. Ce lo siamo meritati. Vorrei solo che Michael lo sapesse: vorrei che sapesse che l'ho sempre amato e lo amerei anche se decidesse di odiarmi.»

Iniziai a piangere ancor prima di rendermene conto e oramai succedeva spesso. Specie la notte, quando pensavo alla mia famiglia e a tutta la vergogna che avevo accumulato dentro. I medici che mi visitavano non la chiamavano depressione, ero cosciente e reattiva a molti stimoli, però mi alteravo spesso e crollavo altrettante volte.

Dominik si avvicinò piano, alzò una mano come se volesse consolarmi di riflesso, ma si ritrasse. «Michael ti ha già scelto una volta. Mio fratello è una persona egoista e razionale, non sarebbe qui se non avesse avuto un buon motivo per mettersi in mezzo. L'amore ti fa fare cose stupide.» Mi pulii gli occhi e strinsi la mano di Michael, poggiata calda sul lenzuolo pulito. «Mio padre ne sa qualcosa.»

«Tuo padre ha scelto la sua strada. Ho fatto un mare di casini in questa famiglia, ma di certo non porterò Michael a picco. Lui è l'unica persona per cui lotterei, l'ho fatto soffrire più di tutti voi e meriterei di essere trattata di conseguenza. Mi consideravo la buona della famiglia e invece sono la peggiore.»

«Non volterebbe le spalle a te nemmeno se fossi tu la prima a farlo. Qualunque cosa farai, qualunque strada prenderai, lui ti seguirà. I Petronovik amano sempre una sola persona nella loro vita, tu hai trovato la tua, non perderla.» Se Michael fosse morto non avrei solamente perso la sua voce, i suoi gesti e il suo amore. Avrei perso me stessa. «Hai bisogno di riposare, adesso. Forza, vai a casa. Resto io con lui. Be', da qui non è che può muoversi, no?» Lo incenerii con un'occhiataccia seria e lui smise di trovare buffa la sua battuta.

Annuii stanca. Dormivo poco e male, avevo continuamente incubi e rivivevo quei momenti con terrore. Michael era stato fortunato, in fondo. Hergò avrebbe portato danni più seri e duraturi sul corpo.

Feci per andarmene, ma avvertii una pressione alla mano che me lo impedii. Non era granché, ma appena mi fermai e rilassai i muscoli, scoprii che le dita di Michael si erano contratte. I suoi occhi erano aperti di poco, sonnolenti, e mi guardava. Aprii la bocca sconcertata, convinta che si trattasse di un sogno. A volte capitava che una persona in coma avesse degli spasmi muscolari e riuscisse ad aprire addirittura gli occhi, senza che ciò comportasse un miglioramento.

Dal tubo infilato nella sua gola si levò un piccolo gemito di sofferenza, con le dita tremanti tracciò il contorno delle mie e le alzò verso la protuberanza rotonda della mia pancia. Dominik ebbe un mancamento e afferrò le sbarre de letto, corse fuori dalla stanza e gridò: «Un dottore, presto! Un dottore! Mio fratello ha bisogno di un dottore!»

Sorrisi nervosamente e Michael alzò il collo, gemendo per quell'opprimente sensazione del tubo in gola. Gli posai una mano sulla testa e gli accarezzai i capelli scuri.

«Fermo, fermo. Ora arriva il dottore. Non agitarti, andrà tutto bene. Ben tornato, Mike.»

Non parlò, fece un profondo respiro e singhiozzò ferito, piangendo le mie stesse lacrime.

***

Cinque anni dopo...

Il sole scaldava le spiagge di Sydney. Faceva molto caldo, specie quel giorno d'estate. La casetta che avevamo comprato vicino all'oceano era un piccolo pezzo di paradiso, o almeno così poteva parere agli occhi esterni. Di inverno il vento freddo era portato dall'oceano e d'estate il sole batteva da tutti i lati.

Era una piccola casa a un solo piano, lontana dalle comodità delle vecchie Ville Petronovik. La proprietà in Russia era rimasta a Dominik, mentre quella in Australia era stata confiscata dalla polizia per le indagini che erano durate fino a pochi mesi prima. Tutte le mogli avevano ricevuto una degna sepoltura, non ci furono parenti a richiedere i corpi di Kezia o Anne, tuttavia i gemelli si occuparono di tutte le spese. Michael aveva preferito lasciare la Villa in vendita e non rivendicare la sua proprietà.

Mi piaceva essere lontano dalla città. Potevo vedere Sydney dalla finestra della cucina e Old Lord in lontananza, come il faro di un vecchio ricordo. Avevo rivisto i miei amici, seppure Mark fosse partito per l'Italia da un anno e avevo saputo che si era trovato una bellissima ragazza italiana, dolce e amante del cibo. Paige era scoppiata a piangere a dirotto non appena mi aveva vista, anche se andava al college cercava di parlarmi spesso e venire a trovarmi almeno due volte a settimana. Era convinta che soffrissi di qualche specie di depressione, cosa non vera. Né a lei né a mio padre avevo raccontato la vera storia che ci celava dietro di Petronovik: aveva sofferto molto per la mia scomparsa e seppure negassi il coinvolgimento di Michael nell'intera faccenda, mio padre preferiva vedermi quando lui era al lavoro.

Aléxein corse da me in cucina, si aggrappò ai miei pantaloni e mi mostrò la sua piccola manina sporca di sangue. «Guarda, mamma! Sembra o no il morso di un vampiro?» esclamò felicemente.

Allargai gli occhi e lasciai perdere gli ultimi biscotti nel forno. Gli afferrai il polso ed esaminai la ferita. «Cosa diamine hai fatto?»

«Ho preso una conchiglia dalla spiaggia, ma aveva il bordo rotto e mi sono tagliato. Non fa male» borbottò scontento.

«Dobbiamo disinfettarla» sospirai amaramente. «Ti ho già detto mille volte di non raccogliere quelle vicino alla scogliera, quando imparerai? Avanti, prima che gli zii arrivino dobbiamo darti una pulita.»

Aléx fece un mugugno disperato e trottò fino al bagno. Disinfettai i piccoli fori lasciati dalla conchiglia e gli avvolsi una benda intorno, impedendogli di andare a giocare sulla spiaggia almeno per il resto del giorno. Aveva cinque anni ed era un bambino vispo e vivace, impossibile da rinchiudere in casa persino con l'uragano. Piangeva poco, a contrario di sua sorella, ma a volte riusciva a farmi perdere del tutto il controllo per quanto fosse ostinato.

«Ti vai a cambiare, per favore?» domandai. Lui agitò le altre piccole conchiglie che aveva trovato sulla riva, ondeggiandole sopra la testa. «Non vuoi che zia Ilona e zio Dominik ti trovino puzzolente, vero?»

Lui si fermò e scosse la testa pentito, sfilandosi la maglietta sporca di dosso. Tornai in cucina e guardai l'ora. Erano quasi le due e secondo i miei conti Dominik e Ilona sarebbero arrivati a breve. Michael chiudeva l'officina verso quell'ora e seppure si fosse offerto di andarli a prendere all'aeroporto, i due si erano categoricamente rifiutati. Orgoglio russo.

Camminai in soggiorno e mi diressi verso il piccolo box colorato accanto alla finestra, dove una piccola bambina stava giocherellando con il suo peluche preferito. Tirò al topolino le orecchie e poi mangiucchiò gli occhi, ormai da azzurri diventati bianchi e rugosi. Michael scherzava, dicendo che aveva trovato il modo per affilarsi i denti.

«Cosa c'è, hai fame, amore?» domandai dolcemente, prendendo la bimba tra le braccia.

Lei starnutì e la misi nel seggiolone, in modo da tenerla d'occhio. Tirai fuori i biscotti alle noci dal forno e li misi davanti alla finestra per farli raffreddare, poi presi la ciotola di pappa per neonati e sentii la consistenza.

«Aléx, metti le mutande, me ne accorgo altrimenti» lo avvertii guardinga e sentii i suoi lamenti dalla cucina. «Non imparare mai a parlare, ti prego» esclamai alla più piccola, dandole un cucchiaio di pappa verde. Ne prese un boccone e masticò con aria soddisfatta.

Volevo metterla a letto presto, altrimenti il suo umore sarebbe peggiorato e la notte ci avrebbe stressati ulteriormente. Era abituata ad essere cullata da Michael fino ad addormentarsi tra le sue braccia, sul divano e svegliarsi verso le ore più tarde del pomeriggio.

«Non ci credo! Chanel!» cantò una voce euforica e io sobbalzai, togliendomi dal mobile della cucina.

Ilona lasciò la borsa a terra e corse da me. Allargai le braccia e la strinsi forte. Mi stritolò e ondeggiò un poco, poi si accorse della bimba ed emise un gemito elettrizzato. Erano passati anni dalla loro ultima visita, non avevano intenzione di andarsene dalla Russia, tuttavia ci avevano dato una mano importante quando decidemmo dove stabilirci. Ilona aveva assistito al parto di Aléxein, ma Chocolate l'aveva solamente vista via Skype o in qualche foto.

A differenza di anni prima, quando ero io la più gracile e sottile, il mio stile di vita e la quotidianità avevano totalmente arrotondato le mie curve. I muscoli che avevo ottenuto in anni di danza erano stati rimpiazzati da uno strato più morbido. Ilona, a differenza mia, aveva preso ad andare in palestra. Lo notai vedendo il sedere sodo e le braccia toniche.

«Posso prendere la mia nipotina?» domandò gioiosa e io annuii. Con attenzione, la prese in braccio e le sistemò con cura la testa. «Ma sei la cosa più dolce che io abbia mai visto! Ti mangerei!» Chocolate mi dedicò un'occhiata nervosa, non conoscendo la persona davanti ai suo occhi. «Assomiglia un sacco a Michael.»

«Me lo dicono tutti» sospirai avvilita.

«Dovresti chiudere la porta a chiave, qui girano tipi strani» si intromise Dominik, finendo di sgranocchiare uno dei biscotti rubati dalla finestra. Posò le valigie, mi sorrise piano e mi abbracciò. «No, sul serio, dovreste pensarci.»

«Dom, non siamo a San Pietroburgo» lo tranquillizzai. «Siete arrivati presto.»

Ilona annuì. «Il volo è stato puntuale, avevamo già una macchina prenotata. Le strade fuori città sono comode, non c'era quasi nessuno.»

«Il grande Petronovik senza una Porche o una Mercedes? Strano» lo apostrofai. «Michael sarà di ritorno a breve, sarà felice di vedervi. Oggi quasi saltellava dall'emozione. Sarete stanchi, immagino.»

Prima che potessero rispondere, Aléxein saltò in soggiorno e alzò le braccia, urlando di gioia. «Zio Dom, zio Dom!» Sfrecciò verso di lui e si aggrappò alla sua maglia grigia degli ACDC.

Ilona alzò un sopracciglio. «Ehi, non saluti la zia?»

«Ciao, zia!» esclamò correggendosi. «Zio, mi hai portato un regalo?»

Scossi la testa e sospirai. Dominik alzò l'angolo delle labbra in una smorfia. «Per chi mi hai preso, moccioso, per un salvadanaio? Certo che ti ho portato dei regali! Dozzine, e che cazzo!» si animò collerico. «Vieni a vedere! E che cazzo hai fatto alla mano?» domandò, trasportandolo per i piedi fuori dalla porta d'ingresso.

Ilona ridacchiò. «Oh, scusalo.»

«Non preoccuparti, Aléxein ha sempre troppa energia. Dominik riesce a scaricarlo, almeno. Come è andato il volo?» chiesi, Ilona mi porse Chocolate e la rimisi nel seggiolone, facendola mangiare altri bocconi.

Lei si sedette comoda e si massaggiò i polpacci. «Sedici ore di volo. C'era un bambino che ha pianto la maggior parte del tempo, Dom stava per farlo fuori. Non ha voluto prendere le medicine per dormire ed è ancora isterico.»

Ci aveva messo tanto tempo per disintossicarsi totalmente, aveva avuto qualche ricaduta, tuttavia si era sempre rialzato anche quando io e Michael ci trasferimmo. Non fu una sorpresa quando ci misero al corrente del loro fidanzamento ufficiale, ne fummo felici. Il loro matrimonio, al contrario del nostro, fu in grande stile, in una villa lussuosa fuori città e i festeggiamenti durarono quasi due giorni interi.

Io e Michael ci eravamo sposati sulla spiaggia, tranquillamente, con una cena a base di pesce. Ballammo e giocammo sotto le stelle, nel nostro angolo di paradiso.

«È meglio così, dopotutto» le assicurai. Ero certa che Dominik non le avesse detto tutto su ciò che mi aveva fatto, Ilona era quel genere di persona che si sarebbe inutilmente preoccupato per me e non volevo darle altri pensieri. A volte quella paura tornava da me, però mi facevo forza e cercavo di andare avanti. «Notizie da Gilbert?»

«È ancora in prigione. Gli hanno negato la libertà vigilata e gli arresti domiciliari, non credo uscirà di prigione a breve. Ci sono state quattro udienze dalla vostra dipartita, non si è presentato nessuno?»

Alzai le spalle, misi nel lavello il cucchiaio sporco e buttai il contenitore vuoto. «A volte arrivano delle lettere dal tribunale o dalla polizia. Non vogliamo essere immischiati. Qui stiamo bene.» Ilona, con cura, fece fare un leggero ruttino a Chocolate, poi la posò nel suo box, lasciandola ai suoi giochi prima del riposino. «Immagino che Dominik non voglia ancora un figlio, no?»

Lei tirò le labbra. «Ancora no, dice di non essere pronto. Io penso che sia stato per via della sua infanzia che ha paura di diventare genitore. Sai meglio di me come sono... come siamo cresciuti... Avere dei figli è una responsabilità enorme.»

«Avere dei figli è una cosa che può fare chiunque, ci vuole amore per essere una vera famiglia. Tu ce l'hai, non dubitarne. Magari tra un po', quando le acque si saranno calmate. Potreste pensare di fermarvi qui, si sta bene» buttai lì e Ilona fece un risolino.

«Dominik e l'Australia?» Roteai gli occhi divertita. «Abbiamo appena aperto la nostra attività finanziaria, non possiamo trasferirci adesso. L'Australia è un bel posto, ma non fa per noi. Noi siamo gente del nord» sottolineò e io alzai le mani. «Come va con tuo padre, si è calmato?»

Scossi la testa. «Ancora non ce la fa a guardare Michael. Vuole bene ai bambini, però è difficile per lui. Sono scomparsa per quasi due anni e quando mi ha rivista avevo un bambino. Per me spera ancora di svegliarsi da questo incubo.»

Avvertii degli schiamazzi improvvisi venire da fuori e pensai che Dominik stesse torturando ancora Aléxein, o il contrario. Io e Ilona andammo fuori: Michael e Dominik si stavano ancora abbracciando e il bambino osservava la scena cauto, non sapendo cosa fare. Il maggiore si pulì gli occhi con il braccio prima che potemmo notare le sue lacrime di gioia.

«Non fare il poppante, mica schiattavo. Cazzo, vivrò anche più di te» lo sminuì Michael e io lo ripresi, facendogli notare il figlio vicino. «Non ascoltare quello che dice papà, capito?» Dominik strizzò l'occhio ad Aléxein e mi ricordai bene di quella volta in cui lo avevo lasciato con lui su Skype quindici minuti, il tempo di lavarmi i capelli, ed era tornato cantando dieci parolacce in russo. Avevo bloccato Dominik per quasi un mese. «Ilona, da quanto tempo! Sei sempre bellissima!»

«Ovviamente» rispose lei di vanto.

Facemmo un pranzo leggero all'aperto, sotto la tettoia, con salumi freschi, pesce e delle frutta. All'ombra tirava una leggera brezza più fresca e con una bibita ghiacciata in mano potevo immaginare di essere in un'isola esotica. Venivano poche persone dalle parti di quella costa, i pochi che cercavano calma e solitudine.

«Come va con il lavoro? Hai gente?» domandò Dominik, succhiando il suo ghiacciolo rosso.

Michael annuì, sistemando la canotta a Chocolate, addormentata nelle sue braccia. «Oh, sì. All'inizio erano solo clienti abituali, poi si è sparsa la voce. L'unico inconveniente è la distanza, ma c'è molto spazio in officina e nessuno si è mai lamentato dei miei lavori. Ho assunto un apprendista, Freddie, per aiutarmi.»

Freddie era un ragazzo di appena diciannove anni, aveva finito il liceo e non aveva voluto iscriversi al college per iniziare a lavorare. Era un ragazzo pieno di grinta e voglia di lavorare, Michael capii subito il suo potenziale e lo assunse. Lo invitavo a pranzo ogni venerdì.

«Una scuola mi ha contatto, mi hanno chiesto di prendere degli studenti per delle prove, chissà cosa. Avrò un bel giro. Potrei assumerti» propose Michael, ridacchiando.

«E chiamarti "capo"? Dio, no, grazie» rispose scocciato.

«Come va il lavoro?»

«Ho chiuso l'attività di papà e ne ho aperta una mia. Faccio sempre attività e prestiti finanziari, ma questa volta legali. Ci hanno appena lasciati in pace, per questo vorrei evitare di attirare ancora l'attenzione. Già alcuni hanno insinuato che ce ne siamo andati per scappare» commentò acido e Ilona gli posò una mano sul braccio, accarezzandolo. «Solo voci. La salute va meglio?»

Michael si tastò il petto. «Oh, sì. Dopo l'ultima operazione il dottore dice che posso stare tranquillo, non dovrò subirne altre, solo quelle stupide medicine per il cuore. Ci posso convivere. A volte la ferita mi fa ancora male. Suppongo sia il ricordo.»

Gli diedi un bacio e lui mi sorrise. «Aléx, non toccare la cacca del coniglio!» lo sgridai e il bambino saltò via dal recinto di Krolik, preso con le mani nel sacco.

Ilona rise, si alzò e camminò nel piccolo giardinetto di casa, che era fatto per lo più da sabbia, qualche sassolino e erba fortunata. Mi pulii i vestiti e la seguii, camminando scalza. Aléx saltò sull'altalena e lo spinsi.

Michael e Dominik ci guardarono, poi il secondo sbadigliò e chiuse gli occhi, godendosi il sole. Era inverno inoltrato in Russia e faticavo a ricordare le temperature gelate di quel luogo, l'acqua ghiacciata, il fuoco sempre acceso e il tè bollente ad ogni ora del giorno.

«Di' un po'» fece Dominik e Michael, «non ti manca? La vita che avevamo, intendo? Sai, l'agiatezza, le gare, il divertimento...»

«A te?» domandò Michael.

Dominik scosse la testa. «No. Mi piace quella che ho adesso. Si sta bene qui.»

«È un piccolo paradiso» disse Michael, godendosi il sole.

Era il paradiso che avevamo costruito insieme. Ed era nostro, finalmente.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top