9 I fuochi del falò✔️
«Mi serve un passaggio» dissi apertamente.
Dominik e Michael si girarono. Entrambi si stavano allenando sulla veranda del giardino a kick boxing e portavano dei grossi guantoni rossi e blu. Dominik aveva i capelli legati, tirati indietro da una fascia nera. Michael abbassò la guardia e mi guardò come se fossi una guasta feste.
«Riscuoto il favore che mi dovevi» aggiunsi e l'espressione di Michael divenne più arcigna.
Dominik si tolse i guantoni e bevve dell'acqua. «Sì, Michael, dalle un passaggio» mi imitò lui.
Michael sospirò, ma non disse niente. Si tolse i guanti e li gettò per terra, vicino al tavolino. Si scarmigliò i capelli e annuì.
«Bene. Aspettami. Dammi cinque minuti per cambiarmi e arrivo. Dove devi andare?» mi domandò.
«Mi serve un costume per il falò di questa sera» dissi.
«Ne hai già» commentò. «A cosa te ne serve uno nuovo?»
«Io ti faccio domande stupide?» lo apostrofai e lui si tamponò il viso con un asciugamano.
«È la tua specialità» mi rispose, poi fece spallucce ed entrò in casa.
Il sole picchiava alto sopra le nostre teste e nemmeno nell'ombra in cui eravamo riparati avevamo respiro. Io amavo il sole, ma a volte l'estate era davvero dura da far passare. Mi domandai come quei due potessero mettersi a fare esercizio fisico con quasi trenta gradi all'ombra.
Dominik finì di bere e mi diede un'occhiata. «Non mi guardare, ragazzina» mi avvertii prima di sfilarsi la maglia che oramai era attaccata alla sua pelle per via del sudore.
«Non ti avrei guardato in ogni caso, stai tranquillo» gli dissi secca ed entrai in casa.
Aprii il frigo e presi del rinfrescante succo d'arancia con ghiaccio e bevvi, assetata. Per fortuna la casa di Gilbert era abbastanza arieggiata e tutti gli alberi che circondavano la proprietà davano un poco di freschezza in più.
Dominik entrò in casa. Si era tolto la canotta umida e si era infilato una t-shirt di una rock band che non avevo mai sentito nominare, ma dall'immagine capii che il loro stile era uguale al suo.
«Ehi» lo chiamai prima che andasse via senza rivolgermi uno sguardo. «Vuoi un po' di succo ghiacciato? Magari può venirti un blocco e mettere fine alle tue agonie terrene» proposi e lui si accigliò.
«Ancora arrabbiata dalla cena? Placati, sono passati quattro giorni» mi fece notare. Io gli passai silenziosamente il bicchiere pieno di succo d'arancia e lui alzò gli occhi sogghignando. «Te la sei presa così tanto? Consolati, Michael stava facendo la stessa cosa alla tua amica Paige. Inoltre, se proprio non volevi la mia manina, bastava che ti alzassi e te ne andassi. A quanto mi ricordo c'è voluto un po' per farti schiodare.»
Io arrossii furentemente e mi strinsi le gambe. Non mi interessava con quanta disinvoltura l'aveva fatto, il problema era che per lui quel fatto non c'era mai stato. Non aveva dato peso a niente in quella serata, almeno lui. Per Dominik era stato un bello scherzetto all'ombra di tutti.
«A Paige non interessa Michael» ribadii.
«Davvero? Sentivo la puzza dei loro ormoni fino in garage. Tu puoi sempre fare la ruota di scorta.» Aprii la bocca, sconcertata. Prese il mio bicchiere e ne bevve un piccolo sorso, facendo una smorfia. «Non fare quella faccia, sei orrenda. La sincerità è la migliore cosa.»
«Allora io sinceramente vorrei spaccarti la faccia.»
Lui rise, divertito, seppure io non scherzassi affatto. Se con Michael ero riuscita a trovare un tacito accordo in comune che comprendesse il non parlarci a lungo e non darci fastidio a vicenda, con Dominik tutti i miei piani erano falliti. Per lui era un dileggio farmi innervosire, insultarmi e in quella casa c'era posto per un solo figlio di quel genere.
«La femminilità fatta persona» scherzò. «Sei adorabile. Ora, resta pure qui ad aspettare Michael così puoi andare a comprare i tuoi deliziosi costumini.»
Io saltai giù dallo sgabello con il viso rosso e con i pugni stretti. Forse se fossi stata un maschio sarei risultata più minacciosa, ma ero solamente una ragazzina più bassa e mingherlina di lui. Incutergli timore era una questione impossibile. Solo Gilbert ci riusciva.
Lui si mise l'asciugamano in spalla, incrociando le braccia, aspettandosi altri miei strilli isterici. Doveva pensare che ero come un gatto a cui avevano appena pestato la coda, che gridava tanto e non graffiava mai, e io me ne pentii perché non avevo fatto nulla per farlo ricredere.
«Mi credi stupida?» sbottai.
Lui sbatté gli occhi e mosse le mani. «Di tanto in tanto.»
«La mia domanda era retorica» precisai.
«La mia risposta no. Se non sai accettare le risposte allora evita di fare le domande, Chanel» mi riprese, dandomi un buffo sul mento. Gli schiaffeggiai la mano e gli andai dietro.
A metà percorso, Michael scese dalle scale e ci venne incontro. Aveva indossato una semplice maglietta a maniche corte e dei pantaloni lunghi fino al ginocchio. Il suo viso era umido e alcune ciocche di capelli erano bagnate e attaccate alle orecchie.
Dominik lo guardò e schioccò la lingua. «Ti sei messo proprio in tiro, fratello» esclamò Dominik.
«Prima o poi dovrò fare una statua al tuo ego, fratello» rispose a tono.
«Magari è perché lui ha più possibilità di te di rimorchiare» mi intromisi e Michael ridacchiò.
Dominik corrugò la fronte. «Da quanto fai squadra con Miss Costumino Nuovo?»
«Da quando mi permette di evitare le tue battute di merda» disse, finendo di scendere gli scalini con un sorrisetto che fu ricambiato dal maggiore.
«Ed è per questo che sei il fidanzato perfetto.» Gli batté una mano sulla spalla, spingendolo.
Michael mi guardò. «Possiamo andare?» Io annuii. «Sai chi ci sarà questa sera al falò? Paige mi ha detto che era tra amici, ma a conti fatti non so che amici avete voi due. Ha detto che posso portare altri ragazzi» giudicò e io evitai di prenderlo come un insulto.
A quanto pareva Paige e Michael parlavano ogni giorno e si sentivano fino a tarda notte. Mi ero chiesta che cosa avesse tanto da parlargli, su quali argomenti, e più volte avevo cercato di rubarle di nascosto il telefono per vedere i suoi messaggi, ma era risultata una pessima idea. Michael teneva sempre il suo cellulare in tasca e non volevo ficcargli una mano tra i pantaloni e frugare alla ricerca della mia stupida paranoia. Se Paige riteneva giusto scrivergli andava bene. Avrebbe capito da sola che genere di ragazzo era Michael.
«Ci saranno alcune nostre compagne di classe, Lavanda, Clara e Bernadette di sicuro. Credo che venga anche Mark con la sua ragazza, ma non sono sicura. Penso abbiano invitato altre persone» riferii e Dominik mi fece girare verso di lui.
«Viene anche quel Mark?»
«È un mio caro amico» riferii. La sua faccia era del tipo "se viene lui io non vengo", ma non mi interessava.
Anche Michael sembrava aver pensato la stessa cosa perché disse: «Puoi sempre rimanere a casa.»
«È escluso» sputò. Mugugnò qualcosa che non afferrai e poi fece un grosso sorriso, dicendomi: «Ehi, perché non ti fai prestare da lui qualche costume da ragazza? Sono convinto che ne abbia molti per compensare altre cose.»
«Sempre meglio della tua presenza. Non sei tanto indispensabile, sai?» lo provocai e vidi i suoi occhi fiammeggiare.
Michael scosse la testa, mi mise una mano sulla schiena e mi spinse verso la porta, allontanando entrambi da una discussione. «Time out, basta così. Noi andiamo. Se papà torna prima di noi digli che per pranzo siamo qui, intesi?»
«Intesi» rispose Dominik, freddo.
Io e Michael prendemmo la stessa Mercedes che usavano per i loro giretti. L'aria era afosa, densa di calore e ad ogni boccata mi pareva di soffocare. La prima cosa che avrei fatto sarebbe stata prendermi una granita rinfrescante. Mi legai i capelli e abbassai il finestrino, mettendo una mano fuori nel tanto in cui Michael guidava sereno senza la mia voce a squillargli nelle orecchie con gran fastidio. Nel cielo non c'era nemmeno una nuvola e il caos della città mi tranquillizzò.
La presenza di Michael cominciò a piacermi, dopotutto. Con Dominik non riuscivo mai a stare serena e al mio agio, aspettandomi sempre qualche suo dispetto o parola tagliente. Il silenzio bonario di Michael era una benedizione e mi domandai quale carattere avesse quando era con Paige. Di sicuro non si comportava come con me, silenzioso e solitario, ma doveva essere proprio gentile per essere piaciuto alla mia amica.
Michael era proprio un bel ragazzo, non c'era dubbio e più lo guardavo più non riuscivo a trovare alcuna somiglianza con il padre.
«Mi stai fissando?» chiese e mi dedicò un'occhiata stupita.
Io mossi una mano. «Pensavo.»
«A me?»
«Ad altre cose. Tu eri nella stessa traiettoria delle altre cose.» Lui annuì. «Non assomigli per niente a tuo padre» gli feci notare.
Il suo labbro ebbe un fremito. «Era un insulto o un complimento?»
«Va bene in ogni modo lo consideri tu» risposi.
«Già» disse. «Io e Dominik non gli assomigliamo molto, alcuni rimangono un po' stupiti appena sanno che siamo suoi figli. I misteri della genetica, presumo.»
Morivo dalla voglia di chiedergli di sua madre, che faccia avesse o almeno il suo nome, ma il mio cervello mi fece chiudere la bocca. Non era stato facile per loro vedersi sostituire una figura così importante da altre tre mogli messe a rattoppare la famiglia dal padre e, se fossi stata al suo posto, probabilmente non avrei avuto tanta voglia di parlarne. In più scommettevo che gli ronzava in testa ancora la questione non chiusa della spilla e non volevo che mi considerasse un'impicciona o peggio. Mi sarebbe piaciuto vedere una foto di loro madre; la precedente settimana, dopo che Dominik uscì, volli ritornare in soffitta a dare un'occhiata, ma a quanto pareva dalla mia prima escursione aveva preso l'abitudine di chiudere la porta a chiave, anche se a Gilbert non andava bene. Per lui era meglio subirsi gli urli del padre piuttosto che le mie domande.
«Al Center Fier, giusto?» domandò lui.
«Sì. La strada la sai?»
«Certo.»
«Ha detto lo stesso Dominik quando mi avete dato un passaggio a scuola» specificai.
«Questo perché è un gran cazzone. La strada la so.»
Mi colse alla sprovvista con quella frase e non potei trattenere le risate, divertita che Michael stesse prendendo in giro suo fratello alle sue spalle.
Il Center Fier aveva un gran parcheggio ma, strano a dirsi, dovemmo vagare un poco prima di trovare un posto per lasciare la macchina. Presi la mia borsa — il regalo di Gilbert — e io e Michael ci incamminammo dentro a gran passo.
L'interno era uno spettacolo. Gli architetti avevano lasciato gli alberi che c'erano prima della costruzione del complesso e ora, dal terreno, piccoli spiazzi d'erba verde viva sbucavano vivaci, formando una via verso l'interno del centro. Gli alberi erano di pesco ed erano in fiore.
Michael si osservò intorno con interesse e il tutto gli fece mettere almeno un moderato sorriso stupito. Non sapevo dove passasse il suo tempo, ma l'aria aperta gli piaceva parecchio. L'immenso soffitto era di vetro e il sole batteva forte.
«Andiamo a prendere una granita» gli dissi, fermandolo per un braccio. «Offro io.»
Gli presi una granita azzurra, pronta a giurare che gli sarebbe piaciuta. In effetti mi ringraziò con un timido: «Grazie» ed ero convinta che per meritare un simile onore da parte sua dovessi aver fatto un salto di qualità incredibile.
«Ho scoperto cosa mettono dentro per far venire le bevande di questo colore!» lo informai fiera, bevendo un sorso della mia granita verde alla menta. Lui si staccò dal bicchiere, attento. «Mirtillo.»
«Accidenti. Avrei dovuto capirlo» si disse.
«È buono?» domandai.
«Ottima. Vuoi assaggiarla?» Lì per lì ero tentata di dirgli di no, ma poi presi il bicchiere e succhiai piano dalla stessa cannuccia umida. Feci una smorfia e glielo tornai. «Non ti piace?»
«È acida» risposi. Lui alzò le spalle. «Scommetto che non avete le granite in Russia.»
Lui alzò la testa verso di me. Eravamo seduti vicino alla stessa fontana in cui mi ero incontrata con Mark e sperai che non gli fosse venuta in mente l'idea di fare un giro con Samantha Offman lo stesso giorno. Se quella ragazzina avesse incontrato Michael non sarei restata troppo a lungo per sapere la reazione finale del ragazzo nei suoi confronti.
«Le abbiamo» mi informò come se avessi appena detto una sciocchezza. «Solo che non le beviamo spesso. Già fa freddo, se poi vai a berti ghiaccio colorato per fare il figo sei solo un povero stupido allora. Non abbiamo bisogno di rinfrescarci. È scaldarci che è un problema.»
«Come fate?» domandai.
«Vodka.»
«Mi piace la vodka» gli dissi e lui scoppiò sonoramente a ridere.
«Quella che avete qui non è vodka! Non è nemmeno una brutta copia della nostra, Chanel. Quando fa freddo alcune ditte mettono nei distributori delle piccole fiaschette di vodka e chi le compra si riscalda subito. Certe volte può arrivare anche a novanta gradi.»
«Sul serio?»
«Sì. Ecco perché a chi è rimasto sotto una valanga si da di solito del liquore, in modo da scaldarlo in fretta. L'alcol che avete qui non mi fa niente» si vantò.
«Che pallone gonfiato...» scherzai e gli diedi un leggero pugno sul braccio.
Lui smise di bere e si guardò il punto colpito e mi chiesi se non l'avesse presa male, però poi mi sorrise e finì in fretta il suo drink. Quando anche io ebbi il cervello congelato e pronto entrare in azione, mi alzai e andammo verso il negozio che vendeva costumi e intimo femminile.
«Vieni dentro con me?» gli domandai.
Michael era fermo sull'entrata con un'espressione di profondo dubbio. «Vuoi che entri lì?»
«È solo un negozio, Michael. Se un paio di reggiseni provano a mangiarti la faccia tu non agitarti, li farai eccitare di più» lo apostrofai e lui mi scoccò un'occhiata scocciata.
«In quel caso seguirò il tuo consiglio, Chanel» sibilò ed entrò.
Trafficai per un po' in vari scaffali e per urtare il suo autocontrollo ci misi più del necessario. Il negozio era gremito di ragazze e donne alla ricerca del costume e dell'intimo perfetto e sebbene non fosse l'unico uomo presente in quel negozio, le sue guance erano dello stesso colore delle sue scarpe, rosse. Michael mi seguiva come un cagnolino bastonato al guinzaglio, teneva gli occhi per terra e li alzava solamente quando incontrava un altro uomo. I due si scambiavano un'occhiata di compassione e poi filavano oltre, seguendo le proprie ragazze.
Presi tre costumi, tutti di diverso colore e modello e li andai a provare. Michael si tenne in disparte dai camerini e aspettò pazientemente il mio ritorno.
Per prima cosa provai il costume rosso e chiesi, da dietro la tenda.
«Mi serve un consiglio» feci.
«Devo entrare a dare una sbirciata?» ammiccò.
«No, esco io.»
«Va bene allora.»
Uscii e lui mi diede un'occhiata. Non si mosse e guardò il costume con insistenza, corrugando la fronte. Non so a cosa stesse pensando, ma mi pentii immediatamente di avergli chiesto un consiglio. Volevo metterlo a disagio, ma non avevo affatto calcolato che Michael aveva visto certamente più corpi femminili di me e che la tattica sarebbe risultata inefficace. Era Mark quello timido.
«Be'?» lo smossi, dato che non diceva nulla.
«Non mi piace.»
Mi guardai il costume, non capendo il problema. Avrei voluto capire con calma cosa non gli piacesse, in modo da prenderne un altro più carino, ma dubitavo che ne avesse voglia. Michael era un ragazzo, ergo un essere che pensava solamente ai propri affari.
«Allora prendo quello azzurro e chiudiamo la questione» sbottai.
Lui mi venne vicino e mi strizzò la pancia. Scattai all'indietro.
«Meglio se lo provi. Ce n'è un bel po' di ciccia. Tornare a cambiarlo sarebbe una seccatura, no?» sillabò, con uno strano sorrisetto vendicativo in faccia. «Perché non prendi uno di taglia forte?»
«Sei uno stronzo a volte, lo sai?» tuonai, chiudendo nuovamente la tenda.
Mi sfilai il costume di dosso e provai quello azzurro.
«Riesci a cambiarti da sola? Posso aiutarti?» disse Michael da fuori.
«Stai zitto» lo liquidai arrabbiata.
«Deve essere dura destreggiarsi tra i rotolini!» esclamò e io diedi un pugno alla tenda, in modo che capisse di dover stare zitto. «Ce la fai?»
Avevo agganciato la parte superiore del bikini subito, ma il problema era riuscire a fare il fiocco al cordino in modo che il tutto non scivolasse via. Avevo una corporatura minuta e le spalle non erano per niente grosse, perciò non volevo che la taglia risultasse sbagliata e mi cadesse una volta fatto il bagno. Inceppando e annodandomi un paio di volta alcune dita per sbaglio, chiamai Michael.
«Chiudi gli occhi però» mi raccomandai.
«Per l'amor di Dio, è un costume e in più ho visto centinaia di altre ragazze» si difese, ma per me non era un buon capo di difesa.
Sbuffai e io lasciai entrare, stringendomi il costume addosso. Mi girai, dandogli la schiena e in pochi secondi mi fece un nodo decente, solido. Il costume che avevo scelto era dipinto di un azzurro molto vivace e i bordi del costume erano definiti da una striscia di tessuto nero che in quel periodo andava di moda.
«È molto bello» costatai da sola, specchiandomi. Michael inclinò la testa, silenzioso e studiò il nuovo capo. «Bocciato o promosso?» chiesi.
«Ti interessa davvero la mia opinione?» mi domandò.
«Se non ti piace lo prendo comunque, volevo sapere quali standard ha il famoso figlio del pezzo grosso Gilbert Petronovik» dissi. «Hai visto molte ragazze in bikini in Russia?»
«No» ammise. Fece un passo di lato e non mi toccò. «Ma è molto bello su di te. Forse non avrai bisogno di cambiarlo, Chanel» mi rispose, fissando il mio riflesso attraverso lo specchio.
Mi umettai le labbra, nervosamente. Lo guardai di sottecchi. Ammisi a me stessa che solo pochi mesi prima avrei pagato per ritrovarmi in una situazione del genere, a fare shopping con un ragazzo e lui che mi dava consigli sui costumi da portare in spiaggia. Le mie fantasie si erano realizzate, ma in modo sbagliato. Capii cosa ci vedesse Paige in lui, oltre ad essere un singolare ragazzo poteva dimostrarsi molto disponibile, sincero e dolce. Magari era solamente la presenza di Dominik o del padre a renderlo sempre nervoso.
Lui era alto e sembrava occupare tutto lo spazio a disposizione, pareva che mi rubasse persino l'aria. Il suo braccio mi sfiorava il fianco e io annuii, girandomi verso di lui. L'angolo superiore del suo labbro si alzò.
«Va bene, allora possiamo andare a pagare. Esci, così mi cambio» dissi fiaccamente.
«Allora vuoi che ti sciolgo il nodo?» offrì rallegrato e io gli diedi una leggera spinta.
«Aspetta fuori» ribadii.
«Aspetto fuori.»
Mangiammo al centro commerciale, dividendoci il conto e una pizza ai quattro formaggi appena uscita dal forno. La mia personale lista delle Cose Da Fare Prima Di Morire aveva molti punti, uno dei quali diceva che avrei dovuto fare un salto in Italia e assaggiare la vera pizza italiana, la loro specialità. Ne parlai con Michael e lui considerava un'ottima tesi dire che non dipendeva da luogo di origine la bontà di un determinato piatto, ma derivava dagli ingredienti. Mi descrisse alcuni piatti russi che secondo lui era uno squisitezza, ma non mi diede un'idea molto positiva.
Tornammo a casa nel pomeriggio e stetti un poco con mia madre. Al matrimonio mancavano poche settimane e lei era su di giri per l'emozione, la percepivo ogni qualvolta aprisse la bocca per parlare con Gilbert. Rivedemmo la lista delle cose da fare e le promisi che le sarei stata certamente d'aiuto. Aveva scelto un bouquet di rose rosse e gigli. Amore e felicità.
Gilbert rimase con me e mia madre e ascoltò pazientemente le sue lamentele e i miei consigli sui propositi che ancora non avevano chiarito, dopo li lasciai alle loro opinioni personali: Gilbert era un uomo di vecchio stampo e voleva un matrimonio più classico, mentre mia madre aspirava a qualcosa di più moderno. Non sapevo come, ma ero curiosa di vedere come avessero organizzato il loro giorno perfetto.
Di pomeriggio feci i compiti e aspettai pazientemente che Michael o Dominik scendessero e mi dicessero che era ora di andare. Verso le cinque ci mettemmo tutti in costume e andammo in spiaggia.
Paige e il resto del gruppo aveva piantato gli ombrelloni poco prima della banchina e ora un piccolo accampamento si ergeva nel deserto di sabbia. Mark e Dean stavano montando l'ultimo ombrellone e avevano steso un telo tra i due pali, in modo non esporre la grossa borsa di cibo al sole.
Appena Paige ci vide arrivare saltò in piedi dal telo in cui era seduta e corse da noi. Mi abbracciò.
«Hai trovato il posto allora! Pensavo proprio di averti dato le indicazioni sbagliate» esclamò.
«Ti avrei trovata solo per mandarti a quel paese» la consolai, ridendo.
Alzò gli occhi verso Michael e timidamente lo abbracciò. Io e Dominik andammo per primi all'ombra e stendemmo un asciugamano, sedendoci e lasciando Paige e Michael alle loro chiacchiere. Mark mi dedicò un'occhiata, ma non si soffermò a lungo quando incrociò gli occhi di Dominik e fece finta di continuare a stringere delle corde per avere qualcosa da fare.
«Ti serve una mano, ragazzino?» disse a voce alta Dominik.
Mark lo guardò da sopra la sua spalla. «No, ho fatto, ma grazie del tuo prezioso aiuto» gli rispose a tono.
Mark si tornò a sedere e Samantha gli passò una bottiglietta d'acqua fresca, accoccolandosi vicino a lui. Pensai che fosse troppo caldo per stare appiccatiti in quel modo, la faccia di Mark era paonazza dal caldo, ma almeno né lui e né Dominik trovarono altre parole taglienti da dire. Dominik pareva molto annoiato, si guardava intorno quasi con apprensione e alzava gli occhi ogni volta che Paige rideva per qualcosa che Michael aveva detto. L'avrei fatto anche io, ma era la mia migliore amica.
Mi tolsi la maglietta lunga che portavo come vestito e la riposi nella mia borsa.
«Mi passi dell'acqua?» domandai.
Dean, uno dei migliori amici di Mark, scavò nella borsa frigo e poi mi passò una bibita all'arancia che apprezzai molto.
«Molto bello, quel costume» commentò Dean, indicandolo.
«Grazie, è nuovo» gli risposi.
«Miss Costumino Nuovo è contenta per i complimenti?» mi domandò Dominik, seduto accanto a me nello stesso asciugamano.
Io voltai la testa, arrossendo. Nessuno lo notò. Il mio viso doveva essere già rosso.
«Non ascoltarlo. Sei sempre bellissima» si intromise Mark e io allungai il piede, tirandogli un po' di sabbia sui vestiti.
Samantha mi squadrò e Dominik smise di ridere. La ragazza si alzò e si spogliò, restando in costume. Aveva scelto un bel modello, simile al mio, ma di un colore sul porpora acceso con delle onde di tessuto vicino alla scollatura.
«Andiamo a fare il bagno?» propose lei. «Lavanda, Clara e Bernadette sono già là» si lamentò, prendendo Mark per una mano.
«Finisco l'acqua e arrivo.»
Samantha alzò le spalle, camminando da sola verso l'acqua.
«Vado anche io, così vi lascio soli a parlare» disse nervosamente Dominik, sollevandosi sulle ginocchia e togliendosi la t-shirt, correndo poi verso il mare.
«Ehi! Wow! Dove va quell'idiota?» domandò ad alta voce Michael, sperando che il fratello lo sentisse.
«Credo che voglia andare a farsi un bagno» dissi, girandomi.
«Ma lui odia il mare» proruppe.
«Andiamo a bagnarci anche noi» propose Paige a Michael.
«Che idea allettante» ammiccò, trovando la frase divertente.
Paige lo tirò per un braccio e lo fece alzare a forza, si tolsero le magliette e poi corsero entrambi in acqua, seguendo le stesse orme che avevano fatto precedentemente i miei amici. Da come saltavano la sabbia scottava e io non avevo tanta voglia di andare in acqua.
«Va tutto bene a casa?» mi domandò Mark, chiudendo la sua bottiglietta.
Dean si mise le cuffiette e io mi sdraiai sul telo all'ombra, godendomi la calura. «Tutto bene. Mancano dieci giorni al matrimonio» dissi, abbassando il tono della voce.
Mark diede un'occhiata oltre la sua spalla e vide il gruppo urlare sguaiatamente in acqua, saltare e tuffarsi. Anche Samantha pareva divertirsi senza Mark, cosa che mi fece un poco strano dato che non faceva altro che marchiare il suo territorio: era sulle spalle di Dominik e la loro squadra era in battaglia contro quella di Paige e Michael. Le altre facevano il tifo, schizzandosi a vicenda.
«Mark» parlai e lui mi guardò, «grazie per aver invitato qui anche Dominik e Michael.»
«Di niente.»
«Dominik non è proprio nelle tue grazie, eh?» sibilai, facendo sviare la sua attenzione dalla gara che si stava tenendo in acqua in quel momento.
«Non proprio, scusami. Sarebbero i tuoi fratellastri e non ne voglio parlare male, non davanti a te, ma hanno qualcosa di strano» proferì.
Pensai che Mark avesse certamente occhio. Non era stato contagiato dalla loro strana perfezione, magari derivava dal fatto che lui e Dominik avessero quasi litigato o perché era oramai stufo delle continue discussioni punte sul vertice dei Bad Bro.
Io annuii.
«Hanno detto qualcosa di me?» mi domandò.
Feci un mugugno. «Non proprio. A Michael credo che tu piaccia, potreste andare d'accordo secondo me. Hanno un'auto in garage che smontano e aggiustano in continuazione, magari un giorno di questi potresti venire a casa e vederla. Hanno un debole per la meccanica.»
«E sconfinare nel loro territorio? Non ci penso nemmeno!» esclamò in scherno e io scoppiai a ridere.
«Dominik?» buttai lì intuitiva.
Alzò le mani in segno di resa. «Mi guarda come se fossi un insetto.» Io alzai le sopracciglia. In effetti non era la sua impressione. Dominik parlava di lui sempre in modo odioso, come se avesse qualcosa incastrato in gola. «Non dirmi che è solo una mia convinzione. So da solo quando ad una persona non piaccio» specificò.
«A Dominik non piace molta gente. Nemmeno io gli piaccio» gli risposi. «Cosa hai pensato della sua reazione lunedì?»
«Ho pensato che è stata esagerata, tutto qui. Perché tutto questo interessamento improvviso?»
«Nulla, curiosità.»
«Attenta a dove ficchi il tuo naso, Chanel» si raccomandò.
Feci del mio meglio per non badare al quella frase detta a casaccio. Gilbert me lo ripeteva in continuazione oramai.
Mi girai, sollevandomi con i gomiti. «Guarda, la tua conquista ha la testa di Dominik tra le gambe.»
Mark girò la faccia, fece per alzarsi ma decise che non gliene importava abbastanza e rimase seduto all'ombra. Se preferiva la frescura moderata dell'ombrellone piuttosto che Samantha, era una relazione bloccata dalla partenza.
«Tutto bene?» domandai.
«Sì, certo» commentò e volse lo sguardo lontano dal mare. Dominik non aveva intenzioni serie, glielo volevo giurare, ma il problema di quel ragazzo era che era aperto e non sapeva gestire il bisogno di spazio degli altri. «Pensi che io sia un bel ragazzo, Chanel?» mi chiese.
Io mi misi una mano davanti agli occhi, coprendomi dal sole e gli diedi un'occhiata espressiva. Mark era più alto di me, aveva dei capelli che mi avevano sempre ricordato quelli del principi dei cartoni animati Disney e degli occhi marroni, schietti e vivaci. Nuotava spesso e le sue spalle erano ampie. Non era per niente un brutto ragazzo.
«Sì» confermai sincera. «Perché me l'hai chiesto?»
«Se lo avessi chiesto a Paige o a Lavanda si sarebbero messe a ridere. Tu sei una ragazza sincera» bofonchiò timidamente.
«Ah» borbottai piano, confusamente.
«A quanto pare sono tutti fighi a parte me.»
«Non sei uno sfigato, Mark. Ti preferirò sempre ai ragazzi come loro.»
Lui mi fece un sorriso. «Vorrei che tutte le ragazze avessero gusti un po' come i tuoi. Sto sempre con te e Lavanda che le altre ragazze pensano che ci sono fidanzato. Potrò dedicarmi alle mie conquiste, adesso» si promise con tono duro.
«Donne.»
«Era una domanda o una affermazione? Accidenti, hai ucciso la mia virilità con una sola parola, solo tu potevi riuscirci. Grazie tante!»
«Virile o no ti sfido ad una gara di nuoto, Mark Dolby. Pronto a perdere?» Gli diedi una spinta e lui cadde rotolando indietro su Dean, il quale si svegliò imprecando.
Mi alzai, cominciando a correre verso il mare. Lui si alzò e mi corse dietro senza perdere un minuto.
Faccemmo il bagno tutti insieme e per un'ora intera non udimmo altri rumori a parte le nostre alte risate. Avrebbero potuto venire i poliziotti ad avvertirci di qualche minaccia e non li avremmo minimamente sentiti arrivare o sbracciarsi per arrivare a noi. Girammo intorno agli scogli e con i retini prendemmo qualche granchio, in qualche pozza più limpida acchiappammo anche un pesce dalle squame grigio-azzurre, ma nessuno di noi sapeva come cucinare un pesce appena pescato e non volevamo ritrovarci la bocca piena di spine. Bernadette insisté per gettare tutto il nostro piccolo bottino via quando un granchio, innervosito, quasi staccò un dito a Dean. Dominik dovette rompere la chela all'animale prima che si decidesse a mollare la presa.
Una volta tornati a riva il sole stava quasi per tramontare e velocemente i ragazzi scavarono una buca per il fuoco e andarono a prendere dei rami. Ci asciugammo in fretta e infilzammo dei grossi marshmallow rosa a dei lunghi rametti, affinché si cuocessero senza bruciare noi. Dominik aveva i capelli grondanti di acqua ed era seduto vicino a Dean, intento a dividersi il loro pacchetto di caramelle. Avevamo portato solo cibo spazzatura e qualche bottiglia extra di birra.
Dominik e Michael chiamarono i loro amici e Lavanda strepitò di gioia. A quanto pareva erano gli stessi della serata a poker del mese prima e io mi sforzai affinché nessuno di loro si ricordasse bene di me come io lo facevo di loro. I ragazzi vennero in quattro, ma non seppi il perché, mezz'ora dopo, ce n'erano tre in più. Non avevo fatto minimamente caso a dove fossero usciti perché ero troppo impegnata a sorseggiare la mia bottiglia di birra e mangiare patatine al formaggio.
Dominik e Mark fecero immediatamente amicizia con i nuovi arrivati e seppure credetti che le ostilità tra di loro erano ufficialmente cessate con quel pomeriggio passato insieme, in poco tempo tornarono a sedersi lontani e a scoccarsi a vicenda occhiate viperine. Non sapevo se uno di loro due avesse detto qualche parola di troppo, anche se con il carattere di Dominik e la parlantina di Mark era piuttosto probabile che si trattasse di una sciocchezza.
Ero sdraiata sulla sabbia, infischiandomene se i miei vestiti erano umidi e impregnati. Il cielo oramai era una cappa scura, illuminata alla perfezione da una luna piena anemica. Le stelle brillavano splendenti in quello sfondo oscuro e il fuoco faceva danzare le ombre dei miei amici lungo la spiaggia, rendendo le loro forme grottesche. Taylor, l'amico di Dominik, mise la musica.
La spiaggia divenne affollata e non seppi se era perché cominciavamo a fare davvero casino o era perché eravamo in tanti raggruppati vicino ad un modesto fuoco rosso. Dominik, il suo amico dalla pelle color cioccolata e Samantha si assentarono per qualche minuto per andare a prendere dei margarita da un negozio sul lungomare e ne tornarono ridendo, pieni di bottiglie.
Il ragazzo dalla pelle scura mi passò un bicchiere di plastica rosso e io mi tirai su a sedere. «Tieni, Chanel, questo è tuo.»
«Oh, ti ringrazio. Com'è che ti chiami?» domandai, scolandomi l'intero bicchiere, proprio come stavano facendo tutti gli altri. Quando l'alcol scese giù per la gola mi dissi che era meglio non mescolare birra e margarita.
«Corey. Corey Wells.»
«Tanto lieta» esclamai, ridendo come un'ebete per nulla.
«Ti ho vista la sera del poker a casa dei gemelli» mi informò e io annuii. «Ehi! Guarda là, sembra che abbiamo una nuova coppia in città!»
Io mi girai. Michael e Paige erano seduti su un asciugamano e lui le stava insegnando la corretta pronuncia del suo nome.
«Mi-ka-el» sillabò lui e Paige provò a riprodurre il suo accento. Mi pareva lo dicesse bene, ma lui scosse la testa teneramente.
Le alzò il viso e le diede un leggero bacio sulla punta delle labbra. Paige poi si accoccolò a lui e Michael la abbracciò.
«Dov'è Dominik?» domandai e Corey fece un sospiro pesante. «Lascia perdere. L'ho trovato.»
Mi allontanai dal ragazzo fischiettando, traballando un poco per via delle numerose buche nella sabbia, ma nonostante i numerosi drink mi tenni in piedi molto bene. Almeno per il giudizio di un'ubriaca.
Dominik si era allontanato di qualche metro e si era appartato con Samantha vicino alla staccionata del molo. Lei aveva oramai perso interesse per Mark da quando i ragazzi si erano sfidati ad una gara di resistenza: Mark era attaccato ad una bottiglia di birra e Taylor gli stava dando delle pacche per ricordargli di respirare.
Dominik aveva occhi solo per Samantha, la quale non si era rimesse la maglietta addosso, anche se si era asciugata da ore. Mi girava leggermente la testa, ma andava tutto bene. Volevo che mi spiegasse perché era venuto a dare fastidio a me e a Mark insieme, di parlare con Michael su Paige e di non toccare la ragazza di altri. Avrei potuto disturbarlo, eppure non me ne importò.
«Ehi!» esclamai e mi avvicinai con aria mesta. Samantha mi diede un'occhiata nervosa e fece una smorfia. Loro due erano i pochi ad essere sobri, a parte Michael e Paige, forse.
«Penso che dovresti tornare da Mark» mi disse Samantha.
«E io penso che tu dovresti metterti la maglietta» rimbeccai decisa.
«Hai bevuto troppo per questa sera. Ti conviene tornare a casa, sei strana» disse Dominik, dandomi un'occhiata interrogativa.
«Non sono io quella strana!» Dio, mi veniva da ridere. «Tuo padre è quello strano. Cosa tiene in soffitta?» domandai e Dominik rizzò la schiena, sorpreso.
Fece un cenno a Samantha, dicendole di aspettarlo vicino al falò, e aggiunse qualcosa su di me che non capii bene, dopodiché, appena lei si fu allontanata, alzò un sopracciglio. Nella sua mano sinistrà brillò qualcosa alla luce che presto scomparì. Doveva essere solo un riflesso.
«Dimentica la soffitta e dimentica questa storia, Chanel. Ti ho avvertita di non cercare guai. Non rovinare i piani di mio padre» mi avvertì. Grazie all'audacia dell'alcol gli risi in faccia. «Mi trovi buffo?» mi domandò arrabbiato.
«Sei sempre così... serio!» esclamai, mettendogli una mano sulla faccia. «Ma shh, non dirlo a Dominik!» Oh, dannazione, la conversazione non stava dando i frutti sperati. «Dimmi cosa nascondete in casa! Guarda che io scoprirò cosa...» mi bloccai.
Si era avvicinato molto e le sue mani erano sui miei fianchi. La voce mi tremava.
«Non credere di farmi cascare nelle tue trappole. Solo perché hai quegli occhioni azzurri e quel tuo...»
«Quali occhioni?»
Dominik mi baciò e io rimasi ferma, immobile, con le sue mani tra i capelli.
Missione fallita, capitano! Abbandonare la nave, abbandonare la nave!
Lo stomaco ribollì e si attorcigliò su se stesso, mentre una strana sensazione si mescolò nel ventre.
Mi staccai piano, scuotendo la testa. «No, fermo...» Mi baciò di nuovo e non riuscii ad impedirglielo. Era troppo grosso per farlo indietreggiare. Sentii la sua lingua accarezzare la mia e avvertii l'odore dolciastro del suo alito alcolico.
Non era un bacio normale o innocente, sentivo la sua lingua sul palato e incessantemente cercò la mia. Tirai un poco in là la schiena e le sue dita schiacciarono la mia pelle più forte, per tenermi.
«Dom, ti prego, non puoi...» lo supplicai, in preda alle lacrime. Il panico mi solleticò le viscere e un'altra sensazione più pungente mi fece vibrare le gambe, proprio come quando mi toccò a cena. Era una sensazione soffocante e viscerale, ma forse era il vomito.
«Mi viene da vomitare!»
«Senti, senti. Io ti faccio salire il vomito e invece il tuo delizioso amico può toccarti tutte le volte che vuole, vero? Ehi, gattina, vuoi giocare con le unghie? Sono pronto a tirare fuori i denti.»
«Yenot!» esclamai.
Non sapevo cosa significasse, ma era l'unica parola che conoscevo e Paige mi aveva detto che doveva essere una specie di insulto.
«Mi hai appena dato del procione, Chanel?» Lui era divertito, io spaesata.
Pensai: È l'ultima volta che do retta a Paige.
Scivolò con le labbra sulla guancia e avvertii i suoi denti a contatto con l'incavo del mio collo. Non stava affatto sorridendo. Voleva darmi una lezione. Gemetti forte, in preda al dolore. Volevo muovermi e massaggiarmi il collo, ma Dominik non allentò la presa.
Dominik mi lasciò e udii qualcosa. Michael mi posò una mano sulla spalla e mi fece voltare. Mi esaminò il viso e poi incenerì il fratello con odio. I suoi capelli neri erano un tutt'uno con il cielo oscuro.
«Cosa le hai fatto?» lo accusò.
Dominik alzò le mani. «Io? Niente.»
«Non prendermi per coglione, Dominik. Papà ha detto che dovevamo tenerla d'occhio e impedire che si facesse male, dimentichi?»
«Magari Taylor ha allungato troppo le mani. Sai com'è fatto» ipotizzò e io mugugnai, scuotendo la testa. Che pezzo di merda. «L'ho trovata così, penso sia brilla.»
«Tu credi?» sbottò sarcasticamente. «Ha un morso sul collo! Le hai dato un morso!»
«Io non c'entro.»
«Devo vomitare...» borbottai, tenendomi la pancia.
«Sei davvero un coglione a volte. Non mi prenderò la colpa per questo» grugnì Michael.
«Io sono un coglione e tu hai la garanzia da portare a casa. Spicciati, sono le dieci passate» lo apostrofò.
Incapace di serrare la bocca, il vomito mi salì la gola e rigettai tutto quello che avevo mangiato e bevuto quella sera.
«Yebat'... Che schifo!» esclamò divertito Dominik, facendo un salto indietro. Si mise le mani sui capelli e un ampio sorriso gli solcò il volto.
Michael allungò le labbra e si avvicinò a me, raccolse i miei capelli in una coda e me li tenne lontani dalla faccia per impedire che si sporcassero. Vomitai ancora, con lo stomaco contratto e molle. Dominik se ne andò via e lasciò io e Michael in disparte, fortunatamente in un angolo in penombra. Michael mi aiutò sorreggendomi per un braccio mentre io mi tenevo la pancia e venivo scossa tra tremendi brividi freddi.
«Hai finito?» mi chiese e io annuii. Non sapevo se avessi finito, ma non volevo rimanere lì nemmeno un minuto in più.
«Portami a casa...» lo pregai, sputando l'orribile gusto che avevo in bocca.
Michael prese velocemente le sue cose, disse due parole a Paige e poi corse di nuovo verso di me. Ero seduta per terra con la testa tra le mani e, pensando, calcolai che quel momento fosse stato il più imbarazzante della mia vita.
Mi ero dimenticata che eravamo venuti a piedi. La villa di Gilbert non era molto lontana, ma il fatto di camminare mi fece venire da piangere. Mi sentivo uno schifo e non sapevo se era colpa dell'alcol. Mi sentivo debole.
Michael mi fece alzare e costatò che mi reggevo in piedi bene a parte per qualche tremolio involontario. «Non cammini molto bene. Tua madre non te la farà passare liscia e mio padre me ne dirà quattro se ci scoprissero...»
«Non sono totalmente ubriaca» mi difesi. Lui mi guardò e io feci una smorfia. «Poco poco. Così, guarda.» Avvicinai di poco l'indice e il pollice davanti ai suoi occhi.
«Certamente, Chanel. Andiamo. Prima torniamo e prima potrai metterti a letto.»
«Dobbiamo avvertire gli altri» feci.
«Ci penserà Paige. Le ho detto che non ti sentivi bene.»
Benedetto ragazzo.
Mi porse la sua mano affinché non cadessi e io gliela presi. Mi sentivo ancora debole, ubriaca, terribilmente a disagio, ma anche grata a Michael perché si preoccupava veramente di me e non mi aveva lasciata da sola. Avrebbe potuto lasciarmi con Dominik e pensare a Paige e invece aveva preferito pensare a me di persona. Mi pulii la bocca più volte, ma lasciai credere al mio fratellastro che fosse per il vomito. Non volevo dirgli di Dominik, ma scommettevo che entro domani il fratello lo avrebbe messo al corrente.
«Mi dispiace» dissi.
Lui camminava più lento. «Per cosa?»
«Stavi con Paige.»
«Non pensarci.»
«Passerai dei guai per colpa mia?»
«Spero di no.»
«Lo spero anche io. È colpa mia.» Lui non parlò. «Gilbert è così severo con voi?»
Lui strinse le labbra e non parlò. La sua mandibola si contrasse e io lo guardai. Inciampai e quasi caddi per terra.
«Andiamo, manca poco.»
Entrammo nel giardino e costatammo che non tutte le luci della casa erano spente. Il piano inferiore era totalmente avvolto dall'oscurità, ma la camera di Gilbert aveva la luce accesa. Si stavano prendendo la serata per loro, ovviamente, e la cosa non mi lasciò stranamente l'amaro in bocca. Si stavano divertendo e io non volevo rovinare un'altra serata.
Michael mi portò in cucina e mi versò un bicchiere di acqua gelida.
«Non ho sete.»
«Bevi» mi ordinò severamente, come se nello stesso istante mi facesse la predica sulla mia stupidità. Bevvi un sorso e lo guardai, sperando che annuisse. Lui mi squadrò. «Tutta, Chanel.» Lo feci.
Per salire le scale dovette prendermi in braccio. Mi girava troppo la testa e nel mio cervello si stava tenendo una guerra di indipendenza tra l'alcol bollente, fazione rossa, e l'acqua gelida, fazione blu.
In silenzio entrò nella mia camera. Mi portò in bagno e mi mise nella vasca da bagno, prendendo il telefono della doccia e puntandomelo in faccia, bagnandomi di acqua fredda. Io trasalii e in pochi secondi i miei capelli e i miei vestiti furono zuppi.
Posò le borse per terra e poi si sedette, appoggiando le braccia sul bordo. Si riavviò i capelli, stanco. Sembrava frustato, arrabbiato e io non potevo dargli torto. Dominik mi aveva baciata a tradimento e lui ora si stava prendendo le mie responsabilità. Essere ubriachi era peggiore di quanto ricordassi, supposi che era perché stessi crescendo. Non seppi perché tenesse a me, ero convinta non mi sopportasse affatto. Magari non provava affetto, ma pietà. Io ero la ragazzina tra i suoi piedi, quella a cui badare per non vederla a terra.
Mi ricordai che avevo vomitato davanti a lui ed ero nella vasca, completamente bagnata e umiliata. Non era una bella situazione.
Mi tolse i capelli dalla faccia, si bagnò la mano e me la pulì con gli schizzi. Io gli sorrisi. Seppure con le ciglia appesantite dalle gocce d'acqua vedevo alla perfezione il suo volto.
«Grazie» borbottai. Lui alzò le spalle. «Davvero. Ti ringrazio.»
«Di nulla» mi rispose.
Ero convinta che stava per dirmi qualcos'altro, invece si alzò e mi porse un asciugamano.
«Ti ho messo il pigiama sul lavabo. Mettiti qualcosa di caldo e poi vai a letto. Ti aspetto di là.»
Mi vestii in fretta, temendo che entrasse da un momento all'altro, ma non fu così. Mi aspettò davanti al bovindo, stava guardando fuori. Il falò era solo un piccolo puntino rosso in mezzo al buio.
«Lacey e Gilbert hanno passato una serata migliore della nostra» scherzò lui.
«Chiunque ha passato una serata migliore della nostra» ribattei.
«Touché.»
«Michael?» Lui si girò. «Puoi rimanere con me questa notte?» domandai.
Lui non disse nulla e annuì.
Ci stendemmo a letto e io cercai il suo corpo per scaldarmi. La sua pelle aveva l'odore del sale e del mare. Mi addormentai in pochi minuti. Per la prima volta non fummo l'australiana e il russo capitati per caso, ma ci comportammo come dei veri fratello e sorella.
Il mattino successivo mi svegliò un mal di testa atroce. Mi voltai di lato e non trovai Michael. Ero certa che in mezzo alla notte fosse con me, perché mi ero rotolata verso di lui per trovare calore. Dormiva in posizione fetale, con le mani vicine alla sua faccia, e la sua schiena era stata il posto ideale per poggiare la testa.
Dubitavo che a Paige l'avremmo raccontato.
Mi sollevai con qualche sforzo e mi passai una veloce manata sul viso. Ci vollero alcuni minuti prima di riuscire a mettermi perfettamente in piedi senza capogiri. Uscii decisa, ma prima di scendere al piano di sotto per mangiare qualcosa di decente, bussai furentemente alla camera di Dominik. Venne alla terza volta, quando oramai i battiti erano diventati pesanti pugni.
«Che diavolo... vuoi?» Sbadigliò.
«Stai alla larga da me» lo avvertii.
Lui si stropicciò un occhio, assonnato, i capelli vispi e in disordine.
Un lieve grugnito familiare si levò dalla sua stanza e subito i miei occhi si fecero sospettosi e cupi.
«Penso che non sarà molto difficile. Ho migliore compagnia» mi apostrofò.
«Spero che tu non...» Socchiuse la porta, impedendomi di vedere altro. «Sei davvero un idiota.»
«Vai a dire alla tua amica Paige che tu e il suo nuovo ragazzo avete dormito nello stesso letto, che ne penserà? Sei la sua migliore amica» borbottò con finto timore. «C'è altro?»
Negai.
«Allora sparisci, donna. Ho di meglio da fare. Torna dal tuo bel principe solitario.»
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