7 Potete smetterla di nascodervi✔️

(Gabriel Consaro)

In alto. In alto.

Era una parola semplice, dopotutto, ma il fatto che non capissi cosa Gabe cercasse di dirmi mi mise in agitazione. Odiavo quando non capivo una cosa e c'erano molte cose che non capivo, a partire dalla vita precedente di Gilbert. Mia madre era a conoscenza di Kezia e di Anne in quella casa e della loro tragica fine? Perché non me l'aveva detto? Non avrei più accettato la scusa della sicurezza. Io volevo risposte chiare e se mia madre voleva che restassi in quella casa il minimo che poteva fare era far placare i miei timori.

Rientrando in casa, temetti che qualcuno scoprisse immediatamente con chi avessi passato il mio tempo e immaginavo che ai Petronovik non piacessero affatto i ficcanaso, tuttavia ero solo una mosca tra tante. Gilbert era occupato con il suo lavoro in città, mia madre non sarebbe tornata nelle prossime ore e la presenza dei miei fratellastri andava e veniva come le nuvole di pioggia.

Di certo non sarei potuta andare da mia madre a raccontarle tutto senza uno straccio di prova, eppure cosa mi avrebbe assicurato che Lacey non sapesse della storia delle mogli Petronovik? La madre dei gemelli, Kezia e Anne avevano trovato strano questo posto, silenzioso, tranquillo, lontano da sguardi indiscreti, ma anche pieno di pericoli.

Cosa nascondeva Gilbert con tanta preoccupazione per non fidarsi di nessuno?

La casa era libera e ovunque regnava una pace rilassante. Avevo due scelte. A) Pensare a me stessa, andare in spiaggia e farmi un bagno, tentando di andare quando più possibile d'accordo con Gilbert e con i miei fratelli. Un paio di accordi non mi avrebbero fatto male, specie se quelli mi avrebbero fatto avere tante cose belle e una nuova famiglia modello.

B) Pensare a me stessa e a mia madre. Ignorando Gabe e il suo avviso sarei stata calma fino ad un certo periodo di tempo e poi cosa sarebbe successo? Mia madre avrebbe preso il posto della quarta moglie deceduta misteriosamente e io sarei stata costretta a stare in quella casa e ad accogliere la nuova promessa sposa-cadavere di Gilbert?

No.

Mi aggirai per la casa, curiosa, mentre l'indovinello di Gabe mi risuonava nella testa. Facevo di tutto per non dimenticarlo. Curiosai in camera mia, nel bagno e poi mi intromisi nella camera da letto di Gilbert e mia madre. Non c'era niente.

Mi domandai: Cosa stai cercando esattamente?

Qualcosa di utile, di stuzzicante, qualcosa di vecchio e importante. Qualcosa che mi avrebbe aiutata a cercare Kezia e Anne, e i loro spiriti in quella casa. I soffi che giravano attraverso i muri assomigliavano all'alito gelido di quelle defunte mogli che mi guardavano e, mollemente, mi seguivano invisibili. Un uomo normale avrebbe pensato che Gilbert fosse incredibilmente sfortunato nelle storie d'amore, come Cailian, e che mia madre fosse finalmente la luce dopo la tempesta. Kezia e Anne avevano calpestato il mio stesso pavimento, mangiato nella mia stessa cucina e passeggiato nel mio stesso giardino. Era quasi impossibile da pensare. Due donne morte in meno di dieci anni.

Qualcuno in quella casa mieteva vittime.

Andai in soggiorno, ma ricordandomi le parole di Gabe me ne andai in fretta.

Verso l'alto, recitava la mia memoria, verso l'alto.

Tuttavia non c'era altro al di sopra del secondo piano. Toccai con le mani i muri, sperando che si attivasse qualche meccanismo che sbloccasse delle scale segrete, ma non c'era nulla. O, perlomeno, non lo trovai.

Il corridoio era ricoperto di quadri e, a parte me, niente dava l'idea di essere fuori posto.

Sollevai gli occhi al cielo, chiaramente esasperata di non trovare quello che cercavo fu così che intravidi un pezzo di botola. Afferrai una sedia e ci salii, tentando di arrivare più in alto che potei per analizzare il soffitto. C'erano dei lievi segni di una fessura stuccata da anni, l'intonaco era scrostato, ma era solido a bloccare la mansarda. Nessuno, pareva, lo aveva mai aperto da allora. Non trovai nessuna corda lì vicino o qualche telecomando per sbloccarmi la strada.

Quasi persi l'equilibrio e saltai via dalla sedia prima di farla cadere con un tonfo, gridando.

Cailian salì velocemente le scale con la scopa in mano e guardò stranita la sedia riversa in mezzo al corridoio.

«Pensavo di aver sentito un ratto.»

«Ero io.»

«Cosa stai facendo?» mi domandò, facendo un sospiro. Tirò su la sedia da terra e la rimise al suo posto.

«Devo andare in soffitta.»

«Cosa ti serve andare lassù tra ragni e polvere?» mi interrogò con occhi frivoli.

Ero sicura che stesse pensando di chiamare Gilbert e io non potevo permettermelo. Con lui come potevo giustificarmi in modo imparziale e decente? Lui riconosceva quando mentivo meglio di altri. In più non avrei trovato le prove che stavo cercando.

Volevo solo che mia madre vivesse felice con un uomo alla sua altezza, con me, per sempre. Forse, mi rendo conto, chiesi troppo alla vita. La vita non è un fabbrica di sogni e fantasie da realizzare.

«Mia madre ha messo la sua valigia là, ma si è accorta di aver lasciato in una tasca la lista degli invitati. Le sta per prendere il panico perché sta facendo gli ultimi controlli e vuole che tutto sia perfetto. È molto stressata. Devo prenderla, o vuoi parlarci tu?»

Scosse la testa velocemente. L'ultima cosa che le serviva era madre con crisi isteriche e una marmocchia a cui badare in sua assenza.

«Va bene. Da lì non passi di certo. Gilbert ha fatto bloccare quella entrata da Gabe quando si trasferirono qui; Michael e Dominik giocavano spesso in soffitta quando erano piccoli, ma Michael un giorno scivolò dalle scale e si fece molto male. Da allora è chiusa, non vuole altri pericoli. A volte per mettere qualche cosa vecchia passa per la camera di Dominik» mi disse.

Appoggiò la scopa al muro e aprì la camera di Dominik, indicandomi l'interno. Ci entrai e almeno le mie fantasie sulla sua camera erano state esaudite, dato che quelle sui loro aspetti erano state brutalmente ammazzate. La sua stanza era grande come la mia, il grosso letto aveva le lenzuola sfatte e le tende erano tirate. La luce era pessima e soffusa. C'era un odore di chiuso, soffocante.

«Posso fare entrare più luce?» domandai.

Lei scosse la testa. «Meglio di no. Non fare casino, altrimenti dovrò subirmi le sue lamentele e mettere tutto in ordine. La cordicella è lì, vicino al cassettone. Vedi di fare in fretta e poi esci, mi raccomando» fece, socchiudendo la porta.

Ascoltai i suoi passi scomparire fino al piano di sotto e mi guardai in giro. Il pavimento della camera di Dominik era ricolmo di alcune maglie, cavi vari e calzini singoli. Feci del mio meglio per ignorare tutti i poster attaccati al muro di varie modelle in bikini in pose provocanti, sperando di non dover più assistere a una visita in un museo del porno tanto presto. Quella stanza era l'opposto della mia, scura, maschile e disordinata.

Salendo sul cassettone di legno per tirare giù la cordicella, mi ritrovai faccia a faccia con una modella bionda, nuda, con un seno grande come la mia testa. Arrossii, furibonda, e staccai quel poster dalla parete, accartocciandolo. Lo buttai per terra e scossi le spalle. Dominik non sapeva proprio cos'era la normalità, a partire dal suo look.

Mancava all'appello la camera di Michael, ma non ci tenevo a vederla. Scommettevo che in mia assenza si erano già fatti un giro nella mia, a sbirciare tra i miei libri e le mie foto.

Adirata era dir poco: ero furibonda.

Tirai la corda e un pannello scivolò, rivelando un piccolo buco nero sul soffitto. Mi arrampicai su per la piccola scaletta di legno malmessa e salii fino in cima, buttandomi dentro. Venni immediatamente investita da un tanfo di sporco e polvere che mi fece storcere il naso, diffidente. Il soffitto era rasente alla mia testa e per proseguire dovetti mettermi a carponi. Una pallida luce filtrava oltre la patina grigia dell'abbaino. Era uno spazio davvero piccolo e tutto era accatastato a casaccio. C'erano album interi di foto, gabbie per uccelli e vecchi stracci unti e neri.

Che schifo, pensai, sembra proprio un vecchio circo degli orrori.

Urtai per sbaglio un baule e una foto in precaria stabilità cadde e il vetro si frantumò. Spaventata e scossa per aver potuto rompere qualcosa di valore, raggruppai velocemente i vetri, attenta a non tagliarmi e presi la cornice in mano. Una donna derideva la mia espressione con ilarità giocosa.

Chi è lei? Chi delle tante?

Il mio cuore rallentò e mi avvicinai alla fioca luce per studiarle il volto. Aveva una pelle color miele, di una bella tonalità intensa, mille ricci marroni erano sulla sua testa come un'aureola. Era in groppa ad un cavallo bianco e lei, dall'alto, sorrideva altezzosa. Doveva per forza essere Kezia, la moglie dal carattere impetuoso che odiava i gemelli.

La suicida.

Sì, lei.

Posai la foto e mi guardai intorno, ma nient'altro poteva essere direttamente collegato a lei, a Kezia, o al suo fantasma. Scoprii il baule e tolsi il vecchio telo sporco, facendo sollevare una nuvola di polvere marrone che mi fece tossire. Accarezzai piano la superficie lurida e pensai alle conseguenze del mio atto: Gilbert odiava i ficcanaso. Non avrebbe accettato il mio vizio di intromettermi nelle vite altrui ancora per molto e, se per caso mi avesse scoperta, non avrebbe perso tempo in ramanzine. Erano suoi affari, dopotutto, erano le sue vecchie mogli, non avevano a che fare con me. Io nemmeno le conoscevo.

Vidi nuovamente il volto di Kezia nella foto e un desiderio incontenibile si fece strada in me. Gabe mi aveva detto qualcosa a proposito, di cercare più a fondo sotto la polvere, o mi sbagliavo? Forse davvero la mia mente stava cominciando a collegare strategicamente Gilbert all'immagine di un killer spietato. Mi ero dimenticata che lui ci aveva pagato i debiti, dato un tetto e molti regali?

Kezia e Anne mi stavano osservando da dietro, alzando i loro deboli menti incorporei, per analizzare le mie mosse.

Costi quel che costi, pensai, scoprirò cosa si cela sotto questo strato di polvere, dietro questi anni strani e oscuri che Gilbert ha rilegato qui sopra.

Trovai il mio bottino: il baule conteneva molte cose, ma sfiorai con delizia un abito rosso fragola. Lo sollevai. Era un vestito rosso e bianco a pois con spalline sottili e, seppure rinchiuso in quel bagaglio per anni e anni, emanava ancora un debole odore di fragola.

Accatastate in un barattolo di metallo c'erano altre foto di Kezia. Era sempre lei il soggetto di tutte. Era molto egocentrica, lo percepivo dai sorrisetti e dalle pose, ma ero convinta che anche lei sapesse di questo suo difetto. Kezia riuscì a trasformare una colpa in un cavallo di battaglia. Pareva proprio una vera amazzone, sempre in jeans e canotta sportiva, e con quei ricci ribelli faticavo a vederla a prendersi cura dei piccoli e vivaci gemelli Petronovik.

Di sicuro il vestito era di Anne, l'altra moglie. Un capello biondo fragola me lo confermò. Sfiorai con cura le sue cose e, in fondo al baule, trovai persino un piccolo corredino da neonato ancora confezionato in un nastro azzurro. Ciuccio, biberon e un piccolo cane di pezza senza un occhio. Giocattoli e vestiti per un bambino che non era mai potuto venire al mondo. Un bambino che non aveva mai aperto gli occhi per vedere sua madre o suo padre. Un bambino che non aveva mai stretto a sé quel peluche per coccolarlo.

Era una cosa orrenda secondo me. Tutti meritavano di vivere e, ancora, era terribile per una madre tenere in sé il suo piccolo tesoro e non poterlo mai stringere sul serio tra le braccia per scaldarlo, proteggerlo e guardarlo. Avrebbe assomigliato ai suoi fratellastri una volta cresciuto o sarebbe stato una copia di sua madre, con occhi castani e capelli ramati?

In un libro di Mamma Oca, nel frontespizio iniziale, trovai scritto il nome di Anne. La a era più grande di tutte nelle dimensioni. Sotto, c'era il nome Jack.

Chi è Jack?

Il suo presunto amante, quello per cui avrebbe lasciato Gilbert? Mi pareva piuttosto improbabile, ma non ne ero certa, dopotutto non sapevo cosa si era insinuato nel suo cuore nello stare in una casa priva di affetti e suoni. I Petronovik l'avevano fatta diventare matta con la loro assenza. Non sapevo neppure cosa si era annidato nel cuore di Gilbert, quale sospetto o furia nel costatare il tradimento.

Di sicuro è il figlio, rimurginai.

Il piccolo nascituro di Gilbert e Anne. Jack Petronovik, il bimbo mai nato. Povero piccolo. Accarezzai la testa del cane e lo rimisi al suo posto con cura, vicino alle tutine azzurre da neonato. Altri giocattoli occupavano posto, piccoli trenini di legno, trottole o macchinine. Appartenevano ai miei fratellastri. In base ai racconti, erano arrivati qui da bambini e molto probabilmente erano i loro vecchi giochi.

In una riga più bassa c'erano altre righe: Queste parole sono come il mio amore. Indelebili e eterne.

Ad Anne, tuo G.

In un certo senso era bello che nessuno buttasse quelle cose. Kezia, Anne e Jack avrebbero continuato a vivere lì, beati nella loro morte. Non per nulla un tempo la morte era considerata un privilegio divino e io mi chiesi: cosa può portare una donna a scegliere la morte anziché una vita con un marito e un figlio?

Una traccia dei loro animi era impregnata in quegli oggetti e sarebbe stato così per sempre. Oramai facevano parte di me, della mia famiglia. Mi sarebbero piaciute le loro personalità constrastanti: io e Anne avremmo preso un tè all'aperto, nel gazebo, mentre Kezia galoppava intorno alla proprietà felice e libera. Jack avrebbe giocato ai miei piedi, contento.

«Potete smetterla di nascondervi» sussurrai, come se mi volessi far sentire. «Di sicuro non con me. Non voglio farvi del male, non più.»

Niente si mosse, ma un leggero vento passeggero fece muovere le chiome degli alberi e io sorrisi, pensando se quell'evento fosse un segno magico o solo naturale. Mi piacque più la seconda e così la scelsi. Magari Kezia e Anne stavano discutendo tra di loro, dicendo: "Guarda! Ha preso in mano il mio vestito e la mia foto! Adesso sta leggendo il mio amato libro. Sa chi siamo!"

Sì, mi importava.

Chiusi il baule in un mezzo sorriso. Sapevo poco o niente su di loro, ma quei semplici cimeli mi avevano fatto avvicinare a quelle donne e, poco a poco, ero più vicina ai segreti che Kezia e Anne non erano riuscite a trascinarsi dietro.

In una gabbia metallica per uccelli inquadrai una scatolina di tessuto blu. Sembrava quasi che qualcuno l'avesse portata lì da poco e la cosa mi fece insospettire. Gilbert non voleva che qualcuno ci salisse, aveva fatto stuccare l'entrata dal corridoio per questo. Il cofanetto era pulito ed era ovvio che non era lì da tanto tempo. Lo aprii e vidi una spilla.

Aveva una forma curiosa, una specie di girasole, da lunghi e preziosi petali. La componevano una serie di brillanti gemme, lapislazzuli e smeraldi si alternavano, mentre nel cuore del bocciolo c'era un piccolo rubino. Era di una bellezza semplice e nobile allo stesso tempo.

Di chi era? La sconsideratezza con cui Kezia teneva alle sue cose era da escludere. A lei non piacevano le cose sfarzose. Anne, al contrario, aveva dei gusti troppo essenziali per ricondurla ad un cimelio del genere.

Della madre!

Poteva davvero essere appartenuto alla madre biologica di Michael e Dominik? Non ne ero sicura. Tutto in quella soffitta aveva anni di storia sepolta e quel piccolo oggetto era l'unico che pareva in ottimo stato, come se qualcuno di tanto in tanto si prendeva la briga di lucidare le pietre e poi metterle al suo posto.

Un rumore dal piano di sotto mi fece sobbalzare di paura. Avrei dovuto spicciarmi.

Il vero amore non si scorda mai, pensai, e fu quello che mi fece stringere la spilla tra le mani e scendere dalla soffitta.

In qualunque modo fossero andate le varie storie delle mogli, dubitavo che la prima, la madre dei gemelli, fosse ancora viva.

Saltai giù dalla scaletta e, lesta, la feci salire. Automaticamente, dopo le scale, il pannello andò al suo posto e fu tutto come prima. Sospirando soddisfatta, mi pulii le ginocchia dalla polvere.

Due mani forti si attaccarono alle mie spalle, prendendomi di sorpresa, mi voltarono e mi ritrovai contro il muro, schiacciata. Dominik ora teneva le mani saldate al mio collo e aveva degli occhi vivi e rabbiosi, da pantera. Boccheggiai, cercando di alzare il collo. Stava stringendo troppo forte.

«Che ci fai in camera mia?» mi urlò contro funesto.

Mi dibattei e, muovendo le braccia, la spilla che tenevo serrata nella mano sinistra lo graffiò sotto l'occhio. Mi lasciò per la sorpresa, ma prima che potessi scappare la sua mano aveva afferrato la mia e preso ciò che vi si celava.

«Ridammela! È mia!» tuonai.

«Tua? Bugiarda di merda, non è vero e lo sai benissimo! Questa spilla non è tua! Che volevi farci? Perché l'avevi tu? Non devi nemmeno toccarla, hai capito? Non devi permetterti!» strillò fuori di sé e l'unica cosa che riuscii a pensare fu: Dio, è davvero di sua madre. Aveva odiato tutte le mogli di Gilbert, ma l'unica donna che aveva amato la stava continuando a proteggere. Da me. Ero io la cattiva nella sua storia. «Hai curiosato tra la roba di mio padre, eh? Sai in Russia come si paga un affronto simile?» Mi sventolò in faccia il piccolo tesoro, ghignando in modo perverso.

Allungai la mano, lesta, provando a riprendermela, ma lui mi diede una spinta, allontanandomi.

«Non mi interessa di come voi fate le cose in Russia, qui siamo in Australia.»

«Le cose funzionano in modo uguale in tutto il mondo. Ruba ad un australiano, a un americano o a un cinese e vedi come farà di tutto per farti passare una vita d'inferno» schernì, duro.

«Non sognare qui...»

«Non sogno. Questa è una sadica realtà e tu ci sei dentro, Chanel. Non sfidare me, tanto meno mio padre. Non ti piacerebbe sostenere la sfida. Siamo molto pazienti. Dentro ogni uomo c'è solo un mostro e, credimi, non ha pace finché non lo trova.»

«Mi stai minacciando?»

Lui alzò il mento con un gesto veloce, togliendosi delle ciocche lunghe dagli occhi. «Credevo che avessimo già passato questo discorso. Questa non è una minaccia, è un avvertimento. Quando ti minaccerò lo saprai da sola.»

Dominik mi osservò, sollevando un sopracciglio e un brivido mi scosse la schiena. Il mio petto si gonfiava e si ritraeva con velocità. La porta della sua camera era chiusa e i suoi occhi erano rivolti totalmente a me, in un vivace bagliore della voglia di soffocarmi. Disturbata dal suo sguardo malizioso, incrociai le braccia. Eravamo da soli.

«Attento. Potrei andarlo a dire a mia madre e...»

«E così darebbe ragione a me, Chanel» mi interruppe. «Di' un po', dove ti trovi adesso?»

Io sbattei gli occhi. «In camera tua...» risposi piano.

«E dov'eri?»

«In soffitta.»

«Perché avevi in mano questa spilla?» Io non risposi. «Oh-oh!» gongolò. «Qui qualcuno non sa che bugia scegliere, vero?»

«Stai zitto» ringhiai.

«Zitta tu, donna.» Perse il sorriso in un attimo. «Questo è il tuo secondo strike. Papà deve averti detto cosa succede a chi sbaglia tre volte, no? Conti in una settimana già un'ammonizione, non ti conviene proprio farne un'altra. Mamma sarà molto delusa da te, ti immagini?»

Strinsi le labbra. «Lei non è delusa da me e non è tua madre» affermai.

«Questione di punti di vista. Ladruncola! Prima insulti tutta la famiglia e poi vai a curiosare per casa in nostra assenza, rubando, persino?»

Rimasi scioccata e lui scosse teatralmente la testa, schioccando la lingua.

«Non sono una ladra!» mi difesi e lui guardò la spilla nella sua mano e me la mostrò.

«Davvero?»

«Sì.»

«Allora trova una scusa decente per quando Gilbert lo verrà a sapere, sorella» rugnò deciso.

Dedicò uno sguardo malinconico a quel scintillante cimelio e sospirò stancamente. Io lo guardai. Era assorto. Gliene importava davvero.

«Non sapevo che fosse importante» dissi mormorando.

Lui mi fulminò, zittendomi. «Anche Michael ti dirà quanto è importante. Non la dovevi nemmeno sfiorare, Chanel. Non questa.»

Feci un passo indietro per istinto e sbattei il tallone nel cassettone, il quale tremò e dalla mensola cadde una boccetta. La riuscì a prendere al volo, pensando che poteva essere qualcosa di prezioso o di facile rottura. Era una fiaschetta arancione di pillole, quella che di solito un medico prescriveva ad un paziente, e nell'etichetta erano stampate le iniziali D.G.P. ADD Brain Gym.

Dominik impallidì e me la rubò dalle mani, gettandola sul letto.

«Prendi dei farmaci?» gli chiesi. Lui avvampò, rimanendo zitto e imbronciato. «Te l'hanno mai detto che hai un sorriso che potrebbe illuminare una città?» lo apostrofai, buttandola sul ridere.

Gli risi in faccia e lui mi fece zittire, afferrandomi il mento, premendo il naso contro il mio. Mi bloccai, terrorizzata da quei glaciali occhi azzurri senza sentimenti.

«Se ti ritrovo a ficcanasare in soffitta, o in qualsiasi altro posto della casa, griderai inferno e paradiso per le sevizie che farò passare sul tuo minuscolo corpicino, mi hai capito?»

«Ma certo, fratello» mormorai la parola con disprezzo.

Gli guardai la spilla che teneva in mano, provando un forte desiderio di afferrarla e lui sembrò percepire i miei pensieri, tirandosi indietro per sicurezza. «Questa la tengo io» commentò acido. Mi mise una mano sulla schiena e mi accompagnò alla porta, la aprì e uscimmo. «Non voglio che entri nella mia stanza.»

«Ho già visto le riviste porno sotto al letto, non c'è più niente da vedere» chiarii.

«Vuoi che te ne presti una?» ammiccò.

«E tu come passerai le tue notti da solo in bagno?» lo interrogai.

«Ho altri metodi. Più "femminili", direi.»

Mi riuscì a zittire. Io rimasi ferma, in attesa trepidante che mi lasciasse, ma mi portò giù al primo piano con forza. In sala c'era Michael. Era seduto per terra con un joystick tra le mani a giocare ad un videogames di guerra spaziale. Suoni forti uscivano dalle casse. Appena entrammo mise in pausa e rivolse uno sguardo dubbioso al fratello, poi riprese a giocare, fregandosene.

Dominik mi buttò sul divano, puntandomi il dito contro e mi lanciò una rivista dal tavolino. Doveva appartenere a Gilbert perché era di football e io mi chiesi se voleva che la leggessi. A me il football non piaceva.

Dominik scosse la testa, diede delle pacche sulla spalla a Michael e questo alzò la testa.

«Cosa?»

Dominik gli mostrò la spilla. Un suono lungo e prolungato si sentì dal televisore e poco dopo la scritta YOU ARE DEAD comparve in rosso. Non sembrò importargliene. Posò il joystick e mi guardò oltre la sua spalla. Io feci del mio meglio per restare impassibile.

Michael guardò nuovamente il fratello, gli disse qualcosa in russo e poi avviò una nuova partita. Dominik andò via dalla sala e io ebbi l'impulso di corrergli dietro per sapere dove stava portando il mio prezioso cimelio ritrovato. Lo avrebbe nascosto meglio. Di sicuro non l'avrei ritrovato tanto presto.

Feci per alzami, ma Michael rizzò la schiena come se mi volesse avvertire di non tentare e io mi rimisi seduta. Il ragazzo si immerse nel gioco, eppure ero convinta che qualche volta mi rivolgesse uno sguardo di nascosto con la stessa tecnica che usavo io per guardarlo: le superfici riflettenti.

Presi il telefono dalla tasca e cercai su internet "ADD". In base ad internet Dominik soffriva di una Sindrome chiamata Attention Deficit Disorder, un deficit dell'attenzione. Già precedentemente avevo notato i suoi modi di interagire, la sua difficoltà a organizzare e portare a termine un compito. A quanto pare era una vera e propria malattia.

Dominik non ne aveva mai parlato perché, evidentemente, era una cosa che gli arrecava disagio. Michael, il minore tra i due fratelli, era quello più sano e forte. Dominik doveva trovarlo irritante, seppure non lo avesse mai ammesso.

L'articolo affermava che c'era una diminuzione del flusso di sangue ai lobi frontali quando la persona cercava di concentrarsi con l'ADD, se non addirittura arrestarsi. Non sapevo se era grave o no, tuttavia appena avvertii i suoi passi avvicinarsi misi via il telefono e presi in mano la rivista che mi aveva dato, fingendo di leggerla.

Il ragazzo entrò, chiaramente esasperato, rivolse un'occhiata a me e al fratello, dopodiché si sdraiò a terra. «Avvia la partita doppia, fratello.»

«Fammi finire la partita. Mi mancano cento punti e... Sei una testa di cazzo, lo sai questo?» tuonò Michael.

Dominik aveva lanciato il suo joystick vicino al muro e la navicella si era schiantata contro un asteroide passato per caso. Michael, ripreso il suo gioco, glielo diede in testa. La cosa strana fu che non litigarono affatto, gridarono un po', ma le acque si calmarono immediatamente.

Se pensavo che con la tattica di farli litigare apposta o di ingraziarmi loro padre sarei riuscita ad ottenere un punteggio più alto seppi in partenza che non avrebbe funzionato. Avevano un legame più solido della terra, quei due. Non li avrei separati facilmente.

Il pomeriggio passò veloce. Non mi alzai dal divano e rimasi a fissare quei due personaggi confrontarsi in una partita doppia alla Play Station. Le casse sembravano esplodere con gli scoppi delle esplosioni o degli spari. Quando Cailian ci portò per merenda la pizza avanzata dal pranzo nemmeno la sentimmo parlare.

Gilbert tornò a casa poco più tardi. Stavo leggendo una storia extra di Jackill Love, direttamente uscita dalla mente dell'autrice, quando entrò in casa. Parlava e quando entrò in sala si tappò le orecchie, urlando di smetterla. Io trovai esilarante la scena.

Michael abbassò il volume all'istante, preso in contromossa. Dominik sorrise al padre. Gilbert scosse la testa, per nulla tollerando i loro giochini. Perlomeno non ero la sola.

«Che ci fa lì la pizza?» domandò.

«La stavo mangiando» disse Michael, prendendo il piatto dal pavimento.

Gilbert guardò Dominik. «Tu hai finito gli avanzi?»

«Ma certo, papà» fece e nel suo tono c'era ilarità e dileggio.

Gilbert lasciò andare la sua valigetta, che cadde con un tonfo al suolo, si inginocchiò e afferrò la nuca del figlio maggiore con fermezza. Michael si tirò indietro, restando zitto e Dominik gemette, provando a non cadere di faccia per terra. Io ero sconcertata, gelata dal gesto.

«Pulisci quello schifo e non osare mentirmi, Dominik» gli intimò.

Lo lasciò andare nervoso e il ragazzo si sollevò con il volto rosso di collera. Acciuffò dalle mani del fratello il piatto di pizza e lo portò in cucina a grandi falcate. Gilbert si sistemò il ciuffo rosso con una manata.

«E tu non difenderlo. Non ha bisogno di una babysitter.»

Michael abbassò la testa, annuendo. «Ho capito.»

«Bravo. Ciao, Chanel.»

Io non sapevo che fare, così alzai una mano e la agitai stupidamente. Michael mi incendiò con gli occhi. Si strofinò la faccia e spense la televisione, andando in cucina. Io sbattei gli occhi, colpita, e mi alzai. Ero sicura di aver le guance rosse come un peperone e sentivo la testa andarmi a fuoco. Fu come se qualcuno mi gridasse che avevo visto un film vietato ai minori e in effetti era così. L'educazione di Gilbert aveva unicamente man forte.

Gilbert si spostò per farmi passare ed incrociai un uomo nel corridoio. Doveva avere la stessa età del mio patrigno, forse con qualche ruga in più e con qualche principio di calvizie. I capelli gli cadevano innaturali, dritti, sopra le orecchie e dei piccoli occhi marroni mi fissavano studiosi.

«Chanel, lui è Peter Galstrock. Il mio avvocato» mi presentò Gilbert e l'uomo mi tese una mano.

La strinsi. «È quello delle urla?» domandai e Gilbert scoppiò a ridere. Per fortuna — me ne resi conto dopo — poteva essere imbarazzante o odiosa quella domanda, eppure lui la trovò divertente. Almeno così si mostrò fuori. Lui annuì. «È tutto risolto?»

Peter sorrise. Aveva una dentatura cavallina, sporgente. «Sì, tutto a posto. Alcuni documenti di trasferimento dovevano essere firmati. Niente di che.»

«Trasferimento?» chiesi.

Gilbert agitò la mano. «Conti, piccola. Ti dispiacerebbe andare, ho da riferire alcune cose a quest'uomo e non penso che potrebbero interessarti.»

Eseguii. Ero tentata di dire che volevo rimanere e sentire cosa avevano da dirsi, ma Gilbert non pareva incline agli scherzi in quel momento e i suoi occhi mi fecero indietreggiare dal mio attacco. Meglio proseguire in difesa.

«Ma certo. È stato un piacere. Buon lavoro» dissi all'uomo, volendo essere educata.

«Altrettanto.»

Gilbert lo fece accomodare i salotto e poi chiuse la porta. «Mi spiace per i miei figli. A volte sono talmente maleducati...»

Dominik e Michael non erano maleducati. Lo rispettavano per paura, ma provavano anche molto odio. Fu una cosa che assorbii immediatamente. Era la cosa più facile da percepire in quella confusione mai detta.

Mia madre tornò quasi dopo mezz'ora l'arrivo di Peter Galstrock. Parlò un po' con entrambi, poi l'uomo dovette andare via e Gilbert ebbe Lacey tutta per sé.

Scesi per cena, affamata, immaginando a quale leccornia avesse preparato Cailian, ma la sala da pranzo ospitava già le teste chine di Michael e Dominik. Avevano un volto cereo.

Avvicinandomi, capii il perché. I loro piatti contavano una porzione abbondante di ostriche e sembrava che a nessuno dei due gemelli piacesse il piatto. Da come guardavano quell'ammasso gelatinoso parevano molto inclini al suicidio e io immaginai alle insegne dei giornali ad un tale atto di salvaguardia personale.

Mia madre era seduta vicino a Gilbert e aveva un bel piatto di carne nel piatto e mi osservava orgogliosa. Gilbert mi invitò a sedere. «Guarda che bella sorpresa che ci ha fatto tua madre, Chanel. Ostriche!» esclamò.

Alzai un labbro. «Che bello...»

Mi fanno proprio schifo. Non le mangiare, sono avvelenate, pensai.

«Dài, siediti allora. Otto ostriche tutte per te.»

Mi sedetti vicino a mia madre, la quale, felice del suo scherzetto, teneva il mento alto. Sapeva molto bene che odiavo le ostriche da quando ero nata e aveva voluto giocare un tiro mancino non solo a me, ma anche a Dominik e Michael. Doveva esserci lo zampino di Gilbert di sicuro.

Che sia la punizione?, riflettei.

«Chanel ama le ostriche» esclamò mia madre, strascicando le parole.

«Oh, anche i miei figli, non è vero?» ridacchiò Gilbert.

Michael alzò la testa dal suo piatto. Era pallido, quasi verde e disgustato. Dominik stava ancora fissando stranamente le ostriche, immobile. Sembrava che stesse vedendo un mostro appena uscito dalla palude. Il labbro era sollevato.

«Suvvia, le ho prese per te» mi disse piano mia madre.

Io scossi la testa. «Ho imparato la lezione» bofonchiai. «Lo giuro.»

«Tu mangia. Poi vediamo.»

Inforcò un'ostrica e me la fece scivolare in bocca a forza. Dovetti metterci le mani sopra per non vomitarla sulla tavola. Deglutirla fu come ingerire un chilo di budino viscido e scaduto che puzzava di mare.

«Dimmi come è andata la tua giornata, amore mio» disse Gilbert, mangiando con gusto il suo piatto di ostriche.

«Oh, Sue è stata di prezioso aiuto! Ho un vestito bellissimo, lo vedrai! Rimarrai a bocca aperta e sono riuscita ad ottenere uno sconto extra, così non ho sfiorato neppure il budget. La boutique era fantastica, erano tutti disponibili con me. E, indovina un po'! Sono riuscita a convincere Garrett e Johanna a inserire le caramelle mou» gongolò.

«Brava principessa» le rispose, facendole un cenno con il capo. «Oh, no, no, Dominik. Non vale tapparsi il naso. Giù d'un sorso, come i tuoi drink.»

Gilbert afferrò il polso di Dominik e lo costrinse a smetterla di tapparsi il naso. Pensai che Dominik avrebbe vomitato davanti a tutti e mi sembrò persino di vederlo cambiare colore, ma si trattenne in qualche modo aggrappandosi al tavolo di legno.

Michael finì per prima la sua razione solo perché si abbuffò di pane e acqua, schifato.

Io fui la seconda, Dominik per ultimo.

Alla fine della serata capimmo che nessuno di noi aveva vinto. Gilbert e Lacey guardavano la televisione in soggiorno, beati tra loro, mentre noi dovemmo lavarci i denti tre volte per toglierci quell'odore nauseante dalla bocca.

Quando uscii dalla mia camera per andare a prendere un sorso d'acqua, incrociai Michael per le scale. Era ancora pallido.

«Tua madre è un mostro» borbottò stanco.

«Anche tuo padre non scherza affatto» risposi, risentendo il gusto dell'ostrica risalirmi la gola.

«Penso che questo possa definirsi uno spareggio, che ne dici?»

«Prima che il mio stomaco rifiuti il mio corpo penso che uno spareggio sia lecito.»

«E pareggio sia, sorella.»

In un'occhiata sospendemmo la nostra battaglia e nessuno mise più parola. Meglio non mettersi l'uno contro l'altro con mia madre in circolazione. Le punizioni di Lacey erano di sicuro più fantasiose e lascive di quelle di Gilbert. Dominik e Michael impararono una importante lezione: mai sfidare una donna. Poteva rivelarsi un'ardua battaglia a cui fare fronte.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top