40 Se la vita ti offre limoni, tu di' mandarino✔️

Per arrivare da San Pietroburgo a Mosca ci vollero quasi otto ore di treno veloce. Partimmo verso le sette di mattina e grazie alla gentile offerta del papà di Ilona non dovetti nemmeno svegliare Gilbert per chiedergli di accompagnarmi in stazione. Arrivammo a destinazione quasi a mezzogiorno e tra il sonno e la noia quasi mancò che sbagliassimo fermata; per fortuna Mosca era il capolinea.

Seppure Michael quel giorno si trovasse ancora nella Capitale non ci trovammo o incrociammo: la RKA e il loro albergo erano opposti a dove Ilona aveva prenotato il nostro soggiorno poco contenuto e perciò, ingoiando il rospo e non insistendo, lasciai che la rabbia e la voglia di vedere Michael sbollissero nel mio cervello e ci dirigemmo all'hotel con il primo taxi che ci fece salire.

Nel pomeriggio Michael ancora non rispose al telefono, quindi, fatto un sostanzioso pranzo a base di pesce e formaggi, io e Ilona facemmo una passeggiata per la capitale. Un anno prima non mi sarei mai sognata di visitare una città simile, distante e oltreoceano senza mia madre accanto, e il fatto di essere sola con Ilona mi diede un ampio senso di libertà e responsabilità. Avevo imparato a tirarmi fuori dai guai da sola, invece che aspettare l'aiuto di un adulto.

Nel primo pomeriggio visitammo Cremlino, la cittadella fortificata costruita sulla riva sinistra della Moscova, sulla collina Borovickij. Ilona l'aveva visitata tutte le volte in cui era andata a Mosca, con la scuola o la sua famiglia, ma molto volentieri mi fece da guida e imparai importanti informazioni sulla Russia e sulla patria dei gemelli.

Era un posto incantevole, pieno di vita. Lungo le vie, numerose bancarelle dell'usato sfoggiavano le loro cianfrusaglie per i turisti, c'erano mimi che inseguivano persone con finti tricicli e venditori ambulanti di rose rosse.

Passeggiammo per gli ampi Giardini di Alessandro con in mano una coppa di gelato alle meringhe (mi venne fame per via della parola "Cremlino" perché mi ricordò vagamente un gusto di gelato, viceversa, per antonomasia, non era altro che kreml', e significava fortezza) e ammirai le cupole delle Cattedrali con i loro colori dorati, splendenti quanto mille anelli. Tutto era un'esplosione di colori e con il calare del sole, le mura e le torri parvero perdere sangue da tutto il loro perimetro. La Troitskaja, come un prepotente titano, superava le altre vette con superbia.

All'ora di cena ci rifugiammo per scampare ad un improvviso acquazzone estivo, in un wine bar, dove Ilona si scolò quattro birre scure con mio totale stupore. Ed era ancora sobria. Beata ragazza.

Il nostro hotel si chiamava Imperator e faceva parte di una catena americana. Avevamo preso una camera doppia, con un piccolo bagno dotato di tutti i comfort e un mini frigo ricolmo di dolcetti della zona e bibite fresche, compresi alcuni alcolici in bottiglia. La stanza era piccola, o forse mi parve tale perché avevamo aperto le nostre valigie a terra e tutta la roba, spazzole, vestiti e scarpe, era sparpagliata qua e là come se fosse un campo minato. I letti, sfatti, erano l'unica parte della camera dove fosse possibile campeggiare senza correre pericoli.

Ilona era in bagno, io mi ero piazzata davanti alla tv a schermo piatto sopra il tavolinetto e stavo guardando un buffo programma d'intrattenimento. Avevo tra le mani un bicchiere di Coca Cola con ghiaccio e il programma-tour per quei giorni a Mosca.

Mi rivoltai sul letto e urlai: «Ilona, posso fare una chiamata dal tuo cellulare?» per far sì che mi sentisse con la porta del bagno chiusa a chiave e la musica della radio accesa.

«Devi chiamare Michael?» mi domandò, usando il mio stesso tono.

«Sì, posso?»

«Va bene» acconsentì. «Staccalo dalla presa, è a ricaricare. Ragazza, devi sul serio comprarti un cellulare, siamo nel ventunesimo secolo!»

Avrei voluto molto spiegarle senza tanti giri di parole che avrei voluto averne uno. Il mio era rimasto in Australia e tutti i miei social network erano memorizzati in quel piccolo aggeggino che ritenevo fondamentale per la mia sopravvivenza. In quel periodo la mia vita verteva attorno ai gemelli, principalmente.

Rotolai verso il comodino e afferrai il suo telefono, lo sbloccai senza intoppi e composi il numero di Michael. Ilona aveva impostato il cirillico, perciò cercare ogni qualvolta il nome di Michael in rubrica era faticoso, impararlo a memoria mi risparmiò molte scuse ad estranei chiamati per errore. Inoltrai la chiamata e mi sedetti sul letto, pulendomi la bocca dai rimasugli degli stuzzichini del frigo-bar.

«Pronto?» rispose al telefono al terzo squillo e il mio cuore ebbe un sussulto.

«Michael?» domandai, trattenendomi dal sorridere come un'ebete al nulla.

«Sì?»

Sapevo riconoscere molto bene il tono di Michael da quello di Dominik, quest'ultimo aveva sempre un che di superbo o denigratorio nella voce e quel particolare non mi sfuggì affatto.

«Dominik» ringhiai inferocita.

«No, no, sono Michael!» esclamò ancora e per lo stress roteai gli occhi. «Non mi riconosci?»

Sentii qualcun altro ridere. I suoi scherzi erano sempre di cattivo gusto.

«Piantala di rompere e passami Michael» gli ordinai, poco paziente.

«Uffa, ma quanto sei noiosa, donna!» si lagnò Dominik, ritornando alla sua voce normale. «Per quante volte ancora devo sbatterti il telefono in faccia prima che tu decida a non chiamare più? Se sei così tanto gelosa forse avresti dovuto mettere il GPS nel collo di mio fratello, come se fosse il tuo cagnaccio.»

Aprii la bocca con sdegno, infastidita. Certo, avevo provato a chiamare Michael più volte, ma mi aveva già avvertita che molto probabilmente alla RKA non ci sarebbe stato molto campo o sarebbe stato occupato e mi garantì che almeno una volta al giorno mi avrebbe chiamato. Le successive volte, e cioè quelle in cui mi stavo masticando le unghie dall'ansia, era stata Ilona a chiamare Michael e Dominik e non solo per me, ma per sapere come stessero e per assicurarsi che non fossero finiti in qualche assurdo guaio.

«Io...» Mi masticai la lingua. «Senti, non voglio perdere tempo, dov'è Michael? È con te?»

«Oh, più o meno...» vaneggiò divertito.

Sbattei gli occhi e abbassai il volume del televisore. «Come sarebbe a dire più o meno?» lo interrogai e lui evitò di rispondere. «Dove sei?»

«Io? Nella stanza dell'albergo con Vanel, Shulman e Maxx. Cosa c'è? Vuoi venire a trovarci?» scherzò e sentii Vanel borbottare qualcosa sul fatto di "lasciarmi in pace e continuare il gioco". «Vanel vuole vederti!»

«Non è vero» obiettai. «Ti ho chiesto dove si trova Michael, di te non mi interessa.»

«Michael è in bagno... Oh, cazzo! No, hai barato, obmanshchik!» urlò infine al di là della cornetta e delle imprecazioni lo seguirono.

«Dominik!» lo richiamai impaziente.

«Si sta facendo la doccia!» mi spiegò con stizza. «Mi lasci in pace adesso o no?»

«Sentilo!» sbottai. «Hai il telefono in Michael e pretendi pure che attacchi?»

«Certo, perché sei petulante» mi apostrofò. «Dov'è Ilona?»

«Non sono affari tuoi.»

«Dov'è?» insisté, indurendo il tono.

«Le vuoi dire qualcosa? Be', non ti vuole parlare. Dice che sei petulante.»

Lo sentii espirare forte e lo immaginai stringere i pugni, trattenendosi dall'urlarmi contro. «Chanel, non farmi perdere la pazienza. Dimmi dov'è Ilona.» Alzai le spalle, seppure seppi che non mi potesse vedere. Lo sfizio di non rispondere me lo tolsi. «Chanel!» continuò e distaccai il telefono dall'orecchio con una smorfia.

«Indovina, anche lei è in bagno» dissi.

«Non fare la cogliona.»

«Ma è vero.»

«Dimmi dov'è, le devo parlare.»

«È in bagno!» spiegai.

«Chanel.»

«È la verità!» tuonai. Lo sentii ridere. «Io devo parlare a Michael, è veramente urgente, Dom. Passamelo, per favore, poi torni alla tua stupida partita di poker. Non ti è proprio passata la mania da Sydney?» contrattaccai, sperando poi di non averlo offeso.

Lui sospirò. «Si sta facendo la doccia, il bel principino, e sta finendo tutta l'acqua calda di Mosca. Ehi, vuoi che entri e che gli faccia una bella foto? Almeno saprai come passare la tua serata» mi puntellò e avvertii le mie guance scottare.

Lui ridacchiò e potei giurare di aver sentito in secondo piano la voce ricolma di ilarità di Shulman. Non erano miei amici, erano quelli di Dominik e Michael, eppure il fatto che si stessero tutti coalizzando contro di me e mi stessero prendendo in giro mi fece ribollire di rabbia. Era facile prendere le difese di Dominik quando in mia presenza erano tutti gentili e premurosi con me.

«Perché no?» esclamai fingendomi contenta. «Io e Ilona sapremo divertirci. Almeno così sapranno tutti quanto Michael sia dotato in confronto a te. Gilbert dice che devo provare cose nuove.»

L'ultima cosa che sentii furono gli schiamazzi provenire dall'altro capo del telefono, poi Dominik mi riagganciò in faccia e rimasi a fissare i miei piedi, basita, per i successivi quattro tuu-tuu. Sicuramente una volta tornata a casa Dominik me ne avrebbe dette di tutte i colori, di avergli mancato di rispetto davanti ai suoi amici, di essere stata immatura e avrebbe invocato il nostro patto per farmela pagare a mie spese, tuttavia non me ne importò affatto. Bloccai lo schermo e, soddisfatta, mi rimisi a guardare il programma in tv, finendo in un sorso la bibita.

Ero allibita dal comportamento di Dominik. Lui era solito lanciarmi quel genere di frecciatine, ma dopo il nostro accordo le paranoie che mi salirono sul fatto che qualcuno potesse scoprirci ridussero ogni sua parola ad un possibile indizio per altri. Stavo esagerando. Il mondo non ruotava attorno a me, dopotutto.

Non avevo avvertito prima Michael sul ritorno di Gorka e dubitavo che Gilbert avesse detto qualcosa ad uno dei suoi figli, altrimenti Mike stesso mi avrebbe chiamata per chiedermi spiegazioni a riguardo. In qualche modo, pur volendo, non riuscivo ad essere in ansia o preoccupata per il probabile matrimonio con Gorka Ivanov perché, semplicemente, per il mio cervello pareva una cavolata pazzesca e rigettava d'istinto l'idea di liberare ormoni che mi facessero saltare i nervi. La questione sembrava un grosso scherzo, come preoccuparsi per la propria morte. Si sa di dover morire, prima o poi, ma non si vive costantemente con la paura.

Tra le mani, sotto il naso, avevo una cartella. Stavo compilando gli ultimi posti che desideravo vedere in quei giorni e stavo facendo una scaletta, in modo da avere una tabella di marcia organizzata e completa. Ilona non l'avrebbe di sicuro seguita, ma avere qualcosa che mi tenesse la mente occupata fu un toccasana.

Il telefono di Ilona squillò quasi dieci minuti dopo, pensai che fossero i suoi genitori che la stessero chiamando prima di cena, ma sul display lessi "Mika" e risposi senza alcun indugio, già preparata a rispondere con un bel "muori" se si fosse trattato ancora di Dominik.

«Scusami, scusami!» sentii Michael esclamare appena pigiai il tasto verde e riconobbi la sua voce. «Vanel mi ha appena detto quello che ha fatto Dominik, ero in bagno, mi spiace tantissimo. Avevo messo il cellulare a ricaricare e sono andato a farmi la doccia» si giustificò.

«Michael, è tutto okay» garantii.

«Ti volevo chiamare dopo essermi asciugato i capelli, ma me ne sono scordato. Stavo ancora pensando a...»

«Michael, sul serio, è tutto okay» ripetei per farlo fermare.

Mi chiesi se tutta quella furia e preoccupazione derivassero dal fatto che mi avesse risposto Dominik e che, secondo lui, mi avesse potuto dire qualcosa di spiacevole per ferirmi o rinfacciarmi qualcosa nello specifico. Quella era la sua tattica principale.

Lasciai Michael parlare e con l'orecchio teso sentii il frusciare di qualche asciugamano e di una serratura bloccata. Mi chiesi dove fosse, ma non glielo domandai inutilmente e gli lasciai il suo spazio personale. Quella era la prima vacanza che i gemelli avessero fatto nell'anno in cui ero con loro, Dominik e Michael si erano allontanati molto da quando ero entrata nella loro vita e benché avessi più volte assicurato a Dominik che dividerli non era la mia intenzione, inconsciamente lo stavo facendo. Sopportare Dominik e farmi due risate era il prezzo più basso da pagare.

«Non sei arrabbiata?» borbottò lui pentito.

«No, non potrei mai arrabbiarmi per una cosa del genere!» sbuffai intenerita. «Eri tutto preso con i tuoi tubi spaziali e non volevo rovinarti le fantasie.»

«Sono ascensori spaziali» mi corresse paziente e non ebbi l'immaginazione per pensare ad un ascensore nello spazio, se era a quello a cui si stesse riferendo in quel momento. «Ed è stato bellissimo» gongolò. «Abbiamo visto i ritratti autografati di Valentina Vladimirovna e Jurij Gagarin, il primo uomo a volare nello spazio in orbita intorno alla Terra e i modellini in scala del lanciatore Proton. Era davvero mitico.»

«Ti sei divertito?»

«Tantissimo! Be', era interessante, non tecnicamente divertente,» rifletté «ma sono davvero felice di essere venuto. Mi spiace dovermene andare, resterei più che volentieri a lavorare con una squadra sul Kliper, ma scommetto che sarei stato il più inutile, persino per portare dei caffè» si puntellò. «Tu come hai passato la giornata?»

«La cosa che mi è rimasta più impressa è Ilona che si scola quattro birre e vederla uscire dal bar camminando perfettamente sui suoi soliti tacchi. È incredibile, ha una resistenza di ferro» sussurrai per non far sentire il discorso alla protagonista chiusa in bagno.

«A differenza di te?» mi apostrofò.

«A differenza di un comune essere umano.»

Lui rise. «Sì, regge l'alcol meglio di un alcolista. Come ti è parsa Mosca, ti piace?»

«È davvero stupenda, Mike, dico sul serio. È diversa dall'Australia, ma... credo che mi piacerebbe tornare qui in futuro» buttai lì, giocherellando con la biglia di Vìktor tra le mani.

«Che vuoi dire?» domandò.

«Nulla in particolare» risposi sospirando. «Siamo stati sul Cremlino, poi si è messo a piovere. Non credevo che per arrivare a Mosca ci avremmo impiegato tanto, mi fa male il collo e ho davvero fame. Ilona vuole portarmi a mangiare in un ristorante, io vorrei solo andare a dormire.»

Lo sentii ridacchiare. «Sei in una città tra le più grandi d'Europa, sei un'adolescente con una tua amica, da sole, e vuoi andare a dormire? Chissà come mai mi sento più tranquillo sapendo ciò» ironizzò e io feci una smorfia vaga. «Che stai facendo?»

«Io? Aspetto Ilona, intanto sto compilando una lista delle cose da vedere assolutamente in questo primo tour. Qualche proposta?» Tamburellai la penna biro azzurra sulla mappa della città, aspettando.

Lui ci pensò, facendo un lungo mugugno. «C'è il Museo Puškin e il Moskvarium» optò.

«Già messi in elenco» asserii. «Io volevo vedere l'Hermitage Garden, ma Ilona vuole andare al GUM e so che staremo un giorno intero solo lì» borbogliai fiacca.

«Ma il GUM non è quel centro commerciale alla moda a lato della Piazza Rossa?»

«Precisamente quello» chiarii. «Non che non voglia andare a fare shopping, ma preferirei sbudellarmi piuttosto di restare tre ore fuori da un camerino nella vaga speranza di aspettare Ilona intenta a svaligiare un intero negozio. Si sta disboscando per questo.»

«Cosa sta facendo?»

«Si sta depilando» tradussi e Michael capì al volo, con un timido "oh!". «Hai già mangiato?»

«No, ancora no. Per ora preferisco restare chiuso in bagno per il tempo in cui sono al telefono con te. Non voglio che gli altri si mettano a schiamazzare e fare gli scemi, sai bene come sono. Vanel ha ordinato il servizio in camera, mangiamo qui, andiamo a dormire presto e domani mattina partiamo... Mi manca il nostro letto.»

Mi morsi un labbro, sorridendo come un'ebete. Morivo dalla voglia di rivederlo e di accoccolarmi a lui, sotto le coperte, probabilmente la cosa maggiore che mi fece tremolare fu il fatto che avesse usato il plurale. Non ero il tipo che badava a cose simili, o così credevo, ma quel punto fu una delle prime cose che il mio cervello recepì e scaricò nel mio corpo una buona dose di ossitocina che mi fece salire rossore alle guance.

Il letto era di Michael, o al massimo di Gilbert, io non possedevo nulla. Quell'aggettivo mi fece battere forte il cuore di felicità per qualche momento, dopodiché una lieve ansia mi strinse il cervello e mi ricordai di Gorka.

«Wow, Chanel! Mio fratello è appena crollato e sta russando come se avesse appena ingoiato una motosega elettrica. Questo è incredibile. Per me gli potrei ficcare due dita in bocca e non si accorgerebbe di nulla!» esclamò. «Eh? Sì, va bene. Ne yesh'te vse» parlò a qualcuno, di sicuro a Vanel perché lo sentii ridere sguaiatamente.

Michael si rifugiò di nuovo in bagno e io ne approfittai per trovare il coraggio di parlare. Sapevo che nascondere le cose a Michael, e anche in generale, non era mai una buona idea, come quella volta che tentai di nascondere il fatto che avessi provato a fumare con Paige in camera mia e mia madre scoprì la puzza di sigaretta sulle mia dita e l'alito, tralasciando la macchia lasciata dalla cenere caduta sul tappeto. Era giusto che Michael venisse a conoscenza da me sulla faccenda, comunque avevo una paura terribile della sua reazione.

«Devo dirti una cosa» scattai d'un tratto, prima che potessi ripensarci e non mi resi conto di averlo interrotto. «Ma... forse è meglio se ne parliamo di persona appena tornerò a casa...»

Dal silenzio che ne seguì potei immaginare la faccia immobile e pallida di Michael. «Cosa è successo? È qualcosa di grave?»

Non ebbi il coraggio di smentire le sue ansie. «Ne parleremo a casa...» provai a dire in imbarazzo, facendo dietrofront.

«Chanel, se mi dici una cosa del genere mi fai preoccupare. Non puoi dirmi che è una cosa importante e poi che vuoi aspettare non so quanti giorni per dirmelo. Sono cose che non combaciano. Ti è successo qualcosa?»

«Oh, no!» esclamai per fermarlo.

«È qualcosa per me?» chiese piano.

«Michael non...» Non volevo lasciarlo, non volevo andarmene via, approfittando della sua assenza e della fiducia di Ilona, non avrei mai potuto fargli una cosa del genere. Era una cattiveria inaudita. Seppi tuttavia che quello fu il pensiero primario che fece da come parlò, lentamente e con grande ansia. «È successa una cosa a casa. Ecco... l'altro giorno, prima che partissi, Ivanov e Gorka sono venuti a cenare a casa di Gilbert. Lui aveva detto che era una specie di cena di lavoro o di cortesia, ma il padre di Gorka ha tirato fuori la questione del fidanzamento tra me e suo figlio...» risposi e deglutii più volte.

Michael non mi interruppe, ascoltando attentamente.

«Gilbert non ha potuto dire nulla» gli feci capire.

Domandò solo: «Quando?»

«La prossima estate, quando finirò gli esami» sospirai. «Io non sapevo cosa dire, ero con Ilona e... Non so nemmeno come quell'uomo abbia rigirato le parole di Gilbert, ma...»

«Mio padre ha un brutto vizio, una volta che lo scopri poi è facile vincere» decretò con voce piatta. «Perché non mi hai avvisato subito?»

«Io...» iniziai in difficoltà, e prima che potessi fermarmi per pensare, lui mozzò la frase.

«Credevi che non fosse importante dirmelo?»

«Cosa?» balbettai.

«O che non avessi diritto di sapere?» mi attaccò.

Rimasi a bocca asciutta, completamente disarmata. Ero troppo stanca e indifesa per rispondergli a tono o tentare di spiegargli ancora la situazione. Non era di certo colpa mia se Gilbert aveva acconsentito, nonostante mi credesse incinta e potesse mettere in difficoltà entrambe le famiglie, a farmi ritornare con Gorka, benché fosse chiaro che né io e né il ragazzo provassimo un minimo di sincera attrazione verso l'altro. Se Michael mi riteneva responsabile di non essermi presa la briga di dire la mia si sbagliava di grosso e non mi conosceva abbastanza bene, per quanto credessi e sperassi il contrario. Non sarebbe cambiato nulla se avessi espresso il mio dissenso, in un certo senso lo avevo fatto, ma non avevo ricevuto nessun segnale o appoggio. Gilbert non mi avrebbe mai tenuta con sé se mi avesse ritenuta un peso, lo sapevo io, come lo sapeva Michael.

«Me lo avresti detto o avresti aspettato il giorno in cui lo avresti sposato per farmi una sorpresa?» continuò. Se avesse urlato mi sarei sentita meno in colpa, ma non lo stava facendo ed era frustrante. Quel suo tono pacato e iracondo lo era.

«Tu ti sposerai con Ilona,» dissi senza pazienza «non lo hai deciso tu, ma Gilbert. Per quanto tu mi dica il contrario, cosa ti garantisce che non finirà come tuo padre ha progettato, eh? Mi credi davvero responsabile di quello che è successo? Pensi che voglia sposare Gorka? Mike, lo pensi sul serio? Hai quest'idea di me?» domandai con la voce tremante, temendo la sua risposta.

Rimase in silenzio per alcuni secondi. «No, non credo che tu voglia sposare Gorka. Io non voglio stare con Ilona, no, non voglio stare con lei» vociò, abbassando il tono.

«Allora, ti prego, non trattarmi come se fosse tutta colpa mia» lo implorai. Avevo già subito troppo. «Mike, te lo giuro, te lo avrei detto. Non sapevo come e non volevo rovinarti la gita, so che ci tenevi molto» mi scusai.

«Avresti dovuto dirmelo» mi riprese senza crudeltà, come se si sentisse improvvisamente stanco.

«E cosa avresti potuto fare?» domandai e mi asciugai gli occhi. «Lo sappiamo entrambi, io e te non potremmo mai essere come gli altri. Per quanto tu mi prometta continuamente che staremo insieme, che riusciremo a... essere felici... cosa ti garantisce che sarà davvero così? E se tu sposassi davvero Ilona e io Gorka?» buttai lì. «Hai preso in considerazione questa ipotesi?»

«L'ipotesi di perderti? Sì» rispose.

«E?»

«E non lascerò che ciò accada» bofonchiò con il respiro accelerato. «Sistemerò le cose, te lo prometto. Non ti farò sposare con lui.»

«E come farai?» chiesi con premura. «Se Gilbert ci scoprisse... ci caccerebbe via e tu perderesti tutto. Tutto quello che hai costruito in questi anni, i tuoi amici, la tua casa e me. Mike, stare con me implicherebbe il rinunciare alla tua vita e sappiamo che questo è un passo troppo grande per essere preso alla leggera. Non ti farò buttare via la tua vita» dichiarai con un sospiro straziato.

«È della mia vita che stai parlando» mi ricordò «ed è mio diritto farne quello che voglio. Costruirne una nuova e buttarne via una sono due cose diverse. Scusa se me la sono presa con te. Troveremo una soluzione, insieme» giurò sincero. «Mi credi?»

«Ti crederei persino se fosse la peggiore bugia di sempre» ridacchiai. «Insieme?»

«Insieme» ripeté. «Fosse la peggiore delle bugie che racconto a me stesso.»

Ascoltai le sue parole e ricordai il suo volto, il tratto dei suoi occhi, di quel colore chiaro e magnifico, chiaro come il mare più limpido, la linea delle sue labbra accattivanti, dei suoi zigomi alti e delle sopracciglia scure. Le dita delle mani mi formicolarono, fremendo come se gli stessero accarezzando i capelli corti. Strinsi il telefono forte.

«Ti senti bene?» mi domandò.

«Mi sento sola» raccontai e feci rotolare la biglia rossa e blu sul palmo della mano, ruotandola.

«Ilona è ancora in bagno?»

«Sì. Sto guardando un pessimo programma di... non so nemmeno cosa sia, stanno piovendo dei soldi e delle cose viscide da un tubo e questa persona ci sta sguazzando dentro!»

«Mi spiace di non poter essere lì con te a tenerti compagnia.» Da come lo disse doveva stare sorridendo per forza.

Mi morsi un labbro e decisi di giocare un poco, tanto per passare il tempo e vedere la sua reazione. «Perché? Cosa faresti se fossi qui con me?» lo stuzzicai. «Sono cose che puoi dire ad alta voce o daresti troppo scandalo, Petronovik?»

Era un gioco carino da fare tra di noi: a volte ci divertivamo a inventare dialoghi perversi e ridere insieme, a volte sfoderavamo il nostro lato più dolce e meno volgare, altre volte, come quella, ci usciva la verità ed era la parte più bella, l'avvertire i brividi sul corpo nel sentire la voce dell'altro, udirla vicinissima all'orecchio e lasciare che i muscoli e il cervello reagissero ai ricordi e alle fantasie.

«Cosa ti farei? Vuoi davvero saperlo?» riprese. «Intanto, appena tornerai a casa, ti prenderò e ti bacerò tutto il pomeriggio per riprendermi questi giorni, poi ti sfilerei i vestiti di dosso e ti metterei sotto di me, esattamente nella stessa posizione in cui l'abbiamo fatto l'ultima volta, e non ti lascerei muovere per il resto della notte. Ti terrei con me, tutta la notte, per tutte le notti a venire, perché mi manca il tuo odore sul cuscino accanto al mio e mi manca allungare la mano e non sentire più il tuo corpo morbido e caldo vicino al mio. È così freddo, qui.»

Sapevo che non stesse riferendo al tempo o ai gradi interni, la sera era abbastanza fredda, ma ogni stanza aveva un condizionatore di ultima generazione e Ilona aveva regolato il nostro ad una temperatura assurdamente alta. Nessun ragazzo mi aveva mai parlato in quel modo, leggere quei discorsi sui libri e desiderarli era una cosa, ma riceverli e sentirli dire dal ragazzo che amavo era una cosa totalmente differente. La voce di Michael appianava ogni mia ansia e dubbio, ero fermamente convinta di riuscire a sopravvivere a quell'anno senza pensare a Gorka e a dedicarmi a lui come volevo davvero.

Sì, in quel momento mi sentii invincibile.

«Mi manchi da morire, Mike» gli confessai.

«Anche tu, Chanel. E tu, piccola pervertita, cosa mi faresti?» ghignò eccitato.

«Non te lo dico» esclamai risoluta.

«Me lo farai direttamente quando ci rivedremo.»

«Credimi, lo farò.»

Pensai che in fondo era solo una settimana da passare distanti, non era granché, eppure per noi era un periodo lungo perché, in tutti quei mesi, avevamo vissuto vicini giorno dopo giorno, come strani amanti e anormali fratelli. Trovavo stranamente divisori i giorni in cui Paige si assentava da scuola e il banco accanto al mio si vuotava, così l'atmosfera attorno, senza le solite risate e l'intesa tra me e la mia migliore amica. Provare qualcosa del genere, di vero, di bello e allo stesso tempo tormentoso, verso un ragazzo, per me era nuovo e inaspettato. Forse non tutte le storie di Indigo erano inventate.

«Chanel?» mi chiamò lui e io ancora sorrisi beata nel mio mondo.

«Cosa?»

«Io... credo di amarti... Ti amo.»

Rimasi a fissare un punto poco definito, i miei occhi smisero di mettere a fuoco le figure colorate in tv, fino a che lo schermo non divenne un'indefinita macchia nera e azzurra luminescente. Sbattei gli occhi per inumidirli e li trovai secchi.

«Chanel?» mi chiamò Michael debolmente, confuso. «Ci sei ancora?»

Le parole mi si smorzarono in gola e avvertii un peso premermi sul petto, in mezzo ai polmoni e intralciarmi il respiro nella laringe. Mi sentii uno schifo e, cosa peggiore, mi disgustai. Fino a quel momento avevo detto a chiunque che io "amassi" Michael, per non parlare di tutte quelle volte in cui, in amicizia, dicevo "ti amo" a Paige o a Mark solo perché uno dei due mi aveva comprato i miei snack preferiti al pepe rosa. Non mi ero mai resa conto del peso di quelle parole e l'effetto che portarono al mio cervello mi fece ricredere.

Ero stata una stupida.

Ero felice che Michael mi amasse, credevo di farlo a mia volta anch'io ma, probabilmente per via di quella situazione, tra la lontananza, Gorka e il patto con Dominik, mi chiesi quanto veramente tenessi a lui in verità e quanto fossi pronta a dirlo a tutto il mondo: Michael aveva contribuito al meschino piano di Gilbert e, per quanto avessi superato la cosa, aveva lasciato mia madre morire. Lui diceva che le aveva voluto bene, che l'amava in quanto sua madre adottiva, e se avesse amato me in quello stesso modo? Sarei morta con un bel "ti amo" detto a caso?

Mi ricordai il vecchio Michael, quello scorbutico e impaziente, e della sua natura strana, quella sadica e violenta che non desiderava altro che ferirmi per poi pretendere il mio perdono. Michael era davvero diverso dal padre? Sì, lo avevo sempre creduto, ma anche Lacey e Gilbert dicevano continuamente di amarsi e, sorpresa del destino, lei era morta, lui era sano e salvo e io ero finita in Russia e stavo per sposarmi contro la mia volontà. Le promesse di Michael non valevano niente nel mondo reale.

«Chanel?» mi chiamò e io mi svegliai.

«Oh, io... Grazie.»

Merda.

Appena lo dissi, e lo feci senza pensare, – fu un semplice riflesso stupido, come ad un interrogazione si dicono qualche parole a caso pur di spiaccicare lì qualche argomento pur di non restare a bocca aperta e scoppiare in lacrime – me ne pentii subito.

Michael non rispose e io, come lui, trattenni il fiato e aspettai l'esplosione finale.

«Cavolo, wow...» sibilò alla fine e tossì con nervosismo. «Mi sarei aspettato qualcosa di diverso... Cioè, ecco, "grazie" è l'ultima cosa che mi aspettavo di sentire... da te.»

Avvertii l'onda d'urto provenire dalla sua delusione e il mio cuore batté più forte. Se avessi potuto sarei corsa da lui e mi sarei buttata in ginocchio ai suoi piedi per chiedergli perdono. Mi pentivo di cosa gli avevo detto, eppure sapevo che dire una cosa del genere a lui era una responsabilità enorme. Michael avrebbe interpretato quelle parole come un salvagente e si sarebbe tranquillizzato, oppure lo avrei reso più teso: la successiva estate erano in programma i nostri matrimoni e noi non sapevamo cosa fare. Due adolescenti ridicoli, ecco cosa eravamo in fondo. Gilbert non ci stava insultando inutilmente, ci stava descrivendo alla perfezione.

«Mike...» sussurrai e mi passai una mano sul viso, sporcandomi a lato degli occhi per via del mascara di Ilona «sai che tengo a te, io... amo passare il tempo con te, adoro quando siamo insieme e fai lo sciocco, sai bene che voglio stare con te e lo vorrò sempre, ma...»

«Ma?»

Avrei voluto urlargli che lo amavo sul serio, che volevo restare per sempre con lui, sposarlo e magari avere dei figli, ma stetti zitta per paura del futuro che mi avrebbe attesa.

«Ma non sono ancora pronta a... dirtelo» risposi con il cuore in gola.

«Ho capito» fece deciso. «Ma dimmi che non lo fai per paura di mio padre o mio fratello, solo questo.»

«Michael...»

Era per Dominik? Non lo sapevo. Non volevo mettere in mezzo Michael, questo era l'importante. Avevo odiato Michael per molto tempo e ora lo amavo. Amare qualcosa che si era destinati ad odiare faceva male.

«Tu non sei ciò che mio padre ti ha fatto, sei molto meglio» disse e io fui meravigliata dalla sua gentilezza. Al suo posto mi sarei vergognata da morire. «Pensi che io sia come lui? Per questo tu non...»

«No» lo bloccai. «Tu non sei come lui, mai! È facile amarti, Michael, tu sei bellissimo, intelligente, divertente e sei tutto ciò che una ragazza può immaginare, ma io ho visto il peggio di te e ti voglio ancora, è questo l'importante. A me piace tutto l'insieme di te, non quella parte che vuoi far vedere alla gente» precisai velocemente. Sospirai. «Ehi.»

«Cosa?»

Aprii la bocca e sillabai le parole: T-I-A-M-O.

Dio, era facilissimo. E io ridicola.

«Mi faccio schifo in questo momento» singhiozzai amareggiata.

Ero andata a letto con suo fratello per soddisfare i suoi stupidi bisogni e tutto per non essere cacciata di casa e proteggere un mio amico, avevo vissuto con lui e passato momenti magnifici e quasi dopo un anno non riuscivo a dirgli una cosa così futile e semplice. Io lo amavo, il mio cuore e il mio cervello erano in sincrono in quella informazione, tuttavia non riuscivo a dirglielo: cominciavo a respirare male e il petto si chiudeva in una scura voragine. Era forse mia madre o la mia coscienza a gridare il contrario?

Non volevo piangere per ottenere il suo perdono o la sua pietà, volevo che capisse che tenevo a lui e la mia paura per ciò che sarebbe conseguito dalle nostre stesse azioni. Io non ero una Petronovik, ero sostituibile. Non ero come lui. Il suo valore era nettamente più alto.

Michael mi aveva raccontato, un po' alla leggera e con frivolezza a dirla tutta, che aveva già detto "ti amo" a molte ragazze, talvolta per un doppio fine e mi aveva assicurato che era cambiato tutto. Lo aveva detto anche a Paige. Non me ne era mai importato granché, finché non mi resi conto che ero gelosa. Io non ero la prima, ma volevo essere l'ultima per lui.

Michael parlò piano, con un sospiro leggero. «Chanel, senti... Non piangere, è tutto a posto. Non farlo al telefono mentre non sono con te.» Scossi la testa, ignorando il fatto che non fosse lì. «Non è successo niente.»

«Non è vero!» contestai, quasi strillando.

Per fortuna Ilona amava la musica rock e in bagno, tra l'acqua che colava nella vasca e i suoi canti stonati, non mi sentì. Non volevo parlarle di quello che stavo provando perché non lo sapevo descrivere nemmeno io.

«Io so cosa provo, è il fatto che sono una persona terribile a farmi piangere» dissi.

«Tu non sei una persona terribile.»

«Come fai a dirlo?» commentai.

«Perché ti conosco.» Parlai ancora e singhiozzai, tirando su il moccio dal naso. Misi delle parole a caso, senza un senso logico e, infatti, dopo un paio di secondi sentii Michael ridere. «Chanel! Non ti capisco se continui ad intasare il telefono con questi pianti isterici. Calmati, dai» scherzò e io mi asciugai il viso, riprendendomi e riuscendo a fare un lieve sorriso consolatorio. «Ascoltami. Io ti ho detto che ti amo perché sono innamorato di te. Questo non è un regalo a cui devi farne un altro per cortesia, non sei in debito con me e non devi sentirti obbligata a dirmi nulla. Se non sei pronta a dirmelo per me non cambia nulla, ciò che voglio è che tu sia felice con me, nel tempo che abbiamo e se questo è troppo poco lo costruiremo da soli, va bene?» propose.

«Sei proprio un bambino viziato» lo apostrofai con ilarità.

«Ti faccio tanto ridere?»

«No, è che mi hai appena fatto tornare in mente la frase del libro di Jackill e Rosalie. C'è una frase che Asmartia dice prima di andarsene via per sempre che tu mi hai fatto tornare in mente per qualche motivo. È una scena molto triste e ho pianto molto, ma nell'epilogo Indigo fa capire che tra i passanti c'è proprio lei in secondo piano» raccontai felice.

«E che frase è?» domandò curioso.

«"Io vi ho creati senza aspettare nulla da voi, volevo che viveste le vostre vite senza badare alla mia. Vi ho donato dei giorni e voi li avete allungati, sorpassando così i miei doni, avete deciso cosa fare del vostro futuro ed è questo il potere della creazione più grande di tutti: le vostre scelte"» citai.

Amavo Asmartia, la co-protagonista dell'ultimo libro che avevo. Era una ragazzina strana, frivola e senza peli sulla lingua, e benché fosse anche tremendamente codarda ed egoista, all'ultimo era riuscita ad eliminare la maledizione che imprigionava lei ai Mastini, rendendoli liberi di scegliere il loro schieramento di battaglia. Il bene aveva vinto.

Michael scoppiò a ridere e io sbuffai, come se mi stesse ancora prendendo in giro per i miei gusti letterari. Mi piaceva farlo ridere, la sua risata era un'esplosione di luce e colori, specie quando non aveva molti altri motivi per essere felice.

«Questa frase è altamente patetica» decretò aspramente e io serrai la bocca, riducendo la vocina dentro la mia testa in gabbia.

«Non è vero» obiettai furente. «A me piace. Pensavo che fosse una bella frase da dirsi.»

«È una frase copiata. Se vuoi dirmi qualcosa di bello inventalo tu» disse e io riconobbi il suo dissenso. «Se non sei pronta a dire che mi ami puoi trovare un'altra parola per sostituirla, che te ne pare dell'idea?» buttò lì.

Alzai la mano libera, sconfitta. «Va bene, Mr Citazione, che parola ti piace?»

«Mandarino.» Gli scoppiai a ridere direttamente nell'orecchio e non mi trattenni, allibita e divertita. Mi misi una mano sulla bocca e tacqui.

«Non ti piace?»

«Odio i mandarini e non mi piace la parola» feci con enfasi. «Non posso dirtela, sembrerei una pazza maniaca. È ridicola!» esclamai.

«A me non dà fastidio se lo sembreresti. Senti: "Io vi ho creati senza aspettare un mandarino da voi. Questo è il mandarino più grande!"» recitò e io esplosi un'altra volta.

Alla fine glielo concessi. Non mi piaceva la parola e continuai ad odiarla, ma l'importante non era produrre uno slogan perfetto, bensì quello di creare un qualcosa di unicamente nostro e così fu. Dominik aveva teso e avvolto il filo rosso che ci univa al mio collo, come molti altri, ma quello che avevo con Michael si stava irrobustendo e ispessendo ogni giorno, brillando come una stella. Il nostro era direttamente collegato al cuore.

Anche dopo tornati da Mosca, riabbracciato Michael e ricordato a Dominik che avevo i suoi stessi diritti di stare con suo fratello, sussurravo dolcemente al suo orecchio la parola "mandarino" e per tutte quelle volte lui mi stringeva forte e arrossiva. Era una cosa stupenda avere un codice segreto e lasciare gli altri con un retrogusto acerbo di domande senza risposta in bocca.

Michael non pretendeva niente; sarebbe stato troppo facile altrimenti.

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