Attaccai il telefono in faccia ad Ilona ancor prima che me ne rendessi conto e rimasi a fissare la cornetta come se si fosse improvvisamente tramutata in un mostro uscito da un fumetto.
Schizzai in cucina ad assicurarmi che quello che avevo visto fosse davvero Vìktor e non qualche giardiniere inciampato per via di un ramo non potato a dovere. Mi avvicinai al bancone e sporsi la testa dalla finestra aperta. L'aria era calda e portava con sé un vago odore di fiori e fumo, quello che probabilmente doveva arrivare da fuori, dalle bancarelle che cuocendo la carne o le mandorle facevano innalzare un delizioso pennacchio sopra le teste dei passanti.
Il giardino interno era vuoto, per fortuna, poiché tutti erano occupati a svolgere le loro mansioni: tagliare l'erba troppo cresciuta in quel periodo, annaffiare le piante, eliminare i rami troppo grossi e sistemare le buche che le talpe facevano a terra, come un campo minato.
La figura grigia che si alzò dolorante da dietro un cespuglio fu proprio quella di Vìktor e anche dopo che ne ebbi la conferma rimasi congelata per dei secondi sul posto.
Gli corsi incontro e appena lo raggiunsi mi guardai attorno con aria preoccupata. Poche persone (forse il tenente, ma non ne ero troppo sicura) avrebbero sfidato la sorte entrando nella proprietà dei Petronovik.
«Che diavolo ci fai tu qui?» ansimai e mi presi i capelli tra le mani.
Vìktor si pulì il viso. Notai da subito che la sua carnagione aveva ripreso colore, era più rosea di quando l'avevo visto l'ultima volta in primavera e in quei mesi i capelli gli erano cresciuti, sempre mossi vicino alle orecchie e castani. Aveva una maglietta rossa addosso, perfettamente della sua misura, e dei pantaloni mimetici lunghi fino al ginocchio pieni di tasche. Mi sembrò un piccolo soldato pronto per andare in battaglia.
«Io volevo vederti...» si scusò.
Roteai gli occhi e gli tolsi un rametto dallo scollo della maglia. «Potevi usare la porta, o suonare» proposi, facendo un grosso sospiro.
«Nessuno mi avrebbe fatto entrare» precisò. «E comunque non volevo rischiare.»
«Vìktor, ti sei gettato giù da un albero» gli feci notare. «Se qualcuno ti avesse visto avrebbe potuto chiamare la polizia! Lo sai che Gilbert ha un cane di perenne cattivo umore?»
«Questa informazione mi è sfuggita...»
«Andiamo dentro casa.» Gli afferrai un braccio, sbrigativa.
«Ma Dominik se...»
«Dominik e Michael non sono in casa per i prossimi giorni, sono a Mosca e non torneranno per farmi una sorpresa. Non c'è nessuno che possa farti del male, te lo garantisco» affermai.
Mi guardai attorno con aria apprensiva. Hodette e Ilay stavano sistemando nel porticato un tavolo per la cena che si sarebbe tenuta quella sera. Era difficile non vederci, anche perché non c'erano ingombri nel terreno. I domestici avrebbero tenuto il silenzio per me. Se Gilbert avesse chiesto a qualcuno la domanda giusta loro avrebbero detto la verità, il rapporto con il padrone era difficile ed era meglio non inimicarselo per sciocchezze, ma se lui non chiedeva non era obbligatorio rispondere.
Mi voltai verso Vìktor e lo vidi tirare le labbra in un'espressione di incertezza, seppure non volesse farla notare.
«Senti, oggi il mio patrigno ha organizzato una cena e tutti stanno vagando in giro. Non possiamo rimanere qui, o qualcuno finirà per fare la spia. Dobbiamo entrare, qui non è sicuro. Io non posso uscire, se Gilbert scopre che sono uscita senza il suo permesso mi ammazza, e non è una metafora» lo spronai e riuscii a fargli fare un passo.
«Se qualcuno mi dovesse scoprire?» bofonchiò esitando.
«Ti sei gettato giù da un albero in una proprietà privata, quella dei Petronovik. Essere visto da una cameriera è l'ultimo dei tuoi problemi.»
«Mi garantisci che è sicuro?»
«Sì, te lo garantisco. E ora vieni, o ti vedranno.»
Girammo dietro i cespugli e rasentammo il restante perimetro della casa, in modo che sembrasse che lo avevo fatto entrare dal cancello secondario che dava su una viuzza lastricata di pietre. Camminai spedita verso casa e tentai di mettermi davanti al ragazzo cosicché nascondessi la sua presenza, o almeno ostruirla. Vìktor però era più alto di me e la sua testa sporgeva magicamente sopra la mia.
Babushka sfrecciò fuori dal corridoio della Villa con in mano un cesto e si diresse verso gli aranci in fiore per raccogliere alcuni frutti maturi. Gilbert amava avere sempre disponibile la frutta fresca e tra gli alberi piantati c'erano gli aranci, i peri e i peschi.
«Vieni, andiamo di sopra» feci con fretta.
Entrai e notai che Vìktor si fermò a fissare uno dei dipinti di Gilbert, appeso vicino alla porta dell'uscita. Era un quadro brutto, cupo e malinconico, ma lui diceva spesso che era così per chi non sapeva cogliere la vera essenza dell'anima dell'immagine. Per me era rimasta costantemente un'orripilante natura morta monotona, immobile e sgraziata.
Afferrai Vìktor e lo trascinai con me, sperando che non ci fosse nessuno. Breatha e altre due donne stavano riordinando la cucina, mettendo i piatti del pranzo nella lavastoviglie e triturando dei carciofi su un tagliere con dei movimenti veloci e precisi.
Lo tirai fino alle scale e il ragazzo, ignorando del tutto il suo buon senso e logica del cervello, alzò il naso e rimase a bocca aperta nel vedere il bellissimo lampadario a bracci che calava dal soffitto decorato dell'androne principale, l'orgoglio del padrone di casa. Salimmo quasi dieci scalini prima che sentii la voce pesante di Gilbert emergere dal suo studio. Pensai di poter nascondere in fretta Vìktor in camera mia e correre di sotto, sperando di non subirmi altre inchieste e fare finta di niente, tuttavia il ragazzo si impietrì e si immobilizzò sulla scalinata.
«Chanel!» mi chiamò forte Gilbert. La porta del suo studio si chiuse. «Magdalenna ti cerca! Devi aiutarla a raccogliere le arance, lo sai che è anziana. Le avevi promesso il tuo aiuto, ragazzina... Oh.»
Gilbert si fermò sotto la scalinata, in mano aveva alcuni fogli e fissò Vìktor nella speranza di riconoscerlo. Normalmente conosceva tutti gli amici miei e dei gemelli, almeno quelli con un cognome più conosciuto, ma dall'espressione che fece non lo riconobbe minimamente e fu sì una benedizione, ma anche un fattore negativo perché avrei dovuto dargli delle spiegazioni. Io non ero libera di invitare chi volessi a casa. Mai.
«Chi è il tuo amico, Chanel? Pensavo che di visite per oggi avessi in programma solo Ilona» mi disse senza cattiveria nella voce.
«Lui è...» mormorai e la frase si spense a metà.
«Parla più forte, mio piccolo tesoro, altrimenti non ti sento proprio!» esclamò.
«Brediliev, signore» parlò improvvisamente Vìktor e per fortuna la sua voce non si inclinò. Gilbert alzò un sopracciglio. «Sono un compagno di scuola di Chanel. Ho delle difficoltà con la lingua e Chanel ha proposto di prestarmi i suoi appunti. Mi spiace di essere piombato qui senza preavviso, signore, ma ero qui di passaggio e non volevo disturbare. Chanel è bravissima in inglese.»
Gilbert gli sorrise. «Non preoccuparti. Brediliev, hai detto? Sei il figlio del telecronista Brediliev Emile?»
«Proprio lui» asserì Vìktor con un sorrisetto. «La scorsa stagione mio padre ha diretto la partita tra i Rock penguins e i Mountains.»
«Lo so, grande partita!» gioì Gilbert. Doveva trattarsi di hockey per forza. «Be', ragazzo, puoi farti passare gli appunti da mia figlia, ma questa sera ho un appuntamento importante e sono già le quattro...»
«Non ci metterò molto, signore!»
«Bene, ci conto. Felice di conoscerti.»
«Anche per me.»
Vìktor si girò e con un gesto convulso del capo mi indicò di muovermi. Gilbert, con mio totale stupore, si voltò e sorrise da solo, come se avesse appena sentito qualcosa di buffo. Si dimenticò della mia promessa a Babushka e prima che se ne rendesse conto, salii i restanti scalini con affanno e mi precipitai con il ragazzo dentro la mia stanza. Chiusi la porta e controllai dalla serratura che non ci fosse nessuno appostato per sicurezza.
Vìktor si guardò intorno e studiò ogni oggetto presente nella camera con attenzione.
«Brediliev?» domandai allibita. «Potevi trovare un cognome meno famoso?»
«È la prima cosa che mi è venuta in mente. Tu non dicevi niente» brontolò lui.
«La prossima volta usa la seconda o la terza cosa che ti passa per la testa, non la prima. Ci manca solo che conosca quel Brediliev...» mi lagnai.
Vìktor mi ignorò completamente appena adocchiò la gabbia di Krolik vicino alla finestra aperta e trotterellò in quella direzione, felice come un bambino in un negozio di giocattoli.
«Non ho mai visto un coniglio dal vero, lo sai? Solo nelle foto della pubblicità. Non credevo fossero così piccoli. Wow, sembra un peluche, ma è vero?»
Quasi ebbi difficoltà a riconoscerlo. Pareva un ragazzo totalmente diverso da quello che avevo visto a maggio sotto la pioggia, infreddolito, ansioso e pieno di paura. Nei suoi occhi c'era una luce diversa, più viva e il suo tono di voce tanto pacato e solare mi spiazzò. Nessuno che aveva subito tante cattiverie riusciva a sorridere in quel modo. Io non ci riuscivo più.
«Vìktor gradiresti... una tazza di caffè o un bicchiere di limonata fresca?»
Feci del mio meglio per non avere sbalzi, ma i miei occhi si tradivano da soli.
Si staccò dalla gabbietta di Krolik e mi guardò. «So cosa stai pensando» mi informò schietto. «Però sì, mi andrebbe della limonata. Fa davvero caldo oggi.»
Corsi di sotto, attenta a non incrociare né Gilbert e né Babushka e tagliai per la cucina, afferrando la caraffa che quel pomeriggio avevo fatto (l'unica cosa che Magdalenna mi aveva fatta fare da sola, invece di spiegarmi passo per passo la dose e l'importanza di ogni misero ingrediente in un piatto), versai la limonata in due tazze e tornai di sopra. Io non avevo sete, anzi, dovevo andare urgentemente ad orinare per la quantità che ne avevo bevuto precedentemente, ma avevo bisogno di tenere qualcosa tra le mani.
Tornai in camera con i nervi a fior di pelle. Trovai Vìktor accanto alla gabbia di Krolik, con l'indice infilato tra due sbarre di metallo. Lo mosse e il coniglietto bianco lo fissò con aria dubbiosa, come se lo ritenesse un intruso nel suo territorio. Annusò l'aria e non si fidò, rimanendo nel suo solito angolo tra la paglia e i batuffoli di cotone.
«Non è molto amichevole, vero?» mi domandò Vìktor, cercando di mascherare la delusione.
«Non molto» concordai e gli passai il bicchiere.
Lui sorseggiò piano la bibita e per l'improvvisa asprezza del limone fece una smorfia, poi si umettò le labbra e ne bevve ancora, appagato.
«Perché sei venuto qui? Pensavo che dopo quello che è successo te ne fossi andato via...» sillabai dopo un po', stringendo le dita nel bicchiere di vetro.
Lui si leccò le labbra e alzò le spalle. «Volevo ringraziarti.»
Strabuzzai gli occhi con così tanto stupore che li ritrovai secchi e rossi. Lo fissai con un'espressione incredula palese sul volto. Non aveva nulla da ringraziarmi. Io ero quella persona che, in un tic di follia, era scappata di casa e aveva cercato una mano nella prima persona sulla strada, ignorando le conseguenze e i possibili effetti a catena che avrei causato con la mia azione. Io gli avevo fatto conoscere la violenza di Dominik e l'oblio di quel mondo. Gilbert aveva macchiato me, io avevo fatto lo stesso con Vìktor. Ero imperdonabile.
Abbassai mortificata il capo, non credendo alle sue parole.
«Se Gilbert lo scoprisse...» mormorai «non immagini nemmeno cosa ti farebbe.»
Lui alzò un sopracciglio. «Io credo di sì.»
Scossi la testa, colpita.
«Voglio farti vedere una cosa. Guarda» mi incentivò con un sorriso.
Mi avvicinai a lui e ci sedemmo sul bordo del letto. Vìktor frugò in una delle tasche dei pantaloni e ne estrasse un foglio ripiegato, me lo porse e lo aprii. Era una foto, la riconobbi dal tatto. Guardai con nostalgia quella fotografia e sorrisi: riconobbi subito sua madre e il suo volto emerse dall'immenso mare dei miei ricordi. Aveva gli occhi stanchi, ma decisamente più lucidi e speranzosi. Il sorriso e il bel colorito di Felicis erano gli stessi, teneva tra le mani una biglia rossa e blu.
Vìktor, l'artefice della foto, sembrava tenere una macchina fotografica nella mano sinistra e con un autoscatto aveva immortalato quell'istante in un frammento di carta: il ragazzo sorrideva con uno sguardo trionfante e teneva l'indice e il medio a ricreare una "v" di "vittoria", o qualcosa del genere. Felicis era dietro di lui, lo teneva stretto la madre ed era inginocchiata per terra in uno spiazzo asfaltato. La testa di Vìktor era tagliata per colpa dell'inquadratura dall'alto.
«Mi sono fatto un selfie! Così si chiamano adesso, no?» esclamò lui e con le mani mimò un'inquadratura e uno scatto.
«Come?»
Si tirò indietro, guardando a distanza la foto tra le mie mani e appoggiò le mani sul lenzuolo. «Te l'ho detto, sono venuto a ringraziarti per tutto quello che è successo. Non mi credi, vero? Non ti sto prendendo in giro» mi assicurò. Mi accigliai e lui rizzò la schiena. «Quello che ha detto Dominik... è tutto vero. Sono andato a cercarlo io... Sapevo dove faceva i suoi affari, molti parlano di lui e il guardia di porta all'ingresso non era certo un must di intelligenza. Mi è bastato farmi seguire per metà strada per fregarlo e salire all'appartamento... Lui non c'era. Credevo si stesse nascondendo e urlai. I suoi amici mi presero a pugni, mi misero una mano sul tavolo e presero un coltello. Sapevano che rubavo in giro. Volevano tagliarmela via.»
Deglutì e con la lingua si grattò un dente.
«Le mie urla dovettero svegliarlo perché venne. Mi ricordo la sua faccia, appena mi ha guardato ho pensato che fosse un mostro... Mi ha guardato in un modo così orripilato che era del tutto deformato. Mi fece paura. Disse ai suoi uomini di andare via e rimanemmo soli. Provai a parlargli, a chiedergli di te, dove fossi o come stavi, ma lui non... Lui non voleva parlare di te, non voleva dirmi niente, così ci alterammo entrambi. Non sono mai stato bravo a fare a botte, al contrario di mio padre» ammise triste. «Dominik te lo ha detto, lo ha fatto di sicuro, lo so. Non è bravo a mantenere i segreti.»
«Tu lo sapevi?»
«Difficile non saperlo quando tutti ti danno del figlio bastardo. Sono felice che sia morto, mio padre, intendo» specificò con noncuranza e io rabbrividii.
Dominik e Michael odiavano Gilbert, ma una parte di loro, quella più umana, vulnerabile e quella che aveva il suo stesso sangue, non era capace di voltargli le spalle per sempre. Luke Leeroy non era mai stato un padre modello, presente nei momenti importanti, disponibile ad aiutarmi in qualsiasi campo, ma era mio papà e lo amavo oltre me stessa. Non avrei mai detto una cosa orribile come quella, per di più non dopo tutto quello che avevo vissuto. Nemmeno per scherzo.
«So che lo odi, ma rimane sempre tuo padre» gli feci notare.
«Lo sai cosa faceva a mia madre?» si impuntò. «La faceva ubriacare, la drogava e poi la usava come sacco da boxe per i suoi allenamenti. Anche quando sono nato io. Anche quando è nato mio fratello. Ci diceva che eravamo tutto quello che aveva e che non poteva perderci, ecco perché mia madre è rimasta. Quando avevo otto anni picchiò anche me, mi disse che dovevo essere sano, che ero una femminuccia piagnucolona e che quel pugno non era così forte. Mamma si intromise. "Ha solo otto anni", disse lei. E lui rispose: "No, Shonna, ne ha già otto!" Me lo ricorderò sempre. Poi se ne andò. Quando nacqui, mi accettò di buon grado, ma quando seppe di mio fratello diede di matto. Mio padre era già sposato. Era uno stronzo violento. Quando morì mia madre andò al suo funerale e la moglie di quel bastardo le saltò addosso per la gelosia. Mia madre non lo aveva lasciato da vivo, e non lo fece nemmeno da morto. Ecco come è cresciuto, il famoso figlio bastardo di Sulf Morozof» esclamò, ma la sua voce perse qualche ottava e si spense piano piano. «Voleva che diventassi come lui.»
«Tu non hai picchiato Dominik» domandai, ma alla fine si tramutò in un'affermazione.
Scosse la testa. «Ti ha stuprata, vero?»
Non risposi. Lui annuì.
«Lo ha fatto anche con te?»
«No, io ero consenziente. Almeno credo» bofonchiò. «Se intendi che volevo mi facesse quelle cose, no, non lo volevo, ma gli avevo dato il mio consenso, quindi nessuno potrebbe dirgli qualcosa.»
«Perché?» strillai. «Perché ti sei messo in mezzo?»
«Non è colpa tua» ribadì serio.
«Lo è eccome. Sei stato coinvolto per colpa mia, ti ha ricattato, ha messo in mezzo la tua famiglia e tutto a causa mia. Avrebbe potuto ucciderti, e nessuno si sarebbe preoccupato per te. Dovevi restare con tua madre e badare a tuo fratello. Non dovevi proteggerli? Così hai fatto un casino... Perché?»
Per qualche attimo non rispose e giocherellò impaziente con i suoi pollici, disegnando delle figure sulla sua gamba. «Avevi bisogno di aiuto» dichiarò semplicemente. «E mia madre mi ha sempre detto di essere gentile con le ragazze. Mi è venuto naturale aiutarti, o almeno provarci. Non potevo abbandonarti, non ci riuscivo e basta.»
Io non seppi se al posto suo avrei fatto lo stesso, aiutare un estraneo appena conosciuto con degli evidenti problemi. La scelta più ovvia sarebbe stata quella di chiamare i soccorsi e denunciare tutto. Nella società eroi del genere morivano molto più velocemente di quanto aumentassero i criminali. Qualcun altro lo avrebbe aiutato, mi sarei facilmente detta. Di sicuro non mi sarei messa contro Dominik.
Lui però lo aveva fatto. Non mi aveva voltato le spalle, non aveva delegato altre persone per soccorrermi; Vìktor era diventato lui stesso quel "qualcuno".
«Non ho mai avuto niente nella vita» confessò. «Almeno te... volevo che restassi mia amica. Prima o poi avrei finito per farlo in ogni caso, ci pensavo da molto, ma è un lavoro pericoloso. La mamma di Nina è morta... Io non avrei avuto il coraggio di farlo, ma la vita ha scelto al posto mio e mi ha portato su un'altra strada.»
«Hai incontrato ancora Bols?» chiesi con i nervi tesi.
«No, non più da quando mia madre lavora. Cerco comunque di evitare la sua zona per sicurezza.»
«Tua madre sa cosa facevi?» Mi inclinai all'indietro, verso di lui.
«Mia madre ha imparato a non fare domande. Credo che lo abbia capito da sola, comunque. È diventata più protettiva nei miei confronti e quelli di mio fratello, cerca sempre di darmi molte attenzioni, come se ne avessi bisogno... Suppongo si senta in qualche modo in colpa. Era lei quella che diceva che avremmo trovato un modo per trovare una casa e stare tutti insieme. Alla fine le sue idee sono diventate un'ideale da seguire» parlò.
«Non l'hai detto a nessuno?»
«Non mi serve questo genere di consolazioni, anzi, le odio proprio. Non voglio che la gente pensi "oh, questo povero ragazzo sfortunato!" o "come ha fatto a ridursi così!"» mimò con voce stridula, scacciando via una zanzara che gli ronzava vicino al naso. «Ho fatto sesso con lui? Sì. Mi sento in colpa? No. Dominik mi ha dato dei soldi e con quelli io e la mia famiglia abbiamo potuto rifarci una vita.»
«Dominik ti ha dato dei soldi?»
«Me ne ha sempre dati, tipo una paghetta e a volte mi faceva dei regali. "Se fai il bravo", diceva. Pochi giorni dopo il nostro incontro al parco me ne ha dati molti di più» precisò. «Gli tenevo compagnia tre o quattro volte alla settimana nelle ore che mi diceva lui, ma l'ultima volta mi ha dato dei soldi, tantissimi soldi, e mi ha detto di usarli come più preferivo e di non tornare mai più.»
«Un contentino» optai con una smorfia di disgusto in faccia.
«Credo sia stato una specie di risarcimento...»
«No, è perché voleva tenessi la bocca chiusa» borbogliai.
Lui mi scoccò un'occhiataccia. «Non avrei detto niente in ogni caso. Quei soldi mi servivano. Da quando mio padre è morto abbiamo perso ogni cosa» sancì severo, come se intuisse che lo avrei giudicato o avrei parlato male di lui.
Non lo avrei mai potuto fare, nemmeno nella mia mente. Vìktor aveva avuto i suoi motivi per accettare le costrizioni di Dominik, io ero riuscita ad acconsentire ad un patto peggiore, perciò mi dissi che non avevo nessuna autorità per decretare cosa fosse giusto e cosa sbagliato.
Riguardai la foto di Felicis e di sua madre, chiedendomi dove fossero in quel momento e come se la stessero passando. Magari, in un universo parallelo, quel giorno al parco gli uomini di Dominik non mi avevano trovata ed ero rimasta insieme a Vìktor e alla sua famiglia, vivendo come loro. Mi pareva un universo così lontano dal mio. Io, che ero abituata ogni sera con un bagno caldo e profumato, cibo sempre pronto e comodità di ogni genere, la storia di Vìktor sembrava uscita da un libro thriller, una di quelle vicende che si sentivano ordinariamente in tv, quella a cui oramai non si faceva più caso.
«Tu come stai?» gli chiesi e un labbro mi tremò.
«Sto bene, te l'ho detto. Dominik non ha mai voluto farmi del male, puoi dire quello che vuoi ma è così» rispose, strofinando la guancia sulla spalla per grattarsi.
«Lo stai scusando?»
«No, ma mi è particolarmente difficile credere che una persona come lui, uno che ha tutto, sia così distrutto dentro. Scusarlo, o solamente stargli vicino, è come passare la mano su uno specchio rotto e sperare di non tagliarsi. Dominik ti fa paura?»
«Tutte le volte» rivelai e dondolai i piedi a terra.
«Anche a me. Come vinci questa paura?»
«Non la vinci. La ignori e basta.»
«Dominik mi ha detto addio» iniziò il ragazzo «e mi sembrava giusto venire a salutarti. Mi ha raccontato di te e di suo fratello, mi era sembrato un po' infastidito. Quando ho provato a parlargli si è subito alterato, diceva che tu non c'entravi nulla, ma da come ne parlava e dai tuoi occhi ora capisco che c'entra moltissimo. Ha provato a cercare in me qualcosa che voleva, o aveva visto in te, ma certe persone non possono restare insieme a lungo. Nemmeno io e te possiamo» rivelò deluso.
«Lo so, Vìk.» Lui sogghignò e mi guardò con nostalgia. «Sei venuto per dirmi addio, quindi?»
«Credo che il tuo patrigno comparirà da un momento all'altro, ci sto davvero mettendo troppo per degli stupidi appunti. Mi piacerebbe rientrare a scuola, un giorno. Be', io non sono intelligente e non ci vado dai primi anni delle elementari, ma vorrei che mio fratello studiasse, ora che abbiamo avuto la possibilità di riniziare in una nuova casa tutta per noi. Chanel, anche se hai portato Dominik nella mia vita e tutto quel male che ne è derivato, ora sono davvero felice. Davvero. Mi hai fatto vivere un'avventura. Quando Felicis sarà più grande gli parlerò di te!» esclamò.
«Pensi che mi dimenticherà?» scherzai.
«Lo farà di sicuro, ma io no. Tu sì, invece, un giorno ti dimenticherai di me» disse e nella sua voce non comparve alcun tono triste o rassegnato: solo serenità, accettazione. «Ecco perché ti voglio lasciare un regalo.»
Frugò in una delle molteplici tasche dei pantaloni e trasse una biglia piccola, rotonda. La presi in mano e la studiai: sembrava una comune biglia di vetro con riflessi variopinti di rosso, blu e viola.
«È una biglia» constatai.
«È magica.»
«No, è solo una biglia molto carina, ma è fatta di vetro.» Vìktor si imbronciò e io sospirai sconfitta. «È quella che tuo fratello tiene nella foto?»
Lui annuì. «Mamma crede molto nel karma e nei portafortuna, ecco perché mi spinge sempre ad essere gentile. Quando mio padre è morto, il negozio di mamma venne pignorato e si portarono via tutto, a parte questa biglia. Erano tutte impilate in un grosso vaso trasparente e Felicis ne prese alcune. A distanza di anni ci è rimasta solo questa, le altre si sono rotte o le abbiamo perse. Mamma dice che se esprimi un desiderio, tieni forte al cuore un oggetto importante e poi lo passi ad un altro, il tuo sogno finisce per avverarsi. Mamma l'ha data a me quando ho iniziato a vedermi con Dominik, ora lei ha un lavoro e abbiamo una casa tutta per noi. Io l'ho data al mio fratellino, ma lui si è quasi strozzato perché pensava fosse una caramella e me la sono ripresa» chiarì.
«Hai rubato un desiderio a tuo fratello? Sei davvero meschino!» esclamai con tono scherzoso.
Lui non capì. «Sì, be', io volevo darla a te. So che ti sembra stupido, tu hai tutto e non ti serve niente, ma magari potrai regalarla a tua volta ad una persona importante. Io non ho mai desiderato niente, a parte stare con la mia famiglia. Prendila, ti prego.»
«Vìktor, io...» Alzai una mano, fermandolo.
«Senti, prendila e basta, non è maledetta» brontolò e me la spinse nella mano.
La feci dondolare nel palmo, muovendola e osservai le venature colorate, provando ad immaginare il negozio da cui provenisse. «Grazie» dissi, stringendo la mano a Vìktor. «Cosa pensi che farai d'ora in poi?»
«Penso che ci trasferiranno fuori San Pietroburgo, in una città meno grande per far sì che mamma impari meglio il mestiere di parrucchiera. Mi sono rotto di questa città, fuori starò meglio. Dicono che l'aria là sia molto più pulita. Il mondo ormai non mi fa più paura come una volta, ora che ho te e la mia famiglia vicino. Sono felice ci averti potuta incontrare, Chanel. Spero che un giorno potremmo rivederci» si augurò, saltando giù dal letto con un balzo agile.
«Pensi presto?»
Scosse la testa. «Ma chissà... Oh!» esclamò. «Coniglietto!»
Corse alla gabbia di Krolik, il quale saltò via dalla grata per rifugiarsi di nuovo nella sua casetta e studiò Vìktor in modo guardingo. Lui sbatté gli occhi e si arrese, alzando le mani in segno di resa. Quando si allontanò il coniglietto bianco uscì fuori per seguire le sue mosse e mi diede un'occhiata lunga, come se mi interrogasse sulla sua presenza.
«Magari tra un paio di anni gli starò più simpatico. Spero che mamma mi lascerà tenere un animaletto quando sarò più grande, ne vorrei davvero uno!» sibilò, camminando verso la porta.
«Vìktor» lo chiamai, posai la sfera sul materasso e mi avvicinai, «quanti anni hai tu?»
«Io?» domandò incredulo. «Quattordici, ma dico sempre qualche anno in più!»
Non dissi nulla, ma mi chiesi velocemente se Dominik avesse saputo la sua vera età. Vìktor non sembrava minimamente un quattordicenne, aveva i tratti più lunghi e affilati, le braccia lunghe e le gambe atletiche. Se si fosse presentato alla St Paul io e le mie amiche gli avremmo dato più anni di Mark senza pensarci due volte.
«Addio, Vìktor» feci e la mia voce mancò di un tono, calando bruscamente e facendomi fare un verso stridulo. Strinsi le labbra e tirai su il moccio, trattenendomi.
«Addio non mi piace come parola. Sa di brutto e di lontano, e noi siamo amici. Potremmo solo dirci "ciao", ti pare?» propose e aprì le braccia.
Mi ci tuffai dentro senza aspettare altri secondi e lo strinsi forte a me. Profumava di buono, non lo avevo mai notato, di shampoo e viole. Spinsi il naso sul suo collo e pregai di rivederlo un giorno, in quel tanto bramato futuro dove Vìktor non era più un povero ladruncolo e io non ero una ragazzina dal sangue sporco. Quel futuro era lontano, lontanissimo, ma lo avrei costruito con le mie mani.
«"Ciao" mi piace come parola» dissi e riuscii a ridere.
«Dai, non piangere» ridacchiò e mi pulii il viso con una manata che mi fece ridere a mia volta. «Ciao, Chanel, ti auguro che la tua vita possa essere altrettanto meravigliosa.»
«Grazie, Vìktor, e ciao.»
E così, più repentinamente di quanto avessi creduto, anche Vìktor uscì dalla mia vita.
Quel pomeriggio non feci niente e mi esonerai da sola dai miei compiti con Babushka. Vìktor scomparve dal cancello principale, agitò una mano e girò l'angolo. Una parte di me, in tutte le ore in cui il sole calò verso l'orizzonte scarlatto, sperò di rivederlo tornare da me con la sua famiglia appresso, chiedendomi di andare con loro o di aiutarli a restare. Dall'altra sapevo che era impossibile: restare con me per lui era impossibile. Benché fossi riuscita a tenere la sua presenza all'oscuro, Gilbert e Dominik non avrebbero mai accettato di rivederlo.
Così mi sedetti sui gradini d'ingresso della Villa, con la biglia tra le mani, e osservai con aria spenta il cielo, cominciando a sperare in quel lontano futuro che Vìktor bramava tanto. Mi ero dimenticata il nome della città in cui si sarebbe trasferito, o forse non glielo avevo nemmeno chiesto. Per quanto mi preoccupai di Gilbert, parve addirittura di essersi scordato la strana presenza di un mio compagno di classe a casa sua. Impegnato com'era, la mia vita era il minore dei conti per lui.
Aspettai Ilona fuori di casa e appena la vidi venire verso di me con uno sguardo corrucciato, mi ricordai di averle attaccato – con poca grazia – il telefono in faccia. Ilona odiava essere interrotta nei suoi discorsi.
«Mi dispiace! Mi dispiace!» Saltai in piedi e misi le mani avanti, chiedendole perdono. Lei si ficcò il casco della moto sotto il braccio e tirò le labbra, scaraventando uno zainetto beige a terra. «Gilbert mi aveva chiamata all'improvviso e mi ha tenuta impegnata tutto il pomeriggio! Era di pessimo umore!» mi giustificai e la bugia uscì fluida e liscia dalle labbra.
Lei alzò un sopracciglio e sospirò, pettinandosi all'indietro i capelli mori, verdi e azzurri. «Mi hai fatta preoccupare. Pensavo fosse successo qualcosa» mi confidò.
«Te lo direi, se fossi andata a sbattere contro un palo della luce» recitai, mi spazzolai i pantaloncini sporchi di terra e polvere.
«Sei sicura?»
Annuii. «Sei la mia migliore amica e le migliori amiche servono a questo, no?»
Non ero sicura se volessi davvero dirle tutto quello che avevo passato in quella Villa. Gilbert Petronovik era un caro amico di suo padre e lei non era altro che la futura sposa di Michael, benché entrambi non volessero, le loro famiglie contavano su di loro e constatai da sola il peso che le scelte che facevamo pesava sulle spalle di molti.
Avrei voluto dirle ardentemente di Dominik e implorarle di aiutarmi, la situazione continuava a soppesarmi e l'idea che potesse farsi scappare una parola di troppo con Michael mi imbottigliava il cervello in una minuscola scatola di ansia e senso di colpa. Cordelia se ne sarebbe infischiata di ciò che Dominik mi aveva fatto, non le importava niente di me o delle altre, per lei l'essenziale era di mantenere una presenza forte e altolocata. Dominik era il suo bambolotto personale.
Ilona però era diversa. Lei amava Dominik, ma amava prima se stessa e conoscevo bene quel cruccio esistenziale: sarei riuscita ad amare una persona con così evidenti problemi?
Dominik era incurabile secondo me. Lui continuava a sbattere su quel palo della luce come se non vedesse altro che un muro da superare ad ogni costo. Quasi lo adorava. Era un masochista. Persino quando avrebbe avuto la testa spaccata a metà avrebbe continuato a sbatterci di peso.
«Le migliori amiche si raccontano tutto!» vociò lei ad alta voce. «Vedono film insieme...»
«Si mettono lo smalto a vicenda» continuai.
«Si prestano i vestiti» ridacchiò.
«E scroccano pasti gratis dall'altra» sbuffai. «Grazie per essere venuta.»
«Non ti avrei lasciata sola con quel maniaco.»
Riuscii a fare un sorriso lieve. Gorka per lei era quel viscido verme che non puntava ad altro che sposarmi per essere guardato di buon occhio dalla società, eppure per me aveva cambiato aspetto. Era diventato più semplice e cordiale, lasciandomi alla mia vita con Michael e assumendosi le responsabilità che io continuavo ad allontanare.
«Non dire così, è simpatico» la rimproverai, aprendo il portone della Villa e lasciandola passare per prima.
«Simpatico quanto un clistere» sibilò, roteando gli occhi.
Appena chiusi la porta, vidi Babushka trottare verso di noi, pulendosi nervosamente le mani sul grembiule. Notai dai suoi occhi che pensava si trattasse di un arrivo anticipato di Gorka Ivanov, ma appena riconobbe Ilona si diede un maggior contegno e rallentò il passo.
«Signorina Ilona, è un tale piacere rivederla dopo tutto questo tempo!» civettuò la donna. «Come sta la sua famiglia?»
«Ciao, Magdalenna» esclamò lei. «Stiamo tutti bene. Grazie per aver acconsentito a farmi restare a cena qui da voi, seppure con poco preavviso» si scusò.
«Tutto per lei» gongolò amabile e io mi masticai la lingua per la rabbia. Falsa come Gilbert. «Tra due giorni dovete partire, sicuro che ha tempo per prepararsi in tempo domani?»
«Ho già fatto tutte le valigie» spiegò Ilona.
Babushka mi guardò storto e assunse un'espressione palese da "hai visto che ragazza responsabile?" e io mi limitai a fissarla con le labbra tirate. Non volevo di certo fare una scenata davanti alla mia amica, anche perché le frecciatine di quella vecchia donna non mi toccavano minimamente.
«Sei davvero una brava ragazza, Ilona.» Lei sorrise, ticchettando il piede per terra. «Ho preparato la camera degli ospiti per...»
«Pensavo dormissi con te» la interruppe Ilona, lanciandomi uno sguardo interrogativo.
Aprii la bocca con finta meraviglia e guardai Babushka. «Sentito? La signorina Ilona pensava di dormire con me» declamai, portandomi una mano al petto come se stessi recitando in una tragedia greca.
«Può dormire dove vuole» rispose calma Babushka, inghiottendo un dissenso già sulla lingua. «Vada pure a sistemare le sue cose. Chanel, aiutala. Vi chiamo quando gli ospiti saranno arrivati» ci disse e con un respiro accelerato dalla vergogna se ne andò, scivolando nello studio di Gilbert.
Andando in camera mia quasi potei sentire le contestazioni di Babushka nel dire che ero stata una sfrontata e che era meglio farci stare separate per non far pensare male Gorka e Ivan Ivanov. Gilbert ovviamente non si interessò della faccenda, ma non diede ordini opposti, così Ilona posò lo zainetto sulla scrivania e saltò sul letto, adagiandosi come se fosse a casa sua con la testa amalgamata tra due cuscini.
Solitamente dormivo sulla parte sinistra del letto, quella che dava sul muro e alla porta, Michael preferiva quella a lato, adiacente alla finestra. Ilona era nella sua parte del letto, ma non mi disturbò affatto. Mi dava un senso di felicità vedere quella zona piena.
«A volte penso che quella donna ti disprezzi proprio» ridacchiò Ilona, sollevandosi sui gomiti.
«A volte?» ripetei, sollevando un sopracciglio.
Lei si alzò, si diresse verso la gabbia di Krolik, la aprì e prese il coniglietto tra le mani. Non dissi nulla, quella ragazza aveva una manualità per ogni cosa, tuttavia l'animaletto cominciò a scalciare forte per tornare nella sua casetta protetta e mi trattenni dal ridere. Lo posò sul letto e gli accarezzò il pelo sul collo. Krolik tremava vistosamente e guardava i piedi di Ilona come se fossero dei pericolosi titani pronti a schiacciarlo.
Per tranquillizzarlo mi sedetti sul letto e lui zampettò verso di me. Fui piacevolmente sorpresa. Non ero mai andata a genio a Sputnik e Krolik preferiva stare da solo, senza coccole o altri stimoli esterni, piuttosto che insieme a me, sul letto. Di sicuro trovava le maniere di Ilona enormemente più dispersive delle mie.
Gli misi una mano vicino e lasciai che fosse lui a cercare le mie dita.
«Pensi mai a come sarebbe la tua vita se non fossi venuta qui?» le domandai.
Lei si tolse le scarpe, facendo rimbalzare gli stivaletti sul parquet, dopodiché si rannicchiò con i piedi sul letto.
«Intendi se Gilbert ti avesse lasciata in Australia?» Annuii e Krolik si guardò intorno con aria diffidente. «A volte ci penso,» mi confidò «ma anche se so che ti manca da morire la tua città, sono più felice adesso. Scusa per l'egoismo, però è così. Mi piace il fatto di avere qualcosa a cui dire "no" ai miei genitori: prima avrei accettato qualsiasi decisione avessero preso per me, sia per il mio bene e sia perché non me ne importava abbastanza.»
«Potresti sposare Dominik» dissi e lei emise un risolino debole. «Perché no? Insomma, se la tua famiglia vuole che sposi un Petronovik, potresti almeno sposarti con chi ami. Lo ami ancora, vero?»
«Sì, certo.»
«E allora?»
«E allora è difficile, Chanel» mi rispose con aria scocciata. «Anche se a parole sembra facile, non lo è. Fin da quando eravamo piccoli io e Michael sappiamo che dovevamo sposarci e per un periodo abbiamo pensato di farlo per convenienza, ma adesso che lui ha te è diverso. Lui non può e non vuole sposare me, nemmeno per gioco e io non posso chiedere a Dominik di rimpiazzarlo. Lo amo da morire, ecco perché non lo faccio. Se glielo dovessi chiedere è perché lo voglio io, o entrambi. Non voglio che pensi di essere la mia seconda scelta.»
Inclinai la testa. «Sai che non deve per forza andare così?»
«Così come?»
«Così.»
«Non voglio che le cose tra noi cambino. Almeno so che non dicendo niente resterà insieme a me. Non sarà mai felice con Cordelia, io speravo di essere diversa, ma non ho mai fatto niente per farglielo notare. La colpa è mia.»
Michael mi aveva detto che ero la persona più coraggiosa che conoscesse. Si sbagliava; Ilona era la persona più coraggiosa perché aveva avuto coraggio di continuare ad amare una persona con cui sapeva di non avere speranze. Quel fuoco che aveva nel petto, oramai ridotto ad una piccola fiammella, lei continuava a proteggerla con tutta la sua anima dal vento esterno.
Se fossi stata in Paige avrei agitato la mia bandiera con scritto "combatti!", tuttavia le cose erano diverse e un atteggiamento positivo e solare non bastava a cambiare le cose. Pensavo che la parte più difficile di stare con qualcuno fosse dichiarare l'amore, invece era proprio quella di trovare qualcuno che mi amasse e fosse ricambiato. Aveva a disposizione un mondo intero, ragazzi più ricchi, belli, educati, e si era innamorata proprio di Dominik. Era un bel casino.
«Come si fa a cambiare un uomo?» le domandai.
Ero certa che Cailian una volta mi avesse rivelato il trucco, ma non me lo ricordavo.
«Passando per la pancia!» sbraitò Ilona convinta. «Quello è il trucco!»
«Ma tu non sai cucinare!»
Per via delle nostre grasse risate Krolik scappò via irritato e cadde dal letto, rotolando sul pavimento e nascondendosi sotto una gamba di legno, cosa che ci fece ridere ancora di più.
Verso le sette meno un quarto, la porta di Villa Petronovik si aprì nuovamente a Ivan Senior Ivanov e Gorka. Entrambi erano impettiti in un gilet elegante e argento, con dei ricami floreali sulle maniche e dei comodi pantaloni azzurro chiaro. La mattina e il pomeriggio erano stati davvero molto afosi, il meteo aveva detto che era stata una delle giornate più calde dal 2005, ma con nostra fortuna alla sera le temperature calarono, lasciando una fresca brezza che asciugava l'arsura e portava via il caldo. Era in arrivo un temporale estivo.
Gilbert aveva fatto preparare in giardino un'abbondante tavolata per quattro persone, il piatto e la sedia di Ilona erano stati aggiunti all'ultimo minuto perché le portate, posate con ordine per formare un bel quadro armonioso e far sì che nessuno disturbasse durante l'appuntamento, erano decentrati. Ilona dovette notarlo e sulla sua espressione comparve una nota di imbarazzo non appena il padre di Gorka la squadrò con dubbio. Il cibo, però, era così abbondante che sarebbe bastato per sette persone.
Era tutto fresco, con ricchi piatti di verdure e pesce. Nell'intero giardino aleggiava un aroma di arance e carne cotta, ero sicura che fuori dalle mura della proprietà i bambini che passeggiavano si fermassero in continuazione ad assaporare quell'odore paradisiaco provenire da un cancello chiuso a chiave, desiderando di entrarci come se fosse il Paese delle Meraviglie.
Era già scesa la sera, ma le luci del tramonto, in lontananza, erano ancora ben visibili e tiravano il cielo come se fosse un quadro steso ad asciugare. Il rosso colava sull'indaco come una pennellata stesa con troppa acqua.
Gilbert prese posto a capotavola, così come Ivan. C'erano due sedie vicine e così mi indirizzai alla prima che trovai. Gorka aggirò il tavolo per sedersi davanti a me, senza nessuno vicino. Il padre gli sfoggiò un'occhiata accusatoria e tossì.
«Gorka, perché non ti siedi vicino a Chanel e le fai compagnia?» propose gentilmente il padre, indicando il posto libero al mio fianco.
Guardai Ilona e le alzò le mani. Gorka si sedette al posto che aveva scelto senza scomporsi. «Chanel ha già compagnia» rispose secco.
Potei avvertire i denti del padre del ragazzo cozzare l'uni sugli altri per la collera, ma senza dar nulla a vedere annuì e lasciò correre. Ilona si sedette vicino a me, in silenzio e mentre Gilbert e Ivan presero a parlare di alcuni investimenti azzardati di una famiglia inglese di nome Baskerville, aspettai in silenzio l'inizio della cena.
«Insomma, io penso che si credano troppo a casa loro!» sancì Ivan Senior, austero. «Vengono qui con i loro soldi, comprano e si reputano i padroni!»
«Chi ha soldi, mio caro, può permettersi una cosa simile» ribatté Gilbert con un sorrisetto. «A me non sono parsi assolutamente come dici tu. Qualcosa di losco lo hanno, ma finché non fanno nulla di male non me ne importa.»
«Oh, li hai conosciuti?» esclamò impaziente l'uomo con i capelli biondi, interessato.
«L'uomo, il padre presumo. Un certo John Baskerville» raccontò. «Gli altri membri non li conosco. So che ha due figli in Inghilterra, un maschio e una femmina, e per qualche motivo non sono qui. Studi, credo.»
«Te lo dico io, Gilbert, quelli sono tutti spocchiosi! Ci ruberanno i diamanti come l'America fa con l'Africa, e poi chi si è visto si è visto!» commentò aspramente.
Arricciai il naso per la metafora e roteai gli occhi, non importandomene se qualcuno mi vedesse. Lasciai perdere il discorso e parlai con Ilona del nostro viaggio a Mosca: insisté molto sul fatto di volermi far assaggiare "l'alce alla russa" e lì per lì pensai che fosse semplice carne di alce cotta come una costoletta, invece erano solo le orecchie e la lingua dell'alce a essere mangiate, insieme a funghi, cipolle, coriandolo e limone.
Tirai fuori la lingua. «Che orrore, io non la mangio! Preferisco una pizza.»
«Non la fanno quasi più, ma è una ricetta molto antica! C'è un posto a cinque stelle dove fanno cose del genere, è molto buono però. Io e papà li mangiamo ogni anno a Natale» disse.
«Che schifo, no! Non è poi una specie protetta?»
«Di cosa parlate, voi due?» si intromise Gilbert, fissandoci con aria stranita.
Ilona arrossì e io alzai una spalla, rispondendo: «Di alci.»
«Alci? Strano argomento per una cena» borbottò Gilbert, alzando un sopracciglio con aria divertita.
«Dell'alce alla russa, il piatto» spiegò Ilona e Gilbert alzò il mento con un gran sorriso in faccia.
Sbatté il pugno sul tavolo e trasalii, come se avessi appena assistito ad un terremoto. Dio, che pessima abitudine aveva. «Ivan, ti ricordi quel piatto? Da bambini lo mangiavamo spesso!»
«Come se avevamo scelta, o quello o niente» ricordò l'uomo con svago. «A me non piaceva.»
«Sono piatti che con il tempo impari ad apprezzarli!» si impuntò Gilbert. «Brava, Ilona, fai assaggiare a quella modernista della mia figlioccia dei piatti tipici!»
Mi trattenni dal ribattere e aspettai la mia porzione di kal'ja, una zuppa di salamoia di cetrioli, pesce e caviale, accompagnata da un retrogusto acerbo di kvas. A seguirla c'era insalata di cavoli sott'aceto e bocconcini di carne di montone con pomodori e crostini salati.
Mangiai con poca voglia la mia zuppa di pesce in silenzio, rivolgendo di tanto in tanto qualche occhiata a Gorka per assicurarmi che non volesse parlarmi. Il discorso principale verté ancora sulla famiglia Baskerville, i quali secondo Ivan Senior avevano qualcosa a che fare con l'esercito inglese. Non mi interessò sapere come fece a sapere quelle cose.
«Allora Chanel,» mi chiamò il padre di Gorka «ti manca solo un anno per terminare gli studi, il liceo, cosa pensi di fare in seguito? Intendi continuare a studiare o mettere su famiglia? Scusa l'interesse, ma è quasi d'obbligo.»
Era di certo sfacciato, da come lo guardò Gorka dovette pensare la stessa cosa, ma deglutii l'ultimo boccone di pesce ed elaborai una risposta. «Non lo so ancora. Una delle opzioni è studiare economia e dare una mano al mio patrigno con...»
«Gentile pensiero, mio piccolo tesoro, ma sai che non ho bisogno del tuo aiuto» rispose Gilbert e io arrossii, sentendomi tagliare la mia ancora di salvezza.
Non volevo aiutarlo, ma di certo l'idea di sposarmi non mi piaceva affatto. Continuare a studiare e cercare un lavoro che mi avrebbe permesso di sostenermi da sola, senza l'aiuto di Michael o di Gilbert, era la mia priorità, tuttavia dirlo non era saggio. Sarebbe stato come prendere in giro il grande Petronovik e mettere in dubbio l'educazione impartita, se non alzare il dito medio agli Ivanov.
Avevo sbagliato ancora risposta. Una replica del genere sarebbe andata bene per il tenente Radigan, ma non era adatta a Ivan Senior e dai suoi occhi lo intuii da sola, pentendomi.
«Chanel, hai quasi diciotto anni, presto sarai maggiorenne e dovrai assumerti le tue responsabilità. Tuo padre non starà per sempre al tuo fianco a sponsorizzarti, capisci? Devi pensare al tuo futuro. Quel grazioso visino non resterà per sempre, o preferisci restare in questa casa fino alla fine dei tuoi giorni?» Scossi la testa, terrorizzata. «Bene, capisco che sei una ragazza intelligente se mi rispondi in questo modo, ma il motivo per cui tu e mio figlio non vogliate più sposarvi mi sfugge. È successo qualcosa?»
«Papà!» sbottò Gorka con le guance color porpora.
«È solo interessamento, non urlare. Gilbert non ha saputo rispondermi e mi chiedevo se tu potessi togliermi qualche dubbio» continuò verso di me. Annuii vaga. «È successo qualcosa?»
«No, signore.»
«Bene, c'è una ragione precisa per cui tu e mio figlio non vogliate più sposarvi? Chanel, io per te ho messo buone parole ovunque, mi sei sembrata un'ottima fidanzata per mio figlio e non mi piace l'idea di dovermi rimangiare le parole date. La mia famiglia non ti piace?» ipotizzò.
«Cosa? No, perché? Insomma, sì, mi piace, ma...»
Gilbert non parlò e io non seppi cosa fare.
«Allora cosa?»
«Io... Senta, mi spiace per l'equivoco, ma... io non amo Gorka. Pensavo che il tempo passato insieme fosse ancora troppo poco per portarmi a fare un passo così lungo e così abbiamo pensato di abbandonare la cosa fino a nuova data...» borbottai e Ilona mi guardò impotente. «Non ho nemmeno diciotto anni.»
«Cara, io mi sono sposato a diciannove anni con la mia signora e abbiamo ben quaranta anni di un felice matrimonio, due figli bravissimi e una ricca carriera. Non è una scusa convincente, questa. Sei grande, insomma.»
«Felice che il suo matrimonio di convenienza le piaccia, ma a me no» tuonai e nella tavolata piombò un silenzio tombale, rotto unicamente dal raschio della gola di Gorka e dal frinire delle cicale nei cespugli.
Ilona sgranò gli occhi, fingendosi concentrata su un pezzo di formaggio e mi pestò un piede con nonchalance. Strinsi i denti e scossi la testa pentita, ciononostante non dissi altro.
Ivan Ivanov sospirò pesantemente e ignorò, con qualche sforzo, la frase detta. «Chanel... mia cara Chanel. I matrimoni di convenienza sono così solo se li vedi in quei termini. Pensi che non ami mia moglie? Non potrei lasciarla mai. Io ho imparato ad amarla, ad apprezzare il suo titolo, la sua persona e il suo nome. Se tu non lo sai fare, questo non è posto per te. Oppure...» Alzò gli occhi con uno sguardo tagliente su Gilbert. «Gorka non mi ha voluto dire niente, ma forse Chanel si è trovato un compagno migliore su cui fare affidamento, migliore di mio figlio?»
Gilbert schiuse le labbra, gelato. «Non vedo chi possa essere» negò.
«I ragazzi tengono le loro compagnie molto nascoste. Di sicuro una cosa come quella ti deve essere sfuggita, mio caro amico. O magari ne sei a conoscenza anche tu e mi hai invitato qui solo per fare una bella scenetta.»
«Non è così, lo sai bene. Chanel non ha nessuna altra relazione aperta al momento.»
Io e Ilona non cambiammo espressione, Gorka si umettò le labbra, ansioso e fissò un punto lontano oltre la mia testa.
«Una ragazza carina come lei?» continuò l'uomo biondo.
«Le stai dando della sgualdrina? Attento a come le parli davanti a me. Una ragazza carina come lei sa di certo come tenere le mani luride di altri ragazzi lontano. Se non vuole una cosa, credimi e te lo posso garantire, non la farà mai. Se vuoi costringerla fai pure, hai tutta la mia piena benedizione, ma non aspettarti grandi cose da lei. È ottusa e viziata. Imponi una cosa a tuo figlio e ti odierà tutta la vita. Nemmeno Gorka farebbe una cosa che non vuole con un sorriso in faccia» commentò Gilbert e con il mento indicò il ragazzo alla sua sinistra.
«Lo farebbe» contestò il padre. «Vuoi forse rinunciare ad unire le famiglie, Gil?»
Gilbert scosse la testa.
«Allora sai qual è la scelta migliore.» L'uomo dai capelli rossi si ficcò in bocca una forchettata di carne di manzo, ignorando senza grandi piani l'affermazione. «Gilbert, andiamo! Ho quasi sessant'anni e tra poco andrò in pensione. La moglie di mio figlio maggiore non può avere figli a causa di quell'incidente e io e Abrama desideriamo avere dei nipoti. Lo vuoi anche tu, è ovvio. Chanel, tu cosa dici?» mi interpellò.
«Io dico che per adesso non voglio essere chiamata "mamma" da nessuno» sputai con orgoglio.
«Ma che lingua tutto pepe!» rise Ivan Ivanov con gioia. Non capii se fingesse o meno. «Gorka! Questa non me l'avevi detta! È tutta per te, ti calza a pennello. Abbiamo mentalità diverse, lo capisco e possiamo sembrarti degli avidi proletari del quindicesimo secolo, ma non è così. Noi vogliamo solo che le nostre famiglie vadano avanti e abbiano successo. In natura tutte le specie scelgono di essere fedeli ad un gene forte e sano, non ci vedo nulla di male. Chanel, tu sei bellissima, sei giovane, ma presto nessuno ti vorrà. Gorka è l'unica persona che è in grado di rappresentarti come sei, vuole fare del tuo difetto una perla. Non puoi nasconderti quando sei nata per essere grande» giudicò paziente. «Vuoi deludere il tuo patrigno?»
«No, signore» risposi a testa bassa.
«Come ben sai, Ilona presto si sposerà con il figlio minore di Gilbert e il più grande con la graziosa Cordelia Kuzentsov. Vuoi essere un peso per la tua famiglia?»
«No, signore» ripetei.
«E tu, Ilona, capisci che questa scelta è stata fatta per aiutarti?»
Ilona sbiancò, ma lentamente annuì sentendosi portare in causa. «Certo.»
«Come vedi qui tutti sanno quale è il loro legittimo posto. Il tuo è accanto a mio figlio. Hai qualche motivo in particolare per cui non vuoi proprio stargli accanto?»
Lanciai un'occhiata a Gilbert che lui ricambiò. Era uno sguardo vacuo, il suo, senza interesse alcuno, per lui che restassi sola o sposata con un'altra persona non contava più. In ogni caso mi sarei tolta dai piedi e mi sarei tenuta il suo segreto fin nella tomba.
Sfiorai la pancia con la mano e Gilbert ebbe un fremito. Io non ero incita, ma Gilbert non lo sapeva e ancora credeva – o sperava? – che avessi in grembo il figlio di Michael, il suo nipotino tanto agognato. C'era un duplice problema allora: a) se avessi accettato il fidanzamento con Gorka avrei dovuto aspettarmi un suo successivo rifiuto nel sapere che ero incinta di un altro ragazzo, per di più il mio fratellastro e b) Gilbert avrebbe dovuto mettere in ballo l'opzione di perdere suo nipote per un affare.
Quel cruccio, lo capii da come strinse le labbra e mi guardò, lo glaciò. Non avevo mai visto Gilbert senza un piano in mente, o con un minimo dubbio riguardo un suo scopo, e il fatto che stesse dando importanza a me e al suo inesistente nipote lo rese quasi umano.
Ivan Senior Ivanov intanto parlò ancora della sua famiglia, di come gli altri avrebbero potuto giudicarli, ma che mi avrebbero amata comunque. Nessuno lo ascoltò in ogni caso.
«Chanel, è buona educazione guardare in faccia una persona mentre ti parla» mi richiamò lui, nascondendo lo stress. Abbandonai Gilbert e osservai Ivanov con aria spenta. «Non fare quella faccia, mi fai passare per il cattivo. Dimmi, come ti è sembrato il mio piccolo figlio?»
«È gentile, signore» risposi «e ben educato.»
«Ti ha trattata male qualche volta?»
«No.»
«Gorka» lo chiamò intransigente e il ragazzo sollevò gli occhi pesanti. «Trovi che Chanel sia bella?»
«Sì.»
«La vorresti sposare, non è così?»
Dopo un po' rispose: «Sì» quasi come se fosse una domanda.
«Allora penso che la discussione può terminare qui!» esclamò felice. «Sono contento che abbiamo risolto questi problemi, è tutto deciso allora. Appena sarà terminata la scuola, il prossimo anno, penseremo al da farsi, per ora è meglio che non ti sconcentri sull'ultimo anno e sugli esami. Preparati in tempo, mi raccomando.» Aprii la bocca e non mi uscii niente. «Gilbert, qualche battibecco ancora?»
L'uomo, come me, aprì la bocca e la chiuse, non parlando. «Non credo.»
«Potremmo fare un brindisi, allora! Che ne dite?» propose Ivan Senior.
Gilbert si risvegliò dal suo stato e annuì con qualche secondo di ritardo, alzò una mano nella mia direzione e mosse le dita. «Mio piccolo tesoro... vai a farti portare una bottiglia di vino rosso da uno dei domestici, che ne dovrebbero essere alcune fermentate a dovere, o qualcosa di più forte...»
Mi alzai senza ribattere e Ilona mi seguì. «Ti accompagno» disse e la ringraziai mentalmente. Fino ad allora l'essere in presenza di altri fu l'unica cosa che mi permise di non scoppiare a piangere.
«Pidvakova, raccontami come sta tuo padre, resta qui» offrì rallegrato Ivan. «Gorka, pensaci tu a darle una mano, avanti, su!» lo spronò.
Non feci nessuna smorfia di disagio o nervosismo e così nemmeno Gorka, si limitò ad alzarsi e a venirmi incontro. Mi ricordò vagamente la prima sera che passai a casa di Gilbert, a Old Lord, quando mia madre mi aveva obbligata ad accompagnare Michael in un bar in centro. L'espressione disinteressata e apatica di Gorka fu la stessa.
Gorka mi seguì in cucina e domandai a Hodette se avesse un liquore abbastanza forte da mettere al tappeto i due adulti con tanto di fumo dalle orecchie. Lei, ansimando qualcosa, non sapendo se scherzassi o no, frugò in una cassetta vicino al frigorifero e lesse l'etichetta su una bottiglia. Mi porse una fiaschetta rossa e Gorka rimase fermo, leggendo oltre la mia spalla.
«Fuoco di Russia» lessi. «Grande. Spero bruci il cervello ad entrambi.»
Feci per girare i tacchi, ma il ragazzo mi diede una leggera gomitata e mi fermò. «Aspetta. Ci serve del ghiaccio» ordinò e, infatti, prima che mi fermassi Hodette sfrecciò fuori dalla cucina come se dovesse correre a riferire un importante messaggio. «È uno dei liquori più forti al mondo» mi spiegò Gorka sbrigativo. «Credo che muori se lo bevi così, arriva a settanta gradi.»
«Splendido, vado a versare loro un bicchiere subito...»
«Senti,» bofonchiò «io ho fatto tutto quel che ho potuto, quindi non avercela con me.»
«Io non ce l'ho con te» rettificai.
«No? A me pare di sì» sputò. «Non ho potuto dare spiegazioni a mio padre perché non volevo finissi nei guai per la tua stupida tresca incosciente, ma non potevi aspettarti pace e festa. Mio padre ci tiene a quest'accordo e dato che nessuno gli ha detto qualcosa è venuto da solo.»
«Dovevi avvertirmi» ringhiai.
«E come se nemmeno io lo sapevo?» si indignò furente. «Ascoltami bene, io non voglio sposarti, ma se credi che mi farò uccidere da mio padre o getterò fango sulla mia famiglia sbagli di grosso. Ti ho voluta aiutare, ma non ha funzionato. Dovrai sposarmi» decretò.
«Io non voglio sposarti!» lo accusai con le guance rosse.
Lui mi premette un dito sulla fronte, spostandomi. «Nemmeno io, ma è meglio di niente. Credi che Michael non si sposerà con Ilona? Lo credi davvero? Lo farà, anche se non vuole, ma è così. Punto.»
Sbattei gli occhi confusa. Ilona non voleva sposare Michael, il problema era che in questioni importanti come questa era molto brava a parole, ma i fatti parlavano da soli. Non era in grado di negare alla sua famiglia una simile opportunità, nemmeno se questa le avrebbe per sempre staccato le ali.
E Michael... Cosa sarebbe successo se si fosse opposto alla decisione del padre con tutte le sue forze? I pesi morti non piacciono a nessuno, Gilbert ripeteva spesso questa frase e ne fui spaventata.
«L'anno è lungo» riprese Gorka. «Mio padre potrebbe cambiare idea...»
«Sai che non è così» negai, scuotendo il capo con malavoglia.
«Allora abbiamo trecentosessantacinque giorni prima che diventi la mia cara Chanel Isaac Ivanov.»
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