37 Strade dissestate✔️
Fissavo il mio piatto senza osare toccarlo. Lo spezzatino di carne di Breatha aveva un ottimo profumo, le spezie sopra il leggero velo di sugo erano aromatiche e sembravano squisite. Infilzavo la carne con un dente della forchetta e stringevo le gambe.
Breatha, insieme a Valerija, stava lavando i piatti.
«Chanel» mi chiamò «hai finito la cena?»
«Certo, ecco, scusa...» borbottai in difficoltà.
Presi il piatto e glielo porsi. Breatha tolse le mani dal lavello, pronta a ricevere un piatto vuoto. Restò immobile a fissarmi con uno sguardo di rimprovero sul volto. Lo detestavo quando lo faceva per farmi sentire in difetto, era la sua arma numero uno. Mia madre non mi aveva mai costretta a mangiare oltre le mie pretese, le bastava un "non ho fame" o un "ho già mangiato" a farle scrollare le spalle e darmi fiducia. Credo che non si trattasse di vera fiducia, tanto quanto di un atto di mia responsabilità. Non poteva dirmi lei quando mangiare.
Breatha sì, credeva di avere questa autorità e almeno due volte al giorno si assicurava che mangiassi un pasto completo e sostanzioso.
«Chanel, ne vogliamo riparlare?» mi rimproverò.
Le porsi ancora il piatto, innervosita, ma lei non si degnò di cambiare versione. Valerija notò il mio sguardo scuro e per buoni motivi riprese di mettere via delle tazze nella credenza, ignorandomi e meritando il suo stipendio. Non avevo la stessa autorità di Gilbert, tuttavia sapevo che ogni servetto mi considerava alla pari dei gemelli. Se io chiedevo, doveva essere fatto.
Da una parte l'atteggiamento di Breatha mi aveva impedito di crollare molte volte e di lasciarmi andare, altre mi ricordava solamente la madre che avevo perso e che non avrei più avuto. Pensare a me stessa, regolarmi nei pasti, nei bisogni e nelle necessità furono i primi veri gesti di emancipazioni che ebbi passata nel mondo adulto.
«No, non ho fame e basta. Ho mangiato troppo all'ospedale e sono piena» rettificai con poca voglia e un mal di testa martellante.
Breatha fece per parlare e Valerija le tirò un orlo del grembiule. Credette di farlo di nascosto, ma la donna con i ricci si girò e l'ammonì duramente. Breatha scosse la testa e si pulì le mani piene di sapone e acqua sulla divisa, facendomi dopo una piccola carezza.
«Chanel, so che sei preoccupata per la salute di Michael, ma saltare la cena non...»
Gilbert passò oltre la porta della cucina. La sua ombra scura e mogia venne riflessa per pura fortuna nel vetro della credenza e la macchia rossa dei suoi capelli mi infiammò il petto. Spinsi il piatto pieno di cibo nelle mani della donna e corsi dietro a Gilbert, dicendo che avrei mangiato qualcosa più tardi.
Girai l'angolo e gli corsi dietro, fermandolo proprio sull'uscio del suo studio.
«Non corrermi dietro come un cane. Ne ho già uno» mi riprese stancamente.
La solita cattiveria che aleggiava in ogni sua parola contro di me in quel momento era scomparsa, o magari era troppo debole per essere avvertita. L'uomo si girò e mi squadrò i piedi.
«Ti ho già detto di non andare in giro per casa con quei sporchi calzini. Lasci le impronte!» gracchiò e si strofinò una mano sulla faccia, scompigliandosi i capelli già ribelli. «Be'? Che vuoi?»
«Dov'è Michael?» domandai con la faccia rossa, come se non avesse capito. Lui mi guardò immobile, quasi assonnato. «Ti ho chiesto dov'è. Non lo avrai lasciato all'ospedale da solo?» mi preoccupai.
Gilbert roteò gli occhi. «No, non è una regina. Lo hanno dimesso con il consenso dei medici» mi informò con impazienza.
«Dammi il foglio. Tiralo fuori!» feci autoritaria.
L'uomo alzò un sopracciglio rossastro e le sue labbra secche e perverse si curvarono in un sorrisetto sornione. «Per te, tesoro mio, lo tirerei fuori molto volentieri» scherzò.
«Non prendermi in giro. Dammi il foglio!»
Lo dovetti dire un'altra volta, alzando maggiormente la voce finché, preso dal nervosismo, sfilò un foglio piegato dal taschino interno della giacca del completo e me lo porse. Era scritto in russo e non ci capii niente. Lui lo sapeva da come sorrideva. Il consenso era firmato dalla calligrafia elegante e obliqua di Gilbert. Girai il foglio, ma niente era tradotto in inglese e a parte poche parole scritte velocemente non capii la diagnosi di Michael. Il problema del russo era che molte parole mi sembravano tante "u" o "n" ripetute all'infinito. E Dominik a volte scriveva anche in corsivo.
«Cosa c'è scritto?» domandai, abbassando il tono per ottenere una risposta.
Lui si riprese il foglio con un gesto brusco. «Chanel. Mi chiedo perché tu non voglia capire affatto le mie parole. E sei stata anche a scuola, da quel che mi risulta. Questo tuo inutile interesse per Michael è come ho appena detto: inutile. Cosa intendi fare quando Michael finirà la scuola e si sposerà? Continuerai a fargli da puttana serale o scaricherai le tue frustrazioni imbecilli sul piccolo Ivanov, se ben decidesse di riprenderti? Che gli hai detto?»
«Non è come immagini» protestai. «Ero solo preoccupata per lui.»
«Certo. Mi pare sensato dato che la colpa è tua» mi avvertì.
Per un momento sbiancai, credendo che in un lapsus sciocco Michael gli avesse raccontato della gara della scorsa notte, di quello che c'era stato tra noi e la sua promessa. Non feci passi falsi. Se Gilbert avesse saputo qualcosa se la sarebbe presa direttamente con me e con Dominik per a) aver messo in pericolo Michael e non essere intervenuti diversamente e b) per tenerci lontani da lui.
Seppure Dominik fosse il maggiore, colui che fin da piccolo era destinato a prendere per primo le redini dell'azienda e seguire il padre, Gilbert serbava più fiducia in Michael.
«Non è stata colpa mia» mi difesi con occhi bassi.
«Non mi interessa cosa credi tu, ma cosa vedo io. Per colpa tua Michael dovrà restare le ultime settimane con quel cazzo di coso al braccio e rischia di restare indietro con i progetti di meccanica. Dovresti saperlo. Non ti basta quello che hai già fatto a questa famiglia?» mi attaccò.
Non mi passò per la mente in quell'istante che io continuavo ad essere una vittima. Era stato Gilbert a far marcire la sua famiglia ben prima del mio arrivo, era stato lui a uccidere mia madre e a condurmi lì, nel silenzio e nella neve.
Dissi, invece: «Io volevo essere utile... in quale modo...»
«Vuoi essere utile?» ripeté. «Fatti i cazzi tuoi e apri le gambe senza pretendere niente.»
Io strinsi le labbra, presa nel vivo. Non risposi perché Gilbert mi fece pena: non potevo vederlo unicamente come il mostro che mi aveva attaccata, comunque era un padre che aveva cresciuto due figli da solo in quell'orrendo mondo e doveva sostenere un peso terribile. Se fossi stata in lui, molto probabilmente, avrei ucciso la prima insidia che avrebbe minacciato la mia famiglia. In pratica, mi sarei uccisa da sola.
Gilbert sospirò e mi lasciai posare una mano sulla testa. Non fu una carezza, ma fu il massimo che ottenni da lui senza chiedere niente.
«Michael è di sopra. Sta dormendo dal viaggio in macchina. Per i prossimi giorni lo terrò a casa. Lebediev lo verrà a visitare tra domani e dopodomani. Per ora, il consiglio migliore che ti posso dare è quello di lasciarlo in pace. Smettila di fargli male... Ora sparisci, va' a dormire» mi ordinò.
Girai i tacchi e me ne andai, lasciando il padrone di casa di malumore e nel suo studio. Evitai velocemente la cucina, temendo che Breatha mi costringesse a mandare giù del cibo che successivamente avrei vomitato per l'ansia.
Salii di sopra e aspettai pazientemente dentro la mia stanza che Babushka uscisse. Per fortuna la mia camera era la più vicina alle scale e, osservando con attenzione dalla toppa, potevo avere sotto controllo chiunque usufruisse di quel corridoio.
Quasi verso le nove di sera, quando il cielo finalmente si era aperto e le stelle cominciarono a brillare vivaci, Babushka uscì dalla stanza di Michael con uno sguardo pesante. Passò da me per assicurarsi che stessi dormendo nel mio letto, e lì mi trovò fingendomi addormentata. Chiuse la porta dietro di sé e io lasciai trascorrere alcuni minuti di sicurezza.
Quello era l'orario in cui di solito Babushka smetteva di girovagare per casa, prendeva due o tre pillole per dormire e si metteva sotto le coperte con una borsa dell'acqua calda sul grembo. Altri domestici erano ancora in piedi, ma nessuno mi avrebbe chiesto dove stessi andando. Se non ero io a farmi notare, tutti si facevano i propri affari.
Michael dormiva nel suo letto, infagottato sotto le coperte comode di lana e flanella. Il suo corpo era avvolto come una mummia e la collina fatta dal suo corpo si alzava e abbassava ad ogni suo respiro sereno. La sua faccia era più rossa del solito, soprattutto sulle guance, ma doveva trattarsi dei farmaci che gli avevano somministrato o l'eccessivo stress.
Mi sedetti accanto a lui, sul letto e lo guardai intensamente.
Dominik non voleva raccontargli niente di quello che sarebbe successo tra noi due, diceva che non aveva senso e importanza, per me ne aveva. Non era giusto non metterlo al corrente della scelta che avevo fatto, tuttavia sapevo anche ciò che avrebbe detto: «Non devi farlo. Ti ho promesso che avrei fatto tutto in mio potere per stare con te, perché non mi credi? Ti fidi più di lui che di me?» Non volevo ascoltare quelle parole. Mi sentivo una stupida.
Il problema era che Michael non si rendeva ancora conto del potere di quelle parole su di me. Io ci avevo creduto, ci credevo costantemente ogni minuto della mia vita, immaginai la mia vita con lui e noi due felici, benché la verità continuasse con insistenza a tirarmi per un braccio. Michael non aveva nessun potere dinnanzi a Gilbert. Se per caso avesse messo una parola di troppo, o in modo sbagliato, mi avrebbe detto addio e tanti saluti. Mi avrebbe uccisa nella notte, senza darlo a vedere ai gemelli, e poi gettata qualche parte. Si sarebbe poi inventato qualche scusa per addossarmi colpe e responsabilità inesistenti in modo da farmi passare dalla parte del torto e lavarsi le mani.
'Le ho fatto un favore', per me Gilbert avrebbe detto questo.
Mi avrebbe fatto un favore ad uccidermi perché io, per quel mondo, ero troppo inesperta e senza spina dorsale. Non ce l'avrei mai fatta a sopravvivere da sola e, per bontà sua, invece di vedermi soffrire e perire, mi avrebbe concesso una morte rapida e sicura.
C'erano stati giorni in cui l'avrei desiderata.
Accarezzai i capelli a Michael con tenerezza e gli dissi di Dominik e me, le mie motivazioni. Lui continuò a dormire beato, russando piano. Non dissi che lo feci per lui o per noi due perché mi sembrò una frase egoista. La nostra non era una comune storia d'amore, era una tragedia di Shakespeare: non avrei mai permesso che Michael morisse per me. Il veleno di questo racconto era semplicemente il mio amore per lui.
Mi alzai dal letto, sistemai le coperte e me ne andai, socchiudendo la porta.
Per la prima volta dopo mesi dormire da sola mi lasciò uno strano effetto. Mi svegliai due volte per un incubo e, con la fronte madida di sudore, ficcai la testa sotto le coperte e piansi.
Il giorno seguente mi svegliò Michael. All'inizio credetti fosse Babushka e imprecai, implorandola di lasciarmi in pace, ma quando ridacchiò capii che fosse Michael. Non aprì le tende perché sapeva che la luce grigiastra della mattina mi faceva male agli occhi e così si limitò ad accendere la lampada sul comò. Mi rigirai tra le coperte e mi misi seduta, arrossendo vistosamente per qualche motivo.
«Mike» lo chiamai e appena si sedette sul letto gli feci passare le braccia sulle spalle e lo abbracciai forte.
Lui ricambiò con il braccio libero e appiattì il naso contro il mio collo. Fu strano sentire le sue mani sulla mia schiena, non era passato molto tempo dall'ultima volta in cui l'avevo stretto in quel modo e la sensazione d'ansia che mi attanagliava la gola e lo stomaco cessò un poco. Ogni abbraccio di Michael imprimeva sulla pelle la sua disperazione di sciogliere, prima o poi, le braccia.
«Come ti senti?» domandai piano, distanziandolo.
«Molto meglio» rispose con un sospiro. «Ti ho creato qualche problema?» Scossi la testa. «Chanel, mi ricordo cosa ho fatto. Mi hai potuto vedere come la personificazione della stupidità» sbuffò contrario e io sorrisi.
«Eri molto buffo» ammisi. «E mi hai persino chiesto un budino.» Lui serrò i denti per non ridere e scosse la testa. «Ti fa male qualcosa?»
«Oh, no, mi sento piuttosto bene. La spalla mi dà delle fitte se mi piego, ma Babushka dice che è normale. Non mi fa tanto male, tranquilla... Ehi, è tutto okay, non è colpa tua» fece, accarezzandomi il viso.
«No?» sbottai. «Io credo di sì, invece. Mike, che ti piaccia o no, devi accettare l'idea che è stato l'incidente della corsa a peggiorare la situazione. Lo sforzo a scuola ha dato solo il colpo di grazia. Cordelia aveva ragione, non dovevo farti correre, dovevo fare qualcosa e non ho avuto coraggio» mi insultai.
«Lascia che Cordelia dica quello che vuole» minimizzò. «Lei non è me e non è te. È brava a dire quello che vuole, ma non si mette mai dalla parte dell'altra persona, non può capire. Tu lo fai.»
«E ti ho quasi ucciso» sputai e mi presi la testa tra le mani.
«Non mi hai ucciso, Chanel. Ho solo avuto un piccolo incidente.»
«E se fosse stato così?» domandai e lo fissai con gli occhi lucidi. «Se quell'incidente ti avesse davvero ucciso, cosa credi avrei fatto? O se fossi rimasto paralizzato? Michael, ho fatto una cosa orribile. Sei così per causa mia... Non lo sopporto.»
«Te lo ha detto Gilbert, vero?» chiese Michael senza un tono. «Ha fatto domande su...»
«No, nessuno gli ha detto niente» assicurai «ma di sicuro si è insospettito.»
«Dom non dirà niente» promise. Deglutii un groppo amaro e alzai gli occhi. Era ovvio che non avrebbe detto niente, il patto prevedeva il nostro tacito silenzio sulla faccenda in generale. «Papà gli ha fatto il culo una volta per aver graffiato l'Hummer. Se scopre che abbiamo distrutto la macchina per il progetto di scuola ci ammazza.»
«Come farete adesso?» chiesi meditabonda.
«La abbiamo in rimessa. Vanel ha detto che sostituirà con suo cugino il paraurti e il cofano distrutto. Ci vorrà qualche giorno, ma niente di più. Il motore si è salvato.» Annuii e mi spostai i capelli dal viso. «Ehi. Lo sai che di mattina sei proprio carina?»
«Intendi dire con le occhiaie e l'alito pesante?» lo apostrofai.
«Non so se è pesante dato che non ti ho ancora baciata» ammiccò. «Tu sì che sai inaugurare la mattina con una bella imprecazione da uomo vero.»
«Pensavo fossi Babushka!» esclamai in difesa. «Vuoi sentire il mio alito del mattino?»
Michael ridacchiò, si sporse e mi diede un bacio. Riconobbi le sue labbra, la loro morbidezza e quel suo solito odore di mela profumata che lo accompagnava. Non pensai per un momento di scambiarlo per Dominik. Già una volta avevo commesso quell'errore.
Michael emanava sempre quello strano calore capace di avvolgermi completamente.
«Ora che ci penso, ho saltato il nostro appuntamento in macchina» pensò lui con aria afflitta. «Potrei riprendermi l'invito adesso» precisò. Mi fece scivolare sul materasso e, stando attendo al tutore che gli immobilizzava il braccio, si chinò su di me e mi avvolse le labbra con teneri baci.
Senza l'aiuto di Dominik sarei stata pronta a perdere tutto?
Passai le mani sul suo volto e mi presi dei secondi per guardarlo. Lui si fermò, fissandomi. Seguii la linea delle sue labbra rosa e carnose, il tratto deciso del naso, gli zigomi alte e le sopracciglia disordinate.
Gli accarezzai le guance e dissi: «Sei così bello...»
Lui mi sorrise e mi diede un bacio sulla punta delle dita, rialzandosi.
«Perché non torni a dormire? Devi riposare» gli dissi e in quel momento emise uno sbadiglio.
«Volevo tenerti compagnia a colazione» bofonchiò.
«Vai pure a dormire» gli concessi con un sorrisetto.
«Grazie. Ci vediamo questo pomeriggio» rispose, mi salutò con un altro bacio e tornò in camera sua a dormire.
In Australia credevo che fossi io quella diversa in casa, quella che Dominik amava chiamare "la ragazzina innocente acqua e sapone". In Russia il mio cambiamento era ben visibile, o almeno lo sarebbe stato agli occhi dei miei vecchi amici. Ero diventata più sicura di me, fredda, indipendente e diretta. Adesso quello innocente e indifeso era Michael.
Babushka mi portò l'uniforme pulita ed asciugata. Profumava di ammorbidente alla lavanda e perciò si raccomandò di non sporcarla, altrimenti me la avrebbe fatta pulire di persona. Dubitai mantenesse quella promessa, i germi per lei erano un'ossessione, come per Gilbert, e con la mia incapacità non sarei riuscita nemmeno a togliere una macchia di ketchup dalla gonna.
Mi infilai l'uniforme e per un attimo, per via di un polsino ancora umido e stropicciato, il giorno prima si presentò nella mia testa. La pioggia, come quella del cielo, batteva instancabile nel mio cuore. Avevo fatto un errore a fidarmi di Dominik, ma il trucco era non pensarci e non piangere.
Scesi a fare colazione e mi sorpresi nel vedere, oltre a Dominik, Gilbert. Seduto al suo posto di capotavola, sorreggendo con una mano una tazza di caffè appena fatto e nell'altra in suo cellulare, con gli occhi fissava lo schermo e si masticava furioso il labbro. Qualcosa non andava.
«Buongiorno» dissi con un po' di titubanza.
Non avere l'appoggio di Michael mi imbarazzava.
«Buongiorno» rispose svogliatamente Dominik, non dandomi troppa importanza.
Gilbert, preso da un documento online, nemmeno si accorse di me. Dovetti mettermi a sedere, aspettare che Breatha mi versasse da bere perché si degnasse di alzare lo sguardo in un sospiro affaticato e guardarmi con meraviglia. Non disse niente per non sfigurare e lo apprezzai.
«Qualcosa non va?» chiesi timidamente a Gilbert.
Lui sospirò pesantemente. «Affari, mio piccolo tesoro, cose che non ti riguardano.»
Solitamente Gilbert si alzava dopo di noi e, quando mangiava con noi era sempre ben vestito, con uno dei suoi completi grigi o beige molto eleganti. Quella mattina era avvolto da un semplice accappatoio di seta morbido, aveva gli occhi pesanti e rossi e la barba non rasata.
In modo insolito mi sentii con colpa nei suoi confronti per quello che era accaduto a Michael.
Avvicinai la mia tazza di latte a me e domandai: «Posso fare qualcosa?»
Gilbert alzò un labbro. «A meno che tu non abbia lo straordinario potere di fare il lavaggio del cervello a certe persone, allora no, non puoi fare nulla. Grazie per il pensiero» disse con sufficienza.
Dominik masticava assonnato i suoi cereali, la discussione o l'insolita presenza del padre non lo turbarono, o magari non voleva fare una domanda di troppo. Per i gemelli in quel momento era meglio tenersi alla larga dal padre e aspettare che la bufera rossa passasse.
Niente diede l'idea che ci fosse qualcosa di diverso tra me e Dominik. Non parlammo e non ci furono gesti bruschi. Breatha mi portò, come ogni mattina, yogurt e pappa d'avena con i ribes. Dominik era bravo a nascondere i suoi vizi e io dovevo essere al suo stesso livello.
«Oggi verrà il dottor Lebediev a visitarlo?» chiesi piano.
«Già» rispose Gilbert. «Per oggi starò a casa, non voglio affibbiare tutto il lavoro a Babushka. Passerà dopo pranzo, nel primo pomeriggio. Se per quell'ora sarai a casa, se vuoi, potrai sentire il suo resoconto. La fine dell'anno si avvicina in fretta, Chanel. Vedi di non perderti dietro stupidaggini adolescenziali. La scuola costa.» Annuii felice. «E anche tu, Dominik. Dovrai dare una mano a tuo fratello.»
«Ho capito» borbottò lui, finendo in fretta la sua colazione. «Io ho finito, vado.»
«Aspettami» ringhiai, trangugiando le ultime due cucchiaiate di pappa d'avena.
Non era male, considerando che all'orrendo gusto monotono dell'avena ci avevo fatto l'abitudine da mesi. Infatti, come mi ero progettata, acchiappai i ribes che avevo messo da parte e li feci saltare in bocca, riuscendo a dare un sapore migliore nella mia bocca.
Dominik non mi aspettò, ma rallentò per darmi modo di prendere lo zaino e correre in macchina senza rischiare di inciampare da qualche parte. Quando mi sedetti vicino a lui sull'Hummer e feci un pesante sospiro di sollievo mi pentii.
Avevo completamente scordato il nostro accordo e quanto prevedesse. Se fossi stata minimamente furba avrei inventato qualche scusa e avrei usato l'autobus per andare a scuola, l'indifferenza con cui gli ero corsa dietro e il sollievo per essermi seduta di fianco a lui mi disgustarono. Una parte del mio cervello ancora rigettava quello che era successo la sera precedente, la mia antenna era sintonizzata unicamente sul canale di Michael e mi ero completamente dimenticata dell'altro parassita.
Sì, perché in fondo lui lo era.
«Gli hai detto qualcosa?» mi domandò Dominik.
Strinsi lo zaino tra le mie braccia ed ebbi la forza di negare. Le guance presero a bruciarmi per la vergogna. Non riuscivo nemmeno a guardarlo in faccia e non me ne spiegai il motivo. Era lui il colpevole, certo, io ero dalla parte del giusto, ma non era forse quello che dicevano gli imputati.
Grazie a mio padre ero cresciuta con le serie tv CSI e NCIS, tra Nick Stokes e Leroy Gibbs, e le loro squadre anti-crimine mi avevano insegnato una cosa importante: chi si dichiara dalla parte del giusto è colpevole. Io, che non sarei stata accusata di omicidio, avrei avuto l'accusa di intralcio alla giustizia.
«Non c'è bisogno che lo sappia» mi tranquillizzò. «Meno cose si sanno uno dell'altro e più le relazioni vanno avanti, secondo me.»
«Tu non hai mai avuto una relazione, una vera» sbottai. «Tu ti limiti a fare la tua vita e lasci che l'altra persona faccia la sua. Questa non è una relazione, non so nemmeno come si definisce. Una cosa del genere non ha nemmeno senso di esistere, è meglio se uno così passi la vita da solo .»
«Non capisco perché dovrei stare con una persona soltanto. È una cosa che... non ho mai capito, davvero. Nei tempi antichi si poteva avere più di una moglie» pensò beato.
Roteai gli occhi. «Ecco perché si chiamano tempi antichi. Tu non hai mai amato una persona? Non hai mai desiderato che passasse l'intera vita con te? Non ci credo. Tutti hanno amato qualcosa o qualcuno. Tu...»
Dominik rafforzò le dita sul voltante e fece una smorfia vaga. «Non importa. Per me le relazioni sono come un guinzaglio troppo stretto. Se una cosa ti fa male non è amore, tutto qui. E a me le cose strette non piacciono e basta.»
«Una relazione è come un guinzaglio con due manici» rettificai. «Non ti puoi strozzare se entrambi andate nella stessa direzione. Se tu non ami una persona non posso pretendere che tu capisca. A conti fatti... di queste cose non te ne è mai fregato niente. Né di Samantha né di Cordelia e né di Ilona» dissi e lui boccheggiò con un cruccio nel cervello.
«Cosa c'entra Ilona?»
«Sei cattivo» lo giudicai. «Perché ti diverti a far del male alle persone? È questo il tuo divertimento? Perché vuoi impedire a tutti i costi a me e a Michael di essere felici? Anche se Gilbert ci avesse scoperti, anche se mi avesse uccisa, perché non riesci a capire che quel tempo sarebbe stato per me inestimabile? Perché non capisci?» lo interrogai spenta.
«Perché le persone come te le odio» mi rispose allo stesso modo, fissando la strada grigia e ingombra di macchine. «Perché è questo il divertimento: togli la cosa ad un altro per averla tu. È tutto un bel condividere, no?»
«Tu non hai mai condiviso niente» negai. «Tu accumuli e basta. Vuoi avere tutto e ti lamenti che non hai niente. Tu hai un fratello che per te farebbe di tutto, un padre che ti spiana tutte le vie, degli amici che praticamente ti adorano, un brillante futuro, e l'unico che non si accorge di tutto questo sei tu. Se ti rendessi conto delle cose che hai probabilmente smetteresti di essere egoista e inizieresti a condividere le cose, piuttosto che rinfacciare alle persone i loro errori.»
«Oh!» canticchiò giulivo. «Io ti condivido bene con il mio fratellino!» esclamò. «E sono felice.»
A scuola mi parve che tutti si comportassero diversamente con me, o almeno chi direttamente aveva assistito alla gara tra i gemelli o ne aveva sentito parlare, penalizzandosi di non essere stato presente. Gli studenti delle classi maggiori, se non gli universitari compagni di corso di Michael e Dominik, vennero a parlare con me. Di solito, specie in quella scuola privata, si badava spesso alla posizione e all'età, tanto che gli studenti erano divise in fasce di priorità tra gli anni, gli studi, i soldi e l'età. Io, che ero in uno degli scalini minori, mi sorpresi molto.
All'ingresso almeno sei persone corsero da me, mi salutarono e mi chiesero della salute di Michael. Magari, il fatto di essere andati via insieme a Dominik e aver debellato gli altri problemi (cioè me e Michael ferito) stava cominciando a pesare sulle loro coscienze, specie dopo la grave lussazione a loro legata. Ciò che alcuni, in segreto, mi chiesero, era se avessi parlato della corsa a qualcuno. Ovviamente no per ovvi motivi: avrei rovinato la scheda scolastica a molti studenti, fatto intervenire degli agenti di troppo e messo nuovamente in pericolo Dominik e Michael.
Ilona mi venne incontro quasi con gli occhi gonfi. Mi abbracciò prima di parlare. I suoi capelli erano sciolti. Non portava la spilla a forma di farfalla che le aveva regalato Dominik e le sue ciocche verdi avevano perso qualche tono d'intensità per via dei continui lavaggi, del tempo e dello stress. Erano più un biondo paglia.
«Ho saputo di Michael ieri sera! Non avevo idea...» biascicò con imbarazzo e dolore. «Se avessi saputo che...»
«Nessuno avrebbe potuto sapere, sono cose che succedono. Non sono arrabbiata con te» precisai e le accarezzai la schiena.
«Sì, ma comunque mi sono comportata da vera stronza. Avrei dovuto venire da voi, ma...»
Si interruppe e guardò oltre la mia testa, in direzione di Dominik che, con molta difficoltà, stava cercando di bere un bicchierino di cioccolata calda senza bruciarsi le labbra. Vanel, di fianco a lui, rideva come se Dimitri gli avesse appena detto la cosa più divertente dell'universo.
Quella frase Ilona non l'avrebbe mai portata a termine, lo sapevo.
«Ti hanno chiesto scusa in parecchi, vedo. Ines, Niki e Grimm stanno aspettando che mi levi dai piedi per venire a parlarti» disse gentile, pulendosi il viso con una manata. Sbavò leggermente il mascara sull'angolo dell'occhio e io glielo pulii. A cosa servono le amiche se non a pulire il mascara colato dopo un pianto? «Molti del mio corso ne parlavano. Credono che Michael si sia fatto male alla gara e che loro possano essere accusati di omissione di soccorso, o cose simili. Ora tutti fanno la fila per voler parlare con te e scusarsi. Ne ho sentiti due prima.»
«Ho perso il conto» affermai. «Vorrei che la gente smettesse di scusarsi, mi fa sentire peggio. In fondo Michael sta bene.»
«Davvero? Accidenti, mi sono dimenticata di chiedertelo prima! Come si sente?» mi interpellò, passandomi un biscotto al cocco e cioccolato preso da uno dei distributori automatici.
«Molto meglio rispetto a ieri. Ha avuto una lussazione anteriore... credo si dica così, non mi ricordo bene, ma gliel'hanno rimessa a posto subito. Gli hanno fatto altri esami e dicono che entro quattro o cinque giorni può tornare a scuola. Oggi il dottore viene a visitarlo» la informai con un sorriso calmo.
«Fammi sapere allora» affermò, poi mi guardò bene e sbatté gli occhi. «Tu sei sicura di stare bene?»
«Ho dormito poco e male» la liquidai.
«Mi riferivo alla tua espressione. Per un attimo mi sei sembrata un alieno! Non parevi più tu!» mi prese in giro.
A me, quelle parole, ferirono nel profondo. Persino lei si era accorta di quei microscopici cambiamenti nella mia persona. Poco a poco, quei piccoli e fastidiosi granelli, sarebbero diventati come un fiume in piena, pronto a travolgermi.
«Scusa se ti ho fatto preoccupare» dissi e lei scrollò le spalle, accartocciando la cartaccia sporca di briciole.
«Che film credi che ci faranno vedere oggi? Giuro, se è un altro documentario sulle malattie trasmissibili o sullo sballo di rimanere vergini me ne vado ridendo! Per fortuna che Cordelia alla fine dell'anno taglia la corda, non avrei sopportato le sue idee ancora per molto. Proprio lei che è l'anticristo delle vergini» borbottò infastidita.
Come ogni anno, verso la fine di maggio, le scuole facevano un'assemblea generale per parlare dei vari problemi riguardanti la scuola, le prospettive di lavoro finiti gli esami e la visione di qualche film di poco conto. In Australia avevamo le assemblee di classe che duravano due o tre ore, dipendeva dagli studenti coinvolti e dagli insegnanti, ma mai tutta una giornata. Erano i rappresentanti a fare le nostri veci, riportando al preside e agli altri docenti i resoconti.
Fu un pretesto per non fare i compiti, almeno.
«Per me è un altro documentario sull'astinenza» si impicciò Dominik, facendosi avanti nel discorso, seguito da Vanel e Dimitri.
«Parli del diavolo» canticchiò Ilona rallegrata. «Guarda che è la tua preziosa Cordelia che propone i temi o li sceglie. Se vuoi lamentarti sai con chi devi parlare.»
«Per me gli farebbe bene sentire cosa rischia. Potrebbero tagliarti il tuo bell'amico» lo apostrofò Vanel con una smorfia, indicandogli i pantaloni.
Dominik aprì la bocca e lo spinse giocosamente. Dimitri saltò via dal loro raggio di azione per non essere trascinato in quel finto sconto, scivolando accanto a me.
«Dov'è tuo fratello?» domandai.
«È già nell'auditorium, mi sta tenendo un posto. Lui sì che è previdente!» scherzò aspramente. «Sono stato intercettato da Vanel lungo il corridoio e a quanto pare mi ha spillato dei soldi senza che me ne accorgessi per prendersi una merendina. È un bravo cleptomane.»
«Oh, già!» esclamò Ilona. «Dovrebbero tagliargli le mani!»
Ridacchiai imbarazzata e pensai a Vìktor.
Dominik finì di giocare con il suo amico, zampettò vicino a Ilona e la abbracciò da dietro, immobilizzandola in una stretta da lottatore professionista. Lei strillò e si agitò ridendo. Gli calpestò il piede e gli tirò un ciuffo di capelli per liberarsi.
«Hai barato, non vale!» puntò stizzito Dominik. «Anche da piccoli mi tiravi sempre i capelli.»
«La prossima volta ti spacco una sedia sulla schiena, gridando "la vittoria è mia!", preferisci?» lo tentò lei, sistemandosi i capelli sciolti sulle spalle.
Dominik scosse furiosamente la testa, sbuffò e se ne andò via. Vanel, stupito, lo seguì e Dimitri, guardando velocemente le parti, scelse di andare con loro per non sentirci discutere su altre cose poco importanti.
«Fa sempre così. Se ne va» si lamentò Ilona.
«Be', seguilo» proposi. «Dobbiamo comunque andare nella stessa direzione.»
«No» mi sorprese lei. «Preferisco... Preferisco stare qui.»
«È per la storia di Cordelia? Il fatto che lei e Dominik si sposeranno?» domandai piano. Lei alzò le spalle. «E con Vassilii?»
«Non va molto bene. Trova sempre un pretesto per litigare e io non lo sopporto. Gli hanno dato delle ore extra al lavoro e non lo pagano quanto dovrebbero... Si lamenta con me e quando provo a dirgli che si risolverà tutto o se gli posso dare una mano in qualcosa, si arrabbia con me e mi dice di farmi gli affari miei. Ti rendi conto? Se sto con una persona come potrei non interessarmi a lui se sta male? Non lo capisce! E Dominik nemmeno. Crede di fare di testa sua quando è sui binari di un treno e non fa altro che andare in una direzione...»
Il volto di Ilona non era scuro, era solo tirato da un senso di nostalgia e delusione.
«In questi ultimi giorni mi sono accorta di una cosa. Fin da quando ero piccola, mia madre e mio padre mi hanno educata a pensare in una certa maniera. Mi hanno detto che sarei diventata una splendida donna, ricca, di successo, un'avvocatessa e per molti anni è stato il mio sogno. Poi sei arrivata tu con Gorka, hai scatenato milioni di problemi ai gemelli e sei finita da Michael. Io... non ci arrivo proprio! Tu hai fatto progressi che io non posso nemmeno sognare. Ho passato tutta la vita a credere alle parole dei miei genitori, i quali non hanno fatto che passare il loro sogno come il mio. Io non voglio diventare un'avvocatessa.»
«Se non vuoi farlo nessuno ti obbliga.» Lei non mi rispose. «Ci sono miliardi di altre strade. Se non ti piace quella che hai scelto basta arrivare ad un bivio e prendere la prima strada che trovi. Hai tutta la vita per decidere cosa vuoi essere. Se Dominik non lo capisce non è un problema tuo. Penserà con la sua zucca solo quando si ritroverà da solo.»
«Dominik non è capace di stare da solo. Non so se è per via di suo fratello o per altro, ma se sta da solo alla fine si autodistrugge e, credimi, vederlo in quello stato è molto doloroso» ammise.
«Lo sai che i maschi sono degli stupidi scimmioni che smaniano per le nostre attenzioni. Guarda Michael!» esclamai e lei rise.
«Oh, credimi, lo so! Ora che ci penso, devo raccontarti degli aneddoti divertenti su di lui! Dovrai avere buona merce di ricatto, cara!»
Mi prese a braccetto e insieme trotterellammo verso l'auditorium della scuola.
Era un'ala particolare, molto ampia e ben strutturata dal punto di vista architettonico e sonoro. Il soffitto era molto più alto di quello dei laboratori, la parte più alta dei muri aveva una vetrata che poteva essere oscurata con delle tende. C'erano più di cinquecento posti a sedere per gli studenti, ma avanzavano sempre dei posti per le assenze strategiche. Le file erano lunghe, suddivise per sezione, ma gli spazi per stare seduti comodi non erano granché larghi. Sul palco, davanti a tutte le teste scure degli studenti, c'erano già Cordelia, alcuni altri insegnanti responsabili e altri ragazzi che seguivano quell'assemblea.
Sul grosso schermo bianco c'era scritto "Campagna per la sensibilizzazione". Ilona e altri ragazzi presero a lamentarsi, piagnucolando sul fatto che avrebbero potuto rimanere a casa a dormire.
Ilona mi prese per mano e mi tirò verso la sua sezione. Dominik andò dalla sua, verso l'ultima gradinata a destra.
«Ferme un po', voi due, in che corso siete?» ci domandò una professoressa con un tablet tra le mani.
«Economia e Giurisprudenza, secondo anno» esclamò Ilona.
«Di là. Sezione sette. Tu!» mi chiamò e mi fermò per un braccio. «Non sei troppo piccola per essere del corso? In che sezione del liceo sei? Non puoi sederti dove ti pare, sai?»
Ilona cercò di farmi passare per una sua coetanea, fallendo miseramente quando la mia professoressa di matematica mi riconobbe e mi tirò verso i posti riservati alla mia classe. Salutai amareggiata Ilona e la vidi sedersi vicino a Eliza, annoiata quanto lei.
«Ci hai provato!» mi consolò Misha.
«Siete dei dittatori, voi russi» sbuffai senza cattiveria. «Che differenza fa dove mi siedo?»
Fortunatamente (e si levò davvero un grande sospiro generale) il tema di quell'assemblea non era l'astinenza, ma una specie di campagna che promuoveva la sensibilizzazione su temi delicati come lo sfruttamento minorile nel mondo della moda e i problemi sullo smaltimento dei rifiuti in America e in Africa.
Guardammo HowMuch, un film-documentario che illustrava in un tragitto dall'India alla Cina la vera origine dei prodotti della moda e sulle cause che portavano al resto del mondo con quell'industria globalizzata e sfruttatrice. Fu abbastanza interessante per conto mio, il regista e i suoi collaboratori parlavano inglese e potei capire tutti i segnali e i concetti al volo. I sottotitoli erano in russo e percepii un leggero rammarico da parte di tutti gli studenti nel scoprirlo. Quando provai a parlare a Misha, lei mi liquidò con un: «Ssh!» irritato.
Immaginai Michael seduto al mio fianco, con gli occhi strizzati e la fronte aggrottata per la concentrazione di seguire contemporaneamente le immagini e le didascalie. Per questo non amavo guardare gli anime sottotitolati di Mark.
Più o meno alla metà del film, il ragazzo dietro di me cominciò a innervosirmi e io, piuttosto adirata e quasi sul punto di girarmi e sputargli in faccia il mio "vaffanculo", mi voltai con un'espressione scocciata. Mi passò un bigliettino ripiegato e indicò vagamente dietro di sé, tornandosi a sedere comodamente nella poltrona e a giocare in segreto con il suo cellulare.
Il bigliettino era di Dominik e diceva: Vieni fuori.
Mi immaginai la sua espressione contraria.
'Non tra poco. Adesso!'
Quasi lo sentii ruggirmi nelle orecchie. In silenzio mi alzai e chiesi alla professoressa di andare in bagno.
«Mancano quaranta minuti all'intervallo,» constatò rigida «non puoi aspettare?»
«È urgente» spiegai vaga. «Per favore...»
Lei scosse la testa, mi ammonì sul fatto che avrei perso un pezzo inestimabile della mia educazione, ma non me ne importò molto. Incontrai Dominik fuori dalle porte dell'auditorium, con le mani in tasca.
«Cosa succede? È successo qualcosa a Michael?» domandai.
Lui sospirò. «Il tuo Michael sta bene, probabilmente è ancora assorto nel suo bel mondo di zucchero e sogni. Vieni un po' con me, mi stavo annoiando» palesò e, senza sapere se fossi d'accordo o meno, si incamminò nel corridoio deserto.
I nostri passi riecheggiarono sordi nelle nostre orecchie, potevo sentire il chiasso prodotto dal film e persino alcune chiacchiere degli studenti, ma a mano a mano che percorremmo quell'interminabile corridoio che portava alle aule, persi quella cognizione.
Entrò in un bagno maschile e io, guardando apprensiva ogni direzione, lo seguii titubante. L'aria era fredda per via della feritoia aperta, ma c'era un fresco odore di pulito.
«Be', che cosa vuoi?» domandai irritata.
«Non sai essere un po' più gentile?» mi fece eco.
Io lo ignorai. Nel nostro accordo non era previsto che gli parlassi con educazione.
«Se mi hai trascinata fino a qui solo per farmi perdere tempo...» lo avvisai.
Si avvicinò, mise le mani sui miei fianchi e mi tirò verso di sé. Ridacchiò, mezzo seccato dai miei duri occhi puntati contro i suoi, ora imbarazzata. Si affrettò a darmi un bacio sulla guancia e ad abbracciarmi stretta a lui, fin troppo per i miei gusti.
«Solleva la testa. Vorrei baciarti» mi disse.
Deglutii e lo feci. Serrai gli occhi e schiusi le labbra, non facendo altro, lasciandogli tutto a disposizione. Aveva mangiato del coccolato perché avvertii un sapore di cacao sulla sua lingua. Era buono e dolce in confronto a lui. Il trucco era non pensare a Dominik, concentrarsi su altro. Il mio cuore però, a quel gesto vile e ignobile, batteva più forte e mi stritolava il petto.
Mi baciò piano, come se fossi l'ultimo dolcetto della scatola e mi volesse gustare a lungo.
«Sei davvero una donna fredda» sibilò il ragazzo, tirandosi indietro.
Mi pulii la bocca. «È la noia che ti fa parlare?»
«Può essere» mi liquidò. Mi sollevò il viso e passò un dito sulle mie labbra, esaminandole. «Michael è davvero fortunato ad averle a disposizione a suo piacimento; hai delle labbra davvero belle, rosse e piene come una fragola.»
Mi chiesi cosa fare. La sua mano era ancora sul mio fianco.
«Ti ringrazio» risposi evasiva.
«Non serve che mi ringrazi! Voglio un pompino» esclamò soddisfatto.
Io lo fissai incredula, con gli occhi aperti. Per un momento la mia mente si ridusse ad una banale linea piatta, disconnessa dalla mia volontà di muovermi o di pensare, poi sbattei gli occhi e aprii la bocca, sconcertata. Poco dopo essermi ripresa sperai di aver capito male, ma conoscendo Dominik era proprio il genere di richiesta che avrebbe potuto fare.
«Cos'è quella faccia?» domandò innocentemente lui, curvando la testa.
Chiusi la bocca a forza. «Te lo puoi scordare!» sbottai. «Come ti permetti di dirmi una cosa del genere?»
«Con il diritto del nostro accordo» mi ricordò con fare inflessibile. «Te lo sei già scordata? Io proteggo te e tu mi intrattieni. Preferisci che vada a cercare Vìktor per uno dei suoi servizietti di favore? Lui sì che era bravo, sia ad usare la sua bocca e sia a stare zitto e annuire.»
Strinsi i denti e negai. Non potevo nascondere il disgusto verso me stessa nel momento in cui mi guardai allo specchio e mi chiesi cosa, davvero, mi avesse fatto accettare l'accordo con Dominik. Ero caduta così in basso da mettere a repentaglio il mio orgoglio per stare con un ragazzo? E dire che mi consideravo più intelligente di Andrea Sachs.
«Allora?» mi animò lui, spazientito. «Non abbiamo tutto il giorno.»
«Non voglio farlo» palesai indispettita. «Anche se abbiamo un accordo non vuol dire che puoi spostarmi e usarmi come una pedina, non sono un oggetto. Credevo avessi più sentimento.»
«Ti sbagliavi» rispose semplicemente. «Me ne frego se pensi di sapere qualcosa di me, sei solo un'ignorante ragazzina che crede di sapere come va il mondo. Ti piace fare la vittima, essere consolata e coccolata dagli altri come un cucciolo con gli occhioni grandi, tu ami far sentire in torto le altre persone. Se non puoi vincere ti schieri dalla parte del più forte e abbindoli le altre persone a seguirti. Lo hai fatto con Michael, con Ilona e addirittura con Dimitri. Vuoi sapere perché lo faccio?» Afferrò il bavero della camicia e mi tirò più vicino a lui. Il nastro del fiocco mi premeva dolorosamente sul collo, come se mi volesse tranciare la gola. «Perché mi annoio. E tu, mia cara, sei il mio divertimento. Divertimento è portare via qualcosa ad un altro. Tu sei di mio fratello, ma quei momenti di pace e di serenità che vorresti avere, sono i miei. Più tu vorrai essere felice e più dovrai qualcosa a me» calcolò. «Ed è giusto che tu sia in debito con il sottoscritto.»
Lasciò la presa sulla mia divisa e allungò le dita delle mani, scrocchiando delle ossa addormentate.
«Cos'è quell'espressione? Vuoi tradire la tua promessa? Vuoi rompere il nostro accordo per caso? Non lo facevi per Vìktor e per Michael?» Che bastardo, pensai. «Guarda che io ci perdo parecchio in questa cosa tra noi» esclamò irriverente.
«Del tipo?»
«Finiscila con questi giochetti e sbrigati, donna, dovrebbe riuscirti facile. Apri la bocca per dire una marea di stronzate al giorno. Ficcaci altre cose per riempirla, no?» Alzai le spalle, incrociando le braccia. Lui mi squadrò. «Kakiye? Vuoi essere pagata? Non è quello che fanno le puttane, Chanel, che differenza ci sarebbe altrimenti tra loro e te? Il sangue lurido lo avete entrambe.»
Non c'era differenza, era quello il problema. Io lo facevo per stare con Michael e salvaguardare Vìktor, forse anche loro avevano un qualcuno da proteggere o da sfamare una volta tornate a casa. Con che occhi avrei potuto guardare il futuro con Michael?
Dominik si scomodò. «Potrei convincerti in un'altra maniera.» Roteò gli occhi e indicò la porta. «Potrei benissimo fotterti e lasciare la porta aperta, cosicché le tue grida e i tuoi gemiti tutti appassionati riecheggino tra la scuola. Non immagini neppure quanta voglia io abbia di strapparti di dosso quella gonna. Oppure sì, che magnifica idea che ho! Potrei portarti nell'ufficio del preside e prenderti lì, sulla sua scrivania, con l'altoparlante attivato. Non credi che sarebbe un'idea eccitante? A voi donne il pericolo piace, o no? Tutta la scuola, in diretta, saprebbe della tua piccola pecca di vita.» Mi sorrise. «Che dici, vogliamo provare?»
Deglutii spaventata. Avrebbe avuto di certo coraggio, lo riconobbi. Dominik non sputava minacce al vento a caso. Ciò che prometteva, manteneva ed era sia una cosa positiva e sia una negativa. Lo avrebbero potuto espellere, me insieme a lui, le nostre schede scolastiche sarebbero state macchiate a vita, così come la possibilità di trovare un lavoro in seguito, tuttavia per il figlio prediletto del famoso Gilbert Petronovik niente sarebbe stato un ostacolo troppo alto da superare. Gilbert avrebbe avuto comunque abbastanza soldi da far passare sopra la sua trasgressione o trovare una scuola privata migliore, e i suoi amici gli avrebbero fatto una corona d'alloro, ridendo.
Al contrario, se fossi stata cacciata, Gilbert non avrebbe speso un soldo. Occupavo già una consistente parte della sua vita nel suo portafoglio e come amava ricordarmi: «I soldi non sono illimitati, specie per te!»
«Se non ti piace l'idea, possiamo trovare qualcos'altro da fare. Qualcosa di più divertente!» trillò Dominik felice. «Hai il ciclo,vero?»
Arrossii furentemente. «Come diavolo lo sai?»
«Sei più pallida del solito e Babushka ha detto che doveva comprare della carne rossa per te. Tu la odi. In più è quasi fine mese e quella volta del test me ne avevi parlato. Inizia a prenderla, quella maledetta pillola» mi avvertii.
«Sei tu che mi rendi pallida» dissi scontrosa.
«Come mi dispiace» recitò con finzione.
Se restassi incinta, pensai, gli servirebbe da lezione.
Avrebbe educato quel bambino come un animale.
Si spinse contro i lavabi, appoggiandoci le mani e sorridendomi pago, malizioso. «Avanti, dorogoy, la pratica rende forte l'animo della donna.»
Che detto volgare. Non era la prima volta che si rivolgeva a me con frasi del tutto sessiste e maschiliste, ciò non tolse che arrossii furentemente. Dominik non stava insultando solo me, ma tutto il genere femminile complessivo e io non avevo abbastanza fegato per reagire.
Una parte di me si diede della codarda da sola.
Caddi a terra in ginocchio, davanti a lui, il quale aprì le gambe e curvò le spalle per osservare meglio le mie mosse. Non sarei potuta scappare in nessun posto. Guardai i suoi pantaloni e mi morsi con furia un labbro. Mossi le mani.
«Che c'è adesso?» domandò, sollevando un sopracciglio.
«Io... non so come si fa...» ammisi come se fosse una colpa.
Dominik aprì la bocca stupito, ma poi decise che fosse meglio non parlare e la richiuse masticando quella frase nata a metà. Doveva aver pensato sicuramente ad una frecciatina su me e Michael, il fatto che non sapessi fare nulla di decente, almeno secondo lui.
«Mai vista una ragazza tanto inesperta. A voi donne fare questo genere di cose piace» commentò aspramente. «Vi viene naturale.»
«Non so che genere di donne tu abbia frequentato, ma non siamo così.»
«È come un... Non so, immagina che sia...»
«Stai zitto.»
«Un gelato.»
«Sei davvero disgustoso.»
«Spicciati, donna. Sei davvero inutile quando parli, non ti sto nemmeno a sentire» mi apostrofò, gettando la testa indietro e urtando lo specchio posto sopra al lavello.
Rimasi ferma a fissare il nulla. Di solito mi perdevo nei miei pensieri così, dando così tempo e voglia alla mia immaginazione di fuggire in altri mondi. Mi piaceva creare dei piccoli film tra me, Rosalie Hunt e Kill Love. Ero sempre una loro fedele seguace e li seguivo dappertutto nelle loro missioni: per essere una loro sottoposta, una Mastina, mi avrebbero dovuto dare un loro oggetto e scegliere un nuovo nome. Io nelle mie fantasie ero Chocolate. Era il mio nome preferito, nonché dolce preferito di Jackill.
In quel momento restai a fissare le mattonelle azzurrognole del bagno, in ginocchio come se stessi aspettando la lama della ghigliottina sulla mia testa. Odorai l'odore pungente del detersivo e della candeggina, sentii il fresco sulla mia pelle per colpa della finestra aperta e il silenzio incontaminato in quelle quattro mura opprimenti. Non ero claustrofobica, ma fu come se avessi bisogno di più spazio personale.
«Senti» mi chiamò Dominik e mi puntellò con la punta delle scarpe.
Mi tirò il braccio in alto e prese in mano due dita, infilandosele in bocca in un unico movimento fluido. La sua saliva era calda, le mie dita fredde. Mi diedero una strana sensazione liquida e il mio cuore accelerò notevolmente, come se stesse innalzando una danza tribale.
Non dissi niente. Tra lo shock, la mancanza di parole e reazione, mi limitai a fissarlo con occhi increduli. Lui ricambiò lo sguardo direttamente, senza smettere. Per lui era una cosa normale, o forse non era tanto impressionante come altre sue passate avventure.
«Senti,» ridisse paziente e passò la lingua sulla punta dell'unghia, facendomi tremare le spalle e la schiena «non puoi solo succhiarlo... così non funziona... Devi usare la lingua... Come sto facendo io, hai capito?»
Schioccò un veloce baciò alle dita e le lasciò bagnate. Le tirai verso di me con fare protettivo e scorsi sul suo volto quel sorrisetto perverso e maligno. In un documentario su Disney Channel avevo sentito che un matador può impiegare tre giorni per morire dopo essere stato colpito dal toro: Dominik sembrava impaziente di infilzarmi le unghie nel cuore e io mi chiesi quanto tempo sarebbe passato prima che morissi una volta per tutte.
«Ora prova, dovresti essere capace. Ti ho letto il manuale delle istruzioni» scherzò vivace.
Mi diede libertà di movimento. Non aveva senso scappare, fin dove sarei potuta andare tra l'altro? Dopotutto quello che avevo passato dopo essermene andata da Villa Petronovik, avevo capito a mie spese che dare le spalle al nemico non conveniva mai.
Con un po' di titubanza e il cuore in gola, gli slacciai la cintura dei pantaloni e glieli tirai giù facendo lo stesso con i boxer. Ero così inesperta e pietrificata che quando guardai la sua lunghezza non potei distogliere lo sguardo. Sembrava impossibile che quel coso fosse stato dentro di me. Mi pareva qualcosa di strano, di non normale rispetto alla mia vita precedente.
«Vuoi un incentivo?» mi domandò Dominik.
Era divertito dalla mia reazione. Lo guardai con un'espressione sgomentata. Lui sbuffò dopo una manciata di secondi, credendo probabilmente che volessi prendere tempo per escogitare qualcosa alle sue spalle. Mi prese il viso, stringendo le dita sulle guance, premendole forte per farmi gemere di dolore. Annaspai un po', muovendo le mani a casaccio e appena ottenne ciò che volle, mi infilò l'erezione dentro. Mi tenne ferma per i capelli, impedendomi di liberarmi.
Mi aggrappai a lui, alle sue gambe, trovando l'appoggio che mi serviva per non cadere a peso morto per terra. Era una sensazione strana, scomoda e mi salì la nausea. Il suo pene era duro, ma allo stesso era come se fosse avvolto da una strana morbidezza dal gusto salato.
«Avanti, succhia» mormorò perso, mi pettinò all'indietro i capelli affinché non li sporcassi e accompagnò la mia testa su e giù, piano. «Così.» Avevo le unghie infilate nella carne delle sue gambe e il suo respiro era più corto.
Lasciò la presa, lasciandomi continuare da sola. Chiuse gli occhi e intanto iniziai a lambire la sua erezione come mi aveva mostrato.
«Più decisa, altrimenti non sento niente» mi ammonì.
Fletté appena i fianchi in un riflesso appassionato, assecondando il mio debole movimento discontinuo e di riflesso deglutii, accarezzandogli la punta con la lingua. Dominik si agitò un attimo e un basso gemito gli uscì dalla profondità della gola, spingendosi più a fondo. Inclinai la testa verso il basso per respirare.
«Oh... Chanel...»
Serrai gli occhi, provando ad immaginarmi altrove. Provai a fantasticare che ci fosse Michael lì con me, con i pantaloni calati, il braccio a posto e quell'espressione rossa di piacere, eppure non funzionò. Tutti i parametri erano sbagliati: Michael non si muoveva in quel modo, quel tocco non era il suo, così come la voce, i respiri e il profumo. Stavo cercando di incollare la sua faccia sopra quella del fratello, in un banale e insulso collage.
Iniziai a muovermi velocemente, sperando che tutto finisse in fretta. Se lui veniva, tutto sarebbe finito presto e io sarei potuta andarmene via e basta, lasciando così che un altro schifoso giorno passasse.
«Aspetta, cazzo... Più piano!» ansimò furente, stringendo una mano tra i miei capelli e tirandomi via da lui. «Che diamine... Se pensi che fare le cose velocemente ti farà vincere sbagli di grosso. Inizieremo daccapo tutte le volte che vorrò, mi hai capito bene? Non avere fretta, donna.»
Mi fermai deglutendo e lui chiuse gli occhi, sopprimendo un orgasmo avvenuto in maniera troppo veloce. Il suo collo era imperlato di sudore, le sue labbra erano rosse per l'afflusso costante del sangue. La verità era che non ero in un campo di fiori a giocare con Michael e né lui e né il potente Jackill Love mi avrebbero potuta aiutare. Stavo solo facendo una cosa orribile a suo fratello, e a lui. Se Michael ci avesse scoperti, la morte sarebbe stata la scelta volontaria più appagante.
«Fai le cose per bene» gorgogliò Dominik, facendo un brusco cenno con il capo per ordinarmi di riprendere quel servizio. «Ah!» Mi sollevò il mento verso l'alto. «Voglio che mi guardi. Non mi piace senza i tuoi deliziosi occhietti addosso.»
Quella, fra le tante, fu una delle punizioni più dolorose che subii da lui.
Sapeva cosa stavo cercando di fare. Avere altri uomini in testa nei suoi momenti non gli andava bene.
Sospirai, mi chinai in avanti e schiusi le labbra. Presi il suo pene alla base e lo toccai con le labbra, per poi spingermelo dentro una volta per tutte. Dominik aprì gli occhi a scatto e succhiai più forte, come mi aveva detto. In risposta rizzò la schiena e strinse le dita, lasciandosi andare a dei lunghi gemiti di piacere.
«Sorprendente... Oh, bravissima!»
Ripresi quindi più piano, prendendolo e assaporandolo più a fondo. Avvolsi la lingua intorno alla punta, succhiandolo piano e bagnandolo, in modo che scivolasse su e giù senza attriti. Lo spinsi in bocca, sul palato e la lingua lo lambì da sotto, avvolgendolo come se fosse una caramella. Dominik fletté le anche, sopraffatto da quei movimenti candidi e umidi. Il suo membro palpitò e si ingrossò, spingendo contro la guancia. Si prese a muovere sul serio, afferrandomi i capelli in una coda e tendendomi verso il suo corpo, accompagnandomi in un ritmo cadenzato.
«Wow, fantastico, cazzo... Meglio di... meglio, meglio...» mormorò e non terminò la frase, deciso a godersi quel momento fino all'ultimo senza ulteriori pensieri. «Prendilo fino alla fine, coraggio.»
Lo presi ancora più a fondo. Pensai che mi sarei potuta strozzare, ma non avvenne. Coprii i denti con le labbra e lo strinsi più forte, spingendolo fino ai testicoli. La mia lingua lo percorreva in tutta la sua lunghezza, guizzava sulla punta e lo succhiava come se fosse un ghiacciolo che si stava sciogliendo sotto il sole.
«Oh, merda! Tu sei proprio...»
Mi liberai delle sue mani e indietreggiai con la testa. Spinsi più forte e lo presi nuovamente tutto intero. Dominik mi guardava direttamente, voglioso e le sue mani strinsero i lavabi. Con un ultimo colpo, quello decisivo, finalmente venne. Il suo corpo venne pervaso da piccoli brividi e il suo pene, svuotato e rilassato, ebbe uno spasmo involontario che mi fece ingoiare parte del suo seme senza che me ne rendessi conto.
Me lo tolsi dalla faccia con agitazione, tossendo aspramente e sputando quel che avevo nella bocca per terra e nelle mie mani. Non ero sicura di quel che fosse accaduto, il sapore non mi piaceva e mi sentii sporca e umida, come se avessi corso una maratona nel fango.
«Che faccia che hai fatto! Lo hai ingoiato?» mi canzonò lui, pulendosi il pene con una salvietta grigiastra e rimettendoselo nei pantaloni. «Non essere così rumorosa» mi riprese, tendendo l'orecchio. «Alzati e rinfrescati la faccia. Hai fatto un bel lavoro.»
Mi sollevai e le gambe mi tremarono per la paura. Mi chinai nel primo rubinetto, lo aprii e mi sciacquai la bocca con l'acqua gelida delle tubature. Lui si stava specchiando e, nervosamente, stava cercando di rimettere in ordine quel suo ciuffo ribelle.
Mi infilai due dita in bocca, pulendomi i denti e le guance. Sentivo quel sapore alla base della gola, come se fosse un retrogusto che non potevo togliere in fretta. Quasi vomitai.
«Ti è piaciuto?» domandò con spirito, incrociando le braccia.
«Vai al diavolo» risposi con le lacrime agli occhi.
«Suvvia! Sei stata bravissima!»
Scacciai la sua mano lontana da me e mi pulii gli occhi. «Lasciami in pace, hai avuto quel che volevi, no? Se stessi zitto riuscirei a sopportare meglio questa merda» lo insultai.
Lui si zittì. Non aveva avuto niente. Quello che c'era stato non era altro che un misero antipasto di cui, non si sapeva quando, avrebbe avuto il resto della porzione. Non era lui che decideva i tempi, lui li sfruttava solo. In cima ai suoi problemi c'era suo fratello e dopo io. Dominik non sarebbe mai stato sazio di sesso, specialmente se era da me a riceverlo. Di sicuro non essere considerato importante doveva dargli fastidio. Era abituato ad essere il numero uno per tutti.
Guardai il mio riflesso spento attraverso lo specchio. Quell'idiota mi aveva scombinato i capelli. Cercai di rimetterli a posto, seguendo la riga e a lisciarli con le dita, calmandomi.
Dominik mi afferrò da dietro, facendomi scivolare avanti con le mani e premendomi la fronte contro lo specchio duramente. Provai a ribellarmi, graffiandogli la mano e lui, in tutta la sua reazione, mi storse un braccio dietro la schiena, in modo da rendermi inoffensiva.
Mi bloccò in una posizione curva, con il busto appiattito contro il lavabo grigio scuro e la faccia verso lo specchio.
«Sei un bastardo! Che intendi fare? Lasciami! Lasciami, ho detto!» lo aggredii. «Ho fatto quello che hai chiesto, adesso mollami! Io con te non voglio starci!»
«Cattiva!» Non mi fece muovere e con i fianchi si appoggiò contro i miei. «Bastardo o no, guarda la tua faccia. Non vuoi farlo, eh? Hai paura di vedere quanto sei eccitata in questo momento? Riconosco da subito le tue caratteristiche fisiche e so a menadito ogni tua reazione in ogni situazione, quindi perché continui a negarlo con tanto affanno? Coscienza? Ti conviene ammettere da subito che ti piace di più essere scopata da me, anziché da Michael.»
«Non è vero!» ribadii decisa.
«No?»
Mi alzò il viso ed ebbi davanti la mia faccia. Dominik era dietro di me e lo sentii appoggiarsi contro il mio corpo, la testa premuta sulla mia schiena, quasi nascosta.
«Anche se non ti guardo, posso dirti esattamente la tua espressione, quella dolcissima faccia mista tra paura ed eccitazione, quel visino rosso pieno di sudore e questi brividi che ti impediscono di avere sangue freddo e di restare ferma... Hai dimenticato che ti ho avuta tutta per me in varie occasioni? Riconosco il tuo corpo e lui il mio, siamo come due pezzi di un puzzle che combaciano tra altri mille.»
«Può essere, ma la figura che dovrebbe uscire non c'è. Non siamo un bel niente, non io e te. Tu sei solo tu.»
Lui staccò la testa dalla camicia della scuola e mi gettò un'occhiataccia attraverso la superficie dello specchio. Rabbrividii e lui strinse i denti.
«Vedo che non hai capito con chi hai a che fare» sputò inviperito. «Magari non è di sesso che hai bisogno, ma di una bella dose di botte. Già, mamma non te ne dava abbastanza ed ecco il risultato. Una stupida mocciosa che non sa allacciarsi le scarpe da sola. Papà avrebbe dovuto essere più duro, come faceva con noi. Gli dai disgusto e non è capace di sorvolare, che idiota! Devo pensarci io?»
«Vuoi picchiarmi?» chiesi con il cuore in gola. «Qui?»
«Non essere scema. Non posso picchiarti, e non voglio. Non rompo i miei giochi di proposito, quelli rotti non mi piacciono. Se non vuoi finire come la vecchia sgualdrina di Dimitri, ti consiglio di badare bene alle parole. Qui l'amore non salva nessuno» mi avvertì e si tolse da me.
Il braccio mi faceva malissimo, tutti i nervi erano tirati e quando mi massaggiai la spalla temetti di essermela rotta. Le vene sembravano essere state annodate e quando mossi il braccio l'afflusso improvviso di sangue mi fece venire dei capogiri.
«Non ho tempo da perdere dietro te» mi disse Dominik.
Io gli indicai la mano sinistra, senza avere coraggio di parlare. Avrei voluto dirgli che quella orrenda cicatrice che gli sarebbe rimasta a vita era il simbolo dell'odio di suo padre e che, magari, era proprio quell'amore infantile e sciocco che avrebbe potuto togliergli di torno quei pensieri oscuri, se solo avesse avuto il coraggio di aprire leggermente il suo cuore.
Non lo dissi. Erano delle parole troppo belle per essere dette da una bocca lurida come la mia.
A casa, ero seduta sul letto di Michael in camera sua. Gilbert, Dominik e Babushka erano accanto a me, poco lontani dal dottor Lebediev, il quale stava osservando con aria professionale la cartella clinica del ragazzo. A volte strizzava gli occhi, era mezzo cieco e avanti con l'età, tuttavia qualcosa in me mi rendeva tranquilla riguardo le sue decisioni in materia medica.
Quando finì di studiare i fogli medici, si occupò di Michael.
«Ti fa male quando la tocco, Michael?» domandò serio il dottore, posando una mano sull'osso della spalla.
«Un po'. Prendo degli antidolorifici» specificò il ragazzo. «Pensa che potrò togliermi questo coso prima della fine della scuola?»
Io roteai gli occhi e ci pensò Babushka ad esalare con un lungo lamento infastidito i miei pensieri. Michael arrossì e si rese conto della stupidità della sua domanda.
«Ragazzo mio, non credo proprio. Dovrai tenerlo tra le due e le tre settimane, niente sfori. Queste sono scelte per aiutare te, capisci?»
Michael non fiatò. Gilbert scosse il capo e, gentilmente, chiese al dottore se potesse essere lui ad aiutarlo nella riabilitazione. L'uomo anziano non accettò l'incarico.
«Mi spiace Petronovik, ma per varie motivazioni sono costretto a declinare quest'invito» rispose l'uomo e, come se fosse uscito da un film, porse a Michael una caramella zuccherata e il ragazzo la masticò immediatamente.
«Se si tratta di soldi...» continuò Gilbert.
Michael mi fece vedere la sua lingua. Era blu. Ridacchiai.
«Petronovik, non si tratta di soldi.» Gilbert sbatté gli occhi, non capendo. «Ho badato a questa famiglia già da quando tu eri piccolo, sono stato vicino ai tuoi figli e a quest'ultima, ma ho quasi ottant'anni e l'età, per quanto mi duole ammetterlo, inizia a farsi sentire. Nel mio studio si parla di un ottimo ortopedico, è giovane, ma sa quel che fa e ha molta passione.»
«Non serve la passione a rimettere in sesto mio figlio» gli fece notare Gilbert.
«Eppure, quando mio padre mi presentò al tuo dicendo la stessa cosa, lui mi diede questo lavoro. Mi hai sempre trattato come uno di famiglia, mi hai dato buoni stipendi e ora cedo il mio posto ad un altro ben più qualificato. Non posso stare dietro a Michael quando io stesso non sono in grado di stare dietro a me. Magdalenna, oh, tu sì che sei fortunata! Passano gli anni e resti sempre nel tuo fiore!» esclamò e io e Michael ci girammo, trattenendoci dalle risate.
Babushka fece un sorrisetto appagato, arrossendo appena.
«Vai in pensione, quindi?» domandò Dominik a bruciapelo.
Gilbert si sbatté la mano sulla testa, zittendolo e il ragazzo si lamentò.
«Oh, sì. Capirai anche tu quando avrai la mia età, giovinotto! Non mi posso lamentare di quel che ho fatto e sono felice che fino alla fine ho avuto cura della tua famiglia, Petronovik» disse il dottor Lebediev, massaggiandosi il collo dolorante. «Me ne vado sapendo che ho fatto un buon lavoro.»
Gilbert restò muto. Erano rare quelle occasioni in cui Gilbert Petronovik non aveva una risposta pronta e né che facesse del freddo sarcasmo. Quella restante percentuale restava per me un mistero. Gilbert aveva passato tutta la vita ad indossare terrificanti maschere, come il perfetto marito, l'amorevole padre di famiglia, o lo spettro inquietante che dirigeva la sua azienda, ma pochi conoscevano il vero Gilbert Petronovik, nemmeno io avevo ancora avuto quel privilegio. Doveva fargli male vedere che uno dei tasselli più importanti e duraturi della sua vita si stava staccando, e il dottore voleva pure la sua benedizione.
Io, se fossi stata in lui, avrei pianto.
Lui, invece, respirò e annuì e, con fare provocatorio e distante disse: «Se mandi qui uno scheletrico ometto che non sa nemmeno distendere un braccio, non mi farò riguardi a cacciarlo via.»
Il dottore emise una rauca risata. «Me ne rendo conto, è pur sempre dei tuoi figli che stiamo parlando, ma che io possa ingoiare mille aghi, te lo raccomando. Ecco il suo numero, gli ho già parlato di te. Non vede l'ora di conoscerti di persona.»
Gilbert rimase di stucco e io mi gustai il momento. «Tu... gli hai detto di me? Io non...»
«Ti piacerà. Ti ho pur visto crescere o no?» Dato che l'uomo non accennò a muoversi, Babushka lo oltrepassò e prese il bigliettino da visita tra le mani, lo lesse e se lo infilò in una tasca del grembiule grigio. «E ora... Michael! Hai fatto un bel pasticcio!»
«Mi scusi...» borbottò lui, senza davvero pentimento.
«Ti mette a disagio essere aiutato da un altro dottore al posto mio?»
Michael scrollò le spalle, ma si vedeva che era titubante all'idea di conoscere una nuova persona che avrebbe avuto a che fare con la parte più debole e sensibile del suo corpo e della sua anima. Dire addio al dottor Lebediev, con oltre vent'anni passati in famiglia, era dura persino per lui.
«Spero sia amichevole» esordì Michael alla fine.
«È un giovanotto di trent'anni e chiacchiera molto. Di sicuro con lui non sentirai il silenzio» ridacchiò l'uomo. «Se tu sei d'accordo, gli porterei la tua cartella.»
Michael annuì vagamente.
«Che ti serva da lezione, Michael» abbaiò Gilbert, scuotendo la testa.
«Non sia crudele, non fa finta» rispose Babushka collerica.
«Come vuoi...»
«Per me riderà quando saprà che eri troppo deboluccio per sollevare un paio di cerchioni» sibilò Dominik con ilarità.
Babushka lo squadrò. «Tuo fratello si è fatto male e questo è il tuo modo di aiutare?»
«Ehi! Non sono io quello che si è lussato la spalla e deve stare ai comodi di tutti. E poi nemmeno Miss Costumino Nuovo, qui, è utile a qualcosa. Perché deve restare?»
«Perché ne ho tutto il diritto» gli ricordai. «Se per te essere curati vuol dire non essere forti puoi benissimo buttarti dal tetto e vedere la fine che fai!» Dominik aprì la bocca e Babushka si arrabbiò con me per la frase detta. «A volte vale la pena essere deboli per qualcuno.»
Gilbert affilò lo sguardo, in silenzio e il dottor Lebediev mi fece una carezza, dicendomi che ero una ragazza dolce e premurosa.
«Passiamo a te, Michael. La riabilitazione deve tenere conto in alcuni fattori fondamentali: l'età, se si tratta del primo episodio di lussazione, l'eventuale attività sportiva, la presenza di una lassità costituzionale o una coesistenza di lesioni ossee. Qui non vedo nulla che mi possa far pensare a qualche trattamento di favore, ma sarà Nicola a deciderlo. Specie in quest'età ci sono percentuali recidive molto alte.»
«È necessario un intervento? Mi hanno detto di no» si intromise Gilbert.
«No, non in questo caso. Michael non pratica sport e non ne vedo l'utilità. Se questo episodio dovesse riaccadere, allora sì, sarà necessario farlo. L'unico trattamento che si può fare in questo caso è la riabilitazione. Il tempo di recupero varia a seconda del paziente. Dopo la rimozione del tutore occorre attivare un programma che prevede mobilizzazioni passive assistite dato che per due o tre settimane avrai il braccio immobile. Questo tipo di programma consisterà a stimolare la secrezione del liquido sinoviale necessario per lubrificare l'articolazione e non farti procurare del dolore... Allora. Terrai il tutore fino alla fine della scuola, senza se e senza ma, farai un'altra visita di controllo all'ospedale e dopodiché Nicola verrà da te per la fisioterapia. Te lo raccomando io, il suo lavoro sarà sotto la mia responsabilità» si raccomandò.
«Anche se non sarà più il nostro medico?» chiese Michael.
«No, ma sarò presente come amico tutte le volte che vorrete.»
E quando se ne andò, Gilbert gli pagò l'ultima parcella.
«Hai sentito? Tornerai come nuovo» gioii felice e diedi un bacio sulla guancia di Michael.
Lui non era tanto convinto. «Già, tra un mese o più...»
«Sei inaccontentabile» giudicai nervosa.
Gilbert tornò nella stanza di Michael e Dominik, il quale era seduto comodamente con i piedi sopra la poltrona, ruotò la testa e seguì il padre, convinto che gli facesse una ramanzina sul suo comportamento maleducato. Me lo aspettai anche io, tuttavia marciò verso di me e mi tirò giù dal letto per un braccio.
Michael aprì la bocca e il padre lo fulminò.
«Che diavolo state facendo voi due?» ci interpellò. «Pensate che non lo noti? Mi credete stupido?»
Io non risposi, piantai i piedi a terra e tirai forte per sganciarmi dalla presa. Babushka, con lo sguardo pesante, assisté da lontano alla scena. Il suo respiro aumentò, non sapendo cosa fare.
«Pensate di farmela sotto il naso, voi due cretini? Non sono nato ieri! Ti avevo detto bene di stare lontana da loro e fare i loro comodi, cos'era quella sceneggiata alla Biancaneve di prima? Se ti credi tanto furba e amata possiamo ricreare quella scena e vedremo bene chi bacerà il tuo cadavere» mi minacciò Gilbert.
«Cosa stai dicendo, papà?» strepitò Michael.
«Sei stupido anche tu?»
«Stai calmo, per favore» lo implorò lui. «Le stai facendo male.»
«Se solo...» Ruggì e mi tenne con maggiore forza. «Se solo non avessi quel braccio fracassato, ti farei vedere io, Michael. Se pensi che ti lasci fare quello che vuoi, sbagli di grosso. Sei mio figlio e finché vorrai avere questa casa e il mio cognome farai quello che dirò io, che ti piaccia o no! Non ti permetterò di gettare via la mia azienda e il tuo futuro per la prima puttana che ti dice cose sensate, credi proprio male! Dovrò dire due parole ad entrambi, subito! Non lo credevo, ma fino ad ora chi ha avuto più sale in zucca è stato Dominik.»
Quasi gridai e Michael saltò in piedi, allarmato dalla situazione incomprensibile. Quasi mi ero dimenticata della presenza di Dominik e appena ridacchiò fece tremare la bocca dell'uomo davanti. Gilbert alzò un labbro e le dita gli tremarono per la rabbia.
«Guarda che non stai facendo un drink, non serve che la scuoti così!» giocò. «E poi non penso che ti convenga scuoterle tanto il pancino, a quanto pare qualcuno ha in mente un bel programma per la fine della scuola! Non è che a Chanel la scuola serva poi a tanto.»
Gilbert mi squadrò il ventre e allentò la presa. Michael sbatté gli occhi.
«Sai che Mickey non vuole sposarsi, ti conviene prima avere un nipotino e dargli tempo. Io non lo voglio un marmocchietto urlante tanto presto, quindi non contare su di me. Se ce la fa con un braccio legato puoi sicuramente dargli fiducia. Chanel sa bene come mettersi. Vuoi forse rovinare quella piccola opera d'arte?» scherzò freddamente.
Pensai che Gilbert lo avrebbe insultato lì, o picchiato, e invece mi lasciò e scoppiò a ridere, abbracciandomi e scompigliando i capelli a Michael. Lui, schizzinoso, saltò via e mi trascinò con sé. Quel gesto protettivo infiammò l'animo di Gilbert e lo fece schiamazzare più forte, quasi ebbe le lacrime agli occhi. Non lo capii.
Se ne andò con Babushka, esclamando alcune frasi in russo e dicendo che l'appellativo "nonno" lo faceva sentire troppo vecchio. Michael mi pettinò e avvicinò il naso contro il mio.
«Stai bene?» Annuii scomposta, ancora tremante. «Scusa, scusa. Non avrei dovuto...»
«Cercate di controllare i vostri ormoni da adolescenti arrapati con lui davanti. Potevo avvertire il potere dell'anticristo scorrergli nelle vene quando ti ha visto come le stavi attaccato. Cavolo, ma sapete mentire o no, voi due?» brontolò Dominik.
«Grazie, Dom» fece Michael debole.
«Figurati» rispose. «Comunque, sul serio, come pensi di fare?»
Nessuno di noi seppe rispondere. Era ovvio che non fossi incinta e che presto non lo sarei stata. Anche con un bambino, Michael avrebbe dovuto sposarsi con un'altra ragazza. Gorka mi aveva dato la sua parola di non parlare della relazione tra me e Michael con la sua famiglia e in cuor mio volevo fidarmi. Gorka era di buona famiglia, ma a Gilbert non sarebbe venuto niente di consistente dalla nostra unione, se non un nipote dal sangue misto, le mie lamentele e i suoi tradimenti continui. Una cosa del genere sarebbe stata difficile da sopportare per tutti.
Dovevamo trovare una soluzione al più presto, eppure non c'era niente che non richiedesse un sacrificio da parte di qualcuno. Non potevo chiedere a Michael di rinunciare a tutto e né a Ilona a sposarsi con Vassilii. Cosa poi mi avrebbe assicurata che nessun'altra avrebbe preso il suo posto con Michael?
Un Petronovik libero era un'occasione d'oro per molti.
Mi sfregai la pancia e Michael guardò il mio gesto, lanciandomi un'occhiata apprensiva.
«Non guardarmi così, non sono incinta» specificai con ansia. I suoi occhi mi innervosivano. «Oggi mi è venuto il ciclo. Non possiamo però dire così ogni mese. Gilbert prima o poi esploderà.»
«Lo so.»
Mi strinsi a Michael e lui mi diede un bacio sulla fronte. Dominik non ci guardò a lungo. Ciò che Michael scambiò per protezione fraterna fu il primo incasso dell'accordo tra me e Dominik.
Da quel giorno cominciai a prendere la pillola.
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