34 Il bene. Il male. E poi ci sono io✔️

Michael mi fissava intensamente, immobile, rigido come la portiera di metallo della sua malridotta Alfa. Lo scossi piano. Era catatonico e per un momento pensai avesse sbattuto la testa e fosse entrato in qualche stato vegetativo, eppure la luce dei suoi occhi azzurri era presente e vivace. Aveva certamente sentito le mie parole.

«Ti prego, andiamo a casa insieme» lo implorai e gli strinsi una mano.

Passarono degli eterni secondi e poi i suoi occhi si incupirono. «Non posso. Sarebbe egoista da parte mia, non credi?»

«Non capisco» borbottai in difficoltà.

«Io non voglio che vai con Dominik» mi disse d'un fiato. «Non voglio che tu stai insieme a lui, nemmeno per un secondo se questo ti facesse stare male. Non voglio che lui ti tocchi con quel suo sguardo viscido. È stato molto patetico da parte nostra metterti in mezzo nella questione, in una così stupida ed insensata sfida. Credevo di poter vincere facilmente però, Dominik raramente avrebbe fatto una cosa del genere nei miei confronti.»

«Ti ha mandato fuori strada, vero?» domandai inviperita.

«Ho fatto la curva larga. Aveva spento i fari e mi ha tagliato la strada, non lo avevo visto e ho sterzato troppo violentemente» si accusò. «Sono stato uno stupido a credere...»

«No, sei stato uno stupido a metterti in mezzo e basta» lo accusai duramente.

Lui ammutolì e mi gettò un'occhiataccia. «Ora mi insulti? Cosa ti ho fatto?»

«Cosa mi hai fatto?» gli feci eco. «Tanto per cominciare sei qui, incastrato in un cazzo di sedile in una macchina spiaccicata contro una barra di cemento. Due, mi hai messa in palio come se fossi un comune oggetto da vincere e, tre, sei così stupido che non capisci. Dio, Michael, sei stupido e basta» mi affannai e le sue guance si tinsero di porpora. Aprì la bocca con stizza e io continuai: «Ma non l'ho detto come se fosse un insulto.»

Si masticò le parole e ne scelse altre. «No?»

«Offenderti non è mai stata una mia priorità, non almeno negli ultimi tempi.»

«Quindi cosa vorresti?»

«Vorrei che tu mi aiutassi a capire. Vorrei che tu la smettessi di pensare alla tua vita come se fosse uno dei tuoi videogame, perché questa è la realtà, anche se fa schifo. Se perdi e muori non hai un bonus, non hai il tasto reset a disposizione. Stacchi la corrente e basta. Be', io sono stufa di vederti trattarla come se fosse un giocattolino ribaltabile. Potevi morire, e nemmeno te ne rendi conto! Lo hai fatto per me e, dannazione come potrei non amarti per questo, ma pensa se fossi morto! Io cosa avrei fatto senza di te? Chi avrei abbracciato ogni notte? Chi mi avrebbe insegnato a suonare quel pianoforte così male?»

«Ho capito...» si lagnò.

«No, non hai capito niente.»

«Cosa c'è di tanto difficile da capire?»

«Non voglio che tu ti faccia male, ne morirei.» Provai ad accarezzargli il viso. Si sottrasse al mio tocco, ma con gli occhi cercò le mie mani quasi con colpa. «Voglio andare a casa con te.»

«Stai illudendo te stessa» mi aggredì furente. «Cosa credi? Che da un giorno all'altro mi metta a giocherellare a fare il fidanzatino rose e fiori, educato e simpatico? Sai bene come sono, me lo rinfacci continuamente. Per te sono solo un musone, lunatico e stupido, come potresti accontentarti di me? Se continuo a starti vicino finirei per farti male, lo sai anche tu» mi spronò con fiacchezza.

«E di quale parte di te credi che mi sia innamorata?» lo stuzzicai con le sopracciglia aggrottate. «Quasi per niente sei stato un ragazzo aperto e disponibile con me, ma quelle volte, lo giuro, è come se fossero valse per cento. Mi piaci esattamente come sei, con i tuoi sbalzi di umore continui, i tuoi strani riti d'ordine e l'odore che hai sulle dita ogni giorno dopo i laboratori di meccanica. Se non provi la stessa cosa per me è un altro discorso. Non voglio obbligarti. So che il prossimo anno sarai costretto a sposarti e... non credo di... avere possibilità...»

La frase venne risucchiata dal mio cervello non appena lo guardai. Volevo prendergli la testa, farlo appoggiare su di me e sentire i suoi singhiozzi tristi, così simili ai miei.

«Tu non... hai mai pensato che fossi bella sul serio, vero?» domandai, pentendomene all'istante.

I suoi occhi si allargarono e le sue labbra si schiusero un poco. Respirò tre o quattro volte prima di dire: «Sai per cosa ho gareggiato?» Scossi la testa. «Per te. Lo so, decretare in questo modo i sentimenti di una persona è la cosa peggiore che potessi fare, ma sapevo che comunque non sarebbe stata la gara ad imporci niente. Nessuno sta insieme ad una persona solo perché si ha perso una scommessa, per questo ho accettato. Volevo farti stare... bene, insieme a me. Tu non sei una proprietà di Dominik, nemmeno mia» decretò «e sì, mi piace, anche se non ci sono abituato. Tu pensi fuori dagli schemi in cui tutti noi siamo nati e cresciuti, sei lo schizzo di colore di una tavolozza bianca ed è come se... riuscissi a dare quel senso d'ordine nella mia vita che prima non c'era. Ho pensato molte volte che fossi bella, e non lo dicevo tanto per dire. Tu sei bella davvero, sei un insieme di piccole cose che mi fa storcere il naso per il divertimento e l'ilarità. So che pensavi ti odiassi appena ti ho visto a Sydney. L'ho fatto, non lo nego. Seppi dall'inizio quello che mio padre cercava di fare e il fatto che tu non te ne rendessi conto mi rendeva furioso nei tuoi confronti. Non ti volevo lì. Avresti rovinato la mia famiglia un'altra volta e noi saremmo scesi all'inferno insieme a te. Odiavo i tuoi capelli biondi, i tuoi occhi blu e il modo in cui ogni mattina mi rivolgevi quelle occhiate innervosite... Non ti odiavo, ti detestavo a morte. Dio, come volevo scuoterti per farti tornare sale in zucca, Chanel, ma forte!» esclamò preso e la sua voce ebbe uno spasmo di tosse. Si premette una mano sulla gola e la raschiò. «Eppure, da quando ci siamo trasferiti qui e ti sei perennemente imposta nella mia vita, sentivo che qualcosa era cambiato. Quei difetti che prima volevo squarciare presero a farmi piacere, sentivo che non potevo farne a meno. Il tuo modo di rispondermi a tono, i tuoi passi veloci dietro di me, ma anche la tua insicurezza, la tua fragilità per ogni cattiveria che subivi e la premura che mi riservavi incondizionata dal tuo umore, mi hanno fatto aprire gli occhi. Odio mio fratello, quello che ti ha fatto e quello che continua a fare in combutta a mio padre, è imperdonabile da parte sua, ma tu continui a ignorarlo e ad andare per la tua strada. Te ne infischi, vorrei saperlo fare anche io, ma sono fin troppo sensibile a certe cose. Prima ti vedevo solo come la ragazzina viziata di Sydney che non poteva nemmeno venire ad una festa senza immischiarsi in qualche guaio» scherzò e alzò le spalle, ricordandoci insieme del modo in cui per prima li avevo conosciuti insieme.

Non ricordavo il nome del locale, i miei ricordi avevano cominciato ad offuscarsi, ma la paura e l'ansia che percepii con i loro occhi addosso sì. In quel momento, con Michael a pochi centimetri da me, quegli occhi azzurri avevano assunto totalmente un'altra sfaccettatura.

«Sei cambiata parecchio, o almeno così penso io. Sono passati solo pochi mesi e già sei diventata una donna. Piangevi sempre, ti lagnavi e ti comportavi da bambinetta, ora hai osato metterti contro mio papà e mio fratello, contro la scuola, la gara e queste regole. Prima non lo avresti mai fatto. Avevi paura.»

«Prima non avevo un pretesto per correre un rischio» risposi.

«Ora sì?»

«Ho corso lo stesso rischio che tu hai corso per me.»

«Tu mi piaci, Chanel» disse lui serio, guardandomi dritta negli occhi. «E non credere che stia scherzando. Tu mi piaci. E questo... è un problema. Guardalo là, il bel vincitore...» schernì freddamente, indicando lo spiazzo popolato della vecchia autostrada. Solo io ero andata da lui. Solo io lo avevo messo sopra Dominik.

Distolsi con malumore i miei occhi da Michael: la folla stava ancora cantando a squarciagola e Dominik stava facendo saltare Ilona sulle sue braccia, lei gridava di smetterla, che era uno stupido, ma sapevo che sotto sotto le faceva piacere essere là con lui, senza di me. Non la potei odiare, nemmeno lontanamente. Non ci provai. Avevo già trovato il mio premio ad attendermi alla fine della corsa ed era là, accanto a me, che fissava suo fratello con ira e nostalgia. Dominik non si era minimamente preoccupato di Michael, se fosse ferito, se fosse finito in qualche fosso o se avesse perso i sensi per il botto. Niente. Nemmeno di me. Era il segno chiaro e definito che io per Dominik non valevo niente. Era unicamente una questione di orgoglio per lui; amare Michael significava mettere lui al secondo posto e questo per Dominik era inaccettabile.

Eravamo io e Michael contro il mondo, da soli, all'oscuro e ci vedevamo benissimo. Era il bello di essere nell'ombra.

«Ascoltami» dissi a Michael. Lui mi ignorò, forse non lo sentì, ma appena lo ripetei scosse la testa. Gli sollevai il volto e senza chiedergli niente fu lui a baciare dolcemente me. Non ci furono momenti di passione estrema, niente lingua e niente saliva. Solo le sue labbra premute contro le mie e il mio stomaco che chiedeva pietà per quell'emozione travolgente. «Vuoi per caso zittirmi?»

«Ci sono riuscito?»

«No» mugugnai offesa.

«Parla.»

«Per Dominik sono solo un oggetto, lo so, non tentare di dirmi bugie o altre storielle, non sono stupida fino a questo punto. Più di tanto lo sapevo comunque. Io non faccio parte della vostra famiglia, ci sono entrata per caso. Sono solo un soprammobile. Una volta Dominik mi ha definita così e io ci ho rimuginato tantissimo. La cosa migliore che potessi fare fu accettarlo. So che non varrò mai come tuo padre, tuo fratello o Ilona, tu la sposerai, molto probabilmente, ma adesso sei tu quello che voglio e non intendo pensare ad altro» feci seria.

«Noi due sì che ne abbiamo fatta di strada» scherzò. «E dire che ci odiavamo. Da quando ci siamo ridotti in questo stato? Direi, più o meno, quando mi è cominciato a piacere il tuo sorriso più del mio» si vantò e io ridacchiai. «E quella. Quella risata. Dovresti smetterla di stritolarmi il cuore e mettermi in pericolo mortale ogni giorno che passa!» esclamò.

«Magari non dovresti metterti in pericolo.»

«Può darsi, ma magari non è quello il problema. E poi non ti ho insegnato a suonare male, io, sei tu che sei ottusa e inverti le note» mi incolpò giocoso.

Sbuffai. Lui mi guardò e inclinò piano la testa, facendo sbocciare un sorriso sereno sul suo volto.

«Cosa c'è?» domandai.

Sospirò e si prese dei secondi. La folla vicino alla grata d'ingresso si era oramai smaltita. Sapevo che non era saggio rimanere nelle prossimità, specie con la polizia a pattugliare le strade di notte. Sapevo che la Russia, nonostante i suoi molti aspetti negativi, aveva dei sistemi di sicurezza molto rigidi e avanzati. Petronovik e indulgenza a parte, non volevo rimanere in quel postaccio all'arrivo di un poliziotto che ci avrebbe accusato di effrazione o danneggiamento privato. La vecchia autostrada apparteneva ad un ente privato.

«Credo di essere un egoista...» dichiarò Michael, umettandosi le labbra.

Sollevò quei suoi occhi puri come cristalli e mi porse la mano. La presi senza esitazione, come se fosse per me il gesto più naturale del mondo, come deglutire o sorridere. Intrecciammo le dita e ci godemmo quella sensazione per un po'. Era bella, semplice. Con il pollice tracciò le onde delle mie nocche, accarezzandole. Lo guardai e il cuore parve esplodermi del petto. Il tempo sembrò scorrere in maniera più lenta e non credo fosse solo nella mia testa. Con Michael avevo il mio personale universo.

«Quindi...» parlai a bassa voce, credendo di fare un torto a qualcuno «verrai con me... a letto?»

«No» mi liquidò velocemente lui. «Farò l'amore con te. È ochen' diverso.» Mi piacque il concetto. «Ma prima dovrei liberarmi. Questa cazzo di cintura mi sta facendo venire l'ansia.»

Fortunatamente riuscii a trovare per terra, vicino ai capanni abbandonati, una vecchia lama di una sega e tagliare la cintura non fu il problema peggiore. Aiutai Michael nonostante si sforzasse di camminare da solo e deambulammo insieme nell'oscurità fino a che non raggiungemmo lo spiazzo cementato. Le orecchie mi fischiavano ancora, sentivo risuonarmi nel cervello lo stridio delle gomme sull'asfalto e i canti degli studenti mentre osannavano Dominik. Non dissi niente e ingoiai la bile di rimorso e fastidio che mi salì.

Non ci aveva aspettato nessuno, nemmeno Ilona. La sua moto non c'era e comunque non avremmo potuto prenderla per tornare a casa, perché a) non avevamo le chiavi, e anche se Michael fosse stato capace di collegare qualche cavo come nei film b) non sapevamo guidarla. L'Alfa aveva il cofano distrutto e rischiare di far scoppiare un incendio per muoverci di qualche metro non mi parve un'idea allettante, seppure Michael cominciò a lamentarsi che gli facevano male le gambe.

«Se arriviamo alla fermata possiamo prendere la metropolitana» proposi di punto in bianco nel momento in cui ci allontanammo dalla zona.

«Non voglio. Di notte girano sempre tipi strani e non ho abbastanza forze per difenderti in caso uno di quegli schifosi volesse attaccare briga» mi puntellò diffidente.

«Io mi so difendere» mi difesi con una punta di collera.

«Non sapresti difenderti nemmeno da un puffo.»

«Oh, allora adesso sai cos'è un puffo?»

«Mi sono informato» chiarì. «Ci torneremo in taxi. Fruga nella tasca interna della giacca e vedi se il mio telefono ha abbastanza segnale.»

«Con la metropolitana faremmo prima» ribattei.

«Chanel, ascoltami bene, quella linea è un brutto posto di notte. Nemmeno Dominik lo frequenta, puoi starmi a sentire qualche volta invece di farmi venire il mal di testa? La metropolitana no» commentò e mi sembrò che si stesse rivolgendo ad una bambina viziata di cinque anni che gridava e si dibatteva per avere un dolcetto pieno di cioccolata.

«Chi mai ci farebbe del male?» domandai impensierita.

«Tutte quelle che ci odiano, e io non voglio che qualcuno osi toccarti, non per farti ancora del male. Che tu lo pensi o no, Yamazaki è molto più inflessibile di Gilbert in certe questioni. Il problema è che siamo troppi e troppi non è mai un bene. Un regno non può essere governato da due re, le dispute, il sangue e l'orrore sarebbero all'ordine del giorno. San Pietroburgo è oramai divisa in due e quando quelle bestie non ci saranno più, ci saranno quattro pezzi. Uno di Dominik, uno di Dimitri, uno di Hergò e uno mio. Quattro re è un suicidio, lo sanno tutti. Se ne muore uno c'è più spazio per gli altri. Questo mondo mi opprime...»

«Questo mondo è una merda» dissi, scrutando il cielo scuro.

«Non del tutto» rispose e mi guardò di sottecchi. «Qualcosa si salva. Magari vale la pena viverlo, questo mondo, se alla fine c'è un lieto fine ad aspettarci. Mi piacerebbe esserci, quando lo vedrò.»

«Se sei in grado di aspettare te lo darò io, Mike. Ce la metterò tutta per darti il lieto fine che vuoi, perché so che te lo meriti. Se avrai tempo...»

«Ne avrò» mi promise. «Sono paziente con le cose che desidero.»

Dovemmo aspettare mezz'ora al buio per il primo taxi disponibile. Stavo morendo di freddo, gli occhi erano secchi e cominciò a farmi male la gola. La notte, quel silenzio terrificante invaso unicamente dai miei sospiri, dal frusciare delle foglie morte a terra e di qualche animale notturno, fecero nascere in me un'improvvisa voglia di piangere. Mi sentii schiacciata dall'enorme peso della situazione: Michael era ferito per colpa mia, aveva litigato con suo fratello e ora eravamo là, dispersi nel nulla con le labbra viola dal freddo. L'abbraccio di Michael mi calmò. Era come una coperta calda in una piovosa giornata d'inverno. Indescrivibile, ma intensa.

Il taxi giallo arrivò alle 21:44 e arrivammo a Villa Petronovik alle ore 22:26. L'abitacolo era caldo, i sedile di cuoio neri però erano freddi e rigidi. Il freddo esterno mi fece venire il mal di testa. Michael lasciò un messaggio nella segreteria telefonica di un carroattrezzi, dandogli il numero di targa della sua macchina e la posizione, ordinando che venisse rimossa prima che qualcuno pensasse di portarsela via.

Michael pagò un prezzo esorbitante, per me quel truffatore aveva fatto la cresta al prezzo, ma a lui non importò. Voleva solo tornare a casa. I Petronovik non conoscevano il valore effettivo del denaro, io sì: nella mia vita non avevo mai avuto niente di lussuoso, niente cellulari di marca, niente vestiti firmati, ma apprezzavo tutto. Ciò che mi piaceva di Michael era che apprezzava le cosa che non aveva, tuttavia non desiderava averle.

I domestici alla Villa erano tutti andati a dormire, persino Babushka, che di solito era l'ultima a coricarsi e la prima ad alzarsi, non ci venne ad aprire la porta inondandoci di paroloni complicati per esprimere la sua preoccupazione. La casa era vuota, ombrata, i rintocchi del grosso orologio del soggiorno ci accompagnarono fino al piano di sopra. Camminammo di soppiatto e quasi ci uscii da ridere. Sembravamo dei topi abominevoli introdotti in una casa di lusso e ci ridemmo sopra.

Gilbert era di sicuro uscito in compagnia e io meditai se quello che intendesse per "compagnia" fosse una puttana minorenne o Yamazaki. Dominik non c'era, così nemmeno nessun'altra macchina nel viale. Non sarebbe tornato presto o magari, per far felice se stesso e noi, sarebbe stato fuori tutta la notte a festeggiare la sua vittoria. Cosa aveva vinto poi? Me? Volevo che mi vedesse. Non aveva vinto niente a parte il mio disgusto e una patetica serata in compagnia di qualche ragazza. Non gli sarebbe rimasto niente alla fine. Io il giorno seguente avrei avuto Michael accanto a me, mezzo addormentato, con le guance rosse e i capelli in disordine.

Niente mi fece presumere un posticipato rientro da parte di Gilbert e di Dominik, Babushka aveva la sua personale camera da letto dall'altro capo della sala, dove poteva, dalla finestra, tenere d'occhio la dependance della casa adibita ai servetti.

Dominik aveva voluto comprare me, il mio corpo e i miei sentimenti. Come si permetteva? In altri casi non avrei mai potuto vincere contro di lui, ma finalmente potevo dargli pane per i suoi denti. La sua vita era stata fin troppo perfetta e lussuosa. Non avrebbe avuto tutto, non me.

«Entra» mi ordinò severamente davanti alla porta della mia camera.

«Non andiamo in camera tua?» domandai con un sopracciglio alto.

«Anche se sono due cazzo di metri non ho voglia di aspettare. Entra» ripeté.

Entrai e un fruscio persistente mi fece scoppiare a ridere. Trotterellai vicino alla finestra, alla gabbia del mio nuovo amico peloso. Krolik si era costruito un letto comodo ammucchiando pezzi di cotone e semi, in quel momento vi stava gironzolando sopra, grattando la plastica del contenitore. Lo salutai e lui mi guardò, muovendo il suo minuscolo naso rosa pallido.

«Mi ignorerai a lungo?» s'impiccò Michael con un muso infantile, sedendosi sul bordo del letto.

«Oh, e così sei geloso di un piccolo coniglio, mio White Rabbit?» commentai ridendo.

Si morse un labbro. «Se gli corri incontro tutta felice, penso di sì.»

«Oh-ho!» esclamai. «Questa mi è nuova!»

«Cercherò di controllarmi» sibilò e io alzai le spalle colpita, mentre il cuore riprese a battermi forte e una pulsazione interna alle gambe mi fece vibrare il ventre. Da sopra una spalla gli lanciai un'occhiata che lui ricambiò. Era serio, composto, terribilmente bello. «Non hai idea di quanto io possa diventare impulsivo qualche volta» scherzò «ma non voglio farti del male. Sei pic...»

«Non dirmi che sono piccola» lo precedetti e gli vibrarono le spalle, eccitato.

«Oh, sì, rimettimi al mio posto, krasota, non hai idea di quanto mi piaccia» mi stuzzicò.

«Sei uno stronzo...»

«Può essere. Non sai essere cattiva, sei un zuccherino. Quando ci provi risulti quasi dolce. Su, non avere paura, vieni qui.»

Lo vidi umettarsi le labbra e, sotto i miei occhi, prese a farlo coscienziosamente. Si morse il labbro inferiore fino a farlo assumere un colorito più vivo, porpora, poi se lo disinfettò con la saliva, passandosi la lingua su e giù, seguendo l'andamento delle sue labbra. Ne rimasi affascinata. Il silenzio ci invase, come una cappa pesante e opprimente, ma non ne fummo minimamente turbati. Anzi, sembravamo un leone e una leonessa intenti a studiarsi a vicenda senza parlare.

Lentamente mi mossi e ondeggiai verso di lui. Michael rizzò la schiena, attento. Mi fermai e aspettai mi ordinasse qualcosa. Indicò le sue gambe. Quel ragazzo aveva una predilezione per certe cose, mormorai nella mia testa e non potei fare a meno di gongolare tra me e me. Lo mandai a quel paese e mi sedetti su di lui.

«Non è poi tanto male, vero?» Scossi la testa. «Ma tu dovresti essere qui...» sentenziò aspramente, e mi tirò verso di sé fino a che non ci fu niente a dividerci.

Urtai la sua spalla con l'avambraccio e lui cozzò i denti e chinò un momento la testa, trattenendo un lamento. Aprii la bocca con spavento e cercai di allontanarmi per dargli aria e spazio. Le sue mani sulle cosce non me lo permisero.

«Devo portarti in ospedale» affermai, provando a farlo ragionare.

«No.»

«Ne hai bisogno. Hai fatto un incidente e ti sei fatto male ad una spalla, si vede che c'è qualcosa che non va, non hai bisogno di fingere. C'è il rischio che...»

«No. Ti ripeto che sto bene» affermò.

«Michael» lo chiamai ferma.

«Ho fatto un incidente e la prima cosa che mi hai detto è stata che volevi scopare con me. Credi davvero che mandi affanculo questa merda per un dolore minimo? Non voglio andare all'ospedale adesso. Voglio stare qui con te, al caldo, godermi questa serata e... farti altamente godere. Vuoi metterti tra me e la mia voglia di spogliarti, Chanel?» mi intimidì con un sorriso beffardo.

«E se fosse?» lo sfidai. «Te l'ho detto: per me viene prima la tua incolumità.»

«E per me vieni prima tu. Muta e lasciati spogliare in santa pace, accidenti.»

Affilai gli occhi e, testarda com'ero, massimizzai la presa sulla sua spalla. Michael aprì la bocca con spavento, ma l'unica cosa che ne uscì fu un sibilo lungo e spezzato di dolore. Lo lasciai subito e lui rabbrividì. Gli feci passare le braccia sul collo e lo tirai verso di me, abbracciandolo e impedendogli di scivolare via. I suoi capelli mi facevano il solletico sul collo. Era fermo, con le spalle basse, spento.

«Scusa, scusa...» borbottai affannata e gli accarezzai la nuca e le orecchie.

Gli sollevai il volto. Aveva un'espressione tesa, tuttavia il dolore non era l'unica cosa che percepiva. Come una fotografia, memorizzai quel momento. Il Michael che vidi in quell'attimo fu quanto più vicino ad un ragazzo qualunque. Non era il grande Michael Alèx Petronovik, secondo figlio di Gilbert Petronovik, ereditiere dell'azienda del padre, ma solo un ragazzo con gli occhi lucidi, le spalle basse e un'anima ferita nel profondo più volte. A quanto pareva Michael si divertiva a fingere che tutto andasse bene, anche se non era affatto così. Non contava quando uno era bravo a rimettere a posto i pezzi della sua anima ferita nel corretto ordine, ma i frammenti di vetro che si erano insinuati sotto la pelle facendo infezione.

«Sai» dissi «anche a me capita di sentirmi così. Mi sento irrimediabilmente triste e malinconica. Ripenso a mia madre e... vorrei solo piangere. Penso a come sarebbe potuta andare se solo non fossi rimasta qui, se tutto questo non fosse mai successo, eppure... ogni volta... ogni volta che penso che avrei rischiato di non averti nella mia vita, mi dico che devo farcela e non posso crollare. Se gli eventi fossero dovuti andare in un verso sarebbero andati semplicemente in quel modo. Mi fa male il cuore, ma è normale. Michael, con me puoi crollare tutte le volte che vuoi, puoi piangere e urlare, non mi importerà niente. Provo anche io le stesse cose. Ti aiuterò sempre, qualunque cosa accada. Non sei debole se chiedi aiuto» dissi e sfregai una ciocca di capelli scuri tra le dita.

Michael mosse la testa. «Ora mi sono calmato... grazie.» Mi diede un bacio sul collo. «Non mi è mai importato granché se venissi ferito o meno, ma se questo ti facesse stare male mi farei del male da solo ferendo te... Per tutto quello che ho fatto, Chanel, mi spiace. Mi spiace davvero... Io non sarò mai...»

«Calmati, è tutto a posto. Ssh» sibilai e lo abbracciai più forte.

«Chanel... Chanel... Ho bisogno di... Al diavolo, vieni subito qui!»

Mi tirò il braccio e gli caddi addosso. Le nostre labbra si scontrarono appena incontrammo il morbido materasso del mio letto. Mi sorpresi di quanto io avessi bisogno di lui, di quanto desiderassi la sua bocca e sentire il suo odore dolce nelle narici. Non avevo mai provato niente di simile per un ragazzo in vita mia. Avevo avuto cotte per personaggi famosi, surfisti e cantanti, addirittura con lo stesso Jackill Love – bellissimo ed immaginario – ma fino a quel momento non sapevo quanto amare significasse avere simili sentimenti nel petto. Era come se avessi una bomba ad orologeria nel petto e nel cervello. Le mie mani si muovevano da sole, gli accarezzavano il collo e la testa, spingendolo contro di me.

Gli lasciai pienamente il controllo. Mi invase la bocca con prepotenza, cercando immediatamente la mia lingua. La succhiò voracemente, bagnandomi le labbra gonfie del suo sapore. L'odio e la rabbia si mescolarono nella passione del momento. Lo odiavo ed ero ancora arrabbiata per aver osato mettermi come trofeo in una stupida gara con il fratello, eppure fu come gettare legna e benzina su un fuoco oramai privo di controllo. Michael non mi lasciava ed ero in balia di lui e di quelle emozioni. Il fiato si accorciò e feci fatica e continuare a baciarlo.

«Mi vuoi, adesso?» domando con fiato corto e le guance rosse.

«Sta' zitto» lo affrontai, afferrandogli i capelli e costringendolo a baciarmi più a lungo.

Il suo respiro affannoso in gola mi deliziò. Michael mi baciava con disperazione, come se immaginasse che da un momento all'altro mi sarei alzata e sarei saltellata via felice da Dominik, prendendolo in giro. Il suo bisogno di me mi stordiva.

Ci baciammo ancora, presi da quelle tetre emozioni che avevamo dentro.

Ci baciammo con odio, quell'odio che ci eravamo portati dietro da Sydney, Australia contro Russia, una guerra mai conclusa.

Ci baciammo con rabbia, per tutte quelle volte che avevamo litigato aspramente, ci eravamo urlati contro e presi in giro alle spalle.

Ciononostante ci baciammo anche con passione, desiderio e amore. Noi, che in quel mondo non eravamo altro che deboli e stolti, ci accontentammo di quegli aggettivi. In Russia trovai il pezzo che mancava nella mia vita. Michael mi riempiva, faceva luce nei miei momenti più oscuri e depressi, sapeva tenermi ancorata alla realtà e allo stesso tempo mi faceva vivere una favola senza paragoni.

Affondò le mani sui miei glutei, spingendomi contro la consistenza della sua erezione. Borbottò qualcosa, una specie di imprecazione stretta tra i denti e abbandonò il capo sul materasso, godendosi quelle sensazioni prorompenti. Mi sollevai sulle ginocchia, muovendomi come se stessimo già facendo l'amore in lenti movimenti ondulatori, detestando ogni secondo che passava i vestiti che portavo addosso. Ero furiosa con me stessa, dal desiderio che provavo dentro e che cercavo con tutta me stessa di frenare o attenuare. Ero scossa, dio, quanto lo ero. Quel senso umido e bagnato che sentivo tra le gambe mi infastidiva, le mie cosce cullavano dolcemente la sua durezza.

Michael mi accompagnava nei movimenti, credendo fossi sul punto di crollare – e lo ero – mi ancorò a sé, saldandomi al suo corpo come se facessimo parte di un meccanismo complicato e infinitamente lungo. Il suo volto brillava di emozione e passione. Michael era elementare, crudo nei suoi estremi bisogni fisici e psicologici, non c'era niente da capire o da scoprire più a fondo. Michael gridava attenzione. Ogni centimetro del suo corpo era premuto contro il mio, bisognoso. Gonfiai il petto e il gancetto del reggiseno sembrò entrarmi nella carne, facendomi male.

«Togliti questa dannata camicia, su!» mi ordinò, dandomi una pacca sul sedere e io me la sfilai di fretta.

Michael mi ammirò e schiuse la bocca. Avrei voluto sapere cosa pensasse in quel momento, se mi trovasse ancora così tanto piccola, minuta e stupida come mi aveva descritto o se, almeno in quel giorno, avrei potuto assomigliare ad una vera donna per lui. Si sollevò e affondò il viso nel mio stomaco, i denti sul mio ombelico.

«Piano, piano...» si ricordò lui.

«Non ho mai visto i tuoi tatuaggi. Non qui» gli dissi e tracciai con un dito i suoi pettorali.

«Ordinamelo, e lo farò più che volentieri.»

«Togliti subito questa maglietta di dosso e fatti guardare bene.»

Le sue spalle vibrarono e in un movimento fluido se la sfilò. Una volta sapevo il numero dei suoi tatuaggi, me lo aveva detto, ma persi il conto. Il suo petto era magnifico. Quei colori, quei disegni spettrali e intricati spiccavano sulla sua pelle color porcellana. I muscoli risaltavano grazie al cupo chiarore proveniente da un'anemica luna stanca, al di fuori delle sicure finestre della mia camera. Le ombre che gettava erano inquietanti, ma non su Michael. Lui, con quella sua linea della mandibola, del naso dritto e degli zigomi, poteva essere scambiato per un estraneo in quel mondo. Era troppo bello e puro, come l'olio che galleggia sulla superficie dell'acqua insipida.

Rimasi impressionata e passai le mani sopra l'affascinante tatuaggio di un'aquila che, in modo sinistro e protettivo, stringeva e squartava con gli artigli e il becco un pezzo di pergamena. Tracciai il contorno delle piume bianche e marroni, gli occhi d'oro e il becco aperto. Lo accarezzai piano e Michael respirò con cautela.

«Cosa c'è scritto?» domandai e sfiorai con un tenero bacio le ultime piume argentee del rapace che lambivano il capezzolo sinistro di Michael.

«Il vuoto è sicuro e puro, prendiamo quella via per non soffrire.» Lo guardai fissa, immaginandomi la sua infanzia, lo strazio continuo che provava e il rimorso verso se stesso, le sue origini e l'orrore per essere costretto a imprimersi una cosa talmente dolorosa. «Sai che non è colpa tua.»

«Lo so, quello che non accetto è il non comprendere quelle emozioni. Magari se le condividessi tu non soffriresti più. A me il vuoto non piace, mi fa paura.»

«Anche a me.»

«Se ti intimorisce perché lo porti?» domandai con dubbio.

Lui sorrise teneramente e guardò il soffitto, pensoso. «Sai perché un'aquila, cosa rappresenta?» Scossi la testa. «L'aquila era il simbolo dell'Impero Russo. A quel tempo la Russia imperiale fu uno dei più grandi Stati della storia. La mia famiglia, i Petronovik, ha origini antiche, oltre il 1600. Il nostro stemma era l'aquila reale e tutti lo temevano. In una delle storie per bambini, raccontavano che l'aquila, insieme al corvo e alla volpe, rubarono il sole per tenerlo solamente per loro. Quando il corvo la rubò la diede alla volpe per non far bruciare le sue ali nere, eppure lei tentò di tenerla per sé. L'aquila la trovò e la uccise. Si racconta che divisero il sole e lo mangiarono in due. Da quel momento hanno entrambi una buona vista e dei grandi occhi gialli» recitò, abbassando il tono della voce per farmi paura.

«È un simbolo maligno?»

«L'aquila è l'ordine e la giustizia, la supremazia sulle razze più deboli. Lo porto per ricordarmi chi sono, le mie origini e quello che voglio essere davvero. Mi aiuta a capire, ad aprire gli occhi. A volte tendo a dimenticarmene. Non è un segno negativo se non vuoi che lo sia. Come i...»

«Gatti neri» lo bloccai. «Lo so, lo so...» ridacchiai.

«Mio piccolo gattaccio randagio, speravi forse di distrarmi?» Intrecciò le dita a quelle della mia mano e la spostò più in basso, fino ai suoi addominali.

Tastai con titubanza la protuberanza contenuta nei suoi pantaloni e lui emise un grugno gutturale, roco. Sollevò le ginocchia e mi spinse su di lui, avvinandomi all'apogeo del suo piacere e mio interesse. Michael sollevò un sopracciglio con superbia e io esplosi nel rossore: fu come se mi avesse sorpresa a fare una cosa vietata, eppure doveva saperlo bene, la mia curiosità era infinita.

Gli slacciai la cintura e con un brusco gesto gliela sfilai. Sospirò in un sorriso contento e mi invitò con un'occhiata a continuare. Io, al contrario, mi fissai le dita, inebetita.

«Cosa c'è?» mi domandò. Io non risposi, arrossii e mi masticai un labbro. «Non sai cosa fare?» ridacchiò e io gli diedi un pugno sul braccio, ammonendolo.

«Ti diverti, vero?»

«Può darsi.»

«Dico sul serio, Michael. Io non ho mai fatto... Non sono brava in certe cose» mormorai pentita.

«Non dire sciocchezze. Ti insegnerò io» gongolò, visibilmente malizioso e contento.

«Mi spiace, non so fare niente. Devo parerti proprio una stupida. Devi essere abituato ad altro, a certe maniere più ferme e audaci...» boccheggiai.

«Se avessi voluto quelle maniere ti avrei ignorata e me ne sarei andato, mi pare» sentenziò aspramente. «Te l'ho detto. A me piaci tu, non quello che sai o non sai fare. Ora come ora, le altre donne non destano minimamente il mio interesse. E poi mi sembri ancor più piccola e infantile, mi fai impazzire» giocò.

«Be', avrei voluto vederti un paio di anni fa, allora, Mr Faccio il Figo. Scommetto che la prima volta sei stata una cacchetta.»

Lui emise una risatina. «Che tattica. Mi vuoi proprio distrarre! Non perdo tempo a negarlo, nemmeno io all'inizio sapevo cos'era il piacere, come farlo scaturire in una donna e nemmeno cosa mi piacesse. Io mi fido di te, di me e dei nostri corpi. Se sai quel che vuoi è facile, basta correre e prenderlo. Girarci intorno non vale la pena.»

«Quindi il fatto che io sia inesperta non ti disturba?» domandai con le guance rosse.

«No.» Scosse la testa. «Mi piace parecchio. Muoio dalla voglia di insegnarti ogni cosa, ogni posizione e movimento. Impazzisco di desiderio nell'immaginarti così, nuda e sudata in quelle ostinate prime volte mentre urli e gemi il mio nome, pensando che non ci sia niente di meglio. Sono questi i pensieri che facciamo tutti e, credimi, sono tutti veri. Tutte le tue prime volte, d'ora in avanti, le avrai con me. Nessun altro oltre me avrà questo delizioso permesso» mi minacciò serio, tracciò dei cerchi sulle mie cosce, infilandomi le dita all'interno delle mutandine per accarezzarmi le natiche tonde. «Ti insegnerò tutto sul buono e sano sesso.»

Sollevò il bacino e, sotto istruzione dei suoi occhi, gli slacciai il bottone dei jeans, calandoglieli un po'. Portava dei boxer grigi e guardai i ricci scuri di Michael emergere dall'elastico.

«Più in basso...» mi pregò impaziente.

«Cosa devo fare?»

«Accarezzami.» Aprì le braccia e le distese sul materasso, sotto la testa. «Fammi quello che vuoi, non mi interessa. Non voglio che tu abbia paura di me o di questo.»

«Io non ho paura di te, non potrei» rettificai. Ed era vero, mi sentivo solo insicura.

«Vorrei che potessi guardarti attraverso i miei occhi. Sei bellissima, una vera donna, superba, fiera ed eccitata. Non potrei essere più felice in questo momento...» mi tranquillizzò. «Voi donne» sospirò con soddisfazione «così belle e così egoiste. Non sapete che enorme potere avete e tutto per quelle vostre espressioni tenere e innocenti di cui non possiamo fare a meno. Ci volete lasciare sempre insoddisfatti, a crogiolarci in questo piacere tagliato a metà.»

«Se non lo facessi bene...»

«Io so che di sicuro lo farai benissimo. Te lo mostrerò io. Dammi la mano.»

Gliela porsi e lui la portò sulla sua patta, in quella lieve protuberanza contenuta nei suoi jeans. Lo tastai piano e lui trattenne il fiato. A gennaio non avrei mai sognato di far questo ad un ragazzo, tanto meno a uno come Michael, inaffidabile, presuntuoso e permaloso. Quanto doveva odiarmi la vita, la quale aveva reso i suoi difetti punti di forza e magnetismo ai miei ingenui occhi. Sollevò il bacino, mugugnando, pregandomi di continuare. Sentendomi temeraria gli sganciai la zip e infilai le dita dentro l'elastico grigio dei boxer. Michael si tese sotto il mio tocco. Affondai le dita nei ricci scuri del suo pube, poi continuai finché non arrivai alla sua intimità, tracciando con un delicato tocco il contorno del pene e dei testicoli.

«È tutto tuo» ansimò Michael raggiante.

«Non so se ce la farò» ammisi.

«Ma io ce la farò con te.»

Mi prese la mano e la guidò in modo fluido, mostrandomi i movimenti, come dovevo accarezzarlo. Delicatamente, senza stringere, dall'alto in basso, con una lieve pressione sulla punta. Michael mi fissava con gli occhi azzurri più chiari e limpidi che mani, tenendo le dita intrecciate alle mie. Piegò la testa e le sue guance si tinsero di rosso, smise di aiutarmi e si accasciò sul letto, subendo quella dolcissima tortura. Spingeva piano il bacino contro la mia mano, non avendo il coraggio e la forza di muovere altri muscoli. La sua bocca si aprì e un gemito lungo e roco, inclinò la testa e respirò affannosamente.

«Ti piace così?» domandai incerta, ipnotizzata dalla sua reazione.

«Molto...» ringhiò lui in risposta, assente e in estasi.

Feci un sogghigno soddisfatto e lo ammirai in quella posizione sottomessa, sotto di me, alla mia completa mercé. Immaginai giocosamente che se mi fossi tirata indietro si sarebbe messo a piangere come un bambino, frignando aspramente. Sarebbe stato un buon esperimento da fare su di lui, una punizione. Per i giorni in cui mi aveva osato tenere il muso, per le sue litigate senza senso, per quell'espressione rapita dal piacere che mi teneva incatenata a lui.

Michael aveva le labbra schiuse, se le mordeva a forza per non gemere come un dannato. I suoi occhi erano immersi nel nulla, chiarissimi in quella strana penombra. Lo strinsi più forte e lo accarezzai più decisa. Lui aprì gli occhi, sconvolto e senza accorgersene grugnì audace per l'inatteso cambiamento. Le sue labbra si mossero in invisibili parole, ma non ne uscì nulla.

«Non hai mai toccato nessuno così, chistota?» ansimò Michael con una luce di possesso negli occhi.

Mi irrigidii, sentendomi attaccare. «Lo sto facendo male?»

«Diamine, no!» mi liquidò. «Potrei venire solo per l'espressione del tuo viso, Chanel, ma non voglio che il divertimento finisca qui, non così in fretta. Ho ancora tutta la notte e il domani per stravolgerti e rimetterti in sesto, non ti permetterò di finirmi con questo colpo di grazia» mi avvertì.

Deglutii eccitata. «E poi?»

«Poi?» continuò sorridendo. «Ti terrei sveglia tutte le notti, da qui a l'eternità. Farei salire l'invidia al resto del mondo mentre ti tengo sopra di me a gambe aperte. Voglio che gli altri ti vedano, vedano quello che io ho e loro non avranno mai. Sei quello che aspettavo da tutta una vita, Chanel, quella piccola polvere esplosiva che fa esplodere la polveriera in mille scintille colorate. Io ti piaccio, ammettilo. Ridillo. Fammi ancora godere di quella tua esile voce spezzata dal desiderio.»

«Sei un presuntuoso» borbottai.

«Vero. Presuntuoso ed egoista» rettificò. «Ma non intendo darti ad altri. Non più. Ora che ti ho qui, so che nient'altro potrebbe sostituire la tua perdita.» Spostò le mani libere sul mio sedere e lo accarezzò dolcemente. Il suo gesto fu ripagato da un gemito di piacere. «Ti fa ancora male qui?»

«No, e lo sai benissimo. Quella volta sei stato davvero un bruto» lo rimproverai «eppure a volte vorrei che lo rifacessi. Di notte lo sogno.»

«Ah, sì? E dove?» gustò.

«Dovunque. A scuola, a casa e persino in un posto pubblico. Quando ho voglia.»

«Lo rifarò ogni qualvolta me lo chiederai. Oh... a quanto pare ti sto contagiando con queste mie voglie perverse. La tua nuvola di purezza adesso sta cominciando ad odorare di ormoni e, senti senti, gridano tutti il mio nome.»

Sorrisi, roteando gli occhi. Michael si sollevò e appoggiò la fronte nell'incavo tra il mio collo e la spalla, assaporando con la lingua le ossa sporgenti delle mie clavicole. Le baciò e le accarezzò come se fossero un animale tenero e impaurito. Il suo tocco mi fece ribollire il sangue, impaziente.

«Michael...» borbogliai. Non potevo mentire ancora, non volevo indurlo a spaventarsi e nemmeno a fargli inutili pressioni. Michael era diretto e io dovevo esserlo a mia volta. «Ascolta. Tu lo sai che mi piaci, te l'ho detto e te lo ripeterò ogni volta che tu vorrai sentirlo. Non mi dispiacerà ammetterlo, ma anche questa notte finirà e con questa il nostro divertimento. Intendo dire che non per questo sei obbligato a stare con me, se questo ti frenasse o ti rendesse malinconico...»

Potevo accettare di stare con Michael il resto della mia vita, ne sarei stata onorata e felice, ma non potevo costringerlo a restare fedele a me se non era quel che desiderava. Non potevo fingere di non vedere ed era meglio mettere le cose in chiaro dal principio: Michael prima o poi si sarebbe dovuto sposare con una buona moglie, avere dei figli ed entrare nell'attività del padre. Io lo avrei frenato. Tutti gli avrebbero riso alle spalle: lui, il figlio intelligente e ricco di Gilbert Petronovik che prendeva in moglie una ragazzina esile dal sangue sporco. In seguito non avrebbe potuto contestare se gli altri lo avrebbero preso in giro, denigrato o allontanato. Ci sarebbe stata un'altra Chanel sopra di lui, con più ardore e sentimento di passione. Io mi sarei accontentata di stare vicino a lui. Doveva essere così, infatti.

«Credi che mi costringerai a fare cose contro la mia stessa volontà?» chiese lui. «Se non ti volessi, se avessi voluto solamente piegarti e trattarti come una comune bestia da accoppiamento, ti avrei presa tutte le notti in cui dormivi con me. Mentre eri nel mondo dei sogni e non avresti avuto la forza per combatterti, avrei potuto farti tutto quello che volevo, ma non l'ho fatto. Non mi è mai nemmeno passato il pensiero di accomunarti a tutte le altre bestie là fuori. Le donne per gli uomini sono tutte uguali, è vero, tranne la persona a noi più importante. Sarà unicamente lei quella diversa. Regalarti una bella vita con me sarà difficile, ma le promesse le mantengo. Non ti sposerai mai, tu. Non con un altro e non finché sarò in vita. Per ora offrirti il mio corpo non è sufficiente, lo so bene, ma dimostrarti quanto io stia bene con te forse ti farà scomparire quel velo di stupidità che porti.»

Aprii la bocca, pronta a contestare il suo ultimo insulto nei miei confronti, tuttavia, prima che potessi pensare a qualcosa di concreto, mi ribaltò e si spostò sopra di me. Lo guardai con occhi duri e lui non si mosse. Chi gli aveva dato quell'ordine? Dovevo rimetterlo al suo posto.

Non mi diede nemmeno tempo per rispondere. Mi baciò forte, intrecciando la lingua alla mia, afferrandomi un seno. Era semidisteso su di me e si strusciava con un ritmo costante contro il mio inguine, facendomi impazzire. Portò una mano dentro i miei slip e si immerse nella pelle liscia e cremosa della mie gambe, prova del mio desiderio verso di lui. Mi accarezzò il clitoride gonfio e le lacrime mi inumidirono gli occhi, sconvolta dai brividi di freddo e di piacere che mi sconquassarono il corpo. Si fece spazio, entrando come più gli pareva. Gemetti forte, muovendo il fianchi avanti ed indietro contro le sue dita umide.

«Smettila di muoverti come una gattina» mi intimò.

«Allora fermami tu» scherzai.

«Come vuoi, proviamo qualcosa di diverso e vediamo se mi fermerai» grugnì soddisfatto.

Sfilò le dita bruscamente dalle mie gambe e io rimasi sconvolta, pietrificata dal suo cambio repentino. Feci per alzarmi, ma Michael mi tirò per le caviglie e mi fece scivolare ancora contro il materasso e le coperte. Slittò verso il basso, mi tolse bruscamente la gonna e le mutandine e le gettò via con noncuranza, aprendomi le cosce con le spalle. Infilò il naso tra le gambe, appena sopra la fessura del sesso e vi passò sopra l'indice, muovendolo dolcemente in una carezza barbiturica. Trasalii e gli afferrai i capelli, stringendoli tra le mie dita.

«Vuoi provare a fermarmi?» scherzò lui.

«Michael... mi vergogno... smettila, esci da lì» lo implorai con la faccia rossa.

«Spaventata o eccitata?» Non risposi e lui capì il messaggio. «Finirò quando io avrò voglia, chiaro? Non smetterò finché non griderai il torto. Quando capirai che non lo sto facendo per gioco o per voglia, e me lo dirai, mi staccherò ed entrerò dentro di te. Fino a quel momento sarai la mia caramella mou. Non chiedermi pietà perché non te la concederò. Preparati, konfety.»

«Mike!»

Mi infilò la lingua dentro e la baciò come se mi stessa baciando in bocca. I suoi movimenti erano lunghi, profondi e sensuali, parevano volermi divorare fin nelle viscere più profonde. Mi stimolò a lungo e io ressi quella tortura, non volendo ammettere l'insensata origine della mia affermazione. Non volevo che si fermasse e basta. Michael mi succhiò come una caramella. Mi contorsi su di lui, provando a girarmi e chiudere le gambe, eppure fu impossibile. Mi fece l'amore con la lingua, le labbra e i denti, mordendomi, girandomi e prendendomi come se fossi il miglior dolce del mondo. Strinsi le dita sul lenzuolo, le nocche sbiancarono per la vergogna e la furia. Mi sentivo prigioniera di lui, mi girava la testa e dopo un po' smisi di cercare di fermarlo o combatterlo. Non era quello ciò che volevamo. In quel momento per me esisteva solo la sua bocca. Quando mi lamentavo e mi spingevo maggiormente contro di lui, Michael si caricò con le ginocchia ed entrò con la lingua più a fondo. Mosse la punta da una parte all'altra, facendomi gemere e modellandomi come le sue più estreme fantasie.

«Mike... ti prego, non resisterò molto se...» Mi morsi il labbro, venendo zittita da una leccata indolente e perentoria. Ero calda e irritata, ma ancora terribilmente affamata. «Mike... ti prego...»

«Vuoi che mi fermi? Sai cosa fare.»

«Può bastare» sbuffai forte. «Ho torto! Ho sbagliato! Mi rimangio tutto» urlai con il viso sconvolto. Gli tirai i capelli e lui sospirò con goduria. «Fermati, adesso...»

«Va bene» affermò. Michael si passò la lingua sulle labbra e poi mi baciò, facendomi assaporare il mio stesso sapore. «Dovresti imparare a tacere e godere qualche volta, sai?»

«Ti piace sodomizzarmi, non è vero?» mi impuntai.

«Terribilmente, ma solo perché sei perfetta in quei panni. Ti è piaciuto, lo sentivo da come ti muovevi e ansimavi. Puoi darmi dell'antipatico, del bruto e del maschilista, ma so che non ti sono indifferente. Avrai tutta la vita per rimproverarmi. Ora, se permetti, vorrei assaporare l'interno del tuo corpo.»

«Non potremmo... farlo così?» mi azzardai a dire.

«Così come?»

«Toccandoci.»

«Voglio qualcosa di più del semplice tocco, Chanel, e lo sai anche tu. Non voglio farti del male e se me lo permetterai ti farò sentire le fiamme dell'inferno. Scalcerai e urlerai per quanto sono calde e eccitanti, piccola.» Mi umettai il labbro. «Mi hai già torturato più volte e mi hai portato al limite della follia, ora intendo riprendermi quei momenti, sfogarmi e darti la mancia. Non voglio farti paura, lo faremo come vuoi tu.»

Gli presi il volto e gli diedi un bacio sulle labbra. Fu un bacio dolce e insignificante per molti, ma per me e per Michael fu come aver tolto la spoletta ad una granata. Noi la stavamo tenendo in mano, ridendo e stavamo per esplodere.

«Fammi l'amore, Petronovik» sussurrai. «Ti voglio dentro di me.»

La cosa che probabilmente ruppe quel momento di passione fu che Krolik cominciò a fare casino. Dovevamo averlo svegliato e innervosito poiché, preso da uno slancio di energia, iniziò a correre sulla sua ruota di plastica blu, producendo un bel po' di baccano fastidioso.

«Guarda quello stupido coniglio!» esclamò Michael ridacchiando. «Se mi dai le patate lo faccio al forno, di sicuro sarà più delizioso una volta cucinato con spezie e cipolla.»

«Non ti permettere!» ribadii con fermezza, non riuscendo a trattenere le risate.

Lui sorrise e io lo guardai. Quanto era bello, pensai. Avevo bisogno di lui, della sua presenza, dei suoi sentimenti e del suo corpo. Non potevo farne a meno. Quando lo pensai e affrontai questo bisogno mi sentii meglio, più leggera e sincera con me stessa. Mi resi conto allora quanto, prima di decidermi a fare quel passo decisivo, mi sentissi male. Mi sentivo triste, sola e malinconica. L'aria tra noi si fece carica e pensante.

Feci passare i palmi delle mani lungo il suo petto e il ragazzo si svegliò. Con la punta delle dita tracciai la sagoma dell'aquila sul suo petto e disegnai dei piccoli cerchi attorno ai suoi capezzoli. I tendini guizzarono sotto la mia pelle. Non mi chiese niente, aggrovigliò le mani ai miei capelli e tirò la mia bocca contro la sua. Quel sentimento che provavamo era il bisogno dell'altro e non c'era più tempo.

«L'hai presa?» mi domandò serio.

Io sbattei gli occhi. «Cosa ho preso?»

«La pillola.»

Ci pensai, ma la risposta era semplice. No, non l'avevo presa. Me l'ero dimenticata. La confezione era ancora sigillata e imbustata nell'ultimo cassetto del comò, sotterrata da calzini e biancheria intima.

Tirai le labbra come se avessi ricevuto uno schiaffo pesante e Michael sospirò.

«Te ne sei scordata, non è vero?» mi ammonì.

«La prenderò domani» lo assicurai.

«Ah, quanto mi sembri inesperta e speranzosa in questo momento, tu. Aspetta qui, per quanto vorrei approfittare subito di questa tua voglia, mi sa che dovrai aspettare qualche minuto. Sfortunatamente non sono tipo che porta i preservativi con sé e non ho tutta quest'improvvisa voglia di diventare genitore oggi. Tu aspetta qui, e imprimiti in questa testolina di cominciare a prenderla» sussurrò, premendomi una mano sulla fronte.

«Li hai?»

«Sono un maschio, per me è normale averli» rispose con sfacciataggine, si tirò su i jeans e corse fuori dalla mia camera.

Mi misi seduta. Le mie gambe erano umide e la sensazione a contatto con il lenzuolo non fu tra le più gradevoli. La pelle mi prudeva. Mi presi il viso tra le mani. Scottavo. Il freddo non lo sentivo nemmeno. Krolik, alla mia sinistra, smise di muoversi e mi osservò con aria curiosa da dietro le sbarre della gabbia. Il suo naso si mosse verso di me, come se mi stesse chiedendo se stessi bene, cosa stessi facendo, poi si infilò nella sua capanna di cotone e paglia e mi lasciò con me stessa.

La porta sbatté furiosa e io sobbalzai. Michael camminò deciso verso di me, i piedi scalzi, e un sorrisetto malizioso in faccia. Salì sul letto e parlò tra sé e sé in russo, studiando la bustina rossa tra le sue dita.

Al diavolo tutto, pensai.

Saltai, lo presi per le spalle e lo strinsi a me. Lo baciai con passione, la stessa che agognava sbocciare in me e lui rimase lì, dandomi l'assoluto controllo. La sua eccitazione era tesa e dura più che mai tra le mie gambe nude. Mi spinsi contro quella e Michael digrignò i denti, come se stesse provando un dolore profondo. Non protestò se gli facesse male la spalla o volesse dell'altro. Spingemmo le nostre lingue verso quelle dell'altro e, mossa dopo mossa, assaggiammo i nostri sapori.

Non mi importò di niente. Volevo unicamente sentire, toccare, assaporare e gridare il piacere di quel ragazzo dentro di me. Non mi importò dell'Australia, di quello che avevo lasciato lì, della mia coscienza a riguardo, né del suo passato e il mio futuro. Mi strappò il reggiseno e il mio petto sobbalzò verso di lui. Il suo sguardo era famelico.

Raggiunsi il suo corpo e gli slacciai i pantaloni, spingendo giù per le gambe anche i suoi boxer fino a che il suo membro non venne fuori. Michael cacciò via esasperato i suoi pantaloni e mi fissò con un'aria trionfante. Aveva un'erezione sfacciata. Era chiaro, alto e duro per me, lì davanti.

«Ti piace quello che vedi?»

«Sì.» Annuii eccitata e lo guardai lì in basso, mordendomi il labbro inferiore, famelica.

«Quanto?»

«Tanto.»

«Tanto?»

«Dio, troppo.»

Strappò con i denti la bustina del preservativo e me la porse. «Vuoi farlo tu?» Lo presi. Era viscido. «Prendilo dalla punta e attenta a non romperlo. Appoggialo e cerca di non far entrare l'aria, poi srotolalo lungo la lunghezza... Brava, ottimo» si congratulò.

Fece passare un braccio attorno alla mia vita e mi rivoltò agilmente. Mi ritrovai sotto di lui, il naso sul cucino e le natiche protese verso di lui. Trattenni il respiro, affannata. Era a cavalcioni su di me, sentivo la sua erezione sulle mie natiche e le sue labbra sulla mia schiena. Ero terrorizzata. Era quella la sua idea di non farmi paura, mettermi a pancia in giù e accoppiarsi come facevano rudemente gli animali, senza prepararmi?

«Michael, questa posizione non...»

Mi afferrò le natiche e le palpò, facendomi mangiare il resto delle parole con facilità. Affondai il naso nel cuscino, mordendolo e aspettandomi del dolore che non arrivò. Si limitò a modellarmi i glutei, a spingerli contro la sua durezza senza entrare e farmi gridare. Capito il suo gioco aprii le gambe e lo lasciai fare.

«Vorrei farlo così» ammise piano. «Vorrei averti in questa posizione questa sera, con questo bel sedere per aria e la tua faccia che sfrega continuamente il lenzuolo, ma so che ti spaventeresti e ti farei male. Non sei preparata per questo e non voglio godere senza di te» disse e con un balzo mi fece tornare supina. Passò la mano sul mio petto e inclinai all'indietro la testa. «Sono un maledetto figlio di puttana fortunato. Ho perso la sfida e ho vinto qualcosa che vale di più.»

La sua bocca scese sul mio seno e, per gioco e per ricordo, lo mangiò ancora. Gli accarezzai la testa e mi spinsi contro di lui. La sua erezione premeva su di me, fremendo per entrare e sentire quell'invitante calore paradisiaco. Ebbi una fitta dolorosa al ventre e gemetti per richiamarlo. La sua lingua si bloccò e i suoi occhi scattarono sui miei, attenti. Si staccò e fece un sorrisetto compiaciuto. Il desiderio si concentrò tra le mie gambe, più liquido e caldo. Ero bagnata e pronta per lui. Lo sapeva.

«Apri le gambe» mi ordinò.

«Ma sono già...»

«Aprile.»

Con un mugugno contrario le separai maggiormente. Ora riuscivo a vedere bene il suo inguine tra le mie gambe e la curva delle cosce.

«Di più, di più.» Lo feci e lui guardò il mio sesso aperto, eccitato. «Ottimo. Sarà questa la posizione in cui ogni notte vorrò vederti quando verrò da te. Non vedo l'ora di farlo. Qui, in modo rude, lento e passionale, e poi magari più veloce, fino al limite umano.» Lui rise, mi prese per le cosce e si mosse contro di me, aprendomi e coccolandomi.

«Ti prego, Michael...» pregavo senza dignità.

Strusciavo i miei fianchi contro i suoi, le mie cosce sentivano e lambivano la sua durezza e la spingevano a insinuarsi oltre, con maggiore ardore e possessività. Michael fu grato di quell'invito, del suo bisogno incessante di lui. La mia prima volta era stata uno strazio, senza baci, carezze e dolcezza. Quella volta sarebbe stato diverso, mi sarebbe piaciuto, non avrei avuto più paura e ne avrei voluto sempre di più. Non me ne facevo una colpa: se era Michael a darmi quelle cose tutto poteva sembrarmi bello e puro.

Una goccia di liquido preseminale sgorgò dalla punta purpurea del suo pene.

«Vedi cosa mi fai? Dio, Chanel, se avessi saputo prima che potevi darmi quest'effetto ti avrei rapita io stesso. Guarda quanto piacere puoi darmi.» Non distolsi lo sguardo da lui, dai suoi occhi. «Voglio di più, Chanel.»

«Prendi quello che vuoi.»

«Oh, tu mi confondi parecchio» sussurrò con voce impastata. Le sue mani erano sui miei fianchi, mi muovevano avanti e indietro contro di lui in movimenti circolari e incessanti. «Avrei voluto continuare a giocare in questo modo, ma sono arrivato al limite anche io. Mi stai facendo esplodere con quei tuoi gemiti e queste carezze. Finalmente mi apparterrai una volta per tutte.»

Prese il suo membro e lo accompagnò verso di me, fermandosi appena sulle labbra di quella cavità intima e pulsante. Strofinò le labbra rosse affinché si aprissero a lui.

«Voglio che tu lo sappia» disse. «Non sto facendo questo per essere superiore a mio fratello, né essere in quale modo ben visto da qualcuno. Me ne frego. Questa non sarà l'ennesima sfida tra me e Dominik. Non ci andrai più di mezzo tu.» Mi toccò ovunque e io mi arcuai sotto il suo tocco. «Questa... è roba mia. Nessun altro ti toccherà, non come lo sto facendo io. Ucciderò tutti quelli che vorranno farti del male. Una volta che ti prendo sei mia, la mia donna focosa e sciocca» sentenziò collerico. «Promettimelo. Prometti che sarai solo mia. Per sempre.»

«Te lo prometto» affermai con un affanno.

Le mie braccia tremarono, sentendo la punta del suo pene raggiungermi.

«Perché ci sarà solo un uomo che potrà prenderti in questa maniera.»

«Michael...» annaspai disperata.

«Io.»

Con una stilettata entrò deciso. Piegai la testa di lato ed emisi un singhiozzo. Dio, faceva ancora male! Cosa pretendevo? Non c'era da stupirsi. Il bruciore che avevo avvertito la prima volta si ripresentò furioso come un promemoria, mi insultò e ridacchiò della mia testa credulona. Michael trattenne il respiro e, guidata dai suoi occhi, calmai il mio. Non dovevo avere paura. No, il dolore era naturale, ma dovevo essere io a gestirlo e a domarlo. Non potevo permettergli di sopraffarmi un'altra volta.

Aprii le gambe e con la forza restante mossi i fianchi, ignorai il dolore e lo feci tuffare in me un'altra volta. Entrambi gememmo forte per quella perfezione travolgente. Gli graffiai la schiena e lui usò i piedi per tendersi come una corda di violino e immergersi in tutta la sua lunghezza.

Era così grosso e duro dentro di me. Io ero calda, bruciavo, ma era un dolore oramai flebile e sopportabile. Mi piaceva. Quello era il posto di Michael, era suo per diritto. I muscoli interni si tesero e fiammeggiarono, avvolsero il suo membro e lo cullarono. Avevo le orecchie invase dai suoi gemiti di estremo piacere. Michael mi aveva totalmente riempita.

«Non muoverti, piccola, lascia prima che il tuo corpo si abitui a me. Rilassati.»

«Fa ancora male» piagnucolai.

«Oh, lo so, lo so. Vieni qui.» Mi abbracciò forte e appoggiai la fronte sulla sua spalla, annusando il suo sapore sudato e dolce.

Ondeggiò i fianchi, spingendomi in alto e rendendomi più molle di una gelatina. Io non facevo niente per impedirglielo. Il dolore di quel gesto si srotolò ad ogni suo piccolo movimento, cercando il piacere supremo.

«Stai bene?» domandò preoccupato.

Annuii. «È... bello...»

Michael fece le fusa, contento. «Molto bene allora.» Mi accarezzò il sedere con la mano destra e approfittò del mio peso per spingersi contro di me, ritraendosi un poco e immergendosi come un'asta dentro di me. Si mosse dentro di me, indietreggiando con i fianchi e avanzando un attimo dopo. «Così, piccola. Benissimo. Sei davvero... Dio, una meraviglia...»

Michael si fermò, respirando e io ne approfittai. Le gambe stavano cominciando a farmi male, ma le ignorai. Michael era pienamente immerso fino ai testicoli, lo sentivo piantato in me e non volevo uscisse. Il suo membro premeva contro il collo dell'utero. Non ne aveva mai abbastanza.

«Scusa se ti ho fatto male» disse pentito. «Devo ricordarmi che sei...»

«Dio, Michael» lo bloccai. «Più forte.»

Gemetti quando lo sentii muoversi e ondeggiare dentro di me. Lo aveva fatto apposta. Era incredibile di come lo sentissi dentro, ogni cosa facesse. Eravamo oramai una cosa sola. Non potevo odiarlo, non potevo respingerlo se il mio corpo e la mia anima volevano fondersi con la sua. Il sesso era una cosa naturale, me lo aveva detto la dottoressa Berska, ma quell'estremo piacere no: era divino.

Ci guardammo negli occhi, ci studiammo e ci sfidammo. Una goccia di sudore gli scivolò dal mento e gli percorse il collo. La guardai, desiderosa di tendermi e leccarla via. Muoversi significava ricevere una scarica di energia lungo la spina dorsale.

«Chanel sei perfetta.»

Quel complimentò appiccò il mio desiderio. Senza preavviso uscì fuori da me con tanta destrezza e velocità che non me ne resi conto. La liquidità tra le mie gambe mi aiutò, Michael scivolava bene grazie a me. Mi prese per i fianchi e cominciammo a muoverci su e giù. Sotto i suoi occhi annebbiati dal piacere lo imitai, arrendendomi a quelle emozioni. Era devastante.

All'inizio Michael si muoveva piano, quasi timidamente per non farmi male poi, animata dai suoi movimenti e dal suo viso, persi il controllo. Non mi ero mai sentita tanto viva come in quel momento. Ci lasciammo travolgere da quella passione insana: Michael cominciò a muoversi più veloce e forte e io avvertii le viscere prudermi. Stava facendo una strage nel mio corpo. Si muoveva con forza, senza attendere nient'altro e io accompagnai le sue spinte con le gambe, lasciando immergere il suo membro dentro di me come una molla. Quel dolore che percepivo pungente e debole era accompagnato dal piacere più selvaggio e sublime. Ero decisa ad avere il primo e il più travolgente orgasmo della mia vita.

«Andiamo, piccola» mi incoraggiò lui.

«Di più. Tutto» ansimai, abbracciando il suo collo.

«Prendilo tutto... così... fino alla fine... Avanti! Lo senti? Lo senti?» esclamò lui forte, accompagnando ogni sua parola con una spinta. «Dipende tutto da te. Fammi stare bene. Ci sono io qui con te, non temere. Vieni, vieni per me!»

L'orgasmo che venne provenì dagli anfratti più bui e nascosti del mio corpo. Nacque dalla parte bassa della schiena e si irradiò fino al ventre e spense il cervello. Diede l'ultima spinta, quella decisiva, e venimmo entrambi. L'orgasmo andò da dentro a lui, si concentrò dal cervelletto fino ai seni, poi scese all'ombelico fino ad arrivare all'utero. Lo attaversò e quando il mio nome risalì la gola di Michael si riversò dentro di me, facendomi vedere i fuochi artificiali.

C'erano mille modi per fare l'amore. Fu il suo primo insegnamento. Basta farlo con amore.

Quando anche l'ultima pulsazione elettrica si smorzò mi crollò addosso e insieme riprendemmo fiato. Eravamo sfiniti. Io, più di lui, ero stanca.

«Non mi ricordavo... una scopata migliore di questa» fece lui, umettandosi le labbra.

«Ti senti meglio?» gli chiesi, girandomi verso di lui.

Michael aprì un braccio e mi tirò al suo fianco, abbracciandomi. «Molto, molto meglio. E tu?»

«Sto bene» affermai e feci uno sbadiglio.

«Ti ho fatto male?»

«No, no, tranquillo...»

«Hai sonno?» vociò e anche se avevo gli occhi chiusi sapevo che stava sorridendo.

«No, riposo solo gli occhi...»

«Voglio che resti con me» proferì serio.

«Per stanotte?»

«Questa non è stata una notte di follia come molte altre, Chanel. Almeno per me non lo era. Te l'ho detto prima dell'orgasmo e te lo ripeto anche adesso per dartene la certezza. Voglio che resti con me oggi, domani e il giorno dopo il domani, finché ne avremo la possibilità. Farò di tutto per non farti andare via da me.»

«Mike...»

«Non c'è nessuna regola che ce lo vieti! Non sono tuo fratello e non siamo parenti. Non devi fartene una preoccupazione, non c'è niente che non va in noi. Ora che sei diventata la mia donna mi sento più tranquillo. In Russia queste cose vengono prese molto seriamente. Attenta, non intendo tirarmi indietro. Se qualcuno vorrà averti dovrà prima passare dal mio corpo. Voglio avere tutto di te. Il tuo corpo, la tua mente e i tuoi sentimenti. Tu avrai altrettanto con me.»

«Mike» lo richiamai estenuata.

«Cosa?»

«Cosa abbiamo fatto adesso?»

«L'amore.»

«Oh...» sospirai. Che bella parola.

«Ti è piaciuto?»

«Tanto.» Ci accoccolammo sotto le coperte, vicini, quando il nostro sudore cominciò a scomparire e il freddo a pungerci. Lo accogliemmo felici. Ci rendeva svegli, consapevoli e attenti. La Russia e quel letto erano diventati complici di quel desiderio cattivo e selvatico. «Se è così...» dissi dopo un po' «puoi rifare l'amore con me?»

«Adesso?»

«Adesso.»

Lui mi sorrise. «Ai suoi ordini, moya printsessa.»

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