33 La parte cattiva✔️
Corsi fuori dalla mensa, oltre le scale della sezione A. Mi sforzai di ricordarmi le parole di Michael sulla lezione e la posizione dell'aula di Meccanica in cui si svolgevano di consuetudine le sue lezioni. Ero certa che me ne avesse parlato, ricordavo il suo progetto e gli appunti del professore, le sue parole annoiate nel progettare un nuovo Motore Bourke, le sue note disordinate sugli O-ring e sulla fluidodinamica.
Sapevo che i laboratori, per motivi di spazio e sicurezza, erano tutti al primo piano. Mi diressi a ovest, verso la sala macchine e seguii agitata la nomenclatura delle aule, sperando di trovare quello che mi interessava. I laboratori non avevano numeri, ma lettere.
«Michael! Michael!» urlai forte, guardando ovunque, entrando con la testa nelle classi aperte per verificare che ci fosse qualcuno.
Alcuni ragazzi si affacciarono da un'altra aula, incuriositi da quel nuovo frastuono che stavo producendo. Tutte le aule all'ora di pranzo si svuotavano completamente e la mensa e il corridoio principale vicino alle macchinette automatiche diventavano un nuovo punto di ritrovo, alcuni uscivano dal cortile per fumare nella pausa concessa. I laboratori ad ogni ora erano rumorosi: c'erano oggetti che venivano sbattuti sopra altri, seghe, torchi o motori in movimento, ma nulla era paragonabile ai miei stilli nervosi. Quello che più attiro l'attenzione fu la mia disperazione.
Entrai con passo pesante nell'aula da cui ne uscirono due ragazzi con il camice da lavoro sporco di olio di motore. Non ero mai entrata in un laboratorio di meccanica prima di allora, gli studenti del liceo come me non avevano l'accesso e l'autorizzazione e per un momento le forti luci a neon pendenti come pendagli dal soffitto mi accecarono. Era una piccola sala, forse metà della palestra scolastica, e in quell'ambiente tutto odorava di olio di motore, acciaio e gomma. C'erano tre file di piccoli banchi vicino alla porta e una lavagna interamente occupata dal disegno di un motore volumetrico, al di sotto una piccola emoji dalla faccia disperata. La restante porzione di laboratorio era ingombra di macchinari, attrezzi e pezzi di metallo sparsi per il pavimento come un campo minato.
Mi tirai indietro i capelli come un'ossessa e chiamai Michael a gran voce, più volte. Lui rotolò da sotto uno strano macchinario sopra uno skateboard arancio con uno sguardo meravigliato. Due suoi compagni di corso, acquattati vicino a lui per quella lezione pratica, distolsero la loro attenzione da Michael e dal progetto per dedicarla a me.
Si tolse i guanti da lavoro e cercò di alzarsi. Non aveva più addosso la divisa regolamentare, ma una tuta blu elettrico attorcigliata alla vita. Disse due parole ai suoi amici e poi mi venne incontro leggermente allarmato. Aveva una macchia di sporco sul naso.
«Che succede? Ti senti poco bene?» mi domandò irrequieto.
«No, lasciami perdere! Sta per...»
Dominik mi diede uno spintone, facendomi cadere all'indietro con le gambe all'aria. Michael corrugò la fronte e se la pulì con una manata agitata, aprendo la bocca in sconcerto. I due ragazzi dietro di lui afferrarono delle chiavi di ferro, pronti a difendersi. Feci per parlare loro, urlargli di mettere giù quelle armi prima di far del male ai miei fratellastri, quando Dominik deambulò in avanti, sicuro di sé. Tese la mano, come se volesse passare un braccio attorno alle spalle del fratello e abbracciarlo, ma nello stesso momento piegò le gambe e gli diede un pugno. Colpì Michael sulla gota e lui ruotò, cadendo all'indietro per il colpo ricevuto.
«Fermo! Ma che fai?» strillai forte.
Michael si tirò su a sedere e sbatté gli occhi più volte, quasi credendo di essere inciampato per errore, poi si tastò la guancia e una fitta improvvisa gli scosse il capo. Guardò suo fratello con occhi profondi, colpevoli e vacui, mentre Dominik gli dedicò un'occhiata lunga e fissa. Quello era lo sguardo di Dominik che di solito rivolgeva a me, un qualcosa di duro, ripugnante e viziato. Ora lo stava dedicando al fratello, il quale sentii stava bruciando di collera e vergogna dentro di sé.
Non avevo mai visto Dominik tanto arrabbiato con suo fratello, tutt'altro. Dominik amava Michael più di ogni altra cosa al mondo, lo aveva protetto quando tutti gli altri gli puntavano un dito contro, lo teneva a galla in quell'orrendo mondo e lo proteggeva con le sue stesse ali metà bruciate. Se avesse dovuto scegliere tra salvare la vita a me o a quella del fratellino avrebbe scelto la sua senza battere ciglio, seppure gli alterchi. A Sydney in tutti i modi cercavo di farli litigare in modo da portare almeno uno di loro dalla mia parte, ma nulla sembrò funzionare. Loro bisticciavano e poi facevano la pace, così mi diceva sempre Dominik. E aveva ragione, fino ad un certo punto. Non avevano mai trovato un pretesto serio per litigare, fino al mio arrivo.
Dominik aveva ragione: in qualche modo ero riuscita a separarli.
«Fermati!» urlai contro Dominik, più ferma e seria.
Lui non mi degnò di uno sguardo, deglutì aspramente e rizzò la schiena.
«Ti ho detto fermati!»
Strinse i pugni. Il resto degli studenti smise di continuare a lavorare e si affacciò per vedere la scena. Alcuni avevano seguito Dominik, eccitati e nervosi per la nascita di un nuovo e leggendario litigio: i famosi gemelli Petronovik, uniti di volto e sangue, che facevano a botte tra di loro.
«Dominik» lo chiamai e seppi che quello era il tono che voleva che usassi con lui. Un tenero pigolio debole, sottomesso. «Per favore, andiamo via» dissi piano, tirandogli l'orlo della camicia.
«Vuoi intrometterti per caso?» Deglutii e mi ricordai del suo pugno di ieri. Avrebbe osato colpirmi ancora con tutti gli occhi su di lui, compresi quelli di Ilona? Non ne ero sicura, ma la paura mi punse ancora lo stomaco e fu come risentire quel doloroso pugno affondare nel mio stomaco, soffocandomi. «Vuoi metterti in mezzo? Ti avevo già detto di non immischiarti negli affari di un uomo, o sbaglio?»
«Io non intendevo...» Lo lasciai.
«Oh, no, tu intendevi benissimo quello che penso e questo lo dimostra.» Mi afferrò con veemenza un braccio e mi tirò verso di lui. «Stai alla larga, Chanel. Questa piccola dimostrazione educativa la dedico a te e a quella tua lurida boccaccia infame. Ora mi hai veramente rotto i coglioni, intendo sistemare qui la faccenda» sentenziò.
Ilona camminò verso di noi senza tentennare, con gli occhi sbarrati da un filo di paura e rabbia. «Che cosa pensi di fare, Dommy?» disse severamente lei e Dominik si sbilanciò un poco con la sua intromissione. Allentò la presa e me ne accorsi subito. «Lascia Chanel e andiamo in classe, adesso!»
Lui restò in silenzio per qualche attimo, poi respirò e gonfiò il petto. «Sta' fuori dalla questione, Pidvakova, sono cose che non ti riguardano. Se osi metterti in mezzo in un'altra questione sui Petronovik ti tratterò come tutti gli altri cani. Sarebbe un peccato rovinare quel grazioso viso, non vorrai mica che Michael ti denigrasse per questo, vero, futura sposina?» la prese in giro e Ilona arrossì completamente e il collo, le mani e le orecchie presero il colore delle sue labbra.
«Pensi che facendo la parte del rincoglionito ti aiuti? Hai vent'anni, non sei un bambino, comportati da persona matura» gli rinfacciò.
«E tu scegli da che parte vuoi schierarti. Sei dalla mia, Ilona, o no?»
Era l'ultima cosa che si aspettava di sentire e io la compatii. Percepivo nelle orecchie il suo cuore batterle forte, l'odio per quell'orrendo alter ego di Dominik che non avrebbe mai voluto rivedere, la paura per lui mescolati ad un amore perso e titubante. Non sarebbe mai stata in grado di scegliere tra i gemelli, mai. Non se quella scelta avesse portato alla pazzia l'altro.
Quello di Dominik non era un ordine e né una disperata richiesta, a me sembrò come un commento rassegnato.
Ilona ammutolì, indurì lo sguardo e fece un passo indietro, come se nello stesso momento stesse dicendo "se vuoi fare una cosa la farai da solo, senza di me". Dominik restò basito per un secondo, così anche io, poi mi infilò le unghie nella carne del polso e strillai. Lo insultai e agitai il mio pugno all'aria, sbattendolo contro il suo braccio nella speranza della libertà. Lui mi guardò trionfante, ritrovando il suo bel ghigno.
Il professore, aizzato da quell'improvvisa folla e dai continui strilli, corse dall'altro capo del laboratorio verso di noi con aria angustiata. Non sapevo il nome di quell'insegnante, ma era alto ed esile, troppo per sperare di contrapporsi tra i gemelli Petronovik. Lui aprì la bocca non appena vide due suoi migliori studenti, uno per terra con la guancia arrossata e l'altro sopra di lui, con la mano serrata attorno al mio debole polso.
Urlò qualcosa di indefinito a Dominik e lui non si mosse. Tentai ancora di liberarmi, credendo che a quel punto si calmasse e lasciasse perdere, ma il professore dovette strapparmi a forza dalla presa di Dominik per farmi allontanare da lui. Un'altra mano mi afferrò per la vita e mi trascinò indietro. Gorka mi fece passare le mani attorno alle braccia e mi strinse a sé, mi ritrovai attaccata al suo petto che odorava di colonia e arancia mentre Dominik ci lanciò uno sguardo ambiguo, sorridendo.
«Si può sapere perché vedo suo fratello seduto per terra mentre lei è qui, crogiolandosi nel nulla, Petronovik?» lo interrogò astioso il professore, dando un'occhiata ad entrambi. Nessuno rispose. «Qualcuno mi vuole gentilmente spiegare cosa succede qui, o devo forse dare una punizione a tutti i presenti?»
Qualcuno borbottò nervoso e dei ragazzi sgattaiolarono via dall'aula di nascosto.
«Allora?» continuò. «Non hai nessuna spiegazione, Petronovik? E dire che in aula hai la lingua parecchio lunga.»
«Ho solo dato un pugno a mio fratello» rispose noncurante Dominik.
«Posso sapere il motivo?»
«Perché è stupido. Legittima difesa contro la stupidità» esclamò con voce piatta.
«Petronovik, in presidenza! Subito!» gli urlò contro con severità, ma nemmeno Dominik aveva voglia di scherzare o perdere tempo. La questione per lui era già andata troppo per le lunghe.
«No» gli rispose semplicemente. «Io da qui non mi schiodo. Devo parlare con il mio fratellino, prima.»
Non ebbi nessun particolare pensiero. Non sentii le mani di Gorka su di me né l'odore di olio e ruggine in quell'aula, se non che non mi sarei mai permessa di rivolgermi ad un professore con quel tono superiore e saccente. Era il suo, molti lo sapevano, ma Dominik e Michael dovevano ancora sottostare alle regole della scuola: anch'essa dopotutto aveva un sistema gerarchico, dal preside fino agli alunni di minor conto.
«Vuoi che ti trascini io?» lo mise in guardia.
«Se ci riesce...»
Il professore lo afferrò per un polso e lo tirò in avanti, girandosi verso la porta, credendo bene che opponesse forza o si mettesse a contestare nei peggiori modi. Invece non lo fece. Trattenne il fiato per cadere su di lui, travolgendolo per il peso ed entrambi caddero per terra. Dominik ebbe un atterraggio morbido, mentre il professore sotto di lui si affannò per cercare l'aria e gli occhiali scivolati sotto un banco vuoto.
Ilona emise un gridolino e io feci un passo avanti. Gorka mi trattenne più fermamente, stringendo i denti con furia. Dominik si rialzò piano da terra e Michael lo seguì, massaggiandosi ancora il punto colpito. Doveva fargli male. Dominik era in grado di farne molto con i giusti stimoli. Io ne avevo avuto una prova tangibile, più volte. Non sapevo chi dei due l'avrebbe avuta vinta sotto l'occhio del preside o se entrambi avevano fatto abbastanza per meritare l'espulsione da quella scuola privata, quindi, per sicurezza, Michael strinse in una mano una chiave inglese metallica. Dominik, un po' in difficoltà, strinse i pugni vuoti.
Guardai entrambi con gli occhi appannati di paura e lacrime.
«Che cazzo ti prende?» strepitò Michael e il fratello roteò gli occhi, esasperato.
«Dillo tu a me» lo canzonò. «Dimmi perché mi vuoi fregare.» Michael strinse lo sguardo verso di lui e si mise sull'attenti, non abbandonando la sua arma. «Perché vuoi rubare qualcosa che sai che è mio, si può sapere? Noi due abbiamo sempre condiviso tutto, ma alcune cose no... no, quelle sono mie e basta... tu non puoi toccarle... non puoi averle... non tu! Tu sei solo... il mio fratellino...» farneticò.
Michael mi guardò e poi inquadrò il fratello. Cercò di capire, fallendo, il ragionamento e i collegamenti insensati del fratello maggiore. Alla fine scosse la testa, sconfitto.
«Sei matto» giudicò.
Dominik urlò forte. Un urlo rabbioso, simile ad un leone in cattività chiuso in quattro muri troppo piccoli per contenere il re di tutta una foresta. Si prese i capelli tra le mani e li tirò con collera, fece un giro e mi indicò più volte, puntandomi un dito contro.
«Lei è mia, pezzo di merda! È mia, mia, mia! Solo mia! Appartiene a me! Lei scopa con me, solo con me! Tu non devi toccarla, chiaro? Sei stupido! Siete stupidi entrambi! Non capite un cazzo di niente! Bestie! Bestiacce, ecco cosa siete! Ti ammazzo...» ripeté con biasimo, prendendo fiato «Dio, come ti voglio ammazzare in questo momento, Mickey.»
Michael fece una smorfia e Dominik si scagliò su di lui. Il più piccolo riuscì ad alzare il braccio e a colpire Dominik, il quale rotolò a terra in ginocchio con uno sguardo truce. Non lo aveva colpito in testa, mi tranquillizzai, ma sul braccio. Michael non voleva farli male, lo capivo dai suoi occhi pieni di ansia.
«Stai calmo» fece serio Michael, alzando una mano per dirgli di fermarsi.
Dominik scattò e lo caricò di peso, schiacciandolo contro un armadietto là vicino. Il colpo fu devastante. Michael boccheggiò e gli mancò un respiro, Dominik sgattaiolò via, avendo subito un colpo alla mano sinistra, su quella malridotta. La guardò, come per assicurarsi che il taglio fosse ancora cicatrizzato e senza sangue attorno.
Michael guardò il fratello e gettò la chiave inglese a lato, in segno di resa. Dominik rizzò la schiena, attento a quel gesto incauto. Rimasero zitti per qualche secondo, respirando.
«Calmati, ora. Prova a calmarti!» ringhiò Michael.
«'Sto cazzo, chiudi il becco.»
«Non voglio fare a pugni con te.»
«Oh» rantolò falsamente Dominik, mordendosi il labbro. «Sei così carino quando provi a fare l'intermediario, una vera delizia.»
Lui sospirò. «Non so cosa sia successo per farti dare di matto, ma ascolta fratello, ora calmati e parliamo con calma, okay?» Dominik allargò le narici, carico. «Preferisci forse continuare a dare di matto e non farmi capire il tuo problema, è questo che vuoi?»
Dominik si calmò, o almeno mi parve. Come con il padre, la sua schiena e le sue spalle si abbassarono, i pugni si ammosciarono lungo i fianchi. Chinò pentito la testa, negando. Michael si strofinò la fronte e si pulì dal sudore e dallo sporco, visibilmente sollevato.
Io ero spaventata, sull'orlo delle lacrime, e stringevo forte la camicia di Gorka sotto le mie unghie. Lui non mi badava, era interessato alla scena e che non mi cacciassi in qualche guaio così da rovinarmi il viso. Ilona era impassibile sotto il suo velo di imbarazzo.
Pregai Dio. Lo feci davvero. Gli chiesi che nessuno dei due gemelli si facesse del male, non più, che smettessero di litigare e tornassero i ragazzi stupidi e spensierati di una volta. A Sydney i problemi non esistevano, c'ero io e c'erano loro, due mondi a parte che si divertivano a farsi la guerra e poi a mangiare la pizza stesi sul divano insieme. Ora la guerra era reale, io ero un soldato, una spada e la causa.
Avrei dovuto sottostare a Dominik, mi dissi con impeto. Se io il giorno prima fossi andata con lui, se lo avessi soddisfatto, in quel momento non sarebbe stato tanto collerico con il fratello per un nonnulla, per una mia richiesta nata dal suo dispetto. Ero una proprietà di Dominik, me lo aveva dimostrato e detto più volte, e non solo lui. Avevo il suo marchio addosso, me lo sentivo impresso sulla pelle interna del corpo. Ero una cosa, una essa, non Chanel. Come tale non avevo diritto di provare sentimenti così grandi e pieni verso un altro, specie verso suo fratello minore. In tutti i modi, Dominik poteva decretare la mia morte o vita se avesse veramente voluto. Mi avrebbe ceduta solo a Gorka, una volta sposati entrambi, quando avrebbe avuto un giocattolo migliore.
Non cambiava niente. Le mie parole erano colme di glicerina per le sue orecchie e Dominik era pronto ad esplodere. Sarebbe stato meglio se fossi rimasta a casa, ad accontentare in quel modo entrambi. Non volevo vederli litigare.
Me ne fregai. Pensai a me stessa. Michael mi piaceva.
Guardai Michael e incrociammo lo sguardo. Lui emise un debole sorriso e fu come vedere una candela spenta, con tutta la cera colata, che lentamente riprendeva in mano la sua piccola e tenera fiammella rossa, la stessa che scoppiettava nel mio petto.
Michael mi domandò: «Stai bene?» e questo fu l'errore fatale che fece scattare Dominik come un matto verso di lui.
Michael rimase immobile, pronto a ricevere un altro pugno distruttivo e non provare a schivarlo o a contrattaccare. Calpestai il piede a Gorka e lui aprì le braccia, lasciandomi l'opportunità di correre verso di loro e mettermi in mezzo. Dominik si fermò in tempo e, sbilanciandosi, non mi sfiorò nemmeno. Il suo viso era rosso come il mare di fuoco del tramonto dell'Australia, impresso nei suoi occhi c'era unicamente la follia di aver perso un qualcosa che credeva suo, sotto il naso, da un suo famigliare, il più caro.
«Spostati» mi ordinò lui. Scossi la testa decisa. «Spostati, ho detto, o sarai la prossima.»
«Non farle male!» urlò Gorka in panico e la frase che tradussi fu "non rovinarla".
Dominik guardò Gorka e poi me, indurendo i suoi occhi azzurri sui miei più scuri. «Hai sentito il principe azzurro? Spostati, o vuoi che te ne dia un altro? Ieri non ti è bastato? Calati i pantaloni e vai da lui, donna. Qui mi sei d'intralcio» finì. Aspettò. «Be'? Oltre che stupida sei anche sorda? Torna in classe, ti ho detto.»
«No» mi uscì subito, quasi sottovoce.
«Cosa?»
«No.»
«Va' con Gorka.»
«Non vado da nessuna parte, se vuoi colpire Michael allora passerai prima su di me.»
Gorka emise un lamento insoddisfatto, preoccupato della mia incosciente intromissione. Di sicuro era l'ultima cosa che si aspettava da me e me ne avrebbe dette quattro, come al solito, su ogni mia stupida e sciocca decisione. Non lo sopportavo.
I pochi ragazzi rimasti, compresi gli amici di Dominik e Ilona, lo guardarono con gli occhi fermi. Il ragazzo davanti a me mi gettò un'occhiata storta, insultandomi mentalmente, dopodiché, data la mia irremovibilità, colpì un rottame vicino ai suoi piedi, facendolo volare via rumorosamente. Lanciò dei pugni a vuoto e io indietreggiai istintivamente, inciampando nei piedi di Michael, il quale stava assistendo passivamente a quella scena.
«Che troia infame! E io che...!» continuava a ripetere Dominik in preda alla furia. «Io vi uccido entrambi... lo vedrete...»
Michael mi appoggiò le mani sulle spalle, spingendomi dietro di lui. «Ora ho capito» mormorò lui.
«Oh, ma che bravo.»
«La vuoi?» Dominik sogghignò. «Non la toccherai. Non questa volta.» Michael scosse la testa e io ripetei il gesto, sapendo già cosa sarebbe toccato loro una volta lanciata la sfida. Non potevano rifiutare. Michael lo faceva per me, Dominik per se stesso, per il suo orgoglio. Perdere era inammissibile, una possibilità arcana e remota. Gilbert li aveva educati in quel modo. «Non te lo permetterò.»
«Quindi vuoi sfidarmi, fratellino? È così? E dire che pochi mesi fa mi bastava dire una parola affinché tu facessi quello che ti chiedevo senza osare ribattere. Le cose cambiano, ahimè, come la tua testolina del cazzo. E tutto per colpa sua!» cantilenò con dileggio. «Scommettiamo allora. Hai sempre difeso la tua macchinina, che ne dici di metterle in palio?»
«Una gara?» lo interrogò Michael.
«La tua Alfa contro la mia Porche. Alla vecchia autostrada alle otto, solito posto. Chi vince si prende tutto, ci stai?»
«Cosa stai dicendo?» mi intromisi io scocciata e piena di vergogna. «Io non sono mica un trofeo che si può vincere con una gara! Non puoi decidere per me!» mi impuntai impassibile.
«Oh, lo vedremo, mia cara. Dopo che avrò vinto ti taglierò la lingua, sono stufo dei suoi capricci da bambina isterica e almeno così nella tua bocca ci sarà più posto» mi minacciò scontroso, sistemandosi accuratamente il ciuffo ribelle lontano dagli occhi. «Vedremo dopo alcuni giorni passati in quella camera come muterà il tuo comportamento, lo vedrai bene.»
Aprii la bocca con sconcerto, guardandomi i piedi con imbarazzo palese. Le mie guance, il mio collo e le mie orecchie erano in fiamme. Non ci credevo. Se fossi stata in un cartone animato avrei avuto del fumo che mi usciva dalle orecchie, come un treno a vapore.
Una risata stridula e divertita proveniente dalla porta attirò l'attenzione di tutti, compresa quella dei gemelli. Hergò fece capolinea come l'ombra oscura di un fantasma, la pelle pallida. Dimitri non c'era, stranamente.
«Cazzo, sì! Finalmente un po' di sana competizione tra questi succhiacazzi! Non vedo l'ora di vedere questa famosa gara, voi russi siete un fottuto sballo! Accettate allora? Voglio divertirmi» li canzonò e Michael espirò furiosamente, il suo fiato caldo sul mio collo.
«Voi non...»
Dominik sorrise. Lui aveva già accettato da tempo. Mi voltai verso Michael, implorandolo di non farlo. Non volevo che si facesse del male, ero pronta a rinunciare ai miei sentimenti verso di lui purché rifiutasse quella pericolosa sfida e tornasse a casa con me. Non mi interessava chi vinceva, decretare così un amore non aveva senso, eppure loro erano maschi alfa e Cordelia in fondo aveva ragione: erano scimmioni arroganti senza civiltà e rispetto.
Se stare con Michael avrebbe implicato il sopportare e l'assecondare Dominik nelle sue richieste avrei accettato. Non volevo vederlo ferito, non a causa mia. Sapevo già che teneva a me e che, a costo di difendermi, avrebbe rischiato la sua vita. Ma nel senso letterale era troppo.
Il nobile cavaliere che sfidava il drago sputafuoco per la sua principessa era molto romantico, ma non avrei mai accettato il pericolo di vederlo arrostito nelle fiamme dell'inferno.
«Di' qualcosa, per favore...» lo pregai, stringendogli la mano.
«Ci sto» disse semplicemente.
Lo lasciai con orrore e risentimento. Michael mi guardò con fare rassicurante, come se mi stesse dando un tenero ed innocuo saluto. Lo detestai in quell'attimo, la sua bugia, il suo bisogno di farmi sentire a mio agio in tutto, senza colpe.
Ilona mi fissò impassibile, quasi delusa mentre cercava di non guardarmi.
«Lo spettacolo è finito. Gorka, ti dispiacerebbe accompagnare nostra sorella a casa? Le sue lezioni oramai sono finite» puntellò Dominik energicamente, alzando le spalle. Michael non obiettò, cosa che mi fece innervosire ulteriormente. Era proprio uno stupido.
Gorka mi afferrò il polso e mi tirò con sé, uscendo di corsa, quasi correndo, verso l'uscita della scuola. Portò la mia borsa e ci ficcò entrambe sulla sua macchina senza che dicessi niente. Non mi avrebbe comunque dato ascolto. Per tutto il viaggio fino a casa non mi degnò di una parola, borbottò tra sé parole in russo incomprensibili.
«Grazie per avermi accompagnata» dissi, nel momento in cui spense il motore davanti a Villa Petronovik. Lui restò muto e io mi morsi un labbro, convinta di dovergli parlare ancora. Non sapevo cosa dirgli né fino a dove aveva sentito.
«Entro anch'io» mi apostrofò.
«Perché?» chiesi titubante.
«Gradirei proprio un bel tè caldo. Oramai non posso più entrare a lezione per colpa tua.»
«Scusa.»
Lui grugnì. «E poi tra poco quella casa diventerà anche mia, quindi penso di avere tutto il diritto di entrare quando cazzo mi pare, no? O credi di dovermi dire anche dove posso o non posso stare?» gracchiò.
«Fa' quel che vuoi» lo assecondai, scesi, presi la mia borsa ed entrai dentro casa.
Lui mi seguì, facendo scattare il click del blocco delle portiere.
Ad accoglierci venne Babushka, impettita perché non sapeva tornassi in compagnia. Restò senza fiato per alcuni secondi, poi arrossì, si scusò e fece dei complimenti a Gorka, il quale li accettò volentieri, gonfiando il petto con orgoglio.
«Ha accompagnato la signorina a casa, è stato un pensiero gentile. Ma come fate con le lezioni? Potete...»
«Ho preferito stare con lei. Di certo Chanel vale più di due ore passate in un laboratorio. Intendo passare con lei ogni mio momento libero e non» proferì serio e Babushka quasi trattenne le lacrime di gioia.
«Posso offrirvi qualcosa?» domandò la donna, grata della sua presenza.
«Del tè per entrambi, grazie» ordinò Gorka velocemente.
Roteai gli occhi, senza perdere tempo a ribattere. Quando Babushka si girò provai ad approfittare del suo momento di distrazione per svignarmela ed andare a vedere come stava Krolik, tuttavia mi intercettò velocemente e con un paio di segni bruschi mi ordinò di stare con il mio futuro fidanzato, di intrattenerlo privatamente nel soggiorno e di non buttare al vento la sua venuta. Il mio piano andò in fumo e così mi trascinai stancamente dietro Gorka in salotto.
Lui si sedette comodamente sul divano senza chiedere il permesso e si guardò intorno con aria studiosa. «Qui è veramente molto bello» adulò. «Si sente l'odore di libri e legno, una vera delizia. Come te.»
«Allora forse è meglio che ti lasci solo a contemplare questa bellezza» commentai ironicamente e lui mi zittì con un'occhiata.
Sospirò stancamente e si tirò indietro sullo schienale, incrociando le braccia. «Cordelia mi aveva detto che eri pentita, che volevi continuare a stare con me e che eri pronta ad andare oltre, magari anche a cambiare atteggiamento. Adesso penso che lei sia una bugiarda e tu una stupida.»
«Sì, hai ragione» dissi, alzando le spalle.
«E io ci sono rimasto fregato, accidenti...» parlò a sé. «Il tuo patrigno è molto bravo, ma questo lo devi sapere anche da sola. Ho accettato di stare con te solo perché me lo ha chiesto mio padre per fare un piacere a Gilbert. I soldi di certo non ci servono. Bastardo carismatico!» ridacchiò.
«Quindi mi stai dicendo che non mi vuoi?» domandai, alzando un sopracciglio.
«Ovviamente no. Non ti voglio, non mi piace il tuo comportamento senza rispetto e la tua parlantina a sproposito, ma in generale sei molto carina e mi faresti comodo. Se credi che me ne starò qui con le mani in mano mentre la mia fidanzata si lascia aprire le gambe da tutti sbagli di grosso! Sei solo una troietta senza futuro, ma che vuoi? E osi lamentarti!» osò.
«Nessuno ti obbliga a stare con me!» ringhiai.
«No, è vero. Potrei rompere il fidanzamento e prendermi una ragazza migliore, una che sa certamente sfilarmi i pantaloni, ma non voglio farlo. Se questo ti farà star male, ti farà odiarmi, lo farò. Non credere di poter rimanere con quell'atteggiamento una volta sposata con me, faremo i conti, anche subito. Non mi metterai i piedi in testa, non tu.»
Babushka entrò con un vassoio e due tazze di tè al limone fumanti. Un dolce profumo zuccherato seguì la scia della donna e, appena lasciò la stanza con uno sguardo dubbioso a me e al ragazzo troppo distanti, il profumo si propagò in fretta.
«Vieni a sederti vicino a me per una tazza di tè?» mi propose Gorka gentilmente.
«No, quel tè non mi piace. Puoi berlo tu, io non ho sete.»
«Sei veramente crudele e io che volevo ci coccolassimo un po'. Sarebbe stato meno imbarazzante così chiederti cosa sono quelle stronzate che ha sparato Dominik in laboratorio sul vostro conto. Ci vai a letto? Quindi è lui il fratellastro con cui dormi ogni notte, sotto il mio naso?» mi interrogò senza cattiveria, assaggiando il suo tè e scottandosi la lingua. Fece un sospiro soddisfatto che non interpretai.
«Ciò che faccio o non faccio non deve di certo riguardarti, Gorka. Tu non mi ami e io non amo te, se è solo un matrimonio di interesse potrei pensarci, ma comportarmi da moglie con te non se ne parla. Qui sei fuori posto» dissi seria e composta, fissandolo.
Lui ammutolì, mi studiò e poi ridacchiò. «Quello sguardo è uguale a quello dei Petronovik! Potrei perfino scambiarti per una di loro! Allora è vero quando si dice che la mela non cade lontano dall'albero, sei molto simile a loro in fondo. Interesnyy!» rise divertito. «Sai chi mi ricorda? Michael. Avete lo stesso modo di guardare le persone e non credere che me ne sia accorto solo io. E così è quel genere che ti piace? Mi sorprendi. Non ti credevo così troia» mi insultò.
«Te l'ho detto,» replicai ancora «non sai molte cose su di me. Potrò anche essere una troia ai tuoi occhi, in ogni caso tu continui a farmi più ribrezzo dei gemelli.»
La sua mandibola iniziò a palpitare e strinse le dita tra loro, forte, intimandomi di smettere di parlare. «Credevo di sposare una verginella infame e ora mi tocca subire questo...» gracchiò, saltò in piedi e venne verso di me, prendendomi una mano e tirandomi vicino a sé. «Sei davvero un'egoista! Ti ho accompagnata a casa, ti ho difesa da quei due coglioni, ti sono rimasto vicino e tu mi guardi disgustata. Ne hai di coraggio, Chanel!»
«Non credere di farmi paura, ho passato di peggio con Dominik e Michael. Tu sei meno della metà di loro, e ora lasciami il braccio» dissi con un ghigno duro tra le labbra.
«Come ti permetti di giudicarmi? Sei solo una schifosa ragazza dal sangue marcio, quindi non osare darmi ordini! La prima cosa che farò sarà prenderti a ceffoni la prossima volta che butterai una parola di troppo con me, ti avverto. Comportati da donna e scusati.»
«Be', scusa» borbottai.
«Evita di scusarti in quel modo perché è veramente irritante. Ti credi simpatica? Lo vedremo. Gilbert non ti ha educato sui doveri di una donna verso il suo fidanzato, ma ci penserò io. Se Michael ti ha piegato alla sua volontà così tanto da metterti in mezzo ad una rissa vuol dire che è stato proprio bravo.» Mi agguantò il viso e lo avvicinò al suo, scoccandomi un bacio e gustando il sapore del mio lucidalabbra alla ciliegia. «Sei deliziosa, un vero dessert. Meglio del tè. Ti darò un ricordo per rammentarti a chi appartieni. Tu sei mia, hai capito? Che tu lo voglia o no, quindi mettiti l'anima in pace, mia cara ragazzina.»
«Quindi non vuoi sapere cosa io e i gemelli facevamo di nascosto in camera?» buttai lì.
La sua presa si rafforzò sul mio collo e per degli attimi mi tolse il fiato, gli occhi fiammeggianti di collera. «Questa me la paghi, sul serio. Tu ti diverti ad illudere gli altri, e non so nemmeno se questa è una domanda o un'affermazione... Devi valere un sacco per far sì che due come i Petronovik litighino per te, ecco perché non intendo lasciarti» mi spiegò. «Approfitterò di te, del tuo nome, del tuo bel faccino e del tuo corpo a mio piacimento. Saremo felici se tu imparerai le mie regole.»
«Vuoi stare con me... anche sapendo ciò che...»
«Fai ciò che vuoi, non me ne importa. Si noterà meglio la tua espressione triste e deturpata quando verrai con me, lo noteranno tutti. Chissà come mai vedere le facce rotte dalla paura mi fanno eccitare tanto. Tu più di altri. Non farti strane idee, non mi piaci tu. Le cose come te, quelle rotte e marce, non mi interessano.»
Mi lasciò, facendo un passo indietro.
«Vuoi rovinarti la vita per me?» chiesi, sbattendo gli occhi.
«Debbo, purtroppo!» recitò, unendo le mani in una posizione teatrale. «Se nessun altro ti vuole devo essere io a prenderti. Non che mi dispiaccia totalmente, hai i tuoi lati positivi, ma... di certo non vali una vita passata a essere devoto a te.»
«Capisco. Un dispetto» affermai.
«Ci sei arrivata, finalmente!» gioì.
«E tu ci guadagni.»
«Il nome, i soldi, i titoli e una fetta d'azienda, senza contare i nostri figli» contò sulle dita e me le mostrò.
«E io rimango fuori...»
«Già» esclamò. «Di solito dei bambini fanno molto felice una donna.»
«Te l'ho detto. Non voglio avere dei figli con te, ti odio.»
«Lo dirai direttamente a loro, ovviamente ne avremo cinque o sei.»
«Cinque o sei?» mi agitai.
«Bambini, ovvio.» Aprii la bocca, pronta a rispondere, ma lui proseguì: «Se non ti stanno bene le mie scelte, allora trovati un altro pretendente più facoltoso di me. Di sicuro non c'è! Perciò accontentati. Se troverai un ragazzo migliore allora mi toglierò felicemente di torno, fino ad allora sta' al tuo posto. Non hai alcun diritto per respingere le mie decisioni o i tuoi doveri di donna. La prossima volta riscuoterò il giusto prezzo, spero mi farai vedere le prelibatezze dei Petronovik di persona al piano di sopra» gongolò e io pensai: "Sì, magari potrei conficcarti uno dei pugnali del mio patrigno in gola".
Quando le ore cominciarono a passare, mi resi conto che Michael e Dominik non sarebbero tornati a casa. Mi chiesi se qualcuno li avesse trattenuti fuori di casa apposta per non farli incrociare con me o se il preside li avesse messi in punizione a vita. Avrei potuto farli cambiare idea, ma non sapevano quanto sarebbe stato difficile e poi a che prezzo?
Aspettai a Villa Petronovik con ansia l'arrivo di Ilona, verso le otto.
L'ora tra le cinque e le sei fu una tortura. Mangiai dei biscotti, ma quasi vomitai.
Quella tra le sei e le sette fu anche peggio. Provai a fare dei compiti, ma quando mi resi conto che il dominio matematico che stavo scrivendo si era trasformato in un spastico disegnino di un incidente stradale, smisi.
A cena non mangiai e trovai una scusa convincente per l'assenza prolungata dei gemelli e il mio cambio di umore. Per fortuna Babushka non si immischiò più di tanto e, appena Ilona arrivò con Millicans nel vialetto d'accesso, mi infilai la giacca e corsi nell'androne d'ingresso. Babushka mi corse dietro e al suo capezzale vidi Gilbert. La sua espressione era rilassata, del tutto serena e priva di pensieri negativi su di me. Aveva saltato completamente il giorno prima, il mio compleanno, e faceva finta di aver dormito troppo.
Gilbert indossava uno dei suoi abiti per casa, impeccabile, ma meno formale. In mano aveva un bicchiere di vino rosso e un piccolo pacchetto in mano.
«Vai a giocare fuori casa, Chanel?» mi domandò lui, camminando da me.
Lo guardai impensierita mentre nella mia testa mi chiesi se fosse il caso di informarlo su ciò che i suoi figli avevano in mente di fare alle sue spalle. Come ogni volta non gli sarebbe interessato nulla, ma forse un possibile pericolo gli avrebbe finalmente fatto aprire gli occhi. I Petronovik erano soliti scambiare le loro possibilità economiche con l'immortalità.
«Esco con Ilona» lo informai con voce spenta.
Lui sogghignò. Non notò niente di diverso in me e fece l'esatto errore dei gemelli. Dominik e Michael mi avevano guardata come se in un giorno avessi potuto completamente cambiare faccia e comportamento. Il fatto che non successe fu la tranquillità di Gilbert.
«Oh, bene, bene, mi fa piacere che tu ti sia fatta delle amiche. È raro odiarti, ma quando vuoi puoi essere proprio insopportabile. Mi spiace di non essere stato presente alla tua festa, ma avevo altre questioni di maggiore importanza. Ti ho fatto un bel regalo di compleanno, lo vuoi vedere?» Sventolò il piccolo pacchetto in aria e il fiocco azzurro sventolò da destra a sinistra. «Voi donne amate le cose che luccicano, ho pensato, ma tu per me sei più una cagnetta viziata e ho pensato che un oggetto di quello stile sarebbe potuto andare a braccetto con la tua indole» scherzò.
Non persi tempo a riflettere se era tutto uno scherzo o no. «Non ho tempo, lo aprirò dopo.»
«Te lo metterò in camera, allora. Pensa a me quando lo userai, piccolo tesoro.»
Mugugnai con fretta. Al di là della porta Ilona fece rombare il motore di Millicans e fu come se mi urlasse di darmi una spicciata. Babushka zampettò vicino a Gilbert e con tono accusatorio mi bloccò sull'uscio, imponendomi di ringraziare il mio patrigno per il regalo, per il suo tempo e i suoi pensieri. Lo feci e me ne andai.
Gilbert mi aveva regalato un guinzaglio per cani rosa con dei lustrini.
Non sapevo dov'era la vecchia autostrada né come avremmo fatto ad entrarvi.
Era fuori città, perlomeno in un tratto meno trafficato dove per strada a quell'ora, con le luci delle stelle già vive, c'erano soltanto dei vecchi senzatetto e gatti randagi. La vecchia autostrada era un pezzo di strada lungo due miglia e mezzo, a tratti senza asfalto. I sassi per terra si univano a pezzi di catrame, erba e sterrato in una mescolanza pericolosa. A primo impatto mi parve una strada chiusa per ristrutturazione, ma era così dapprima che i gemelli venissero al mondo ed oramai era un ritrovo comune per tanti. Il lucchetto era già stato rotto e la grata era stata aperta.
Nello spiazzo principale, munito di vecchi caselli piccoli come cubicoli, avevano parcheggiato una trentina di auto e moto. La musica che proveniva dalle casse interne risuonava tra il vuoto e il buio di quella penisola staccata dalla grande San Pietroburgo.
Quando Ilona parcheggiò e mi tolsi il casco, immediatamente la gente ululò e fischiò più forte, eccitata. I ragazzi erano euforici, gridavano, saltavano a ritmo di musica e dipinsero all'inizio della carreggiata – nel pezzo migliore, s'intende – una lunga striscia di partenza dal color verde acido. L'esaltazione e l'agitazione erano palpabili nell'aria, sentivo odore di polvere e sudore. In Russia ogni sfida era valida, si amava la competizione e che fosse stata di cavalli, cani o auto tutto era ben accetto agli occhi di tutti, partecipanti o spettatori. Di certo una sfida del genere non era nuova, ma il fatto che a gareggiare fossero proprio i gemelli Petronovik era una questione completamente diversa. Loro, i famosi gemelli, che avevano quasi scatenato una rissa per me, la loro quasi sorella, doveva riscuotere molta curiosità e, infatti, non mancarono gli applausi al mio passaggio.
«Senti,» mi disse Ilona, bloccandomi per la manica della giacca «io non ho idea di quello che è successo tra voi, non sono fatti miei...» e si bloccò.
Doveva voler continuare la frase con un "ma" o un "però" e invece non ebbe la forza di proseguire ed evitò i miei occhi, come se le avessi fatto un torto. Ciò che Ilona temeva era che potessi arrecare male ai gemelli, i suoi amici fin dall'infanzia, o arrivare a metterli in competizione con l'altro. La gente doveva smettere di credere che odiavo Dominik e Michael. Non era così. Volevo proteggerli.
Con i rombi accesi di due nuovi motori, decine di braccia si alzarono verso il cielo e mille bocche urlarono. C'era troppa folla, ma riuscii a intravedere le auto dei gemelli, appena arrivate sulla pista.
«Spero non si facciano male» borbottò Ilona.
«Hanno mai corso qui?» domandai.
«Non uno contro l'altro e non con vere intenzioni» mi avvisò. «Pensi che ci ripenserebbero?»
Non lo sapevo, ma feci il giro della folla e tentai di avvicinarmi ai ragazzi. Li vidi di striscio: si stavano parlando sul ciglio della strada, annuivano e si scambiarono dei gesti veloci e per me incomprensibili. La luce notturna li fece sembrare due sagome scure e solamente pochi lampioni, intervallati a molti metri di distanza dagli altri, illuminavano il perimetro della strada. Non c'erano linee o segnali a delineare la strada, una lieve foschia notturna invase i piedi della strada, facendo assomigliare la vecchia autostrada ad una pista piena di fantasmi.
C'erano due macchine sulla striscia di partenza, un'Alfa Romeo 4C rossa fiammante e una Porche Hybrid. Ero sicura di aver già visto la Porche nel garage interno di Gilbert, era nera e si mimetizzava perfettamente con il buio della notte. Di sicuro era uno spiacevole punto a fare di Dominik.
«Michael!» gridai e nella furia si girò, benché fossi immersa nella folla. Si guardò in giro e alzai le braccia, saltando e sbracciandomi. «Sono qui! Mike!» strillai.
Hergò mi prese in braccio e mi caricò sulla sua spalla. «Oh, su, su! Quanti strilli per niente! Vuoi far finire la festa così presto, jīnfā?» mi apostrofò divertito e mi trattenne su di sé, facendo ridere molti dei presenti.
Michael strinse duramente le labbra a quel gesto provocatorio, avanzò, ma Dominik si mise in mezzo con aria contrariata. Si sarebbe immischiato solo il vincitore.
«Michael! Mollami, Hergò, dico sul serio! Tieni le mani lontano da me!» lo avvisai a denti stretti.
«Che caratterino! Dove le devo tenere le mani?»
«Non lì! Dannazione, mettimi giù ora!» tuonai agitata, per metà sulla sua schiena. Avevo lo stomaco premuto sulla sua spalla e mi stava facendo davvero male.
«Non prima dell'inizio della corsa, dolcezza! Speri ancora che si fermino? Hai un cuore d'oro, purtroppo non voglio lasciarti rovinare questa serata. Tra un po' sarà tutto finito e tu potrai tornare felice dal nostro caro vincitore, chiunque sarà!» cantilenò.
«Dio, Dominik!» lo chiamai e chiaramente fece finta di non sentirmi nel mentre diede le ultime istruzioni a Cordelia, la quale lo guardava con occhi brillanti, fieri e del tutto superficiali.
Lo chiamai ancora, più volte, ma non ottenni niente. In cuor mio sperai che Dominik rinunciasse a quell'inutile sfida, che almeno ci ripensasse o meditasse sui possibili rischi connessi al loro orgoglio da primedonne ferite.
«Ascoltate, gente!» urleggiò Cordelia, alzando una mano a coppa sulla bocca. «Un giro completo, questa è la regola! Al mio via si corre fino all'uscita, si percorre la rampa e si torna indietro. Chi taglia per primo il traguardo è il vincitore, ci state?»
Dominik e Michael annuirono e montarono sulle loro rispettive macchine, nonostante i miei strilli di sottofondo contrari. La folla stava dando il suo consenso mentre un glorioso inno li incitava a correre per vincere. Strattonai la maglia di Hergò mentre lui mi fece saltare sulla sua spalla, soffocandomi. Mi accasciai debolmente sulla sua schiena e, appena sentii il rombo furioso delle auto, mi tappai le orecchie per lo stridio delle gomme sull'asfalto scuro.
Hergò mi mise a terra un secondo dopo e io lo spinsi indietro, lontano da me, seguita dalle risate dei presenti. Lui mi mandò un bacio volante e me ne andai contrariata. Sgomitai per arrivare indenne da Cordelia, la quale si stava sistemando il vestito sui fianchi.
«Si può sapere cosa ti è saltato in mente?» sputai collerica. «Avresti dovuto fermarli!»
«Dovresti essere contenta che quei due litighino per te, ci sono ragazze che ucciderebbero per le loro attenzioni, Chanel. Si può sapere perché non capisci proprio?» mi rispose spazientita.
«Potrebbero farsi male!»
«E io che colpa ne ho?» mi aggredì ed effettivamente le diedi ragione. «Se proprio volevi fare qualcosa dovevi intrometterti tu stessa, e non venire a fare la predica a me! Se proprio vuoi aiutarli, infilati qualcosa in gola e impara a tenere quella bocca chiusa. Dominik reagisce in quel modo perché lo attizzi, altrimenti sarebbe un ragazzo tranquillo» sibilò con le guance rosse, andando via.
La guardai, non capendola.
Nell'aria vicino allo spiazzo c'era odore di gomma bruciata e pregai che nessuno dei due avesse avuto danni. La nebbia si infoltì e le luci delle macchine scomparvero in quella densa vernice grigiastra, lasciandole sospese nel vuoto come fantasmi. I rombi dei motori erano ormai troppo lontani per essere udibili. Mi domandai, presa dalla pena, quali pensieri girassero in quel momento nelle teste dei gemelli?
Mi odiavano per averli messi uno contro l'altro? Volevano riappacificarsi e unirsi un'altra volta contro di me, come le vecchie volte? Cosa sarebbe successo una volta scelto e decretato il vincitore?
La testa mi pulsò e tornai da Ilona con un passo pesante.
«Vuoi andare via?» mi domandò preoccupata, mi sollevò il viso e mi pulì gli occhi con l'indice, togliendomi dei granuli di polvere dalle ciglia.
Scossi la testa. Non potevo andarmene via di punto in bianco. «Più o meno quanto ci mettono a fare questo giro?»
«Cinque minuti, forse poco più. La rampa è crollata anni fa e non l'hanno mai ricostruita. Devono mettersi in fila per poter passare e diminuire la velocità per poi riprenderla nel rettilineo successivo. Dovrebbero trovarsi più o meno all'imbocco adesso» mi informò.
Guardai impensierita l'angolo opposto della strada, in attesa delle luci. Provai in tutti i modi a non immaginarmi un'altra simile catastrofe, i corpi dei gemelli senza vita sul ciglio della strada, rottami sparsi qua e là e un'interminabile scia di sangue coagulato. Mi venne il voltastomaco.
Il vento tirò più forte, facendo svolazzare i miei capelli. Ilona si strinse nel suo lungo cappotto e si mise il cappuccio di pelliccia bianca sulla testa, proteggendosi le orecchie. Mi guardava e sapevo che stava pensando a ciò che pensavo io: e se avesse vinto Dominik? Chi di noi avrebbe perso di più?
Un grido strappò l'atmosfera gelida e ferma che si era instaurata nel gruppo di spettatori, tutti ammassati vicino alle macchine per ricercare il calore del motore acceso. Tutti sollevarono gli occhi e guardai Ilona con il peggiore dei pensieri. Lei sbatté gli occhi, si animò e saltò.
«Stanno tornando! Stanno tornando!» urlò. «Vieni!»
«Ma qualcuno ha gridato!» dissentii, perché ero certa che quello fosse stato il grido di una donna.
«È il vizio di Dominik quando guida! Fa sculettare la macchina senza tirare il freno a mano e quando fa una curva stretta riesce sempre ad emettere quel suono!» esclamò, mi afferrò la mano e mi tirò.
Spintonò la folla fino ad arrivare sul margine della strada, smise di respirare con la bocca per via della condensa che le appannava la visuale e rimase con gli occhi incollati sulla strada, in attesa. La prima macchina che vidi aveva un colore scuro e mi mancò un battito improvviso, poi però superò un lampione e il rosso dipinse vivamente la carrozzeria: Michael era in testa.
«Sì! Sì!» strillai forte, alzando le mani. «Michael! Vai, vai!» Io sono qui.
La gente urlò, saltò e si allontanò dalla strada principale per far spazio alla frenata. Dominik era esattamente dietro suo fratello, la sua auto quasi spariva nel buio, adattandosi alla perfezione come un camaleonte. La sua macchina aveva un'aerodinamica eccezionale, tagliava l'aria perfettamente e in fondo l'aveva guidata migliaia di volte, tuttavia quella di Michael era più leggera e il motore era più potente. Doveva averla truccata in qualche modo, poiché era la stessa auto con cui stava armeggiando quel pomeriggio a laboratorio con tanta dedizione.
Lui e i suoi giocattoli!
Non c'erano regole. L'importante era vincere. Qualcuno si aspettava di vedere una fiammata improvvisa e per fortuna nessuno dei due aveva avuto il tempo necessario per montare il protossido di azoto. In caso contrario sarebbe stato un genocidio.
Le due auto erano oramai ben visibili nel gioco di luci e ombre indotto dai pochi lampioni funzionanti. Michael era ancora in testa e mancava una curva a dividerci. Avrebbe vinto lui. Mi avrebbe portato a casa, ci saremmo stesi sul letto e abbracciati senza più problemi. Non avrei dovuto temere più nessuno, nemmeno Dominik. Sarei passata a Michael con il suo consenso, voluto o meno. Saremmo stati felici, noi due insieme.
Ilona saltò e urlò con me, improvvisamente temeraria e entusiasta.
Dominik accelerò notevolmente nel prendere la curva. Non avrebbe dovuto farlo per sicurezza e, appunto, le gomme stridettero forte e produssero nuovamente quell'orribile grido nero, riuscendo così a ristabilire una curva stretta. Michael prese la sua stessa traiettoria, fin troppo vicina all'altra auto. Scoccarono nel buio delle scintille gialle e arancioni e quel fuoco d'artificio improvviso accecò per un attimo i presenti. Sentii l'urto delle due macchine, il rumore della gomme che slittavano sul terriccio e un'accelerata rafforzata.
L'auto che tagliò per prima la riga fu la Porche nera di Dominik.
La folata che sollevo la macchina di passaggio fece volare via, insieme ai sassi e alla polvere, le mie speranze e i miei sogni si ruppero come un vetro rotto. Restai immobile al mio posto nel frattempo che i ragazzi, spingendomi per sorpassarmi, corsero a lodare Dominik appena scese dall'abitacolo.
Dov'era Michael? Perché non tornava da me?
Camminai decisa verso Dominik, mi aprii un varco forzato e lo vidi accanto alla sua macchina, in piedi tra Cordelia e un'altra ragazza bionda, a sorridere spavaldamente. Una folla lo aveva circondato, alcuni cominciarono a cantare in coro il suo nome, lasciando che il vento lo portasse via, altri ammirarono la sua auto e le ragazze si ammassarono su di lui, complimentandosi con occhi lucidi di commozione.
Gli afferrai il bavero della camicia e lo tirai verso di me.
«Dov'è Michael? Cosa hai fatto?» urlai angosciata.
Lui mi schiaffeggiò le mani, allontanandomi con una smorfia. «Niente, è stato lui a fare la curva troppo larga e a venirmi addosso. È solo uscito di strada, sciocchina. Non è successo niente di grave.»
«Questo lo vedremo.»
Mi voltai, facendo per correre via verso l'oscurità che aveva inghiottito Michael, ma Dominik mi afferrò un braccio, trattenendomi saldamente. «Dove corri? Non dai un bel bacio al vincitore?» mi apostrofò con ilarità, mimando uno schiocco volgare con le labbra.
Cordelia si mise sulle punte dei piedi e lo baciò sulla guancia. Dominik ridacchiò felice. Era quello io suo posto.
«Crepa!» Strattonai il braccio e lui mi lasciò andare via, per la strada che avevo scelto di percorrere da sola, buia e puzzolente di gomma bruciata e polvere. La gente si spostò e mi lasciò passare senza che dovessi lanciare gomitate e calci. Ilona mi aspettava in coda alla folla con l'aria colpevole. «Io vado da Michael» le dissi fermamente.
Lei annuì, non aspettandosi la mia reazione.
Per colpa di tutti i film d'azione americani che avevo visto un terrore cieco e pesante si insinuò nel profondo della mia testa, mi punse come un ago e mi fece temere il peggio: la macchina cappottata, sangue dappertutto, fumo nero e il cervello di Michael sparso qua e là come un cavolfiore marcio. Corsi senza tregua verso l'oscurità e, sul ciglio della strada, quattro segni neri e compatti di pneumatici sentenziavano un fresco incidente.
La bella macchina di Michael era ferma, abbattuta come l'ascia di un taglialegna incauto in una dura e spessa quercia centenaria, ad una specie di sbarramento di cemento. Non credevo che le luci dei fari potessero continuare a funzionare dopo uno schianto, ma era così. Scesi sul terrapieno, quasi inciampando per via dei sassi, e mi precipitai affannosamente verso l'auto. L'Alfa aveva il cofano completamente accartocciato – fu questa la prima cosa a cui pensai, ad una palla di carta accartocciata in una brutta bozza e gettata – il motore fumava e fischiava un sibilo lungo, come un lento sospiro d'aria. Là puzzava di bruciato.
Sentii uno scoppio metallico e saltai di spavento.
«Dannazione...» sentii.
Michael tossì forte, imprecò e io mi affrettai ad aiutarlo ad aprire la portiera che si era inceppata. Questa crollò ai miei piedi. Michael mi guardò, alzò le spalle e abbassò la testa per qualche motivo. A me bastò il colorito roseo delle sue guance e la sua tosse nervosa. Era vivo.
«Dio... sei vivo... sei...» mormorai con una stretta dolorosa al cuore. Le gambe mi tremolarono e dovetti reggermi sulle ginocchia per non cadere e rotolare a terra. «Meno male... grazie al cielo...» Lui non mi rispose, mosse le mani e si affannò per slacciarsi la cintura di sicurezza. «Ti aiuto...»
«Si è inceppata» mi informò meditabondo. «Qualcosa la... blocca...»
Mi avvicinai e gli presi il viso tra le mani. Aveva un taglio sul sopracciglio sinistro e una striscia di sangue color porpora gli era colata sulle ciglia brune. Lui strinse le labbra e mosse la testa per liberarsi.
«Non dovresti toccarmi...» mi disse. «Io non ho... non ho...»
«Ti aiuto... Prova a passartela sopra il braccio» intimai seria.
Lui espirò stanco, con titubanza alzò un braccio per provare a disincantarsi, ma emise un lamento di dolore e lo riabbassò subito, afferrandosi una spalla.
«Che cos'hai? Ti fa male qualcosa?»
«Devo aver preso una botta alla spalla...»
«Hai qualcosa per tagliare la cintura? Una lametta o una forbice? Devo tirarti fuori da qui!» strepitai e la mia voce si alzò troppo. Il mio tono era quasi una colpa verso di lui.
Feci per alzarmi, eppure lui mi afferrò un braccio e mi trattenne. «No, non serve. Farò da solo... Vai pure via... Vai pure da Dominik e... e...» balbettò e io strizzai gli occhi, sentendo le orbite pizzicare ed inumidirsi di lacrime. Non poteva dirlo. Non lui. «Non voglio che mi vedi in questo stato...»
Scossi la testa. «Mike, hai appena fatto un incidente, ti prego, lasciami...»
«Non voglio che mi guardi con quegli occhi» mi rispose d'impulso, stringendo i denti. «Non sono sotto shock. Dovrei essere io a proteggerti, a impedirti di cadere e tenerti per mano, ma i ruoli si sono invertiti. Ti ho delusa... e ora quello sguardo preoccupato mi fa sentire in colpa. È come se mi insultasse.»
Lo fissai inespressiva, priva di pensare a qualcosa di decente.
«Pensavo di vincere. Il motore era truccato, ma non lo avevo mai testato su una strada mista. Peccare di superbia mi ha fatto perdere e non posso più... fare... Sono stato così stupido! Volevo dimostrarti che... che tu potevi stare con me e smetterla di guardare Dominik e mio padre con timore... e Gorka... volevo tenerti lontana da lui. Non sono riuscito a fare niente di quello che mi ero imposto e non voglio trascinarti con me. Meriti di meglio e il meglio non sono io. Non adesso...» sentenziò amaro, balbettando con fatica.
Si pulì il viso con una manata rapida, si mosse sul sedile e si dibatté alla cintura, rimanendo attaccato allo schienale con una smorfia sconfitta. Arrossì totalmente in imbarazzo, non chiedendo l'aiuto che necessitava. Non servì: lo feci comunque. Non mi importò della sua decisione, della gara o del nostro stato. Che lo volesse o no, che gli servisse o meno, gli avrei sempre teso una mano per aiutarlo a rialzarsi, in quel modo avrebbe potuto stringere la mia più forte e insieme ci saremmo tenuti in piedi a vicenda, anche senza una gamba.
In quell'attimo capii quanto il mio cuore era stravolto. L'agitazione, la paura e il sollievo non smisero di percorrermi il cervello ed infuocarmi il sangue nelle vene. Stavo per piangere e non seppi nemmeno per cosa, per la consolazione di vederlo vivo davanti a me o per il rammarico delle sue parole. Mi ero innamorata così tanto di Michael senza accorgermene e, non appena misi a posto le idee e me ne resi conto, quella potenza si abbatté sulla mia mente e sul mio cuore, stritolandoli e facendoli pompare un'energia nuova, bollente. Vittoria o sconfitta non contarono niente, avevo già scelto da tempo. Fu un finalmente nella mia mente.
Con un infinito coraggio mi sporsi, gli passai delicatamente una mano sul collo e lo baciai. Lui restò immobile e le sue labbra erano proprio come me le ero immaginate: calde, morbide e sapevano di mela, di giusto e di vita.
Mi staccai piano e per farlo usai tutta la mia forza. Avrei voluto continuare a baciarlo e a confortarlo perché quando stavo con lui niente mi mancava, niente aveva così tanta importanza, né la mia vita né i miei ricordi. Mi avevano rotta, eppure Michael aveva avuto la pazienza di raccogliere i cocci al posto mio, rimetterli insieme con la colla e aggiungere nei vuoti infiniti derivati da quelle maledette crepe frastagliate se stesso. Era tutto qui ciò che io definivo amore. E mi bastava. Per sempre.
«Scusa, ma non mi interessa quello che dici. Non vado da nessuna parte, io voglio stare con te. Quindi puoi benissimo usare tutto il tuo repertorio di insulti e di cattiverie, ma io di qui non mi muovo. Quindi, per favore, torniamo a casa e facciamo l'amore.»
Quel bacio cambiò tutto. Io quelle labbra le volevo di nuovo, ancora e ancora.
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