32 Un ronzio fastidioso chiamato coscienza✔️

(Gorka Ivanov)

«Non fare la difficile ora» mi intimò all'orecchio Dominik, venendomi ancora più vicino.

Alzai le mani per agitarle e farlo allontanare da me, per darmi un certo spazio personale che io ritenevo indispensabile per la mia sopravvivenza. Lui mi afferrò una mano e mi torse un dito, piegandomi a lato con tutto il corpo e stringendo i denti per non urlare di dolore.

«Mi... Mi stai facendo male!» strepitai e nonostante non ebbi il coraggio e la forza per ribellarmi.

«Voi donne siete tutte uguali, false e odiosamente oche!» mi giudicò con uno sguardo truce. «Ho comprato quello stupido animale spelacchiato per te, ho organizzato questa buffonata pazzesca per farti sentire più a tuo agio con me, e cosa scopro? Che tutte le mie fatiche sono andate a puttane per colpa di mio fratello, che gioca a fare l'ometto di turno alle mie spalle!» mi aggredì, rafforzando la presa senza rendersene conto.

«Lui non mi ha mai chiesto niente» lo rassicurai deglutendo. «Non aveva secondi fini. Mi ha persino detto che me lo volevate dare in privato, quando tutti se ne sarebbero andati via! Non ti ha escluso!»

«In un modo tutto suo lo ha fatto» disse serio. «Non mi importava di darti quel coniglio da sola o in compagnia, le tue attenzioni si sarebbero scaricate totalmente su Michael e non tentare di negarlo. Quegli occhi li ho già visti e li ho avuti anche io prima che mio padre mi portasse via ancora tutto quello che avevo, compresa la mia famiglia. Hai gli occhi tutti innamorati.»

«Io non...»

«Sei cieca? Pensi che Michael ti amerebbe? Fammi il piacere! Tu non sei nessuno, chi mai si innamorerebbe di te? Ridicola. Mi fai quasi ridere. Non ti accorgi che Michael ti vuole tenere tutta per sé? È geloso, si vede da un miglio di distanza. Dormi con lui ogni notte e mio fratello non ha mai avuto il coraggio di rivoltarti e piegarti come avrei fatto io. È un rammollito.»

«Lui non è un rammollito!» replicai duramente e i suoi occhi arsero di rabbia.

Mi tirò i capelli e gridai, sottoponendomi a quel gioco perverso di cui Dominik andava matto. Piantai i piedi a terra, presi gli ultimi grammi di coraggio rimasti sul fondo del mio cuore e alzai gli occhi con fierezza, trattenendo le lacrime e sopprimendo un singulto. Non avrei potuto contrastarlo, ma gli avrei potuto dare l'idea che quello che provavo e pensavo io era più forte del resto, persino più di lui.

«Vedo che ti piace difenderlo particolarmente» notò. «Con me non lo avresti fatto.»

«Perché tu mi hai sporcata!» ringhiai furente tra i denti.

«Che termine grazioso. Scommetto che se ci fosse stato Michael al posto mio, quella notte, lo avresti già perdonato da un pezzo. Hai sempre avuto questa vena suicida verso di lui, anche a Sydney. E dire che lui proprio ti odiava! Sai cosa mi diceva?» rise forte, distendendo le labbra in un ghigno. Un sentimento meschino e oscuro rese quel gesto maligno, forse il divertimento là nascosto. «Mi diceva che voleva legarti, oh, in un modo delizioso nella mia immaginazione, e aprirti tante ferite qua e là, come una tela da disegnare. Se papà non si fosse mosso con Lacey, Michael ti avrebbe già fatto uno dei suoi scherzetti. Le ferite sono deliziose, permettono a qualcun altro di leccarti il sangue rimasto.»

La sua voce rimbombò canzonatoria e fredda nelle mie orecchie. Il mio cervello non accettava quelle parole. Volevo bene a Michael, compresi i suoi difetti e i suoi precedenti pensieri su di me. Dopotutto quello era il passato, c'era un continente e un oceano di distanza. La mia vita era ripartita da zero, così come quella con Michael. Lui mi aveva dimostrato ogni cosa valesse la pena di essere vissuta o imparata. Lo avevo accettato.

«Ho constato invece che l'odio che provi per me è accompagnato da uno spropositato disgusto, non so ancora a chi è rivolto, se a te o a me. Lui non ti amerà, io non ti amerò mai, cosa ti spinge a prostrarti ogni giorno ai suoi cazzo di piedi? È bastato un coniglio di merda per farti cadere tra le sue braccia soffici e bugiarde? Se era così potevo pensarci prima anche io e mi sarei goduto insieme a te mille notti di più!» esclamò, ridendo e facendosi i complimenti da solo.

«Non sarebbero serviti mille conigli a dirti che in ogni caso mi fai schifo, te lo potrei dire qui, adesso» dissi sonoramente. «Mi fai schifo.»

Dominik batté forte un pugno vicino al mio viso, schiacciando le nocche contro il duro muro rossastro dietro di me. Trasalii e mi portai le mani vicino al petto, pronta ad alzarle al minimo segnale di pericolo.

«Ti piace tanto farmi incazzare e poi piangere? Mi vuoi vedere arrabbiato per caso, perché se fosse così potrei facilmente esaudire i tuoi desideri.»

Scossi la testa e di conseguenza lui mi venne ancora più vicino, schiacciandomi con la mole del suo corpo. Le ossa spigolose del suo bacino toccarono le mie e arrossii, sentendo la morbidezza della sua pelle sopra la mia. Portavo la mia solita camicetta per la notte, quella che lui adorava, lunga e bianca. Mi lasciava scoperte le gambe e perciò, appena toccai la parete fredda, trasalii. Avvertivo il filo conduttore dei suoi pensieri affilarsi e tendersi verso di me, incontro a quella veste di suo gradimento, stata fin troppo a lungo su di me. Lo guardai di striscio, senza provare a fargli pietà: lo avrei fatto eccitare di più.

«Perché per questa notte non vieni da me» mi propose, allentando quel tono glaciale e perentorio che conservava per parlare con me «e finiamo ciò che abbiamo lasciato in sospeso quella sera del party? Sarò essere molto più persuasivo del mio fratellino.»

Mi sentii come qualcuno mi avesse compresso tutta l'aria fuori dai polmoni. Seppi che non avrei dipanato la situazione correndo e infilandomi di nascosto nel suo letto, specialmente dopo che lui stesso mi aveva spiegato la situazione in cui ero. Fare sesso con Dominik non mi avrebbe fatta tornare in Australia e nemmeno essere più felice.

«No» affermai.

Dominik strinse i denti scontento e di conseguenza mi schiacciò al muro con la mole del corpo, affondò le dita duramente sui miei fianchi e mi incastrò a sé, bloccandomi. Avvertii le guance e la saliva iniziare a scottarmi, la camicetta di garza diventare un peso enorme per il mio corpo come se fosse improvvisamente diventata un mantello di spine.

Non sarei mai riuscita a farmi amare da Michael. Provenivamo da mondi diversi, in continua battaglia e subbuglio, ma credere in lui, nei suoi caldi sentimenti, era come se facesse per un attimo fermare quel terremoto nella mia vita. Era così. Una spiaggia in cui rilassarsi e trarre un sospiro. Erano delle emozioni bellissime da provare, ma anche terribili. Non avevo mai sentito nulla di ciò, mi faceva male, eppure allo stesso tempo – conoscendo il mio stesso futuro e il suo – volevo stare vicina a Michael. Lui era protettivo, Dominik era peggio: lui provava solo gelosia.

Mi afferrò bruscamente le natiche e le strinse tra le sue dita forti, facendomi guaire di spavento, mi alzò di peso e mi ammirò in quella perfetta posa sottomessa, totalmente disponibile a lui. La mia pelle vibrò, sentendo la sua troppo vicina. Scombussolata, alzai le mani.

«Questo ti farà cambiare idea...» mi informò con malizia un attimo prima di attaccare le labbra alle mie.

Per l'impeto sbattei la testa contro la parete e le mie labbra si aprirono automaticamente in un gemito di malessere. Lui ne approfittò, le sue labbra furono contro le mie e l'impronta indelebile di quel sapore dolceamaro del pericolo, del dolore e del tradimento. Il mio cuore batté ad un ritmo più forte, credetti di stare per morire ma era solo colpa di Dominik. Tirai leggermente indietro la testa, lasciandogli prendere tutto quello che voleva da me a sua totale libertà, quello che Michael non aveva potuto avere prima, quello per cui entrambi smaniavano ma non avevano pazienza per ottenerlo. Era una gara tra loro, Michael aveva ragione. La questione di fondo era sempre la stessa: i primi e i secondi.

Io ero la terza. Il conto era facile.

Dominik inarco la schiena e sollevò il mio viso contro il suo. Chiusi gli occhi a forza, con una sensazione contraria alla bocca dello stomaco. Quella volta non era alcol, ero perfettamente sobria, era il suo odore e sapore a darmi quei capogiri inverosimili. Dapprima fu un bacio semplice, casto e violento quanto serviva a farmi capire chi comandava tra i due. Avrei potuto prenderlo in giro, urlargli contro e controbattere ad ogni sua parola, non avrei mai ottenuto niente. Lui non disperdeva inutilmente il suo rancore, lo accumulava e lo scaricava senza eguali una volta per tutte. Contro la mia volontà percepii la sua lingua toccare e accarezzare la mia, in un solo istante quel bacio si trasformò in un qualcosa di travolgente, passionale e ardente, come un incendio che divampa da una piccola fiammella gettata sopra una tanica di benzina.

Smise di stringermi forte il sedere e mi trattenne per i fianchi, solleticandomi e premendomi i polpastrelli nella carne, avvertendo al di sotto della fine camicetta l'elastico dei miei slip. Il mio corpo si contrasse per un momento, poi si accasciò al muro e, flessuoso, si lasciò toccare e baciare senza alcuna pena. Il sorrisetto che sentii sorgere tra le sue labbra mi fece capire che mi stava prendendo in giro. Il suo modo di trattarmi mi faceva morire. Non avevo mai voluto il suo odio o il suo amore, ma la sua comprensione e la sua amicizia. Più volte avevo creduto di aver fatto un passo avanti con lui, convincendomi nel dirmi che era cambiato, che era diverso dalla persona di mesi fa, la verità era che non avevo nessuna prova. Sapeva nascondere la sua indole molto bene. Come Gilbert.

Le sue mani mi percorsero e fui sopraffatta da un senso puro di terrore. Dominik voleva di più, era palese, voleva andare oltre e sempre in maniera troppo brusca. Io non ero come le ragazze russe, sicure di loro stesse e audaci. Ero l'opposto e lo sapeva anche lui. Si divertiva a usare questo mio difetto a suo vantaggio. In sedici anni avevo baciato unicamente due ragazzi.

Mugugnai, provando a sottrarmi al suo agguanto e dalle sua labbra. Scossi la testa e lui mi seguì senza indugio, premendomi al muro per non lasciami vie di fuga tattiche. Alzai le mani e con i gomiti provai a spingerlo via, a riprendere aria e asciugarmi le labbra dalla sua saliva. Dominik si staccò leggermente, guardando le mie mani con nefandezza e sfidandomi con uno sguardo malizioso e persecutorio. Io da sola non sarei mai riuscita a domare quella bestia feroce. Mi picchiò le mani, allontanandole da lui e sbatté una mano contro il muro e imprimendo un folle terrore in me. Avevo paura che mi picchiasse. La pelle delle mie mani bruciava ardentemente.

Mi baciò ancora, sollevando la testa verso la sua con un gesto brusco. Mi accarezzò i fianchi con le dita, scivolando su e giù per la schiena, facendomi salire i brividi fino al cervello. Rizzai la schiena e strinsi le dita. Il mio corpo venne scosso da perforanti fitte di eccitazione e dolore. Il buio dentro le mie palpebre non mi aiutava a destreggiarmi in quella situazione, mi faceva restare immobile, alla sua mercé, per unica colpa di quella familiare sensazione delle punte dei suoi capelli corvini sulle mie spalle, la morbidezza dei suoi polpastrelli e il sapore dolce del suo alito, come se fosse la migliore delle caramelle.

La sua mano sfiorò la mia gamba, percorrendola verso l'alto, fino a dove il tessuto bloccava la sua saliva e gli impediva di proseguire il suo intento. Aprii la bocca, sussurrando appena un «no» inutile come negazione. Mi tirò più stretta a sé, avvinghiandomi al suo corpo, e mi zittì con le sue labbra. La sua mano si spostò verso l'interno, facendo vacillare il mio equilibrio fisico e mentale.

Scossi furentemente la testa e lo spinsi. Lui aprì gli occhi, sbalordito, e tirò le labbra in un'espressione di disprezzo.

«Prova ancora a mentirmi» mi avvertì, alzando un angolo del labbro superiore.

«Io non ti ho mentito!»

Mi tirò un pugno.

Non ne avevo mai ricevuto uno, non nello stomaco, e infatti l'impeto di vomitare che ebbi e il dolore che mi fece tremare le gambe mi sconvolsero. Faceva male, davvero molto male. Non fu accompagnato da un calore o una sensazione fredda immediatamente dopo, quello che avvertii fu solo un lungo e prolungato dolore alla pancia. Non sapevo esattamente cosa esattamente mi facesse male, ma mi parve che tutta la zona si fosse immediatamente contratta.

Mi alzò per i capelli e vidi i suoi occhi arrossarsi di furia. «Hai ancora la forza necessaria per sparare balle atomiche, noto» scimmiottò con finto divertimento. «Tutto quello che ha fatto Michael lo pretendo anche io! Non sei qui per lui, ma per me. È grazie a me che fino ad adesso papà non ti abbia tagliato la gola o lasciato che qualcuno lo facesse al posto suo! Sei viva grazie a me e alla mia famiglia e tu mi prendi in giro in questo modo!» tuonò.

«Michael non mi ha mai rinfacciato niente. Sarei stata più felice se qualcuno mi avesse uccisa tempo fa, invece che dover subire queste cose ogni giorno. Puoi pensare e dire quello che vuoi di me, sei un bugiardo, un approfittatore e sei patetico. Come tuo padre» commentai acida.

Con un urlo mi scaraventò a terra e mi diede un calcio. Mi colpì la spalla per pura fortuna.

«Ma quale "Michael è buono e dolce", quale "amicizia fraterna"!» Rotolai su un fianco, coprendomi il ventre e il torace. Dominik mi mise un piede in testa, premendomi a terra. «Ecco perché vi piacete tanto, siete uguali. Sei così stupida! Il vostro futuro è già deciso! Avrei potuto averti tutta per me e mandare a fanculo mio fratello e le sue stupide parole, avrei potuto portarti in quell'appartamento e lasciarti lì legata al letto, eppure tu avresti continuato a sbraitare! Gli stupidi come te e i deboli come mio fratello devono imparare a restare al loro legittimo posto! Sotto i miei piedi!» urlò, strofinandomi la soletta della scarpa sui capelli.

Strillai con le lacrime agli occhi, raggomitolandomi in me stessa e lasciando che la paura e il dolore stillassero per me e annullassero ogni altra emozione. Mi coprii la testa e Dominik fece un passo indietro. Quando ebbi il coraggio di alzare gli occhi su di lui, lo vidi con uno sguardo perso e sconcentrato, mi fissava, ma era come se mi stesse guardando attraverso. Io ero una briciola sul suo percorso, nemmeno un sasso piccolo e appuntito. Bastava schiacciarmi per cancellare la mia esistenza. Avevo considerato vivere la mia vita qui come la peggiore delle sfide lanciatomi, ma stavo cominciando a credere che la morte era un traguardo più agognato.

Nessuno avrebbe pianto la mia scomparsa, nessuno si sarebbe ricordato il mio colore preferito o il personaggio che più odiavo nei libri di Indigo. Vivere non vuol dire essere in molti casi. Quella vita mi aveva sopraffatta. Chi ero diventata non lo sapevo più.

«Tu continuavi a urlare...» iniziò Dominik con un sussurrò forzato. Sbatté più volte gli occhi, li strizzò e mi inquadro e lentamente la linea piatta sul suo viso si trasformò in un ghigno. «Magari la prossima volta il coniglio te lo darò io in privato, sotto le coperte.»

«Signorino Dominik!»

Dominik allungò il collo e sbirciò oltre il corrimano alto del secondo piano, fece una smorfia contrariata. Riconobbi la voce di Breatha giù di sotto e ringraziai il fato del suo intervento, seppure in ritardo. Tossii, premendomi una mano sul ventre colpito, e il ragazzo marciò verso di me. Allungai le braccia, pronta a difendermi. Lui mi afferrò deciso e mi sollevò, tentandomi di rimettermi dritta decentemente. Crollai, mettendo male il piede e lui mi scrollò.

«Avanti, testa di cazzo, non è difficile» mi animò e con uno strattone mi rimise in piedi nell'attimo in cui la servetta finì di salire le scale davanti a noi. «Izlishne.»

Mi aveva appena definita inutile. Chissà perché non mi offesi? Abitudine.

Breatha prese un respiro, affaticata nel fare velocemente le scale. I suoi capelli ricciuti, che di solito le incorniciavano il viso in un ammasso aggrovigliato e tenero, erano legati in una disastrata coda, tenuta a bada da un fazzoletto grossolano sulla testa. Doveva stare cucinando. Teneva sempre quell'orrendo fazzoletto rosa e verde quando cucinava qualche prelibatezza e lei era la migliore.

Aveva il viso rosso, come se avesse appena ricevuto una pesante ramanzina da Babushka. Appena ci vide Dominik la squadrò e lei rizzò la schiena imbarazzata, pulendosi la fronte imperlata di sudore con una manica della divisa.

«Che vuoi?» borbottò Dominik innervosito. Breatha mi diede un'occhiata inespressiva e io liberai velocemente il braccio dalla morsa stretta del ragazzo, il quale strinse le dita al mio gesto. «La mia sorellina era caduta. È sbadata, come ben sai. L'ho solo aiutata a rialzarsi. Ora che hai avuto questo geniale pettegolezzo puoi dirmi perché stavi urlando il mio nome per la casa?» la interrogò.

Breatha si morse un labbro a disagio e annuì. «C'è vostro padre al telefono e vuole parlare con voi immediatamente...» riferì.

«Che? E perché vuole parlare con me? Dov'è?»

«Signorino, non ne ho idea... Ha chiamato sul telefono di casa e... credo che se rispondeste sapreste ottenere una risposta migliore della mia» si azzardò a dire e Dominik fece un passo avanti.

«Non parlarmi con quel tono inquisitorio» l'ammonì e la servetta annuì, scusandosi. «Qui è vero che la gente tende a fare quel che pare a loro... Vero, Chanel?» mi mise in mezzo e io aprii la bocca, come se dovessi difendermi di un'accusa di istigazione alla ribellione. Doveva saperlo bene, la storia non faceva altro che ripetersi, in un regno di terrore e odio il tiranno veniva sempre assassinato per primo.

«Vengo giù tra un poco, devo sistemare una questione» fece Dominik, girandosi verso di me.

Alzai le spalle in difesa, se per caso mi avesse voluta afferrare e tirare con sé. Breatha allungò le mani allarmata e si affrettò a dire: «Vostro padre desidera parlare con voi immediatamente. Non accetterà un "no" o un "tra poco" come risposta, lo sa meglio di me. Se lo farà poi potrà fare tutto quello che vuole.»

Dominik cozzò i denti, come se stesse riflettendo di mettere me e il padre su dei piatti della bilancia e calcolò più o meno cosa avrebbe perso e guadagnato per le due scelte. Il risultato era semplice: Gilbert aveva il sopravvento su tutto e ogni sua richiesta o ordine era da portare in primo piano. Io gli avrei potuto dare di più, specie in divertimento, eppure non rischiò l'idea di ritrovarsi un Gilbert furioso fuori dalla sua porta.

Mi inchiodò al muro con un'occhiataccia sinistra, prendendo la sua decisione controvoglia. Sembrava sospettasse un mio trucchetto dietro, o l'impiccio della stessa servetta contro di lui, ma io non avevo orchestrato nulla e Breatha non avrebbe mai messo in pericolo il suo posto di lavoro per una banalità.

«Va bene. Ho capito» si arrese. «A te penserò più tardi,» mi avvisò in tono gelido «con te i conti li farò subito se non ti togli dai piedi, sluzhitel'.»

«Mi scusi» borbogliò confusamente, facendo per girare i tacchi.

Parlai e tossii forte per il colpo che Dominik mi aveva dato allo stomaco, così alzai una mano e feci un cenno a Breatha di fermarsi. Dominik di sicuro non avrebbe osato picchiarmi davanti a lei o dire qualcosa che poi sarebbe stato sicuramente riferito a Gilbert. Lui lo sapeva: Breatha era amica mia e in quel modo ero avvantaggiata. Se Gilbert fosse stato messo al corrente di qualcosa, Dominik sarebbe stato il primo bersaglio nel mirino, benché innocente.

«Vi serve qualcosa?» mi domandò Breatha educatamente.

Dominik si agitò. Il fatto che quella donne gli stesse nascondendo il segreto della nostra amicizia lo innervosì. Lui era convinto di sapere tutto.

«Vorrei un tè caldo. Vengo con te» risposi diretta.

Breatha mi tese una mano, mimandomi con gli occhi di affrettarmi. Feci appena un passo, convinta che sarei potuta scivolare via facilmente da quella situazione allucinante, quando Dominik mi agguantò un polso e si protese per scoccarmi un funesto bacio. Mi sbilanciai in avanti per l'impeto, toccandogli la pelle con il naso. Affondò la mano tra i miei capelli, trattenendomi per qualche secondo. Le labbra in facevano male. Questa volta mi volle dare una lezione e fu doloroso: prima di staccarsi le morse forte, tirandole.

Agitai le mani e lui mi lasciò lentamente andare, liberandomi dal suo agguanto e dal suo maledetto sapore dolce. Vidi di sfuggita Breatha chiudere la bocca e freneticamente cercare un altro punto su cui incentrare la sua attenzione. Dominik non la considerò nemmeno.

«Benissimo, sorellina» mi sussurrò, all'orecchio. «Per oggi ho deciso di credere alle tue patetiche scuse, prendilo come un regalo di compleanno inatteso. Credo che ti serva una lezione dimostrativa. Hai già perso una persona cara, non vorrei succedesse di nuovo, vero?» Scossi la testa orripilata. «Brava. Sai essere compiacente quando vuoi, tutta questione di abitudine. Lo imparerai. Non dimenticare che tu appartieni a me, sei qui per me, non per altri. Nemmeno per mio fratello.»

«Io ti ho già detto che...» tentai di dire e lui scosse l'indice davanti a me, zittendomi.

«È merito mio se sei ancora in questa casa, ricordatelo. Se vuoi restare ancora a lungo con noi, avere una vita in futuro e diventare meno stupida di quel che sei, ti conviene apprendere subito la realtà dei fatti: ti ho già avuta una volta e succederà ancora, che tu lo voglia o no. Ti farai sbattere da me, da tutti i miei amici e se voglio da tutta la Nazione senza fiatare. La cotta per Michael te la farò passare in fretta. Non ti conviene tentare di fare l'opposto, finiresti per farti male. Se così non sarà, sentirai quanto dolore potrò provocarti. Tu non sei diversa. Sei inutile.»

Chiusi gli occhi. Non immaginai la mia vita. L'avevo già persa mettendo piede a Villa Petronovik. Era stata distrutta tempo fa. Il futuro per me era unicamente un grosso punto nero.

Rimase sorpreso quando annuii pentita. Mi diede un bacio a lato delle labbra e mi spinse indietro, incitandomi a scomparire dalla sua vista. Barcollai instabile fino a Breatha, le diedi un'occhiata e camminai giù per la scalinata. Non li sentii parlare, ma la donna doveva essere rimasta con lui per qualcosa perché venne da me poco in ritardo. Dominik andò a dormire.

Andammo in una cucina fredda e buia. Accese una piccola lampadina sopra il gas e mise a bollire dell'acqua per un tè. Non parlai dicendo che non lo volevo. L'odore di erbe e limoni che annusai mi fece tornare a Sydney e ricordai i fiori del giardino di Gilbert, i frutti acerbi vicino al gazebo in disuso. Una mano fantasma si posò sopra la mia spalla. Lacey Miller stava bevendo il suo tè con calma, insieme a Kezia ed Anne.

Il suo volto da fantasma era uguale a quello da viva, calmo e sereno. Nemmeno da morta capiva quello che provavo. Tipico. Mi porse il suo tè in silenzio. Ci misi un po' a ridestarmi e a rendermi conto che quella che avevo davanti a me non era mia madre, bensì Breatha.

«Ti sei bene? Avevi gli occhi vacui» mormorò preoccupata. Presi il tè e il bruciore della tazza mi fece piombare in quell'universo. Sbattei gli occhi. Dei tre fantasmi non c'era ombra. Dovevo averlo immaginato. «Chanel, per favore, dimmi quello che è successo» mi pregò Breatha.

Assaggiai il tè. Non era buono come quello di Gilbert. Era amaro. Mi scottò la lingua. Non mi piacque affatto.

«Non è successo niente» le risposi indifferente.

«Ti ha fatto qualcosa ancora? Oh, Chanel...» Strinsi i denti. «Devi dirmelo, voglio aiutarti. Non posso lasciarti sola con... lui. Ho sentito quello che ti ha detto. È terribile. Non oso nemmeno immaginare come ti senti adesso...»

«Non è successo niente» ripetei.

«È facile, basta solo che...»

«No!» la bloccai, ridendo. «Non è facile, qualunque cosa sia o devo fare non è affatto facile, Breatha. Che ne vuoi sapere tu? Gilbert ti ha scopata una sola volta per farti trasferire qui, io invece devo farlo ogni giorno. Che ne sai, sei solo una serva» sputai con odio e mi fermai un attimo dopo, mordendomi la lingua. Cosa avevo detto? Non ero stata io. Io ero una ragazza timida ed educata, non avrei mai detto una cosa simile. «Io... scusami...» bofonchiai, fissando il nulla. Mi alzai e gli occhi vuoti di Breatha mi seguirono, sereni e senza risentimento. Era troppo buona per una come me. «Grazie per il tè...»

Vagai al piano di sopra. Era buio. La mezzanotte era passata, il mio compleanno era finito. Mancavano solo trecentosessantacinque giorni al mio futuro matrimonio con Gorka e che lo paresse o no, a me quel lasso di tempo parve infinitamente troppo breve. Gettai il tè nel water e tirai l'acqua, dopodiché, con la vestaglia addosso, mi diressi da Michael. Benché avessi voluto dormire da sola, piangere per le parole di Dominik, sentivo che le braccia di Michael erano un posto perfetto per dormire e respingere i brutti sogni. Per la prima volta da mesi, un sentimento d'amore puro sciolse e scacciò tutto il resto.

«Pensavo non venissi più» mugugnò Michael, per metà nel mondo dei sogni.

Sorrisi con tenerezza, infilandomi sotto le coperte. Si girò dalla mia parte, sotterrandomi contro di lui, avvolgendomi tra le sue braccia calde. Odoravano di mela. Di casa. Avevo finalmente trovato un altro posto da chiamare così. Mi avvicinai a Michael e, nella penombra della stanza, lo guardai sonnecchiare.

«Grazie» gli dissi, o me lo immaginai.

Quella notte feci un sogno erotico: sognai Michael.

Eravamo addormentati nel suo letto, al riparo da una furente bufera di neve. Il caminetto era acceso, scoppiettava vivace e improvvisamente sentimmo caldo. Si mise sopra di me e cominciò a baciarmi, poi mi tolse di dosso la camicia da notte e proseguì. Io lo pregavo di non fermarsi, di proseguire e di stringermi forte. Quando facemmo l'amore il freddo e la neve ci avvolsero con le loro braccia fredde, dandomi il benvenuto in quella Russia.

L'espressione di Michael quando si levò da me era trionfante e annoiata. Con lui c'era Dominik. Mi legarono, mi picchiarono e mi presero in giro. Le loro facce si deformarono e diventavano dei grossi buchi neri, proprio come quelli che avevano sul petto al posto dell'amore. Risero di me e poi mi immobilizzarono su di loro, costringendomi a piangere dal piacere.

Lo sognai ripetutamente. Immaginai mille bambini dai capelli biondi e gli occhi azzurro ghiaccio correre da me, indicarmi e darmi della: «pripev zhenshchiny». Michael e Dominik presero i loro bambini e risero di me, a lato.

Svegliai Michael per colpa del mio sobbalzo impaurito. Lui trasalì e si spostò da me, pulendosi il volto con una mano.

«Che... succede?» domandò irrequieto, guardando a destra e a manca per intravedere Babushka tirare improvvisamente le tende in un pessimo buongiorno mattutino.

«Scusa, ti ho svegliato» mormorai, tornando a stendermi nel letto.

«No, ero già sveglio» mentì.

«Sei un bugiardo.»

«Mento benissimo.»

«Non quando ti sei appena fatto sei ore di sonno» lo apostrofai divertita e lui mi diede ragione. Si rotolò nel letto in cerca del suo cellulare e controllò l'ora. Erano solo le 5:22 del mattino. Michael emise un grugno ferito e sprofondò con la faccia nel cuscino. «Vieni qui» lo pregai.

Si girò e lo presi con me, accarezzandogli i capelli corti e ispidi tra le dita. Posò il viso sotto il mio e respirò piano, con calma, irradiandomi il suo calore. La mattina era il momento che preferivo: svegliarsi con il corpo molle di Michael vicino, caldo, con le lenzuola avvolte come una ragnatela era una delle sensazioni più belle dell'intero universo. Ogni cosa sembrava calda.

«Dobbiamo per forza andare a scuola?» mi domandò, chiudendo gli occhi.

«Lo sai che dobbiamo» lo incitai.

«Sto così bene qui con te. Rimaniamo così ancora. Giusto il tempo di far sciogliere questo mondo dal ghiaccio.»

«Tutto quello che vuoi» accettai.

Non so dove trovai la forza, o il coraggio, di disfarmi di Michael e di scendere a fare colazione di sotto. Babushka fu colpita dal mio slancio anticipato e per premiarmi non mi parlò. Breatha mi servì la colazione in silenzio e io non fiatai, non trovando le parole. Se le avessi trovate sarebbe stato più facile. Il difficile era metterle al loro posto.

Dominik e Michael non parlarono molto, si scambiarono i loro solito grugniti e poi corsero a vestirsi per andare a scuola. Mancavano solo due mesi agli esami finali. Il prossimo sarebbe stato il loro ultimo anno prima di entrare ufficialmente nel modo di Gilbert ed essere considerati veri e propri piccoli mostri. O almeno così avrebbe detto il tenente Radigan.

Trovando un po' di tempo extra andai da Krolik. Stava ancora dormendo – o magari aveva trovato opportuno creare una tecnica illusoria per non vedermi – con il musino appiattito contro una palla di stoffa. Per non disturbarlo gli accarezzai le orecchie e gli parlai, ripetendo il suo nome. Non si mosse, non dandomi attenzione. Lo chiamai ancora. Se qualcuno mi avesse ripetuto il mio nome così tanto magari mi sarei ricordata chi ero e sarei tornata in fretta in me. Alla fine si girò e mi annusò, contento di ritrovare un odore dolce e familiare. Lo salutai a andai a scuola normalmente.

A pranzo tutti i tavoli erano occupati. Sacha, Misha, Clòte e Tat'yana erano impegnate in un animato discorso che si fletteva sulla traduzione di una canzone di una band popolare di K-pop, un genere a me sconosciuto, perciò le lasciai ai loro termini asiatici e vagabondai per la mensa alla ricerca di un posto libero in cui sedermi.

«Chanel!» mi chiamò Dominik dall'altra parte della mensa, seduto al nostro solito tavolo.

Era insieme ai suoi amici e, benché mi sforzassi di intravedere Michael, non lo trovai. Doveva essere rimasto in uno dei laboratori per uno dei suoi progetti arretrati di meccanica. Ilona sbocconcellava malvolentieri la sua pasta con i porri, triturandoli. Non volendo dare un presentimento sbagliato mi avvicinai, seppure lo feci gran parte per far zittire Dominik, il quale, con una mano a coppa sulla bocca, mi richiamava come un megafono. Molti si girarono ridendo per la scena.

Notai con dispiacere che il tavolo era già pieno e Dimitri e Hergò non mi parvero intenzionati molto a stringersi per far posto a me. Camminando accesi l'idea di sgattaiolare via in corridoio e aspettare Michael, ma non mi azzardai. Non mi andava di andare da lui, non dopo l'evento della sera prima, eppure lo feci. Sul suo volto non comparve niente a parte la sua solita strana simpatia.

«Ce ne hai messo di tempo!» mi prese in giro Dominik.

«È tutto pieno» dissi. «Lo vedi, no?»

Dominik strinse lo sguardo e Shulman, un amico stretto di Michael che portava sempre un cappello di lana in testa, esclamò: «Chanel, la vuoi sentire una barzelletta?»

«Se è sempre quella dei maiali io passo» si impicciò Dimitri.

«Hai rovinato la sorpresa!» lo sgridò.

«No, non faceva ridere e basta» spiegò con noia Ilona.

«Siediti con noi» mi offrì Dominik, indicando il tavolo.

«Cercherò altrove. Non c'è posto» gli feci notare.

«Perspicace» affermò Hergò.

«Se stringessi il culo, magari» borbottò Shulman, facendo ridere Vanel.

«Sei sempre così scontroso» scherzò lui.

«Questo per via del cibo di merda qui» sbraitò Hergò.

«Qui non mangiamo sempre riso in bianco!»

«Zitto.»

«Zitti entrambi» sputò Dominik. «C'è posto, vieni qui.»

«Cercherò altrove, non voglio disturbarvi. Sto cercando Michael, lo hai visto? Voglio mangiare con lui» proferii e il volto di Dominik perse ogni colore, mutando la sua espressione cinica in puro fastidio.

Hergò, Vanel e Shulman scoppiarono a ridere contemporaneamente, divertiti, facendo dipingere il volto scuro di Dominik in un rosso porpora acceso. Dimitri scosse la testa, sorridendo.

«Si vede che qui la disciplina non è stata ancora appresa» gongolò e non seppi quale parte stesse difendendo dall'altro.

«Qui qualcuno è al secondo posto!» gioì Vanel, alzando le mani.

«Povero piccolo!» rise Shulman.

«Da quand'è che non succedeva un'apocalisse del genere, Dominik?» lo interpellò Ilona con un mezzo sorriso. «Ti sta bene! Così impari!»

Dominik si alzò e si sforzò di farmi un sorrisetto. «Bene, ti accompagno ad un tavolo. Se non vuoi stare con noi allora starai bene anche da sola» giudicò e io annuii ben lieta.

Mi girai, facendo qualche passo, e a quel punto sentii una mano afferrarmi deciso il sedere. Strillai e il vassoio saltò dalle mie mani, il cibo, compresa la pasta alle verdure e il contorno di spinaci caddero e si spiaccicarono in una poltiglia gialla e verde per terra, ai miei piedi. Mi agitai contraria e Dominik mi lasciò con una risatina, unita a milioni di altri commenti e risi di tutti gli studenti in sala mensa. Shulman e Vanel avevano la bocca aperta, come Ilona, seppure il loro mascherava un leggero diletto. Quella silenziosa confusione mi assordava.

Gli tirai uno schiaffo che mi fece tremare tutto il corpo per l'impatto. Il suono si propagò sordo e lungo per la scuola e i presenti mi applaudirono, alcuni sghignazzarono, altri presero a commentare per conto loro gettandomi occhiate disgustate.

Dominik alzò le spalle in difesa e si prese la guancia in mano, allargando gli occhi come un bambino punito ingiustamente.

«Sei malato! Ti odio!» lo accusai con odio, spingendolo. Mi voltai e corsi via, gridando: «Michael! Michael!» e sperando di trovarlo presto per gettarmi tra le sue braccia e piangere. Con lui non mi interessava di sembrare debole o viziata, quel che mi piaceva era che lui era il mio cavaliere e faceva di tutto per essere anche un pericoloso e protettivo drago sputafuoco.

Lui mi seguì.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top