25 La ruota della sfortuna✔️

(Hotami Yamzaki)

Il Kransyy Kukla era il club più esclusivo e importante di tutta San Pietroburgo. L'aveva fondata Hotami Yamazaki in persona prima di decidere a cosa puntare nei suoi affari, per poi ritrovarsi a dirigere un pub pieno di ragazzi con crisi ormonali. In quel momento era gestito da Ai Lan, la collaboratrice scelta personalmente da Yamazaki e Gilbert per tenere in piedi il locale e la copertura.

Gilbert si staccò da noi quasi subito dopo essere entrati, lasciandomi con i gemelli in balia di quella calca anonima di gente che saltava a ritmo della musica di un dj finlandese per andare a contrattare qualche suo losco affare.

L'atmosfera dentro il Kransyy Kukla era calda, quasi opprimente. Quel giorno, le decorazioni del locale erano in sintonia con il mio stato d'animo. Le pareti erano rosse con decorazioni oro e nere in stile art déco molto sobrie ed accurate, contrastavano con l'arredamento bianco, quasi asettico e privo di ogni colore. I tavolini e il vetro del bancone erano satinati e riflettevano le luci che una sfera brillante lanciava ovunque, blu, rosse e verdi. Il pavimento e il soffitto parevano essere fatti di vari specchi rotti e poi ricomposti, delle lanterne pendevano con una fioca luce dentro. Le poltroncine e i divanetti erano in pelle bianca con bottoni scuri. Ogni sala era decorata con uno stile diverso, unico. Il pub era un misto tra antico e moderno che si immergeva completamente in un contrasto tra Russia e Cina. Forse era proprio per quello che Yamazaki non si era disfatto di quel locale, per dare una bella immagine agli occhi estranei ed inesperti.

Michael fu il primo che, stufo, mi acchiappò per l'orlo della pelliccia e mi trascinò sopra ad una scalinata vicino al bancone bar. Dominik, intento a fare una telefonata privata, si perse.

C'erano unicamente tre piani al Kransyy Kukla, il primo era la sala da ballo, il secondo era l'ala vip, in poche parole quella riservata ai Yamazaki e ai Petronovik, oltre ad altre poche celebrità. Michael e io lasciammo Dominik ad una importante telefonata e lo precedemmo nella saletta vip, entrando in una stanzetta di modeste dimensioni che ospitava un divano a L bianca, un tavolinetto e un angolo bar fornito di tutto. La parete che si affacciava sulla pista era trasparente o oscurata.

«Hai freddo?» mi chiese Michael.

Scossi la testa e gli lasciai sfilarmi la pelliccia di dosso come se fossi una diva. Non avevo freddo, era impossibile là dentro, ma era l'ansia a farmi raffreddare le budella. Mi sedetti sul divanetto e incrociai le gambe, sperando che il vestito non salisse più del dovuto.

Michael si sedette vicino a me, inclinò la testa e mi annusò i capelli. «Mh. Non hai ancora smesso di usare il mio shampoo» notò.

«Ti da fastidio?» farfugliai.

«No, non direi. Mi piace.»

Dominik rientrò con una faccia contratta e, appena ci vide, non migliorò. «Ma dove sono quei due idioti dei Yamazaki?» ringhiò inviperito. «Sono in ritardo.»

«Anche noi lo siamo» buttò lì Michael, distratto.

Dominik gli fece una smorfia e saltò sul divano, sprofondando. Incrociò le braccia e restò a fissare il fratello seduto vicino a me, circospetto. Provai ad intrattenere una conversazione con Michael per distrarmi dai suo occhi, ma non mi riuscii facile. Per prima cosa mi sentivo con difficoltà con Dominik all'altro lato e per secondo mi imbarazzavano troppo il vestito e i pensieri che Michael ci avrebbe fatto. Provai così ad allentare le spalline e a strizzare il tessuto davanti, in modo da coprirmi il seno senza reggiseno.

Dio, era così imbarazzante.

«Così si romperanno i fili» mi disse Michael, leggermente stizzito.

Lo guardai storto. «Avrei potuto mettermi altro» berciai. «E non guardare.»

«Scusa. Non mi sarebbe ugualmente piaciuto.»

«Te lo saresti fatto piacere comunque, Michael» risposi con poca voglia.

Dominik alzò un sopracciglio, adirato dalla mia minima intenzione di collaborare o di considerarlo. Per cosa poi ero utile in quel locale? Gilbert e Yamazaki erano al piano di sopra a discutere mentre noi ragazzi ce ne saremmo dovuti stare qui, buoni e in silenzio? Eravamo scimmie in gabbia per loro?

Che assurdità.

Quindici minuti dopo entrarono dalla porta Dimitri e Hergò, e ovviamente non erano soli. Alla loro mercé si trovavano tre belle ragazze di nazionalità mista: due probabilmente norvegesi con degli abiti succinti e dai lunghi capelli biondo platino, la era terza cinese, o genericamente asiatica, con un taglio di capelli alla moda e corvino, come gli occhi. Rispettivamente, erano accompagnati da altrettanti bicchieri ricolmi d'alcol e capivo il perché la seconda ragazza norvegese, in bilico su dei tacchi a spillo vertiginosi, pendesse così tanto dalle spalle di Dimitri, il quale rimase del tutto inalterato dalla situazione.

«Siete stati giù a bere per tutto questo tempo, facendoci aspettare?» tuonò Dominik.

Hergò fece una smorfia. «Non direi. Non eravamo qui, perciò esattamente non vi abbiamo fatti aspettare. Eravamo in compagnia!»

«Lasciamo perdere.»

Dimitri fece sedere la ragazza sul divanetto, poi crollò anche lui e mi dedicò un sorrisetto. Prese il suo bicchiere di vetro e lo alzò verso di me, come se brindasse a mio nome. Doveva essere champagne o giù di lì, con piccole bollicine frizzanti.

«Sono felice di rincontrarti, Chanel. Ho così poche occasioni di vederti a scuola, la tua bellezza di spreca laggiù, mia cara.»

«Attento a te come parli, Yamazaki» l'avvertì Dominik a denti stretti.

«Suvvia, è solo un complimento, ad ogni ragazza piace riceverne. Passami quella bottiglia, fratellino, per favore. Brindiamo!» ordinò a Hergò e lui gli passò una bottiglia verde e oro posata sul bancone bar.

Un Moët & Chandon bianco. Non avevo mai bevuto champagne, a parte un'unica volta a capodanno. Ordinò otto nuovi bicchieri e ci versò lo champagne con cura. La ragazza accanto a lui saltellò di gioia quando glielo passò e quasi lo tracannò tutto d'un fiato. Hergò, seduto in mezzo alla bionda e alla mora, osservava curioso la mia reazione.

«Il destino ha voluto che così, Chanel» mi disse, passando i bicchieri ai gemelli.

«Lo ha voluto Gilbert, in verità» mi permisi di precisare e Hergò ridacchiò.

Dominik parve turbato, ma accettò con gentilezza il bicchiere che gli stava porgendo Dimitri, ignorando quella bellezza bionda al suo fianco che letteralmente se lo stava pregustando con gli occhi. Hergò si deliziò il palato con quella squisitezza frizzante e intanto passò un braccio attorno alle spalle della ragazza asiatica, accarezzandole poi le gambe e con un dito.

«Sono o non sono un uomo maledettamente fortunato?» urlò Hergò, dandole poi un bacio a stampo sulle labbra.

Lei avvampò, ma non si tirò indietro. Quasi sorrise con ingenuità e pensai che fosse davvero così. Era troppo ingenua per Hergò. Intanto, scoprendo i miei occhi, Hergò palpò e accarezzò la pelle della sua nuova ragazza della sera per darmi una lezione.

A disagio, guardai Michael bere con gusto dal suo bicchiere, desiderando di poterne bere un goccio solo per interesse, eppure seppi che non me ne avrebbe dato. L'ultima volta che mi ero ubriacata Dominik mi aveva baciata e avevo vomitato ai piedi di Michael. Era ovvio che non volessero darmi da bere, specie considerando l'alto tasso alcolico in quei bicchieri. Non l'avrei sopportato.

«Ehi, dolcezza bionda, vuoi bere?» domandò Hergò malizioso, passandomi un bicchiere.

Feci per prenderlo, ma Michael mi anticipò dicendo: «No, non vuole» e io ritornai mogia al mio posto.

«Già, meglio essere sobri quando finiremo a casa mia!» esclamò.

Mi rannicchiai contro Michael con i brividi sulla pelle, considerando quando lui, la sua famiglia, il suo drink e la sua lingua pungente potessero darmi il voltastomaco. Arrossi violentemente e Michael mi passò un braccio sulle spalle, avvicinandomi per tranquillizzarmi. A quella affermazione non potevo - e non avevo nessun diritto - di ribattere.

Ci pensò Dominik.

«Non dire assurdità, Yamazaki, a lei non piaci per nulla. Sei troppo brutto.»

Hergò alzò le spalle. «Non miravo a piacerle, ma ad altro. Ognuno ha i suoi gusti. Immagino che una come lei preferisca la vera carne bianca, magari con occhi azzurri e capelli neri» rimirò e Dominik corrugò la fronte, trattenendo il respiro.

«Chanel non finirà in bocca a nessuno questa sera, in caso contrario ti rovinerò io stesso quella bocca cinese contraffatta che ti ritrovi, hai capito?» alzò la voce.

La ragazza al suo fianco arrossì e raddrizzò la postura all'improvviso, come se fosse sotto inquisizione. Dimitri era tranquillo con le spalle rilassate, estraniato dalla discussione. Era quello il suo stile di gioco. Hergò, al contrario, rise.

«E tu ne eri dello stesso parere?» Sbiancai in un attimo, sentendomi portare in ballo in quell'argomento che doveva essere tenuto privato. Hergò non tolse gli occhi da Dominik e anche se non parve cambiare espressione, il gemello cinese fece un ghigno vittorioso. «Ci scommettevo l'uccello! Figurarsi se due come voi, con una ragazza del genere in casa, potevano tenersi le mani in tasca. Tesoro, non fare quella faccia, sei così carina dopotutto.»

Scoppiò a ridere e io non ebbi il coraggio di guardarlo in faccia.

Michael sospirò con astio nel vedermi con la faccia rossa e bianca allo stesso tempo. Mi sentivo un peso sulle spalle che non potevo togliermi.

«Quello che fa Chanel non deve riguardarti» proruppe Michael e mi accarezzò un braccio.

Hergò non si smosse. Attaccare briga gli piaceva, come a Dominik, specialmente se poi nessuno avrebbe potuto torcergli un capello.

«Immagino» lo liquidò. «Ditemi, ditemi! Fate un po' per sorta, tipo ve la alternate a giorni o non ve la dividete in altri modi?»

«Perché non ti fai gli affari tuoi e finisci di bere?» lo punzecchiò Dominik.

Lui lo accontentò, ma poi parlò ancora. «Forse... non ve la dividete affatto!»

«Ti abbiamo già detto che nessuno si permetterebbe di trattarla in quel modo» sentenziò Michael con poca pazienza e io notai i suoi occhi incupirsi davanti alla pervicacia di Hergò e di Dominik.

Hergò alzo le mani al cielo, sbuffando. «Piccolo, ingenuo, stupido Michael. Io non parlavo con te.»

Si voltò verso Dominik e le mie spalle vennero percorse da un brivido freddo. Come lo aveva capito? Nessuno lo sapeva, a parte i Petronovik e i membri della servitù più stretta.

«Io parlavo con lui.» Dominik non si mosse, iracondo. «Prima non ne avevo la certezza, ma la tua faccia e quella della ragazza hanno parlato da sole. Per non parlare di Michael: ti da fastidio non poterle mettere una mano dentro il vestito, vero?»

Michael avvampò, muto.

«Sappiamo tutti bene quello che è stato fatto» sancì Hergò serio, indicandomi. Strinsi le unghie nella carne, sentendomi riportare a quel giorno terribile. Io, che volevo solo dimenticare e mettere quella storia in un angolo, ero stufa di ricordare. «Tuo padre l'aveva portata qui per sé, lo sanno tutti! Ma dillo anche a lei, il tuo piccolo angelo biondo, l'unico motivo per cui resta ancora a crogiolarsi nella vostra ricchezza e spensieratezza, a giocare a fare la sorellina dolce e innocente.»

«Zitto» tubò Dominik, inchiodandolo con lo sguardo.

«Noioso» giudicò e poi guardò me. «Sai perché non ti hanno ancora cacciata via, tesoro? Il motivo per cui sei qui, con l'élite della Russia e della Cina, è perché scopi con lui!»

«Come ti permetti?» strillai fuori di me con tanta foga e rabbia repressa che faticai a riconoscermi. Davvero non sapevo per cosa ce l'avesse tanto con me o come si permettesse di dire quelle cose davanti a tutti, specie così private. Era ovvio, se non poteva direttamente far male ai gemelli preferiva attaccare me.

Mi alzai in piedi, traballando sui tacchi a spillo rossi.

Hergò negò con le mani e assunse una finta espressione spaventata. «Dai, calmati, era uno scherzetto! Ognuno ha i suoi modi per sopravvivere, noi non giudichiamo» esclamò felice.

Michael mi tirò per un polso, eppure me lo scollai di dosso con un'occhiata funerea. «Lasciami stare, Michael!» tuonai decisa e lui espirò pesantemente dalle narici, pensando se doveva trascinarmi seduta con la forza o lasciarmi sfogare a mie spese. Prima che Dominik potesse intervenire, ci pensai da sola: «Io non faccio ciò che pensi! Ti sbagli di grosso!»

«Mi sbaglio?» chiese dubbioso Hergò, versandosi un altro bicchiere di champagne con nonchalance alla discussione. Mi voleva solo fare innervosire, era un gioco per lui e io gli stavo andando dietro. Ero proprio una stupida. «Stai dicendo che il qui presente Petronovik è innocente? Eppure, dal modo in cui ti tiene costantemente d'occhio, trovo che entrambi siate di idea contraria. Non me la date a bere, no! Avevi per caso la mente da tutt'altra parte mentre ti stava sbattendo o cosa, piccola puttanella? L'unica cosa che ti ha permesso di rimanere comoda nel tuo bel lettino invece di farti un freddo bagno con i pesci è perché il signorino qui presente ti ha marchiato con il suo puro sperma russo! Lo neghi? Hai la faccia tosta di negarlo?»

Gli tirai un ceffone senza pensarci due volte. Il rumore che si sentì in seguito, della mia mano sulla sua guancia, del mio singhiozzo e dei suoi occhi increduli, smorzò tutto il restò. Mi morsi un labbro e tirai la mano verso di me, stringendola e massaggiandomela, lasciando che il dolore al palmo mi invadesse le viscere e la rabbia si affievolisse. Quello che provavo però era vergogna.

Hergò si mosse e la ragazza scivolò a lato, proteggendosi da qualcosa di invisibile. Lui mi guardò con disprezzo e fece per alzarsi. Dominik lo seguì, imitandolo.

«Prova a toccarla e io e te faremo i conti qui, subito» lo minacciò severamente Dominik.

Dimitri fece un gesto vago con la mano e Hergò lo guardò messo alla prova.

«Smettila, Hergò» disse pacato Dimitri.

«Ma lei...»

«Non contestarmi.»

«Rènhé.» Abbassò la testa, costernato.

«Siamo in territorio neutrale, qui. Non si accettano ostilità, tanto meno agitazioni di alcun tipo, mi pareva di avertelo detto già a casa, no? Noi non siamo da meno dei nostri rispettabili padri.»

Nessuno rispose, ma il messaggio arrivò chiaro a tutti.

Dimitri mi fissò con i suoi duri occhi a mandorla. «Quanto a te, sorella adottiva dei Petronovik, non mi interessa chi sei, da dove vieni o chi ti scopi, perché ora sei qui e fai parte della famiglia. Ti rispetto, ma se osi ancora mettere le mani addosso a mio fratello vedrò di fartela pagare con la stessa moneta.»

Michael mi tirò giù a sedere e quasi gli caddi addosso. Imprecò e non mi degnò di uno sguardo in più. Gli chiesi scusa mimandolo con le labbra, sperando si calmasse e mi tornasse ad abbracciare, ma non volle sentir ragioni e così rimase nel suo bozzolo di stupidità.

In Russia tutti avrebbero permesso di violentare le figlie o di maltrattare i figli maschi, ma a patto che venissero ripagati adeguatamente. I rampolli ricchi invece erano intoccabili.

Un silenzio immaturo e fisso cadde su tutti noi e gli unici rumori furono le urla e la musica proveniente dalla sala di sotto. Fu una ragazza a proporlo, alla fine. In Australia era simile al gioco della bottiglia, ma in Russia era diverso. La domenica Maslenitsa era il "giorno del perdono", dove cioè le persone chiedono perdono per i loro peccati e ricevono un buon auspicio futuro. Loro infatti lo chiamavano "Proshcheniye".

La bottiglia girava in mezzo a noi e il prescelto doveva rivelare una cosa obbligatoria di sé, per poi ricevere il perdono dagli altri. Se uno si rifiutava di rispondere gli aspettava la penitenza di bere il suo bicchiere intero e stare alle regole imposte in un obbligo.

L'atmosfera dunque cambiò in pochi minuti. Dal nulla arrivarono altre ragazze e ragazzi e si intromisero nel gioco, portando nuova allegria e risate inaspettate. Seduti per la metà per terra, facendo confusione come i ventenni che molti erano, giocavamo sereni con i bicchieri di alcol in mano, colmi e gli aliti pesti.

Toccò per prima alla ragazza norvegese vicino a me. Eravamo sedute per terra e per dare un certo interesse alla cosa fece uno sbuffo contrario, quando in verità le fece molto piacere di essere stata scelta e partecipare attivamente. La domanda fu di dire la data e il nome della sua prima volta ad alta voce. Ringraziai Dio che non fosse toccato a me rispondere.

«Il primo luglio, al concerto dei Kill o'Death nel backstage!» urleggiò la bionda esaltata.

«Con chi?» rispose uno a caso tra i partecipanti.

«Con il batterista, ovvio!» replicò orgogliosa lei tra le risate di tutti e io mi appuntai di cercare quel gruppo appena tornata a casa per vedere che faccia avesse il principe in questione.

«Dio ti perdona!» risero tutti in coro.

I ragazzi bevvero i loro bicchieri d'alcol, facendo a gara a chi finiva più in fretta. Fui costretta a farlo anch'io. Trattenni un rutto per decenza e guardai la bottiglia girare in circolo. Dopo due giri nulli - e averla fatta cadere dal tavolinetto - si fermò a metà tra me e un tipo dall'aria più stanca di me. Per curiosità del mio nome, scelsero me per rispondere alla domanda. Guardai con impazienza la ragazza accanto a me, dato che l'ultimo ad aver risposto aveva la precedenza, ma Hergò urlò sopra: «Dicci se sei stata davvero a letto con i Petronovik!» e tutti applaudirono per darla buona.

«Allora?» esclamò la ragazza. «Dominik o Michael? Chi hai scelto?»

«Nessuno!» m'impuntai decisa.

Hergò voleva solo mettermi sotto i riflettori e avere un pretesto per ricordarmi quell'esperienza orribile. Restai muta, con le sopracciglia aggrottate davanti ai presenti, compresi i gemelli, le guance infuocate e le membra annodate in un fiocco.

«Avanti, dillo! Sì o no?» boccheggiò contento uno in mezzo.

Scossi la testa.

Il gruppo eruppe in un: «Fol! Fol!» cantilenando il mio fallo tattico.

Bevvi con qualche sforzo il mio nono bicchiere di alcol. Ero sicura che non mi sarei retta in piedi da sola una volta alzata. Avrei fatto una pessima figura davanti a Dominik e Michael, ma non mi sarei tirata indietro di fronte alle prese in giro di Hergò.

«Fallo! Ora devi baciare qualcuno a forza!»

Dedicai la mia miglior occhiataccia al ragazzo a cui venne quell'idea stupida e infantile. Si dava un bacio per penitenza alle medie, a dodici anni a qualche festa nel seminterrato, ma non a quell'età. I giochi stupidi allora esistevano in ogni continente!

«Che stupida idea!» urlai e poi sbadigliai. Qualcuno rise.

«Oh!» civettuò la ragazza bionda vicino a me. «Bacia me, bacia me! Non ho mai baciato un'australiana! Dai, dai!»

Hergò rise divertito, improvvisando una canzoncina ritmata che poi fece accodare gli altri presenti con gusto, alzando le braccia e ondeggiandole. Le facce sorridenti davanti a me si mescolarono e i colori e le macchie strane mi diedero il voltastomaco. Sentivo gli occhi pesanti e stanchi, appesantiti dalla confusione, dalla fiacchezza e dall'agitazione.

Dominik e Michael avevano le facce rigide come quelle di un sasso, cupe.

«Non sei costretta» mormorò Dominik vicino a me.

Io non gli badai. Dimitri diede un calcio alla gamba del tavolino rivolta verso di lui e i bicchieri lì posati tintinnarono rumorosi. «Sì, invece!» ribatté lui. «È un gioco, ma ci sono regole e regole da seguire. Sai cosa sono, Dominik? Anche se non è di tuo gradimento, potresti sempre guardare Chanel e Brytt baciarsi per bene. Magari impari qualche trucchetto!» lo prese in giro, ridendo.

La ragazza bionda, Brytt, ancora prima che la potessi vedere con i miei riflessi allentati dall'enorme quantità di alcol in corpo, mi passò le braccia sulle spalle e mi tirò verso di lei. Mi afferrò il viso e mi scoccò un vorace bacio sulle labbra. Presa di soprassalto cercai di reagire, finendo per terra sul pavimento. Rantolai di dolore e lei ammiccò maliziosa prima di infilarmi nuovamente la lingua in bocca, alla ricerca della mia. Avvertii la forma di un piercing rotondo sulla lingua e il sapore metallico di esso, compresa la sua tiepida saliva al sapore di champagne e i suoi denti. La musica aumentò notevolmente o fu solamente la mia impressione. Lady Gaga mi rimbombava nelle orecchie in un'eco profondo e assiduo e la canzone fece agitare tutti. I miei fratellastri mi guardavano dall'alto del divanetto e io non potei resistere a quella strabiliante eccitazione di andare contro di loro, almeno per una volta. Le altre coppie ci imitarono, felici. Hergò sputò risate vere, divertite e molto ubriache.

Brytt mi baciò ancora per qualche secondo poi scattò indietro.

«L'australiana sa come si bacia, chi l'avrebbe mai detto?» ridacchiò lei.

Mi aiutò ad alzarmi e mi diede un tenero bacio sul naso, come per chiedermi perdono. Si asciugò le labbra e si rimise il suo immancabile rossetto azzurro.

Dominik sbatté con forza un piede sul pavimento mentre Michael tenne gli occhi fissi sulla mia testa, stringendo i pugni. Lo guardai, troppo ubriaca per poter cambiare il mio sguardo di sfida. Scommisi che se non ci fossero stati gli altri, davvero mi avrebbe messa sulla sue ginocchia e sculacciata a sangue. Una parte di me, quella ubriaca, avrebbe fatto i saluti di gioia. Immaginavo che Hergò da una parte avesse ragione; i complimenti di Michael sul mio abito stavano a significare che lo avrebbe felicemente strappato via per poi sostituirlo con le sue mani.

Dominik trattenne una bile in gola. «Ti pare che sia una cosa nobile, costringere due ragazze a baciarsi per penitenza? Bravo, sai che bell'inventiva!»

«Geloso, Petronovik?» chiese Dimitri.

«Vaffanculo. Se ti ecciti tanto a guardare cose gay perché non ti fai il tuo adorato fratellino giallo?» lo provocò con un sorrisetto vittorioso, ma la reazione di Dimitri fu una tenera risatina.

«Lo abbiamo già fatto, siete arrivati tardi!» gioì.

Dimitri si sporse e Hergò saltò a lato, famelico e pronto. Gli prese le labbra e le morse, facendo un ringhio animale, dopodiché si avvicinò di più e lo baciò. Tutti gridarono eccitati nel far fronte a quei due gemelli completamente identici che si stavano sfamando a vicenda. Hergò aprì la bocca in un sospiro ansimante e Dimitri, abile, gli fece sentire la sua lingua sul palato. Vidi Hergò arrossire, o era già così per colpa dell'alcol, eppure si lasciò baciare con la lingua ovunque e come voleva il fratello maggiore.

Dimitri si ritrasse compiaciuto e Hergò mostrò a Dominik la saliva del fratello. Io, per nulla abituata a quel genere di scene, rimasi impietrita a guardare quel bacio dato con passione e confusione. Strizzai dopo gli occhi, credendo di aver avuto un'allucinazione.

«Non siete fratelli anche voi?» chiese uno a Dominik.

Lui si infervorì. «Ma certo che lo siamo! Sei cieco o hai gli occhi nel culo?»

Hergò si inchinò e scrollò le spalle. «Non vogliono farlo, è comprensibile. Non tutti possono, io e il mio fratello maggiore siamo troppo uniti per voi, che ne capite? Se ti fa schifo il tuo fratellino posso capirti. Ha la tua stessa faccia, anche io ne rimarrei disgustato...»

«Come hai...»

Ebbe appena il tempo di formulare la frase che Michael si spostò con tanta velocità che le loro bocche furono già unite prima che potessi realmente comprenderlo. Michael chiuse il occhi con forza e lo afferrò per il collo, trattenendolo. Dominik sbiancò e aprì gli occhi come i fanali di un'auto in corsa. All'inizio mise un po' di resistenza, cercando di allontanarlo istintivamente senza fargli male, ma poi qualcosa in lui cambiò: gli afferrò il bavero della camicia e lo fece sedere vicino a lui e continuò a baciargli le sue labbra piene e rosee. Imitarono Dimitri e Hergò e io ne fui traumatizzata.

Non lo volevo!

Michael si scostò leggermente per respirare, Dominik gli passò una mano tra i capelli corti e glieli afferrò con forza, inondandolo di libinoso piacere proibito. Le mie pupille si restrinsero e per quanto volessi urlare e controbattere non ci riuscii. Tutto si trattenne dentro la mia testa e pensai: Me lo sono meritata.

Mi pulii velocemente il viso, mi tolsi le scarpe appuntite e uscii di fretta da quella stanzetta che puzzava di orgia, scendendo a piedi nudi di sotto. Se qualcuno mi avesse detto che ero scappata via io avrei probabilmente detto il contrario. Vedere Dominik e Michael baciarsi mi fece uno strano effetto, lo ammisi, eppure sapevo che mi stavano ritornando il sasso che avevo lanciato. Avevo iniziato io, in fondo, e me lo meritavo. Non li odiavo, o almeno non credetti di farlo, seppi solo che di quel sentimento pieno di rabbia, umiliazione e pianto ce n'era tanto. Volevo solo farli staccare una volta per tutte. Le attenzioni di Michael erano per me. I tentativi di riappacificazione di Dominik erano per me. Quell'accaduto mi fece capire che non giravano unicamente attorno a me e al mio universo e che, prima o poi, li avrei definitivamente persi. Non importava come o a quale età, o se Gilbert avesse scelto già loro una moglie e a me uno sporco marito di nome Gorka, io non volevo separarmi da loro e stare da sola. Quei due gemelli mi avevano accompagnata troppo a lungo.

Come dicevo, non ero propriamente scappata, tutt'altro. Nel tempo in cui loro due si sbaciucchiarono per dare spettacolo, ebbi il tempo di togliermi le scarpe e superare quella mandria che si era accalcata vicino al tavolino, per poi scoppiare a piangere una volta fuori alla porta.

Scesi le scale che portavano al piano di sotto e un buttafuori a guardia delle scale mi aiutò a finirle con gentilezza, rivolgendomi un sorriso di consolazione. Era alto, pieno di muscoli, e vestito di nero. Per dei minuti mi sedetti lì vicino, sperando di calmarmi. Quello di cui avevo bisogno era che Dominik e Michael scendessero, mi abbracciassero e mi dicessero che era uno scherzo e che mi avrebbero portato subito a casa. Avrei pianto, li avrei strozzati, ma li avrei di sicuro perdonati. Volevo essere abbracciata da Paige o da mia madre, ma mi ricordai che non avrei mai più potuto farlo. Loro non c'erano.

Quanto sono stupida, pensai con odio verso me stessa. Provavo qualcosa di simile alla gelosia per dei ragazzi che avevano osato rapirmi e torturarmi. Avrei dovuto pensare a come scappare in quella situazione accomodante, e invece mi alzai e andai al bancone del bar per cercare ancora da bere.

«Vodka» ordinai al barman bruscamente.

Il ragazzo davanti a me mi scoccò un'occhiata perplessa. Non mi chiesero documenti, ero minorenne al cento percento e si vedeva chiaramente, eppure lui scosse la testa. Sapevo già chi ero, la mia faccia era unica lì in mezzo.

«Va' di sopra, Petronovik» replicò con freddezza.

«Vodka, o preferisci che chiami Gilbert Petronovik e ne rispondi a lui?»

Lui sbiancò, annuì con fretta e mi passò subito un bicchiere mezzo vuoto di vodka. Mi spostai, andando nell'angolo vicino alle scale e rimanendo per conto mio. Le luci intermittenti e troppo luminose mi stavano cominciando a fare male agli occhi, in più avevo un orribile mal di testa. Mi nascosi dietro il bicchiere da cui stavo bevendo e riniziai a piangere. Nessuno mi notò o forse a nessuno importava troppo. A quel punto volevo solo bere, vomitare e dormire per poi svegliarmi senza ricordi.

«Lo sapevo che era così!»

Alzai gli occhi, li sbattei per togliermi le lacrime dalle ciglia e inquadrai la figura di Hergò davanti a me. Mi aveva seguita. La sua espressione non mi piacque affatto.

«Che vuoi?» sbraitai, ma lui non sembrò sentirmi per via della musica.

«È vero allora che ci tieni a quei Petronovik! Sai, non si sono nemmeno accorti che sono sgattaiolato via di nascosto da tanto erano occupati!» mi canzonò. «Mio padre ci dice sempre che le puttane non devono provare sentimenti.»

«Io non sono una puttana, stronzo bastardo!» lo attaccai.

«Frena le parole! Te lo si legge in faccia, comunque. E poi, così conciata! Non ti vergogni?»

Non ribattei perché era vero, mi vergognavo di come ero vestita, ma di certo non ero l'unica ragazza lì presente ad avere uno scollo esagerato o una gonna troppo indecente.

«Dimmi,» iniziò. «scommetto che Gil ti paga molto bene per i tuoi servizietti, devi pur tenere compatta la famiglia! Come fai con lui? Ti fai pagare a ore o a orgasmi?»

Non avendo la forza emotiva e fisica per controbattere ancora o a colpirlo, gli rovesciai il drink in faccia, macchiandogli i capelli lisci e la camicia bianca, sulla quale si formò una macchia oramai indelebile di puzza e affronto. Lui sbatté gli occhi, inorridito.

«Non osare mai più dirmi una cosa del genere» dissi, spingendolo via.

Con una mossa decisa fece cadere il bicchiere a terra in mille pezzi e mi sbatté al muro, incastrando i suoi fianchi contro i miei. Mi ritrovai schiacciata al muro con una sua mano tra i capelli e l'altra sulla vita. Mi bloccava. Avevo una bile di vomito pronta in gola, ma la trattenni e provai a muovere i polsi e le braccia.

«Non fare la schizzinosa ora» mi apostrofò, accarezzandomi la pelle vicino al collo e scendendo vicino allo scollo aperto e umido del mio sudore. «So bene come li intrattieni. Ti usano tutta la notte, vero? Ti diverti a farlo con quei due gemelli, deve eccitarti un sacco.»

Lo guardai disgustata.

«Togliti... merda... o lo vado a dire a...»

«A Dominik, ci scommetto!» mi anticipò. «Oh, sì, ti prego! Fallo! Va' a dire al tuo bel principe che ti ha fatto il cattivo Hergò e vediamo cosa dirà. Lui mi picchierà, i nostri padri litigheranno e tu sarai la causa di una nuova guerra tra clan! Prova a immaginare, stupendo cazzo!»

Mi morsi un labbro e mi ricordai delle parole di Michael. Ed è male, Chanel, la guerra!

«Se odi Dominik parlane con tuo padre, io non c'entro!» mi difesi. «Mi vuoi picchiare per vendetta?»

«Perché dovrei picchiare una ragazza che preferisce scoparmi? Pensa» sussurrò, scandendo bene le parole vicino al mio orecchio, «se ora ti trascinassi con me in macchina e facessi tante bellissime cose sotto il tuo vestitino rosso, quale sarebbe il metodo più veloce per farti rientrare in famiglia?» Trattenni il respiro, ferita nell'animo. «Ha-ha, bingo. Dominik ti scoperebbe di nuovo a morte a costo di non mandare via il suo prezioso giocattolino di sfogo notturno, ne ha avuti così tanti in questi anni. Tu non sei speciale, sei una delle tante. Perché quindi non facciamo un patto io e te? Ce ne stiamo zitti zitti, tu mi coccoli un po' in macchina e poi facciamo entrambi finta di niente, ti piace, dolcezza? Anche io sono un purosangue.»

Provò a baciarmi, ma tirai indietro la testa e lo colpii forte sulla fronte, facendolo indietreggiare con una smorfia. Strizzai gli occhi e la testa mi esplose in un dolore fisso e lancinante. Mi coprii il petto, nascondendolo ai suoi occhi. Avrei fatto di tutto per seguire l'ordine di Dominik. Nessuno mi avrebbe toccata oggi.

«Fanculo, troia! Ce l'ho duro e mi rifiuti? Ma sai chi sono? No, non funziona così, spiacente di deluderti. Non ti hanno educata a dovere, vedo, che razza di deficienti senza cervello! Nessuno oserà dire qualcosa se ti testo anche io o preferisci farlo in contemporanea anche con il mio fratello adorato? Ci scommetto, a te piace forte e violento!»

«Va' a quel paese, Hergò e succhiatelo da solo» replicai ferma, impassibile.

«Nessuna ragazza può rifiutarmi. Non qui.»

Allungò le braccia verso di me e io urlai, chiudendo gli occhi e proteggendomi dal suo attacco. Il buttafuori a guardia delle scale lo afferrò per il collo della camicia e lo scagliò via da me con forza, mettendosi poi in mezzo. Hergò si sbilanciò per via dell'alcol e quasi gli venne da rimettere.

«Mikhail, cosa pensi di fare? Tu lavori per me!»

«Io lavoro per tuo padre, no per te. Signor Petronovik mi ha pagato per tenere occhi lontani da lei, specie i tuoi. Nessuno può toccarla» annunciò e io trovai la forza per respirare.

«Che? Gilbert? Te ne do il doppio se me la lasci per dieci minuti.»

«No!» strillai e l'uomo si girò verso di me, annuendo.

«La ragazza ha detto no. Non sai accettare sconfitta? No. Ragazzo troppo eccitato oggi. Fila via, mezzasega.»

Hergò trasalì e arrossì fino alla punta delle orecchie, abbassò gli occhi e fuggì via tra la folla a gran velocità. Mikhail si girò verso di me e mi diede un'occhiata storta per via delle mie spalle nude e il mio rossetto sbavato. Il colore delle puttane. Intimidita dai suoi occhi marroni, smisi di respirare e mi tirai indietro spaventata.

«Ti ha fatto male?» mi domandò.

Era un uomo alto quasi due metri e poteva pesare più di cento chili netti, eppure la dolcezza con cui mi parlò mi lasciò l'amaro in bocca. Se avesse voluto avrebbe potuto benissimo rompere un dente a Hergò, ne sarei stata felice, ma evidentemente nemmeno lui poteva andare oltre certi limiti. Lavorava nel locale sbagliato e ciò significava che c'era di mezzo anche Yamazaki.

«No, no, grazie...» mormorai.

«Va' a pulirti la faccia. Signor Petronovik ha detto che devi essere pulita. Hergò è troppo viziato.»

Faticava a parlare la mia lingua, ma lo capii al volo. Gli feci un sorriso di ringraziamento e annuii.

«No per te! Gilbert buon uomo con la mia famiglia. Se dice un ordine, io eseguo. Tu sei molto fortunata, torna dai tuoi fratello poi.»

Entrai in bagno. L'aria puzzava di chiuso e di piscio, o anche vomito. Le latrine erano sudice, unte e l'idea di toccare persino un lavandino mi disgustò. Aprii l'acqua e per fortuna la trovai gelida. Mi sciacquai il viso un paio di volte, rinfrescandomi le idee e la botta rovente sulla fronte.

Hergò non poteva toccarmi. Quasi sorrisi. Beccati questo, stronzo! Io ero dei Petronovik, appartenevo a loro e solamente Dominik e Michael avrebbe potuto pretendere la mia compagnia. Secondo gli altri quello era il mio compito, compreso Gilbert. Avrei davvero da sempre voluto conquistare l'amicizia e la fiducia di loro due non solo stando sdraiata sotto di loro. Quello non era amore, era uso. Avrei continuato quella vita ancora per molto?

C'era una piccola feritoia a lato delle salviette, proprio sopra un piccolo cestino di plastica stracolmo di profilattici usati e assorbenti sporchi. Ci avvicinai. Saltai e spinsi la finestrella e questa si aprì leggermente. Un vento leggero mi scompigliò i capelli, fresco, libero e pulito. C'era una strada nelle vicinanze, ne ero certa. L'avevo vista venendo là. Provai a saltare, aggrappandomici con tutte le mie forze. Caddi. Ci riprovai.

Non avrei più rivisto l'Australia, forse nemmeno se i Petronovik mi avessero lasciato volontariamente scappare da loro. Ero in trappola, ma mi ricordai per chi lo stavo facendo: per mia madre, Lacey Miller. Dominik non avrebbe continuato a marchiarmi come un qualsiasi animale da macello e Michael non mi avrebbe trasformata in una bambola adatta ad ogni sua necessità. Entro un paio di anni mi avrebbero abbandonata. Loro si sarebbero sposati presto con mogli bellissime e devote, avrebbero avuti figli sani e di successo mentre io sarei stata là per loro unicamente per le loro voglie inespresse. Io ero la valvola di sfogo. Mi sarei sposata con un uomo che non amavo, costretta a stare a casa a pulire e badare ai miei piccoli figli con un padre che, come sapevo fin troppo bene, avrebbe trascorso altrove le serate.

Non sarei mai stata amata davvero.

Ero in trappola.

Mi arrampicai fino a raggiungere la finestrella, arrivando più in alto di quanto pensassi per via dei piedi scalzi sui muri. Imbucai la testa di fuori, assaporando l'odore di smog, di neve e di umido nelle narici, sorridendo. Mi tirai più in su e allora due grosse mani mi strapparono via dal mio nido, riportandomi a terra.

Graffiai e urlai contro Mikhail con rabbia. Lui indietreggiò, non potendomi toccare per difendersi e alzò le mani per fermarmi e scusarsi.

«Aiutami, ti prego!» lo supplicai, indicando la finestra. «Lasciami andare!»

I suoi occhi diminuirono della fiamma del risentimento che provava. «Fuori? Uscire?»

«Sì, sì! Puoi aiutarmi?»

Lui ci pensò. Annuì e io aprii la bocca per fare un gridolino eccitato e felice. Non avrei commesso gli stessi errori dell'ultima volta, meditai con coraggio, sapevo dove avevo sbagliato e come rimediarvi. Quella volta, ne fui sicura, ce l'avrei fatta a fuggire.

Mikhail mi afferrò per un polso, tirandomi fuori dal bagno. Di scatto mantenni il suo passo, pensando già di trovare l'ambasciata e rifugiarmi lì per qualche tempo, eppure sprofondai in una laguna di spavento e terrore quando capii bene, e troppo tardi, che il suo intento non era quello di liberarmi, ma di portarmi da Gilbert al terzo piano.

«No! Lasciami! Lasciami, ho detto! Bastardo!»

Gli bastarono un paio di spinte forzate per trascinarmi con sé, salire su al terzo piano e gettarmi dentro una porta con poco tatto. Lo guardai furente, le unghie pronte ad attaccare. Lui mi indicò, serio e composto.

«Piccola Petronovik voleva darsi alla fuga» proruppe e io mi strinsi nelle spalle, sentendo gli occhi freddi e verdi di Gilbert perforarmi la testa.

Mi girai e lui era lì, seduto, composto con un'aria inflessibile e pronto ad assaggiare il mio sangue. La sua cicatrice era più scura per via della luce, come se gli mancasse un pezzo di faccia. Probabilmente era così, un pezzo della sua anima era bruciata.

Il mio patrigno sospirò. «Bene, Mikhail. Ottimo lavoro. Vai pure, io e lei...»

«Mia famiglia!» urlò l'altro allarmato.

«Sì, certo. Tua figlia avrà le cure che aspetta. Ora vai, avanti. Devo parlarle.»

Mikhail uscì e fui sul punto di scoppiare a piangere e crollare in ginocchio chiedendo perdono. No, Chanel! Dominik aveva sofferto le sue pene in silenzio e con coraggio in quella stanza degli orrori, io non sarei stata da meno. Non si sarebbe fatto mai intenerire da me, non dopo tutti i guai che gli avevo procurato.

Prima che la porta si fosse richiusa, udii una profonda risata familiare provenire da una poltrona in un angolo opposto.

C'era un uomo là seduto, di mezz'età portati contromano. Il suo volto era un campo di guerra butterato, tra ferite e tagli vecchi, un labbro tendeva troppo di lato come se avesse perennemente un'espressione disgustata. Aveva dei piccoli occhi a mandorla neri, capelli corti e corvini con qualche filo bianco in eccesso e uno sguardo fine. Era vestito di grigio, elegante, in mano teneva un calice di vino rosso dal color del sangue, le sue gambe erano lunghissime. La sua pelle chiara era grigiastra. Già dapprima delle presentazioni seppi chi fosse.

«Vuoi rovinarmi o cosa, piccola stupida ingrata? Non sai stare al tuo posto?» Gilbert mi strattonò senza levarsi o scomporsi dalla sedia su cui era comodamente seduto.

Scossi il braccio, sperando mi mollasse senza parlare.

«Mio caro compagno, anche se è la tua piccolina di casa, devo forse ricordarti che è pur sempre una donna fatta e finita? Le donne, signor Petronovik, sono la vera rovina dell'umanità, così graziose e velenose.»

La sua voce accarezzava ogni parola con finzione leggendaria, degna di Gilbert.

«Lei più di altre» rispose furibondo Gilbert.

«Io sono Hotami Yamazaki, il padre di Dimitri e Hergò. Li conosci già, a scuola spiccano molto e poi mi hanno parlato tanto di te. Ci tenevo a conoscerti in questa circostanza! Buon Giorno del Perdono, graziosa Chanel!» esultò. «Il tuo patrigno ti ha già parlato di me?»

«Quest'uomo disgustoso non è il mio patrigno. È solo un mostro» ringhiai.

L'uomo cinese rise di gusto mentre Gilbert rafforzò la presa sul mio polso, facendomi contorcere dal dolore. «Una piccola chiacchierona, vedo» si complimentò. «A me piacciono le ragazze dalla lingua lunga» gli confidò e Gilbert ridacchiò in modo lascivo.

«Oh, so ben per cosa... Dove sono le tue scarpe, Chanel?» mi interrogò.

Strinsi i denti e le guance presero fuoco.

«Muoio dalla voglia di tapparle la bocca, sempre a modo mio, ovvio!»

Gilbert sorrise e mi accarezzò il palmo della mano. Provai a toglierlo dalla sua stretta, ma risultò impossibile. «È una mordace, lo riconosco. Attento a ciò che le metti in bocca.»

Il signor Yamazaki si prestò leggermente deluso, inclinando la testa. «Gil!» lo accusò. «Io intendevo dire che se osasse parlare a vanvera con me gli spaccherei la faccia con un pugno. Questa generazione deve imparare il rispetto, anche a suon di cinghiate!» sentenziò fiero.

«Ben detto!» cantò Gilbert. Mi diede una scossa per ravvivarmi e mi tirò verso di sé, passandomi un braccio attorno alla vita, possessivo. «È bellissima, vero?»

«Un bijou. Bionda naturale?»

«Naturalissima!»

«Bastardo fortunato!» sogghignò. «Com'è la piccola come concubina personale? Soddisfa le tue aspettative?»

Gilbert fece una smorfia contraria, come se avesse appena ingoiato qualcosa di acido. «Sfortunatamente è di mio figlio Dominik.»

«Se l'è fatta prima lui?» domandò curioso e divertito.

«Sì.»

«Ahi!» esclamò ridendo con finta confusione. «Allora per il resoconto dovrò andare da lui! Ah, anche Dimitri una volta osò prendere una delle mie dolcissime BabyDoll, io avevo la predilezione per le lolita. Influenza giapponese, credo. Adorabile era. Lunghi capelli neri, occhi scuri, carnagione di madreperla con le labbra rosse fragola. Illibata al cento percento, l'avevo pagata carissima. Be', lui mi ha ridato il giusto prezzo. Lui si è preso la mia cosa più preziosa e io la sua!»

Pensai all'atteggiamento pratico e abile di Dimitri in ogni occasione e lo comparai al padre. Non si assomigliavano, specie di carattere. Il figlio era più schivo in certe questioni. Mi chiesi quale fosse la cosa più preziosa che Dimitri possedesse.

«... dovresti pensarci su» stava dicendo il signor Yamazaki.

«Immagino» disse solo Gilbert, mogio. «E così hai tentato di scappare ancora, eh? Pensavo che la lezione di Dominik ti fosse servita, ma vedo che non è stato abbastanza. Vuoi che ti faccia riportare laggiù?»

Fece scorrere la mano lungo la schiena, su e giù, accarezzandomi troppo dolcemente la pelle. Sotto gli occhi di Yamazaki, scese oltre il dovuto e io scattai in avanti, esplodendo.

«Non mi toccare!»

Yamazaki rise, gettando la testa indietro. «Ribelle, eh? Perché non me la dai per la notte? Te la porto domani senza un graffio, incolume e vedrai che sarà silenziosa e desiderosa delle tue attenzioni. Gilbert! In nome della nostra amicizia!» si lagnò.

Scossi la testa al solo pensiero.

«Non se ne parla nemmeno. Fatti scopare da una delle tue puttanelle sottopagate, lei è mia» borbottò acido Gilbert.

Lui brontolò. «Ehi, tesoro!» parlò a me con tono zuccherato. «Ti va di trascorrere una notte a casa mia, ho una bella villa qui vicino! Un bel pigiama party con i miei figli, come dite voi giovani. Saprebbero di certo come compiacere una donna come te, che dici? O magari preferisci passare un'altra notte con Dominik e Michael, all'insegna delle urla, oppure ancora con Gilbert?»

Feci una smorfia disgustata.

«Sapete, invece di pensare a me e ai miei bisogni, forse è il caso di pensare ai vostri figli e ai loro, perché credo che in questo momento se li stiano soddisfacendo a vicenda» mormorai distratta.

Yamazaki perse la risata in un attimo e si tirò su dallo schienale. «Come?»

Gilbert corrugò la fronte e mi tirò per il braccio al suo stesso livello, ignorando lo scollo del mio vestito e tenendomi salda nonostante i miei brusii di vergogna.

«Dove sono Dominik e Michael?»

Prima ancor che mi lasciasse era già in marcia contro di loro.

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